Genere: Commedia, Romantico.
Pairing: Kurt/Dave, Kurt/Blaine, Kurt/Finn (accennato), Finn/Rachel, Finn/Quinn, Blaine/Jeremiah, Rachel/Jesse, Burt/Sue (WTF).
Rating: R/NC-17.
AVVERTIMENTI: AU, Crossdressing, Slash, Crack, OOC.
- Sono ormai più di cent'anni che nel feudo di Lima, governato dalla nobile casata degli Hummel ormai da generazioni, non nasce più una bambina. Il popolo ha ormai escluso tutte le ipotesi più allarmanti - infertilità? Com'è possibile, dal momento che le donne continuano a partorire figli maschi? Tare genetiche? Com'è possibile, dal momento che perfino le donne straniere, una volta entrate nel territorio, sembrano incapaci di partorire femmine? - ma una resta ancora in piedi, ed è l'ipotesi alla quale credono fermamente il principe Blaine Anderson, il suo fedele amico il principe Jesse St. James e il gruppo di consiglieri della Dalton, rinomata scuola in quel di Westerville, capitale del regno: potrebbe trattarsi della maledizione di una strega, ed è per questo che una spedizione composta dal principe e dal proprio seguito si reca a Lima, intenzionata a prendere alloggio alla dimora degli Hummel e investigare più approfonditamente sulla faccenda.
La cosa, come spesso accade, non sarà che l'inizio di una serie di incredibili eventi che porteranno le vite di tutti i personaggi in gioco a cambiare irrimediabilmente per sempre.
Note: Allora, questa storia era tipo nata per chiudersi nel giro di una decina di pagine, giuro XD Doveva essere una roba abbastanza breve, del tutto crack, e solo Kurtofsky. Poi non so cosa è cambiato nella mia testa (qualcosa di brutto, indubbiamente), ed ho finito per infilarci qualsiasi cosa, tra le quali otto milioni di pairing e, soprattutto, UNA TRAMA. Le trame, come tutti sapete, sono le nostre nemiche. Noi le odiamo. Sì? Boh. Comunque questa storia non ne aveva bisogno, e infatti appena è arrivata BUM! ventordici milioni di parole. Dolore.
Insomma, tutto ciò per dire: non leggete questa storia. Mai.
Nota a magine: Sarpe appartiene alla Lokex XDDDDDD Non ho saputo resistere.
Pairing: Kurt/Dave, Kurt/Blaine, Kurt/Finn (accennato), Finn/Rachel, Finn/Quinn, Blaine/Jeremiah, Rachel/Jesse, Burt/Sue (WTF).
Rating: R/NC-17.
AVVERTIMENTI: AU, Crossdressing, Slash, Crack, OOC.
- Sono ormai più di cent'anni che nel feudo di Lima, governato dalla nobile casata degli Hummel ormai da generazioni, non nasce più una bambina. Il popolo ha ormai escluso tutte le ipotesi più allarmanti - infertilità? Com'è possibile, dal momento che le donne continuano a partorire figli maschi? Tare genetiche? Com'è possibile, dal momento che perfino le donne straniere, una volta entrate nel territorio, sembrano incapaci di partorire femmine? - ma una resta ancora in piedi, ed è l'ipotesi alla quale credono fermamente il principe Blaine Anderson, il suo fedele amico il principe Jesse St. James e il gruppo di consiglieri della Dalton, rinomata scuola in quel di Westerville, capitale del regno: potrebbe trattarsi della maledizione di una strega, ed è per questo che una spedizione composta dal principe e dal proprio seguito si reca a Lima, intenzionata a prendere alloggio alla dimora degli Hummel e investigare più approfonditamente sulla faccenda.
La cosa, come spesso accade, non sarà che l'inizio di una serie di incredibili eventi che porteranno le vite di tutti i personaggi in gioco a cambiare irrimediabilmente per sempre.
Note: Allora, questa storia era tipo nata per chiudersi nel giro di una decina di pagine, giuro XD Doveva essere una roba abbastanza breve, del tutto crack, e solo Kurtofsky. Poi non so cosa è cambiato nella mia testa (qualcosa di brutto, indubbiamente), ed ho finito per infilarci qualsiasi cosa, tra le quali otto milioni di pairing e, soprattutto, UNA TRAMA. Le trame, come tutti sapete, sono le nostre nemiche. Noi le odiamo. Sì? Boh. Comunque questa storia non ne aveva bisogno, e infatti appena è arrivata BUM! ventordici milioni di parole. Dolore.
Insomma, tutto ciò per dire: non leggete questa storia. Mai.
Nota a magine: Sarpe appartiene alla Lokex XDDDDDD Non ho saputo resistere.
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«Io ho… ho solo bisogno di più tempo. Più tempo, capisci? Per vedere dove mi porteranno i miei studi.»
La ragazza sorrise, stringendosi nelle spalle. «Sei ancora giovane» rispose, «Hai tutto il tempo che ti serve.»
«No, non è così» scosse il capo lui, avvicinandosi a lei e stringendo le sue mani pallide e sottili fra le proprie, «La mia scienza è già parecchio avanti rispetto a quella degli altri scienziati di questo paese, ma— non è sufficiente. Non mi serve solo qualche anno in più, non sto parlando di un paio di decenni, sto parlando di… tempo. Tempo vero. Quel tempo che quando lo guardi sembra infinito, quel tempo che ce n’è sempre abbastanza. Quel tempo lì serve a me.»
Rossa in viso, la ragazza deglutì, senza allontanarsi di un passo, ed anzi, ricambiando la stretta delle sue mani con le proprie. «Cent’anni? Duecento?» deglutì ancora. I suoi occhi scintillavano. Dalle sue dita partivano tenui raggi di luce che illuminavano la radura come stelle. La superficie del lago, resa nera come la pece dalla notte inoltrata, sembrava un cielo d’estate. «Io posso darteli» annuì, «Ma tu devi promettere.»
Lui non si allontanò. Avrebbe promesso la luna a chiunque, se solo gli avessero dato abbastanza anni per imparare a raggiungerla e catturarla in una gabbia. «Dimmi cosa devo promettere, e lo prometterò.»
«Prometti…» sussurrò la ragazza, avvicinandosi a lui e bisbigliando al suo orecchio. Lui spalancò gli occhi e, nell’ascoltare la sua voce gentile e ciò che diceva, si lasciò sfuggire una risatina divertita. Non poteva essere che uno sciocco gioco, lei non poteva aiutarlo. Ma lui le avrebbe comunque promesso ciò che voleva, per ringraziarla di averlo ascoltato ed aver provato ad illuderlo che un modo per sconfiggere il tempo esistesse davvero.
Chinandosi sulle sue labbra e sfiorandole in un bacio lievissimo, promise.
Partì l’indomani. Non la rivide più.
Erano ormai più di cento anni che nel Principato non nascevano bambine. A quanto pareva, non si trattava di una questione di infertilità – le schiave straniere che sovente venivano prese ad oggetto dei favori dei signorotti del paese partorivano spesso e volentieri, ma solo maschi – quanto più di semplice sfortuna, o, come credevano altri, compresi i componenti del Consiglio della Dalton, che nella capitale del principato, Westerville, si occupavano di servire il principe Blaine facendo uso di tutta la loro cultura e saggezza, di una maledizione, gettata sul Principato da qualche malvagia fattucchiera o da un principe di un altro paese, geloso delle ampie ricchezze che anche a quel tempo, nonostante la carenza di figlie femmine, continuavano a benedire il Principato.
Mentre gli alchimisti della capitale cercavano di risolvere il problema, preparando unguenti e pozioni da somministrare alle schiave nella speranza che potessero riprendere a partorire figlie femmine, e mentre ogni sei mesi da Westerville partivano spedizioni nelle foreste circostanti il Principato nella speranza di trovare l’antro della malvagia strega che si riteneva responsabile di questa incresciosa situazione, nelle campagne e nei piccoli villaggi circostanti la capitale la vita aveva continuato a svolgersi tranquillamente, priva di preoccupazioni eccessive.
Lord Burt Hummel, ad esempio, che governava con amore e giustizia il piccolo villaggio di Lima, era convinto che tutte le teorie del Consiglio non fossero altro che baggianate. Lui, da sempre seguace delle teorie razionaliste dei colti studiosi dell’Accademia McKinley, orgoglio e vanto del villaggio, era più propenso a credere che si trattasse di una semplice – improbabile, ma non del tutto impossibile – flessione delle nascite, come ogni tanto se ne vedevano in quella regione, specie nei periodi di magra o di carestia. Certo, sarebbe stato molto più semplice e probabile che le nascite calassero tutte, maschili o femminili che fossero, ma si poteva forse condannare il caso per avere azzerato le nascite delle bambine soltanto? Naturalmente no. Prima o poi le femmine avrebbero ricominciato a nascere, e tutto si sarebbe messo a posto da sé.
