rp: andrea ranocchia

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo.
Pairing: Andrea/Dejan, kind of.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: AU, Gen, Slash, Lemon, Non-con, Angst.
- Andrea è stato addestrato a questo momento per tutta la sua vita. L'unico problema è che, se anche avesse vissuto una vita il doppio più lunga, tutti gli addestramenti del mondo non avrebbero potuto prepararlo a questo.
Note: BUON ANNIVERSARIO, DEFFY ;O; *gli salta addosso e se lo limona sulla pubblica piazza* Avrei voluto postare questa fic ieri, ma non ho fatto in tempo neanche a trovarle il titolo prima di dover uscire, e poi oggi la febbre ha deciso di uccidermi, quindi. Ma Def sa che il mio amore è imperituro e qualcosa di insignificante come un ritardo non può intaccarlo minimamente u.u
Ciò detto, io amo questa storia XD Amo il 'verse che racconta, amo come lo racconta e voglio esplorarlo ancora, anzi, sicuramente lo esplorerò ancora, in futuro :3 E niente, mon amour, spero che ti piaccia ♥
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HANGING BY A MOMENT

Desperate for changing
Starving for truth
I'm closer to where I started
I'm chasing after you

Andrea era stato addestrato a partire dai dieci anni, età in cui era stato reclutato. L’esercito ribelle girava spesso per i paesi e le piccole cittadine montane dell’entroterra, dicevano che la roccia temprava i corpi e gli spiriti dei giovani. Gli adolescenti, a quell’età, secondo loro erano già pronti per servire la Causa. Molto più di quanto non si potesse dire dei loro coetanei più vicini alle sponde dolci e sabbiose del mare. “Il mare fiacca lo spirito,” dicevano gli anziani generali attraverso il cui insindacabile giudizio si veniva accettati o respinti, “ha un profumo troppo buono, chi vi abita accanto difficilmente sente il bisogno di separarsene”.
Lui, invece, s’era gettato fra le braccia della milizia come fra quelle del Salvatore. Non vedeva l’ora di abbandonare Assisi e la sua mentalità da minuscola provinciale. Era insofferente all’ostinazione con cui i vecchi ruderi che chi li abitava si ostinava a chiamare “case” restavano aggrappati al fianco della montagna. Con uno sforzo di immaginazione, chiudendo gli occhi, poteva sentire le vecchie ossa di quell’altura scricchiolare sotto il peso del paese. A suo modo di vedere, era soltanto una questione di tempo: prima o poi, tutto sarebbe crollato, e non soltanto perché le forze dello Stato non si curavano più di centri poco popolosi e per di più scarsamente produttivi come quello. No, non sarebbe stato per incuria che quella cittadina sarebbe crollata, rovinando su se stessa. Sarebbe stato per vecchiaia, perché il suo ciclo si stava esaurendo, perché non c’era più motivo per cui dovesse restare in piedi.
Lui no, però. Lui voleva restare in piedi. E in quel periodo, se volevi restare in piedi, avevi solo due opzioni: lo Stato, o la Causa. Non esistevano alternative. Chi, specie al Sud, aggrappato agli scogli riarsi dal sole e profumati di salsedine, si ostinava a dire di non aver niente a che vedere con lo Stato perché neutrale, in realtà non si accorgeva – o fingeva di non accorgersi – di essere un complice. Se Stanković sedeva sulla poltrona presidenziale, era stato anche grazie agli innumerevoli complici silenziosi che, tacitamente, ne avevano favorito l’ascesa dopo il colpo di stato di vent’anni prima.
Andrea era sempre stato onesto. Era una spinta alla quale non poteva sottrarsi. Non era buonismo, e nemmeno vera e propria bontà, più che altro desiderio di pulizia, istinto di conservazione, testardaggine nel restare fedele a se stesso anche quando tutte le forze in gioco premono perché tu abbandoni la tua integrità in favore di una o più soluzioni di comodo.
A lui non erano mai interessate le soluzioni di comodo. Aveva sempre pensato che, prima o poi, il regime sarebbe stato abbattuto. Anni ed anni di ribellione, alla fine, non avrebbero potuto dimostrarsi vani.
Lui voleva arrivare pulito a quel giorno. Integro. Senza niente per cui rimproverarsi. Allora, la vita sarebbe stata diversa. Sarebbe stata più del misero gregge di pecore e delle due vacche di suo nonno, che ancora resistevano nonostante gli anni, e delle quali era toccato a lui prendersi cura. Sarebbe stato libertà, un lavoro vero, dei soldi, una casa sua, una famiglia. Sarebbe stata una vita migliore, e lui voleva sentirsi libero di godersela.