Fino a quel momento, però, ci si sarebbe dovuti arrangiare, ed era secondo questo principio che Lord Hummel aveva deciso di educare il suo secondogenito, il signorino Kurt. Le schiave, infatti, andavano bene per placare gli appetiti sessuali dei giovani signorotti del paese e della campagna, certo, e potevano andare bene perfino per generare i loro eredi, ma di sicuro non potevano essere presentate a corte, non potevano entrare a far parte della società e tantomeno potevano entrare a far parte delle famiglie nobiliari che reggevano i vari villaggi, o tantomeno la Capitale. No, solo una donna di sangue blu avrebbe potuto occupare il posto che ad una donna di sangue blu era destinato. E se tali donne scarseggiavano, be’, era con ciò che si aveva a disposizione che si doveva lavorare.
Kurt era sempre stato un fanciullo molto delicato ed elegante, e perciò Burt non invidiava affatto tutti i signori dei paesi circostanti che, saputo della sua geniale idea, avevano provato a replicare coi loro figlioli quanto lui aveva fatto col proprio. La sola immagine di tutti quei monelli sporchi di fango e cioccolato, ripuliti e risistemati e ficcati a forza in un casto abito da donzella, lo divertiva oltremodo. Con Kurt, invece, era stato tutto molto più semplice, quasi non c’era stato nemmeno bisogno di forzarlo ad indossare la gonna. Kurt l’aveva fatto di propria spontanea iniziativa, così come sempre era accaduto anche quando aveva cominciato ad interessarsi alle femminee arti del canto, del cucito e dell’educata e lieve conversazione che a tutte le donzelle del suo rango era appropriata, e che lui, pur non essendo una donzella, era in grado di padroneggiare splendidamente.
In breve tempo, la voce che il secondogenito di Lord Hummel aveva assunto il ruolo della donzella di casa aveva fatto il giro del Principato, ed ovunque avevano cominciato a verificarsi casi analoghi, ma Kurt, nella sua virginea e pallida perfezione, restava l’esempio migliore che si potesse trovare in tutto il paese, un fiore di rara bellezza che tutti i villaggi limitrofi invidiavano a Lima, ben consapevoli di non avere nessuna speranza di riuscire a dare alla luce un giorno un bambino che fosse abbastanza bello e delicato da provare anche solo ad imitare le meraviglie di cui il signorino Kurt sembrava custode per volere di Dio in persona.
Con una tale luce a risplendere dal cortile e dalle finestre della villa in campagna di Lord Hummel, non c’era da stupirsi che, contrariamente a quanto accadeva in tutto il resto del Principato, ove i villaggi erano ormai diventati luoghi tristi dove altrettanti tristi caricature di giovani ragazze in boccio vagavano tristemente per le strade rattristando l’occhio già triste dei viandanti che tristemente si trovavano a passare per quei tristi luoghi, Lima rappresentasse se non meta di pellegrinaggio comunque un luogo allegro sul quale fermarsi per un po’ di ristoro, soprattutto per chi viaggiava a cavallo da giorni ed aveva ancora davanti a sé molta strada da percorrere.
Quando, quel giorno, Lord Hummel – impegnato ad intrattenersi con uno dei suoi pochi vezzi, quello di calare le braccia fino ai gomiti nei meccanismi di certe macchine a olio e a vapore che amava progettare e costruire – vide il giovane garzone Sam correre lungo il viale principale che conduceva al cortile della propria villa, scalzo come sempre ma sporco di terra e polvere più di quanto non l’avesse mai visto, immediatamente gli andò incontro, rallegrato dalla possibilità che il ragazzo portasse con sé notizie di un qualche diversivo che fosse in viaggio verso di loro dalla Capitale, per distrarsi un po’ dalla calura asfissiante con lui l’inizio della primavera li stava flagellando, e che provocava a tutti gli abitanti della tenuta un fastidio che neanche la presenza di Kurt riusciva a lenire.
- Ordunque, ragazzo! – lo fermò, poggiando le mani ancora sporche d’olio e grasso sulle sue spalle, mentre attorno a loro s’andava via via formando un crocchio di persone sempre più ampio, composto dal fattore Puck, dal medico di corte Artie, dalla cuoca Mercedes, dalla maestra di canto Rachel, dai due camerieri di origine orientale Mike e Tina e dalle due dame di compagnia di Kurt, Brittany e Santana, - Placati e doma il tuo affanno, e racconta al tuo padrone cosa ti spinge a correre così a perdifiato per i nostri bei campi, quando dovresti essere giù al villaggio ad occuparti delle spese per la famiglia tutta.
- Mio signore, - esordì Sam con entusiasmo, cercando di respirare normalmente, - stavo appunto recandomi al villaggio con le mie sporte vuote, per comprare i cibi e le bevande che mi avevate ordinato di procurarmi al mercato, quando all’improvviso di fronte a me vidi giungere un gruppo di nobiluomini a cavallo!
- Nobiluomini a cavallo! – ripeté Burt, sorridendo compiaciuto, - Viaggiatori? Principi dei paesi vicini? Granduchi e visconti diretti al mare e costretti a passare per Lima per un po’ di ristoro?
- Meglio, mio signore! – riprese Sam, quasi saltando sul posto mentre il suo pubblico rumoreggiava, educatamente raggruppato a qualche centimetro da Burt, che ancora lo teneva per le spalle, - Inizialmente mi era sembrato di non riuscire a riconoscere chi guidasse il molto onorevole drappello di gentiluomini, ma quando essi mi si sono avvicinati abbastanza non ho più avuto scuse, e d’altronde non so come sia possibile non riconoscere il regale portamento, la fiera chioma riccia e corvina e gli splendidi occhi del nostro sovrano, il principe Blaine!
- Cosa? – quasi gridò Burt, al colmo della gioia, mentre la folla si apriva in un urlo di festa, - Stai forse dicendo che sua maestà il principe sta per giungere in questa casa?
- È a meno di mezz’ora di viaggio, mio signore! – rispose Sam, indicando la strada, - I nobiluomini si sono fermati a far ristorare i cavalli sulle rive del lago a pochi chilometri da qui, ed io ho cercato di correre il più velocemente possibile per avvertirvi!
- Ed il tuo sforzo sarà premiato. – annuì Burt, battendogli un paio di pacche sulle spalle. – Puck, libera il ragazzo dai suoi pesi. – ordinò, - Di quanti uomini stiamo parlando? – chiese quindi, mentre Puck obbediva e sollevava le sporte che Sam ancora trascinava, strisciandole al suolo.
- Una decina, mio signore. – rispose subito Sam, con un lieve cenno del capo, - Oltre al nostro principe ho riconosciuto i suoi fedeli compagni, Lord Wesley Montgomery, Lord David Thompson e Lord Thad Harwood, ed essi sono accompagnati da un aitante biondo signore che non ho mai visto prima, ma di sicuro dev’essere un principe, tanto fiera e regale è la sua figura!
- Sentito, Tina, Mike? – disse Burt, voltandosi a guardare i due camerieri che, trascinati dai festeggiamenti degli altri, si affrettarono a ricomporsi e profondersi in ampi cenni del capo in direzione del loro signore per dimostrare di aver riacquistato il controllo su loro stessi, - Preparate le camere, arieggiate la villa, disponete tutto per l’arrivo dei nostri graditi ospiti, e Brittany, Santana? – chiamò, cercando con gli occhi le due dame nella folla. Esse mossero un passo avanti agli altri per farsi notare, inchinandosi di fronte a lui. – Correte ad avvertire Kurt. – disse quindi Burt, sorridendo con orgoglio, - Che sia pronto per l’arrivo di sua maestà.
Brittany e Santana annuirono e sorrisero, per poi sollevare le gonne e correre celermente verso casa, alla ricerca di Kurt. Mentre tutta la servitù riprendeva l’usuale attività, Burt si deterse le mani su un panno pulito e restò in mezzo al viale, accanto al proprio marchingegno, a scrutare l’orizzonte, tendendo l’orecchio per essere pronto a captare il più lieve segnale che potesse suggerire l’avvicinarsi di una mandria di cavalli al galoppo. La giornata si apprestava a diventare molto più interessante, e in molti sensi. D’altronde, era risaputo che il principe stesse cercando moglie, ed era altrettanto ovvio che non avrebbe potuto sposare una serva. E se le donne scarseggiavano, pensò Burt con un sorriso soddisfatto, be’, era con ciò che si aveva a disposizione che si doveva lavorare.
* Finn e Kurt erano nati da due madri diverse, ma ciò non era mai stato d’impedimento per l’affetto genuinamente fraterno che li legava. Finn aveva sempre ammirato Kurt per la sua bellezza, la sua educazione e la sua delicatezza. Lui che fin da piccolo non aveva voluto altro che andare in guerra, girare il mondo e servire la propria patria – e che poi era stato doppiamente deluso dal proprio destino, che non solo lo legava per sempre ai possedimenti paterni e che perciò avrebbe fatto di lui un proprietario terriero prima che un soldato, ma che per giunta aveva gettato il Principato nella più noiosa e lunga pace che si fosse mai vista in quel Paese, proprio in corrispondenza con la sua adolescenza e quella che dunque avrebbe potuto essere la sua prima chiamata alle armi – trovava incredibilmente divertente quel fratellino-barra-sorellina che, data la giovane età di entrambi, non aveva mai visto abbigliato come un maschietto, ma sempre e solo come una femminuccia. Fin da piccolo, infatti, Kurt era stato educato come una donzella, e trattato parimenti, e perciò era stato per Finn incredibilmente facile perdere di vista la realtà per la quale, sotto quelle soavi stoffe da donna, si nascondeva un corpo da uomo.
Kurt era per Finn niente più e niente meno che una sorella da ammirare, coccolare e adorare devotamente. Una delicata ragazza da proteggere ed alla quale stare accanto per poter meglio godere della sua bellezza, della gentilezza dei suoi gesti e della delicatezza della sua persona. Entrambi amavano trascorrere del tempo insieme, cavalcare ai margini della foresta o attorno allo splendido lago che si trovava a qualche chilometro di distanza dalla villa, ma dal momento che non sempre era possibile concedersi questa divertente attività spesso ripiegavano sulla lettura. Quasi ogni pomeriggio, che fosse estate o inverno, Finn prendeva dalla biblioteca paterna un volume di quegli splendidi poemi epici sull’amore e sulla guerra la cui lettura sovente colorava del rosso acceso delle rose in primavera le guance di Kurt, e ne declamava qualche pagina al fratello, restando seduto al suo fianco e reggendo il libro con una mano e le sue pallide dita sottili con l’altra.
Erano impegnati in questa piacevole attività anche quando Brittany e Santana irruppero a disturbare la loro quiete, quel giorno. L’eroe del poema stava dedicando alla propria dama un sonetto di intenso ardore e vivida emozione, e Finn stava divertendosi oltremodo nell’osservare la pelle quasi trasparente di Kurt avvampare sulle gote e sul collo, preda dell’imbarazzo che le parole tanto ardite del cavaliere lo costringevano a provare, quando le due dame fecero il loro ingresso nella stanza.
- Brittany, Santana. – si affrettò a sorridere Kurt, alzandosi in piedi ed andando loro incontro, nascondendo il proprio rossore dietro ai veli che scendevano giù dal suo capo, - Quali nuove? Ho sentito del trambusto, giù in cortile.
- Ciò vuol forse dire che non mi stavate ascoltando, fratello? – rise Finn, alzandosi in piedi ed affiancandosi a lui solo per vedere se le sue parole lo mettevano ulteriormente in imbarazzo, cosa che puntualmente accadde.
- Ma cosa dite, fratello? – mormorò Kurt, nascondendosi pudicamente dietro al velo, - Ho solo sentito dei rumori. Ordunque, Santana, Brittany, ditemi.
- Buone nuove, invero, signorino Kurt. – iniziò Santana con un inchino, lasciando poi la parola a Brittany. La quale sorrise con evidente soddisfazione, si profuse a propria volta in un elegante inchino e dunque parlò.
- Sam, il nostro garzone, si è evidentemente innamorato di sua maestà il principe. – disse. Se la camera non fosse stata spoglia e spartana, come ad una donzella di campagna quale Kurt avrebbe dovuto essere si addiceva, quadri sarebbero caduti dalle pareti, e piatti sarebbero piovuti dal cielo fracassandosi al suolo.
- Co-Come…? – balbettò Kurt, incerto.
- Non badatele, signorino Kurt. – sospirò Santana, sollevando gli occhi al cielo, - Conoscete Brittany, d’altronde.
- Come sarebbe a dire? – domandò la ragazza, vagamente offesa, - E tutto quel parlare di portamento regale, fieri capelli corvini e splendidi occhi?
- Era solo un modo per annunciare l’arrivo della sua graziosa maestà, Britt. – le spiegò Santana, con un altro sospiro arreso, ed appena ebbe pronunciato quelle parole fu evidente, dalla diversa tensione dell’aria, che qualcosa in Kurt era cambiato. Le due donne e Finn si voltarono immediatamente a guardarlo, per notare che, al colmo dello stupore, aveva lasciato ricadere i lunghi veli lungo i fianchi appena sottolineati dal vestito a gonna retta e priva di fronzoli che indossava. Le sue guance s’erano colorate di un rosa vivido e fanciullesco, e i suoi occhi chiari brillavano d’emozione. Finn aggrottò le sopracciglia, decisamente poco compiaciuto.
- Sua maestà… è qui? – esalò Kurt in un sospiro sognante, e le sue due dame di compagnia sorrisero, annuendo in segno di conferma.
- Arriverà in una manciata di minuti. – precisò Santana.
- Si stava abbeverando al lago coi suoi cavalli e i suoi affascinanti cortigiani. – aggiunse Brittany, fornendo particolari che nessuno sentiva il bisogno di conoscere.
- …sì. – annuì Kurt, e poi si rivolse a Finn, poggiando delicatamente entrambe le mani sul suo avambraccio e guardandolo con dolcezza, - Fratello, vi dispiacerebbe lasciarmi, adesso? Vorrei cambiarmi d’abito, per essere pronto per il momento in cui incontrerò sua maestà.
- Sì, naturalmente. – annuì Finn, sporgendosi a lasciare un lieve bacio sulla pallida fronte del fratello minore, - Ma non agghindatevi troppo. – lo rimproverò scherzosamente, agitandogli un dito davanti al viso, - Non sono ancora pronto a perdervi in favore di uno sciocco, impomatato principe a cavallo.
- Fratello! – sbottò Kurt, gonfiando le guance, mentre Brittany e Santana ridevano civettuole, affiancandolo, - Non siate offensivo nei confronti di sua maestà! Vi prego, provate ad essere gentile! Sapete bene quanto ammiro la sua regale persona!
- Come potrei non saperlo bene? A stento conversate d’altro! – rise Finn, esalando un sospiro paziente e premendo lievemente la punta del dito contro la punta del naso del fratello, - Ma basta ridere e scherzare, adesso vi lascio. Tornerò a prendervi per scortarvi in cortile quando il principe sarà giunto. A dopo. – sorrise, salutandolo con un cenno della mano e lasciandolo solo con le sue dame per lavarsi e cambiarsi d’abito.
* - Lord Hummel! – sorrise entusiasta il principe Blaine, scapicollandosi giù da cavallo e rischiando di rotolare per terra sulle sue gambe di modeste dimensioni mentre si precipitava con esagerata veemenza verso il padrone della tenuta, - Quale immenso piacere conoscervi, finalmente! La mia balia non faceva che raccontarmi delle vostre avventure, per farmi addormentare la sera! La leggenda del vostro destriero meccanico su quattro ruote, col quale potevate attraversare l’intera regione in meno di mezza giornata di viaggio, era la mia preferita, da piccolo!
- Tutte leggende, appunto, mio principe. – rise Burt, porgendogli la mano e stringendola vigorosamente, - I miei macchinari non sono giunti che ai confini di Lima, né tantomeno io ho mai osato spingermi oltre. Troppo poco affidabili, e di indubbio poco interesse per la vostra persona.
- Scommetto che invece mi interesseranno tantissimo. – insistette Blaine, mentre anche i suoi compagni scendevano a terra, lasciando la cura delle loro cavalcature ad un ragazzotto piuttosto tozzo, robusto, dall’espressione cupa e con due piccoli occhi sfuggenti sul volto a conferirgli un’aria sgradevolmente furtiva e scontrosa. – Vorrò vederle, anzi, tutte quante.
- Ed io ve le mostrerò con piacere. – annuì Burt, lanciando un’occhiata al porticato e notando con un sorriso l’arrivo ormai prossimo di Kurt, avvolto nel suo più ricco e sontuoso vestito, cavallerescamente scortato da Finn in alta uniforme. – Ma temo che dovrò sbrigarmi a mostrarvele, o rischio che, paragonate a quanto altro di bello hanno da offrirvi le mie modeste terre, voi le troviate ancor più banali di quanto esse già non siano.
Blaine inarcò un sopracciglio, in un primo momento incerto su quanto Lord Hummel stesse cercando di dirgli, ma quando, seguendo il suo sguardo, incontrò la snella e quasi evanescente figura di Kurt al braccio del proprio fratello maggiore, ogni parola si spense nel fondo della sua gola, ed i suoi occhi non poterono che fissarsi su di lui, mentre lo osservava avvicinarsi con movenze lente ed eleganti, seguito dalle sue due dame di compagnia.
- Principe Blaine, è un onore avervi in casa nostra. – disse immediatamente Finn, abbandonando il braccio del fratello per tributargli il saluto militare, prima di tornare a sorreggere Kurt come egli avesse bisogno di un appiglio per non cadere.
- Mio principe, - intervenne Burt, avvicinandosi ai suoi due figli, - lasciate che vi presenti i miei due gioielli più preziosi: il mio primogenito Finn, e… non so se avete mai sentito parlare del mio secondogenito, Kurt.