Dall’avamposto di Perugia si era spostato a quello di Arezzo che aveva solo sedici anni. Poi due anni lì, due a Bari e due a Genova avevano concluso l’opera. Si era ritrovato a ventitré anni di fronte ad un generale che, dopo un esame attento e approfondito, lo aveva giudicato pronto.
Pronto per Milano. Pronto per la Capitale.
Era arrivato alla fine di dicembre. Milano era avvolta nel gelo, grigia e spenta e senza neanche la bianca, lieve, quasi soave consolazione della neve che invece ad Assisi si vedeva spesso. Istintivamente, l’aveva trovata una città orribile, al di là degli sciocchi, inutili, arzigogolati orpelli dei palazzi presidenziali. Per lui, cresciuto in una fattoria, in un paese di case di legno e pietra, il marmo e il cemento non avevano significato. I pennacchi affilati del Duomo lo irritavano, gli sembravano contro natura. Spesso, passando per l’elegante piazza, diretto a Palazzo Durini, si era ritrovato a pensare che solo le montagne avrebbero dovuto mostrare una tale sfrontatezza nel cercare di grattare via l’azzurro ingrigito del cielo dalla volta celeste. Quella Madonna assisa là in cima sembrava un insulto nei confronti di Dio stesso.
Naturalmente, non si sarebbe mai permesso di esternare pareri simili con uno dei suoi superiori. Era riuscito – e non senza difficoltà – ad ottenere un incarico all’interno della guardia di Palazzo Durini solo da poco, e non aveva la minima intenzione di far saltare la propria copertura per così poco. Non dopo tutti gli anni che gli erano serviti a raggiungere un grado di preparazione tale da poter essere mandato lì. Non quando da lui dipendeva ormai il destino dell’intera nazione.
- Emozionato? – gli aveva domandato il generale Cambiasso nello scortarlo verso l’ufficio del presidente.
- Sono qui solo per fare il mio dovere, signore. – aveva risposto lui, asciutto, tenendo lo sguardo basso. Era stato l’unico scambio di battute che il suo superiore gli avesse concesso, prima di abbandonarlo da solo di fronte all’enorme porta che conduceva all’interno dell’ufficio dal quale Stanković gestiva tutto il proprio regno.
Non aveva mai ancora visto il presidente, prima di quel momento, ed era quello l’ultimo ostacolo che gli si parava davanti, prima di poter entrare a far parte della sua milizia personale. Allora sarebbe stato tutto più semplice. Il piano era stato studiato fin nei minimi dettagli, lui non aveva che da metterlo in pratica. Una volta morto Stankovic, l’esercito dei ribelli non avrebbe avuto alcuna difficoltà ad introdursi nel palazzo presidenziale, e da lì riprendere il controllo.
La sua vittoria era lì, lì ad un passo, e lui aveva vissuto più degli ultimi dieci anni della sua vita al solo scopo di prepararsi a quel momento. Ma nessuna delle sue lunghissime, interminabili, sfiancati sessioni di addestramento avrebbe mai potuto prepararlo per quello.
Stanković sorrise, chinandosi su di lui e forzandolo a schiacciarsi ancora di più contro la gelida superficie di cristallo che copriva il piano in legno dell’antichissima scrivania che occupava quasi metà della stanza con la sua mole austera.
- Non avresti mai pensato che fosse questo il modo in cui sceglievo i miei collaboratori più stretti, dico bene? – gli domandò in un sibilo divertito, le labbra che sfioravano il profilo teso e nervoso del suo collo.
- No, signore. – ammise Andrea, cercando di trattenere un ringhio mentre provava ad obbligare il ritmo del proprio respiro a farsi più calmo e meno affannoso.
- È il metodo migliore. – spiegò Stankovic, lasciandogli scivolare una mano sul ventre e fra le cosce e cominciando ad accarezzarlo lentamente, - La fedeltà della mente è un conto, ma quella del corpo è tutta un’altra cosa. – aggiunse, spingendosi col petto ancora coperto dalla divisa contro la schiena già nuda di Andrea, premendogli contro la colonna vertebrale tutte le proprie appuntite medaglie e costringendolo a schiacciare il petto e lo stomaco contro il cristallo. Era così freddo da farlo rabbrividire. – Quella del corpo è una fedeltà atavica. – continuò a spiegare, la mano che si muoveva sempre più velocemente attorno alla fastidiosa quanto indesiderata erezione svettante fra le gambe di Andrea. Non era mai stato toccato così, prima d’ora. Non era preparato alle sensazioni che la mano di un estraneo poteva scatenare su un corpo vergine come il suo. – Non conosce limiti né confini. Non conosce tempo né ostacoli. – ghignò ancora, ed Andrea se lo sentì sulla pelle, nel liberarsi dai propri pantaloni, premendo la propria erezione contro una sua natica. – L’unica fedeltà più assoluta di quella del corpo, è quella del ricatto.