Blaine, il respiro sospeso e gli occhi brillanti di genuina meraviglia, si avvicinò a Kurt, inginocchiandosi al suo cospetto ed aspettando che lui gli porgesse la mano per stringerla fra le proprie dita, sfiorandone appena il dorso con le labbra in un bacio rispettoso e casto.
- Avrei dovuto essere sordo per non sentirne parlare. – confessò sollevandosi in piedi, mentre Kurt distoglieva pudicamente lo sguardo, - Siete davvero incantevole come si racconta. Ed… è un piacere conoscere anche voi, Finn. – aggiunse, cercando di riprendere padronanza del proprio raziocinio e salutando il giovane signore di quelle terre con un cenno del capo, - Della vostra intelligenza si parla in termini molto lusinghieri, alla mia corte. Spero di poter passare molto tempo in vostra compagnia.
- La speranza è ricambiata, mio principe. – rispose Finn con un sorriso spavaldo, aggiungendo mentalmente che più tempo Blaine avrebbe passato con lui, meno gliene sarebbe rimasto per portar via suo fratello Kurt.
- Sono contento di sentirvelo dire. – annuì Blaine, con un sorriso che parve a Finn sinceramente entusiasta. – Ora, Lord Hummel, - riprese, voltandosi verso Burt, - mi rincresce chiedervi un tale favore così all’improvviso, ma io e la mia modesta compagnia siamo in viaggio ormai da parecchi giorni, ed ancora parecchia strada ci separa dalla Foresta Nera, ove siamo diretti. Posso contare sulla vostra ospitalità, per qualche giorno? Il tempo necessario per rifocillarci, ritemprare i nostri spiriti e prepararci a ripartire?
- Mio signore, vi prego, - gli sorrise Burt, incoraggiante, - considerate la mia umile dimora come fosse casa vostra, per tutto il tempo che riterrete opportuno o che vi piacerà fermarvi.
Blaine sorrise entusiasta, annuendo e sporgendosi ad abbracciare Burt col calore usualmente riservato ad una persona amata e conosciuta da lungo tempo.
- Burt, permettetemi di chiamarvi per nome come un amico, e concedetemi il privilegio di fare voi lo stesso con me. – disse, stringendogli la mano, - E lasciate anche che vi presenti il mio seguito, ho portato con me solo i miei amici più fidati.
- Mio signore, sarei davvero un suddito indegno se non conoscessi già di fama gli esimi componenti del vostro consiglio. Lord Montgomery, Lord Thompson, Lord Hardwood, è un piacere avervi con noi. – li salutò con un educato cenno del capo. – Mi è invece ignoto il giovane signore dai capelli biondi che vi accompagna, Blaine.
- Oh, come ho potuto dimenticare di presentarvelo immediatamente! – sbottò il principe, sollevando gli occhi al cielo, esasperato dalla propria stessa distrazione, - Si tratta di Jesse St. James, stimato principe di Carmel e mio caro amico. – disse, poggiandogli una mano sulla spalla. Rachel, in piedi in mezzo al resto della servitù alla spalle di Lord Hummel, non poté fare a meno di concedersi un tremito emozionato nel sentire il nome di quel lontano paese, e tale tremito non sfuggì agli occhi di Finn, fermo a pochi metri da lei ed ancora immobile accanto al proprio fratello.
- È un piacere fare la vostra conoscenza, principe. – disse Burt, porgendo la mano per una stretta vigorosa anche a Jesse, - E sarà mio onore ospitare voi e il vostro seguito in casa mia. Posso chiedere alle vostre maestà qual è il motivo del vostro viaggio? – chiese quindi, tornando a rivolgersi a Blaine, il quale sembrò gonfiarsi, orgoglioso come un galletto, prima di rispondere.
- Fonti certe hanno parlato della presenza di una strega nella Foresta Nera, ai confini dei vostri possedimenti, Burt. – spiegò, - Avendo già il mio amico Jesse liberato il proprio principato dalla malvagia strega che teneva sotto scacco la popolazione privandola dell’acqua, ho chiesto il suo aiuto per sconfiggere la megera che priva noi della gioia di avere figlie femmine di sangue nostro da crescere.
- Una strega, mio signore? – chiese Burt, inarcando un sopracciglio mentre Kurt, al suo fianco, non riusciva a trattenere una risatina, che cercò invano di nascondere dietro il dorso della mano.
- Noto dello scetticismo nella vostra domanda. – sorrise Blaine, - E nella splendida risata del vostro altrettanto splendido secondogenito. – aggiunse divertito, voltandosi a guardare Kurt, - Davvero credete che l’ipotesi di una strega sia così improbabile?
- Mio signore, - disse Kurt, risolvendosi a parlare con la massima serenità, la voce dolce, femminea e soave, dopo un breve ma elegante cenno di scuse, - non lasciate che la mia posizione vi tragga in errore. Sono stato educato come una dama, ma sono stato anche istruito come un ragazzo. Streghe e fattucchiere, qui a Lima, nella capitale del razionalismo, sono sempre viste come un’ipotesi improbabile, al pari di tutte le altre creature di cui sovente leggo nei miei libri. Il mio cuore palpita al pensiero di un’avventura vissuta fra cavalieri dalle armature scintillanti, draghi sputafuoco e perfide streghe, ma la mia mente è salda, e mi impedisce di credere a simili storie.
Blaine rise, grandemente divertito, nell’allungare una mano a stringere nuovamente le dita pallide di Kurt, portandole alle labbra in un gesto delicato e rispettoso.
- Sarete una compagnia incredibilmente piacevole, mio caro Kurt. – commentò.
- Ma non prendetevi gioco delle mie parole, maestà. – lo avvertì lui, gli occhi brillanti e pieni di scintillante e battagliero orgoglio, - Il mio aspetto potrà forse ingannarvi, ma la mia lingua non è avvezza a cortesie che sarebbero unicamente formali. Mostrate di rispettarmi, ed io mostrerò uguale rispetto per voi.
La presa delle dita di Blaine attorno a quelle di Kurt si fece più stretta, mentre i suoi occhi ricambiavano con ardore l’intensità dello sguardo del ragazzo.
- Sono assolutamente sincero. – ribadì seriamente, pur senza rinunciare all’ombra di sorriso che gli piegava le labbra, - Siete meraviglioso, ed i giorni che passerò al vostro fianco saranno indubbiamente i più belli della mia vita.
Kurt si ritrasse con un sorriso divertito, stringendosi pudicamente nelle spalle.
- Grazie, mio principe. I vostri complimenti riempiono il mio cuore di orgoglio. Ma temo sia il caso che io mi ritiri, per stasera. – si voltò con grazia, cercando lo sguardo di Finn, - Fratello, vi sarebbe di troppo disturbo riaccompagnarmi alle mie stanze?
- Non saprei immaginare un’incombenza più piacevole di questa, fratello caro. – rispose Finn, sorridendogli teneramente. Blaine li osservò andare via, affrettandosi a prendere le mani di Burt non appena li vide scomparire.
- Vostro figlio, Burt, è un fiore di rara bellezza. – disse, la voce scossa da un fremito di viva emozione, - Ma avremo modo di discuterne ampiamente in futuro. – aggiunse con imbarazzo, come temesse di essersi spinto troppo oltre. – Ora, vi sarei grato se mostraste al mio stalliere dove sistemare i cavalli per la notte. E dopo, sarò contento di unirmi alla vostra famiglia per cena.
* Kurt preferì cenare nelle proprie stanze, circondato dalle proprie dame di compagnia e dal resto della servitù, al quale era da sempre molto affezionato. Finn sarebbe stato felice di potersi fermare a desinare in sua compagnia, ma gli obblighi della propria carica lo costrinsero a cenare con suo padre e gli ospiti, sedendo alla destra del principe. Blaine non fece altro che parlare della propria missione e di quanto meraviglioso fosse ai suoi occhi il secondogenito del suo squisito ospite, ed i suoi argomenti di conversazione si erano poi ridotti al solo Kurt quando egli stesso, nel dopocena, vedendo approssimarsi l’ora del riposo, era apparso nel grande cortile che era stato addobbato per la cena, per augurare a tutti la buonanotte e per obbedire all’ordine del proprio padre, che gli aveva chiesto di fermarsi a cantare per gli ospiti prima di ritirarsi.
La sua voce, così elegante e ferma, aveva stregato il principe fino a costringerlo ad una mezz’ora di quieto silenzio, di cui Finn fu molto grato, ma che poi s’interruppe bruscamente quando appunto egli riprese a cantare le lodi della perfezione di Kurt, aggiungendo qua e là accenni vari a quanto la sua corte, a Westerville, avrebbe potuto trarre beneficio dalla presenza di una tale meravigliosa creatura.
- Ma ditemi, piuttosto, principe, - lo interruppe ad un certo punto Finn, ben disposto perfino a sopportare altre due ore di delirio su streghe, pozioni e malefici, pur di non dover più sentire nominare il proprio fratello come se già il principe fosse certo di poterlo sposare entro l’anno, - se davvero doveste imbattervi in questa tanto temuta strega, come la uccidereste?
- Ammetto di non essere granché ferrato, sull’argomento. – disse Blaine, con evidente imbarazzo, stringendosi nelle spalle, - È per questo che ho chiesto consiglio al principe Jesse. Lui sa già come fare, ed essendo il suo principato spesso stato vittima degli incantesimi di qualche vecchia maliarda, e provenendo dunque egli da un’antica e stimata stirpe di cacciatori di streghe, sarà più che felice di rispondere ad ogni vostra domanda.
Finn si rivolse dunque all’ospite, e così fece tutto il resto della tavolata, composta non solo dagli abitanti della casa, ma anche da alcuni importanti vassalli di Lord Hummel, ai quali, poco dopo l’arrivo del principe, erano stati inviati dei messi, poiché fossero avvisati della necessità di presenziare a cena col sovrano quella sera stessa.
- Contrariamente alle credenze popolari, - cominciò Jesse, accavallando le gambe e stendendosi più comodamente contro lo schienale della propria sedia, - le streghe non possono essere uccise col fuoco. Fortunatamente, non viviamo più in un periodo di oscurantismo religioso, come sicuramente voi dotti abitanti di Lima sarete contenti di sentirmi dire. – affermò con un sorriso, - No, io compatisco le povere donne che in epoche antiche sono morte arse vive sui roghi della Santa Madre Chiesa, - disse, sottolineando l’appellativo con un ghigno sardonico, - poiché esse erano tutte innocenti. Le vere streghe non possono essere bruciate perché cospargono costantemente la loro pelle di un unguento che le rende resistenti alle fiamme. E questo non perché abbiano paura degli esseri umani e degli sciocchi metodi che in passato hanno usato per cercare di ucciderle, ma perché durante i Sabba è il fuoco stesso dell’Inferno a lambirle, e da quello loro hanno ormai imparato a proteggersi. Se le fiamme di Lucifero non le feriscono, mi spiegate in che modo potrebbero ferirle quelle degli uomini?
- State dunque dicendo che non c’è modo di uccidere una semplice donna? – interloquì Burt, inarcando un sopracciglio, dubbioso, - Signore, voi vi burlate di noi. Vivere in campagna, lontano dai fasti della Capitale, è forse sinonimo d’ignoranza, per vostra maestà?
- Non oserei mai. – si affrettò a dire Jesse, sollevando entrambe le mani, - E d’altronde non ho detto che niente può ucciderle, solo che il fuoco non può farlo. I miei alchimisti hanno sviluppato la formula di un liquido altamente corrosivo, che abbiamo chiamato acido, dal latino acidus. È in grado di sciogliere in pochi minuti un intero corpo umano, se concentrato.
Finn, così come gran parte degli ospiti, trasalì al solo udire quelle parole.
- Ciò di cui parlate con tanta leggerezza è… è raccapricciante. – disse, deglutendo a fatica.
- Forse. – annuì Jesse, giungendo le mani in grembo, - Ma siamo uomini di mondo, e la morte non ci spaventa. Dico bene?
- Non saprei dire, signore. – rispose Finn, con evidente astio, - Ho viaggiato poco e tengo ancora in grande considerazione la vita delle persone. Forse non sono un uomo così di mondo come credete voi.
Burt tossicchiò appena, lanciando al figlio un’occhiata, come a chiedergli silenziosamente di placare il suo spirito ribelle.
- E come avreste intenzione di catturare una donna che non ha paura nemmeno del fuoco? – domandò, per riportare la conversazione su argomenti più lievi, - Il vostro… come l’avete chiamato? Acido, sì. Il vostro acido può ucciderla, ma se è un liquido non sarà poi così difficile da evitare. E le streghe, secondo le leggende, sanno volare.
Jesse annuì, pensieroso.
- In effetti, esiste un solo momento in cui le streghe perdono tutti i loro poteri. Ed è imparando a sfruttare quel singolo momento che io e i miei avi abbiamo imparato a catturarle. – sorrise compiaciuto, tirando le labbra in una smorfia quasi terrificante mentre portava alle labbra il proprio calice per un sorso di vino. – Esse sono completamente indifese nella mezz’ora successiva all’amplesso. – rivelò con un certo divertimento, mentre i commensali accoglievano la notizia chi borbottando, chi spalancando gli occhi in segno di stupore e chi – specialmente i più giovani – arrossendo vividamente.
- State dicendo che è così che le catturate? – esalò Finn, sconvolto. Suo padre cercò di fermarlo con un’altra occhiata, ma lui, totalmente concentrato sull’espressione sottilmente divertita di Jesse, non la vide, o se la vide, la ignorò. – Approfittate di loro e poi, nel momento in cui sono più vulnerabili, le catturate e le sciogliete nell’acido?
- Andiamo, - sbuffò Jesse, gesticolando vago, - è di una strega, che stiamo parlando.
- Ma è ancora un essere umano! – quasi urlò Finn, scattando in piedi, oltraggiato. – Sempre che esista. – aggiunse, abbassando il tiro e cercando di riprendere il controllo schiarendosi brevemente la voce. – Chiedo perdono, - disse, chinando il capo in segno di scuse, - sono molto stanco e non mi sono accorto di quanto sgarbatamente mi stessi ponendo nei vostri confronti. Col vostro permesso, padre, - disse, rivolgendosi a Burt, - mi ritirerei per la notte.
Burt annuì, allungandosi a poggiare brevemente una mano sulla sua, prima di lasciarlo andare.
- Chiedo scusa anch’io, - disse l’uomo, quando il figlio fu sparito oltre il porticato e all’interno della villa, - Finn sa essere molto appassionato, quando discute di argomenti che per qualche motivo lo toccano.
- Quello delle streghe è un argomento che lo tocca? – buttò lì Jesse con noncuranza, guadagnandosi un’occhiata infastidita da parte di Burt.
- Credo che a toccarlo fosse più che altro lo scarso rispetto che la vostra maestà dimostra per la vita umana, principe. – precisò Burt, forzandosi a sorridere con aria non troppo irritata.
- Via, via. – cercò di placare gli animi Blaine, frapponendosi fra i due con un sorriso meno stentato e più aperto, - Burt, non avete alcun motivo di scusarvi, e neanche vostro figlio. È normale reagire così di fronte ad abitudini così palesemente diverse dalle proprie. Domani io stesso mi occuperò di parlare con lui, per riportarlo verso più miti consigli, e sono sicuro che l’acidità nelle parole del mio caro amico Jesse derivi dalla grande stanchezza da cui solo una sana notte di sonno potrà guarirci.
Burt si alzò in piedi, allargando le braccia in un gesto di rinnovata amicizia e sorridendo più serenamente.
- Lasciate dunque che sia la mia casa a guarirvi dal vostro male. – disse, - Seguite pure i servi che vi sono stati assegnati. Essi vi condurranno alle vostre stanze. Vi auguro un sonno sereno, amici cari.
- E la stessa cosa auguriamo noi a voi, Burt. – sorrise Blaine, alzandosi a propria volta in piedi ed obbligando pertanto il resto dei commensali a fare lo stesso, - A domani, e grazie ancora.
* Il giorno dopo, Kurt si alzò di buon mattino, cosa per lui decisamente inusuale. Gli era stato insegnato che una brava ragazza, una signorina di buona famiglia, non avrebbe mai dovuto dormire oltre l’orario in cui il sole avesse invaso appieno il pavimento lastricato del cortile di fronte alla casa, ma sovente a lui capitava di dormire anche ben oltre quell’ora, fino a dopo mezzogiorno. Sapeva bene che avrebbe dovuto darsi maggiormente da fare per incarnare meglio l’ideale della donzella cortese che a suo padre – e a tutti gli uomini del principato – tanto mancava, ma non era nato femmina, e c’erano vezzi del proprio essere indiscutibilmente maschio che faticava a scrollarsi di dosso.
Quel giorno, però, l’eccitazione per la presenza di sua maestà il principe e del suo seguito fra le mura della sua casa era tale da impedirgli di restare a poltrire fra le lenzuola profumate ancora a lungo. Spalancò gli occhi che non dovevano essere neanche passate le otto, e saltò immediatamente in piedi. Ancora avvolto nella propria ampia e comoda camicia da notte, chiamò Santana e Brittany perché gli preparassero un bagno e lo aiutassero a vestirsi.
- Come mai sveglio così di buon’ora, signorino Kurt? – domandò Santana, mentre la testa di Brittany ciondolava per il sonno, nonostante la ragazza cercasse di tenersi sveglia sniffando le piccole sfere di sali da bagno che poi lanciava nell’acqua bollente, osservandole disciogliersi e rilasciare il loro dolce profumo.
- Ho intenzione di andare a fare una passeggiata a cavallo. – rispose lui, aspettando che Santana gli facesse cenno di poter entrare dopo aver tastato la temperatura dell’acqua ed essersi assicurata che fosse sufficientemente tiepida, - C’è un prato meraviglioso che si estende per un paio di decine di metri attorno al lago. In questa stagione è sempre pieno di fiori. Voglio raccoglierne un po’ e intrecciare ghirlande da regalare ai nostri ospiti.