Andrea si irrigidì, abbassando la guardia per un secondo che gli fu fatale. Soffocò un grido di dolore contro il proprio pugno chiuso, mentre Stanković si premeva contro di lui, oltrepassando la barriera delle sue resistente per penetrarlo senza il minimo riguardo.
- C-Cosa..? – balbettò lui, un singhiozzo per ogni gemito, cercando di voltarsi a guardarlo.
Stanković sorrideva soddisfatto. Sulle sue labbra sottili, sui suoi occhi scuri e piccoli, brillava una cattiveria rara, figlia dell’egoismo e della smania di potere più sfrenati. Andrea ne sentì il rimbombo nella testa, seppellito nella parte più oscura e profonda della sua anima come il seme del male con ogni movimento del bacino con cui l’uomo piantava la propria erezione sempre più in profondità dentro di lui.
- So chi sei. – disse l’uomo, tenendolo fermo per i polsi e bloccandoglieli dietro la schiena, mentre aumentava il ritmo delle proprie spinte, strappandogli dalle labbra gemiti sempre più confusi e liquidi, - So tutto di te. Da dove vieni, come sei arrivato qui, dove vivevi. – il suo sorriso si fece ancora più sottile e inquietante, - Chi sono i tuoi genitori.
Andrea si abbandonò a un singhiozzo stremato, abbattendosi contro la scrivania in una disperata ricerca di sostegno.
- No… - implorò in un mugolio carico di dolore, - No, ti prego.
- È qui che entra in gioco la fedeltà del ricatto. – continuò a spiegare Stanković, apparentemente neanche affaticato dai colpi tremendi che continuava ad infliggergli dentro con ogni spinta, - Ho dato disposizioni precise a tutti i miei generali. Se io muoio, tu e tutta la tua famiglia mi seguirete all’inferno. Se ti rifiuti di fare quello che ti chiederò, la vostra sorte sarà la stessa. Come la vedi?
Andrea gemette ancora, la gola, il petto e lo stomaco stretti in una morsa che gli dava il tormento. Chiuse gli occhi e ripensò a tutta la propria vita, a più di dieci anni di addestramento, e spostamenti, e lezioni infinite sull’importanza della Causa. Pensò ad Assisi, all’ardore folle col quale aveva voluto scapparne. Al fatto che probabilmente non l’avrebbe rivista mai più. Alle pecore e alle vacche della vecchia e stropicciata fattoria in cui viveva. Ai sorrisi stanchi e rugosi di mamma e papà. E se anche non avesse provato tanto dolore fisico da piangere ormai da minuti interi, quel pensiero soltanto sarebbe stato sufficiente a costringerlo a cominciare in quel momento.
- Cosa vuoi che faccia? – domandò fra un singhiozzo e l’altro. Stanković sorrise soddisfatto, spingendosi dentro di lui un’ultima volta, rilasciando il proprio orgasmo fra le sue gambe ed uscendo da lui subito dopo, come se, una volta ottenuta la propria soddisfazione, il solo pensiero di rimanergli dentro lo soffocasse.
- Ti hanno mandato qui per infiltrarti nella mia milizia. – disse tranquillamente, risistemandosi i vestiti addosso mentre gli lanciava un asciugamano di cotone sottile col quale ripulirsi le cosce, - Ebbene, io invece ho bisogno di qualcuno nella loro. Tu sarai il mio uomo. – concluse guardandolo negli occhi. Non era una domanda, perché c’era una sola risposta possibile. Andrea conosceva bene quell’atteggiamento, era lo stesso atteggiamento al quale aveva imparato ad ubbidire fin da quando era solo un bambino.
Ripensando ad Assisi aggrappata al fianco del monte Subasio, non poté che lasciarsi sfuggire una lacrima nell’accorgersi di quanto la forza con la quale stava aggrappandosi a quella possibilità di salvare i propri cari fosse in realtà simile a quell’ostinazione della città a rimanere attaccata a quelle vecchie rocce corrose dal tempo. Un’ostinazione che credeva insensata, e che invece, lo capì solo in quel momento, era soltanto necessaria.
Chinò il capo, annuendo. Un giorno, la ribellione avrebbe avuto ragione della dittatura. E allora la vita sarebbe stata più semplice. E ci sarebbero state case, e lavori veri, e famiglie felici, e nessun bambino sarebbe stato costretto ad arruolarsi in un esercito di ribelli a dieci anni per fuggire alla prigione rocciosa di un paese senza prospettive.
Lui, però, non sarebbe stato lì per vederlo.