- Soprattutto a sua maestà il principe, mh? – lo prese in giro Santana, inumidendo la spugna per poi passargliela sulle spalle pallide, appena ricoperte di efelidi. Kurt ridacchiò, nascondendo il volto dietro le mani mentre si scuoteva tutto, schizzando un po’ d’acqua fuori dalla vasca.
- Cosa dici, Santana? – rispose, - Non vorrai insinuare che io abbia dell’interesse nei confronti del principe Blaine?
- Insinuarlo? – rise la donna, inarcando un sopracciglio.
- Che gioco è? – sbadigliò Brittany, spargendo un altro po’ di sali nell’acqua, - Indovina chi dice bugie? Voglio partecipare anch’io. Mmh, l’altroieri ho giocato a volano con il gatto e ho perso. Allora, Tana? Chi mente, io o il signorino Kurt?
Kurt e Santana si voltarono a guardarla con aria un po’ incuriosita e un po’ genuinamente sgomenta.
- …Britt, lascia perdere. – le consigliò Santana, occupandosi di sciacquare via il sapone dalla pelle di Kurt ed alzandosi poi in piedi per recuperare degli asciugamani nei quali potesse avvolgersi uscendo dall’acqua.
Le due dame prepararono per lui un vestito adatto alle sue intenzioni, e Kurt indossò il proprio completo da cavallerizza per la prima volta da quando la primavera era finalmente tornata a baciare i campi del villaggio di Lima dopo i rigori dell’inverno appena trascorso. Si ammirò allo specchio e sorrise compiaciuto, mentre recuperava il frustino ed indossava un paio di calzature appropriate. Lasciò detto che sarebbe tornato per pranzo, ed uscì di corsa.
Il cortile era animato e pieno di persone. La servitù stava stendendo il bucato rimasto tutta la notte a mollo in acqua perché potesse pulirsi, e si stava premurando di farlo in fretta, perché per ora di pranzo lo spazio antistante il porticato fosse libero ed in ordine, di modo da poter sistemare lì i tavoli per accogliere tutti gli ospiti che sarebbero giunti per dividere il pasto con sua maestà. Al contempo, Puck e la sua squadra di garzoni si stavano muovendo attivamente per cominciare a raccogliere in enormi sacchi di iuta le provviste che poi sarebbero state consegnate al principe e alla sua compagnia perché potessero fungere da sostentamento per quanto rimaneva loro del viaggio verso la Foresta Nera.
Kurt salutò tutti con raggianti sorrisi ed educati cenni del capo, ma non si trattenne a chiacchierare con nessuno, troppo emozionato dall’idea di andar per campi a raccogliere fiori per il suo principe per potere anche solo pensare a fermarsi più del necessario. Raggiunse celermente la stalla, aspettandosi di trovare Gaga, la sua splendida cavalla bianca, legata come al solito nell’usuale cubicolo che da sempre le era assegnato in una stalla che era per lo più quasi sempre vuota, e fece un passetto indietro, stupito, quando invece vide molti più cavalli di quelli che si sarebbe aspettato legati un po’ ovunque per tutto l’enorme stanzone. Ci mise in effetti qualche secondo a ricordare che, oltre al principe, era presente anche una nutrita compagnia di gentiluomini giunta nelle loro terre a cavallo, e che per quei destrieri un posto s’era pur dovuto trovare. Gaga era stata quasi sicuramente spostata in un punto più riparato delle stalle, lontana da tutti quegli splendidi stalloni purosangue per i quali avrebbe rappresentato solo una tentazione.
Si mosse furtivamente, più che altro perché non sapeva con esattezza dove Gaga fosse stata spostata, e doverla cercare con gli occhi gli impediva di stare attento a dove metteva i piedi, ma concentrato com’era nella ricerca della propria cavalla non percepì il lieve rumore che gli si avvicinava da un fianco, e fece perciò un considerevole salto indietro, condito da un urlo di notevole potenza, quando uno sconosciuto gli si parò di fronte all’improvviso, puntandogli un forcone a pochi centimetri dal naso.
- Ah. – disse l’uomo, abbassando il forcone appena l’ebbe riconosciuto, - Siete voi.
- Vorrei poter dire lo stesso, signore, - rispose Kurt, stringendosi nelle spalle e posandosi una mano sul petto che si alzava e si abbassava velocemente al ritmo del proprio respiro affannoso, - ma temo di non conoscervi, e vi sarei grato se poteste identificarvi.
- Sono lo stalliere del principe. – disse quello, lanciando il forcone a pochi centimetri da Kurt e costringendolo ad un altro saltello spaventato per evitarlo. – Non vi avrebbe colpito. Fate sempre tutte queste scene?
- Come… come osate?! – sbottò Kurt, oltraggiato, avvampando d’imbarazzo, - Portatemi rispetto, signore! Io non vi conosco!
- Be’, nemmeno io so molto più del vostro nome e di quello che siete. Anche se non potrei dirlo con certezza. – aggiunse malignamente, lanciandogli un’occhiata vagamente disgustata che sembrò spogliarlo nudo per spiare cosa ci fosse sotto ai suoi vestiti, un’occhiata talmente penetrante che Kurt sentì quasi il bisogno di stringersi in un abbraccio per cercare di ripararsi da quell’incredibile sfoggio di impertinenza.
- Quanto avete appena detto è estremamente maleducato, signore. Anche se non potrei dirlo con certezza. Se siate un signore o meno, intendo. – ribatté Kurt, acido. L’uomo non cadde nella trappola della provocazione che Kurt gli aveva teso, e scrollò le spalle con alterigia.
- Nel paese dal quale provengo, gli uomini non indossano la gonna. Non si comportano da signorine e non civettano con altri uomini come se fosse normale farlo. – spiegò freddamente, avvicinandosi alla sua Gaga ed accarezzandole il muso con una sorta di intenerita compassione che Kurt non poté fare a meno di trovare irritante.
- Be’, questo paese non è quello da cui provenite voi, evidentemente. – sbottò, - Perché se foste di queste parti sapreste bene per quale motivo mi comporto così. Ed allontanatevi dalla mia cavalla!
- È vostra? – chiese l’uomo, inarcando un sopracciglio proprio come non potesse credere alle proprie orecchie, - In ogni caso, conosco bene la situazione in cui versa questo principato. Ma ciò non rende il vostro comportamento meno disgustoso. – commentò, fermandosi davanti a lui e scrutandolo con fastidio evidente, quasi non riuscisse nemmeno a sopportare la sua vista.
- Voi siete… siete senza dubbio il più sgradevole uomo che abbia mai incontrato! – strillò Kurt, inviperito, - Sellate immediatamente la mia cavalla e poi sparite!
- C’è qualche problema? – disse qualcuno alle loro spalle, e Kurt si sentì saltare il cuore in gola mentre riconosceva la voce del principe e si voltava frettolosamente verso di lui.
- …no, mio signore. – rispose lo stalliere per entrambi, allontanandosi per recuperare la sella di Gaga e sistemargliela sul dorso.
- No? No?! – esclamò Kurt con veemenza, le mani sui fianchi, voltandosi a guardarlo, - Non siete solo sgradevole e maleducato, siete anche un vigliacco. E puzzate! – lo offese, tendendo la mano, - Le redini. – ordinò furioso. L’uomo non lo degnò neanche di uno sguardo mentre gliele porgeva. Kurt sbuffò offeso, dirigendosi a passo marziale verso l’uscita delle stalle. – Perdonatemi, maestà, ma il vostro servo mi ha messo di malumore. Penso che andrò, adesso.
- A-Aspettate! – disse Blaine, tendendo una mano verso di lui e soffiando deluso nel vedere che non rispondeva al suo invito, preferendo saltare a cavallo e partire al galoppo verso la campagna, - Dave! – ordinò, voltandosi verso lo stalliere, - Sella Pavarotti.
- Sì, mio signore. – annuì l’uomo, trattenendo un borbottio contrariato. Nonostante fosse lui il motivo per il quale in quel momento si trovava lì, solo al mondo e lontano dal suo paese, aveva sempre stimato molto il sovrano, e non riusciva a capire come uno come lui, uno che avrebbe potuto semplicemente cambiare la legge che impediva a sovrani e nobiluomini di sposare le schiave, preferisse invece correre dietro a quel mostro in gonnella piuttosto che trovarsi una donna vera e creare con lei una famiglia. A lui, le donne non erano mai interessate, ma quello scherzo della natura non era né una donna, né un uomo. Era solo disgustoso.
Obbedì nondimeno all’ordine del proprio padrone, e fu così che, pochi minuti dopo, a cavallo del suo Pavarotti, Blaine riuscì a raggiungere Kurt.
- Cavalcate come un uomo. – rise, affiancandolo.
- Faccio molte cose come un uomo. – rispose rudemente Kurt, ancora infastidito dall’incontro di poco prima.
- Vi prego, non lasciate che qualunque cosa possa avervi turbato prima rovini questi momenti che possiamo passare insieme senza che intorno ci sia qualcuno a disturbarci. – lo implorò, accelerando il passo del proprio cavallo per potergli tagliare la strada ed obbligarlo a fermarsi. Kurt lo fissò, gli occhi fiammeggianti di rabbia, le redini strette fra le dita. – Qualunque cosa il mio stalliere possa aver detto per offendervi, lasciate che io possa fare ammenda in sua vece. Concedetemi l’onore di scusarmi al suo posto.
Kurt sospirò, ordinando al proprio cavallo di affiancarsi a quello del principe.
- Non dovete scusarvi, - lo rassicurò con un mezzo sorriso, - il comportamento del vostro servo non è una vostra responsabilità. Ma perdonerò volentieri tutto ciò che vorrete, se verrete a cavallo con me.
Blaine sorrise, mentre entrambi partivano al trotto verso il lago.
- Torno a sentirmi in difetto, - confessò con un sorriso, seguendo il cavallo di Kurt e restando qualche centimetro indietro in segno di rispetto, - il piacere della vostra compagnia è tutto mio, mentre io temo di non essere in grado di fornirne una altrettanto ammirevole.
- Non dite sciocchezze, principe, la modestia non si addice a un uomo del vostro lignaggio. – sorrise Kurt, indicandogli la strada che girava attorno al lago, - Così come non si addice al mio. Quell’uomo, piuttosto, il vostro stalliere. Come potete sopportare un individuo tanto ripugnante nel vostro seguito?
- Ripugnante? – rise Blaine, - Davvero lo trovate così disgustoso?
- A dir poco, mio signore. – annuì Kurt, le labbra che si piegavano in una smorfia inorridita al solo riportare alla mente gli avvenimenti di pochi minuti prima.
Blaine rise ancora, cominciando ad adocchiare gli splendidi campi ricchi di fiori che riempivano i prati poco oltre la curva più ampia del lago.
- Nessuno conosce i cavalli meglio di Dave. – rispose, - L’ho conosciuto durante una delle mie campagne militari. Quella da cui proviene è una terra selvaggia. Lì gli uomini vestono di pelle di camoscio e vivono in tende dello stesso materiale, rette da pezzi di legno che ricavano a mani nude dai pochi alberi che crescono nelle vicinanze. Perdonate i suoi modi un po’ scontrosi, semplicemente non è avvezzo alla vita di corte.
- Be’, potrebbe pure imparare come ci si comporta davanti a una signora. – sbuffò Kurt, fermando il cavallo a pochi metri dalla riva del lago e scendendo di sella in un gesto fluido ed elegante. Blaine rise un’altra volta, imitandolo e conducendo Pavarotti ad abbeverarsi.
- Siete una persona ben strana, Kurt. – commentò, ma la sua voce, per quanto divertita, non nascondeva la minima traccia di sgradevole sarcasmo. Sembrava più genuinamente curiosa e a tratti perfino vagamente ammirata. – Sempre pronto a nascondervi dietro un velo quando ne sentite il bisogno, ma altrettanto pronto a ribadire che siete un uomo quando vi conviene di più.
- E d’altronde, - sorrise malizioso Kurt, chinandosi sulla riva per inumidirsi una mano e rinfrescarsi il viso e il collo, - non è forse questa la parte migliore della mia bizzarra condizione? Trarre il massimo vantaggio dalle situazioni contingenti è una caratteristica che accomuna uomini e donne in egual misura, mio signore. Ed io, modestia a parte, in questo sono maestro.
- Voi siete maestro in molte cose, Kurt. – rise Blaine, estremamente compiaciuto, - Più vi conosco e più mi convinco che la vostra presenza sarebbe indispensabile alla mia corte nella Capitale. Continuo a chiedermi come abbia fatto a vivere senza di voi fino ad ora. – sorrise, sedendosi nell’erba accanto a lui ed osservandolo raccogliere moltitudini di fiori variopinti per intrecciarli fra loro in un’allegra ghirlanda.
- Adesso mi state adulando. – sorrise Kurt, abbassando pudicamente lo sguardo, - Ed il vostro passo si sta facendo anche incredibilmente frettoloso, mio principe. Sono un suddito fedele e non potrei mai dirvi di no, qualsiasi fossero le vostre richieste nei miei confronti, - disse, sottolineando le ultime parole con un’occhiata lanciata da sotto le lunghe ciglia ricurve, - ma vi pregherei di aspettare ancora, prima di lanciarvi in proposte per le quali magari potreste cambiare idea conoscendomi meglio.
- Bello, arguto, beneducato e anche saggio! – constatò Blaine, sollevando entrambe le mani in segno di resa, - Avete almeno un difetto?
- Certo, mio signore. – ridacchiò Kurt, terminando di intrecciare la ghirlanda e poggiandola come una corona sul capo del principe, - Ne ho parecchi. Li scoprirete tutti, se vorrete intrattenervi ancora in mia compagnia.
- E vorrò. – annuì lui, sorridendo incoraggiante, per poi inspirare a pieni polmoni l’aria fresca che, portata dal venticello profumato della campagna, spazzava il prato e la superficie del lago, - Che meraviglia queste giornate di primavera.
- Già. – annuì Kurt, lasciando scorrere gli occhi sui lineamenti così deliziosamente rilassati del volto del principe, - Le adoro anch’io. Figuratevi, - mentì senza neanche arrossire, - mi sveglio sempre di buon mattino apposta per concedermi una cavalcata qui nei dintorni.
- Davvero? – chiese il principe, tornando a guardarlo, - Ho un’idea! Voglio cavalcare con voi. Voglio che usiate uno dei miei cavalli, che vediate quanto veloci possono correre!
- Uno dei vostri cavalli? – arrossì Kurt, battendo le mani e tendendosi tutto per l’emozione, - Sarebbe meraviglioso! Non ho mai cavalcato uno stallone!
- Non avevo dubbi al riguardo. – rise Blaine, - Domattina, andate da Dave. Sarà perfetto per insegnarvi a montare uno stallone senza difficoltà. È un ottimo domatore.
- Oh, principe, vi prego! – sbuffò Kurt, gonfiando le guance, - Non costringetemi a passare del tempo con quell’orribile individuo!
- Via, via! – ridacchiò Blaine, alzandosi in piedi e porgendo a Kurt una mano per aiutarlo a fare lo stesso, - Parlerò personalmente con lui e vi prometto che non oserà più mancarvi di rispetto. Da qui a tre giorni sarete perfettamente in grado di montare uno dei miei cavalli migliori, ed allora mi porterete in giro e mi mostrerete questa splendida campagna. E tutti i vostri difetti.
Controvoglia, ma nascondendo la propria delusione dietro un educato sorriso, Kurt annuì e si produsse in un breve inchino rispettoso, prima di salire nuovamente in groppa a Gaga.
- Sta bene, mio signore. – lo salutò, - Vi precedo alla villa. Possiate passare una piacevole mattinata.
Nell’osservarlo andar via, Blaine pensò che se anche il resto della giornata fosse stato orribile e disgustoso, il tempo che aveva passato con Kurt sarebbe comunque stato sufficiente per non notarlo nemmeno, e dopo un paio di minuti in accorata contemplazione del cavallo bianco che, allontanandosi, diventava sempre più piccolo, montò Pavarotti e partì in ricognizione per ispezionare i primi chilometri della strada che, quando sarebbe ripartito assieme alla propria compagnia, l’avrebbe condotto fino alla Foresta Nera.
* - Non mi fido di quel tipo. – disse Finn, lasciando scorrere una mano fra i capelli scuri di Rachel, - È… è terrificante.
- Voi non vi fidate mai di nessuno, mio signore. – rise Rachel, rigirandosi nel suo abbraccio e guardandolo dall’alto, - Sono tutti troppo pericolosi, tutti troppo sfuggenti, e tutti sempre troppo interessati a vostro fratello. Sbaglio?
- Rachel… - si lagnò lui, afferrando uno dei morbidi cuscini che adornavano il letto e schiacciandoselo sul viso, - Quante volte ti ho detto di non darmi del voi? Quantomeno in queste situazioni!
- Spesso, mio signore. – rise ancora lei, stringendosi nelle spalle ed appoggiandosi al suo petto, - Almeno tante volte quante quelle in cui vi ho risposto che è impossibile, per me, smettere di farlo. Restate sempre il mio padrone.
- Un padrone con cui vai a letto. – precisò lui, lanciandole un’occhiata un po’ infastidita, - Davvero, è disturbante.
- Sapete cosa disturba me? – ribatté la ragazza, per nulla intimorita dal suo tono, - Vedere con quanto sussiego possiate parlare con vostro fratello, e quanto poco invece siate capace di usarne con la sottoscritta.
- Ma lui è mio fratello! – sbottò Finn, come se proprio non riuscisse a vedere dove stesse il problema. – Piuttosto, a proposito di cose disturbanti… - riprese, aggrottando le sopracciglia con estrema serietà, - non credere che mi sia sfuggita quella mossetta, ieri.
Rachel spalancò i grandi occhi castani, piegando appena il capo per lanciargli un’occhiata incuriosita.
- Non capisco di cosa stiate parlando, mio signore. – rispose, stringendosi nelle spalle.
- Sì che lo capisci. – insistette lui, sollevandosi a sedere fra i cuscini ed incrociando le braccia sul petto, - Quando il principe Blaine ha presentato quel Jesse, hai tremato. Ti ho vista. Non dirmi che ti piace, potrei morirne. È un individuo orribile.
- Ma cosa state dicendo… - borbottò Rachel, vaga, mettendosi a propria volta a sedere e coprendosi pudicamente con il lenzuolo mentre allungava una mano verso la propria sottana, appoggiata sullo schienale di una seggiola lì vicino, - Semplicemente mi ha turbato sentire che è il principe di Carmel. È da lì che provengo.
Finn spalancò gli occhi, seguendola nel movimento e trattenendo una delle sue mani fra le proprie in una carezza dolce.
- Davvero? – le chiese, cercando di tirarla nuovamente verso di sé, - Non parli mai delle tue origini.
- Perché non c’è molto da dire. – rispose lei, stringendosi nelle spalle e provando a resistere solo per un paio di secondi prima di sciogliere i muscoli e lasciare che Finn la traesse di nuovo a sé, sistemandosela addosso, - Mia madre è morta quando io non ero che una bambina, e un padre non l’avevo mai avuto. Non c’era modo per me di sostenermi da sola. Persi la casa e finii a vivere per la strada. Lì venni raccolta da due uomini che mi ripulirono, mi nutrirono e mi portarono con loro. Avevano uno spettacolo itinerante, mi diedero lezioni di canto e fecero di me ciò che sono oggi. – si concesse un breve sorriso nel raccontare di coloro i quali aveva sempre considerato come i suoi veri genitori, e poi sospirò profondamente, riprendendo il racconto. – Alla loro morte, lo spettacolo itinerante chiuse, tutti gli artisti di dispersero, ed io, che mi ero fatta una certa fama nel principato, come ben sapete sono stata assunta da vostro padre. Fine della poco interessante storia della mia vita.
- Non è affatto poco interessante. – la contraddisse Finn, con molta serietà. – Hai viaggiato, hai visto il paese. Sei stata in un sacco di luoghi. Hai imparato tanto, e sei diventata una splendida donna forte e indipendente. Che poi sono i motivi per cui mi piaci così tanto. – sorrise appena, riprendendo ad accarezzarle i capelli. – Ti invidio molto.
- Perché sono una splendida donna forte e indipendente? – rise Rachel, prendendolo un po’ in giro, e Finn rise a propria volta, pizzicandole delicatamente una spalla.
- Hai capito perfettamente cosa intendevo. – la rimproverò bonariamente, e lei si sollevò appena per sfiorargli le labbra in un bacio asciutto e casto.
- Sì, l’ho capito. E penso che dovreste dire a vostro padre che volete viaggiare anche voi, fare nuove esperienze. Ci sarà tempo per prendere in mano il feudo ed occuparsi degli affari di famiglia. Prima dovete diventare un vero uomo.
- E come faccio? – sbuffò Finn, piegando indietro il capo e scrutando il soffitto con aria risentita, - Non posso mica lasciare Kurt qui da solo. Chi si occuperebbe di lui?
- Non saprei. – rise Rachel, - Tutto il resto del mondo?
- Non sarebbe la stessa cosa. – insistette Finn, aggrottando le sopracciglia, - E smettila di prendermi in giro. Non posso andarmene prima che Kurt si sia sposato.
- Allora siete fortunato. – ridacchiò la ragazza, approfittando del suo momento di distrazione per alzarsi finalmente in piedi e cominciare a rivestirsi, - Sembra che non dovrete aspettare poi molto.
* Il giorno seguente, tutto l’entusiasmo che aveva convinto Kurt della possibilità di sopportare svariate ore di lezione di equitazione con lo stalliere del principe per poi essere pronto a cavalcare con quest’ultimo per i lussureggianti campi del feudo di suo padre, sembrava completamente svanito. Certo, l’idea riusciva comunque a far fiorire un sorriso sulle sue labbra, ma il fatto di dover tollerare quell’orribile essere lo atterriva. Era semplicemente troppo. Non era abituato ad essere trattato con tanto evidente disprezzo, era fastidioso e faceva male. Non gli piaceva affatto.
Eppure, si disse, spianando pieghe invisibili sull’elegante ma sobrio tessuto del suo completo da cavallerizza, se voleva ottenere la felicità avrebbe anche dovuto imparare a soffrire mentre combatteva per guadagnarsela. Lo stalliere andava sopportato con coraggio e determinazione, e nel giro di un paio di giorni non sarebbe rimasto di lui che un orribile ricordo.
- Eccomi qui. – disse, entrando nella stalla e piantando entrambe le mani sui fianchi in una posa al contempo sfrontata e rigida, - Sua maestà mi ha detto che avrebbe parlato con voi per avvertirvi del mio arrivo e di quelli che sono i suoi piani per me.
L’uomo, intento a strigliare Pavarotti con attenzione ed un perfetto misto di delicatezza e forza, inizialmente sembrò non volerlo degnare di un’occhiata.
- Sedetevi lì. – disse, indicando un paio di balle di fieno accatastate in un angolo, - Non ho ancora finito di lavorare.
Kurt, oltraggiato, irrigidì le braccia lungo i fianchi e strinse i pugni.
- Come osate?! – strillò, - Sono qui apposta per prendere lezioni da voi! Il principe mi aveva detto—
- Il principe vi ha detto che io mi sarei occupato della vostra educazione equestre, sì, ne sono consapevole. – disse l’uomo, lanciandogli una breve occhiata infuocata per poi tornare a dedicare tutta la propria attenzione al cavallo placido e sereno sotto le sue mani, - Ma, vedete, le mie mansioni vengono prima di questo, visto che sono il motivo per cui il principe mi tiene con sé. Penserò a voi quando avrò terminato.
- Questo è del tutto inaccettabile! – strillò ancora Kurt, facendosi avanti e avvicinandosi a lui con aria che avrebbe voluto essere minacciosa e terribile, - Mai nessuno ha osato comportarsi così con me! Mai! In casa mia, per di più! Voi siete un bruto, un maleducato, un rifiuto, un—
- Sono uno stalliere, signore. – lo interruppe Dave, posando la spazzola sullo sgabello che aveva a fianco per poi voltarsi verso di lui, afferrarlo per le spalle e sollevarlo di peso, depositandolo pochi istanti dopo senza la minima delicatezza sulle balle di fieno che gli aveva indicato poco prima. – Lasciate dunque che mi occupi prima delle mie mansioni, e successivamente potrò prendermi cura anche di voi.
- Io sono… sono sconvolto! – balbettò Kurt, restando seduto sul fieno più perché troppo pietrificato per muoversi ancora, che perché volesse realmente farlo, - E— E non ho assolutamente alcun bisogno che un— un uomo orribile, deprecabile!, quale voi siete, si prenda cura di me. – concluse, trovando finalmente la forza per alzarsi in piedi. – Sono perfettamente in grado di andare a cavallo. – disse, - Prenderò uno degli stalloni di sua maestà e farò pratica da solo.
- Prego? – domandò Dave, lanciandogli un’occhiata quasi divertita da sotto le sopracciglia esageratamente inarcate. Aveva ripreso in mano la spazzola ed era già tornato a strigliare Pavarotti, ma s’interruppe apposta per osservare Kurt mentre, impettito e furioso, attraversava la stalla e si avvicinava ai giacigli dei vari cavalli.
- Limitatevi a dirmi quale posso prendere. – rispose il ragazzo, cercando di mostrarsi deciso mentre osservava gli enormi destrieri senza sapere quale scegliere, - Farò da me.
- Vi farete solo male. – lo avvertì Dave, - E il principe sarà in collera con me, per questo.
- Be’, mi sembra la cosa migliore in assoluto, allora! – insistette Kurt. – Ditemi quale cavallo posso prendere, signore. Mi occuperò da me della mia stessa istruzione. Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno, tantomeno del vostro.
- D’accordo, d’accordo. – rispose l’altro, già annoiato dal litigio, sollevando entrambe le braccia, - Prendete Sarpedonte. È quello lì. – disse, indicando uno splendido stallone dal lucente pelo castano con una piccola macchia bianca sulla fronte, - Ma state attento, o cadrete.
- Non cadrò affatto. – tagliò corto il ragazzo, accompagnando il cavallo già sellato verso il piazzale. Notò che Dave continuava ad osservarlo per tutto il tempo, pur rimanendo accanto a Pavarotti e strigliandolo lentamente, anche mentre lui posava il piede sulla staffa e faceva forza per issarsi in sella.
Dove riuscì a restare per il tempo massimo di un paio di respiri. Dovette spronare il cavallo tirandogli una tallonata nel punto sbagliato – d’altronde, la forma che aveva fra le gambe era completamente diversa da quella della sua Gaga, e avrebbe avuto bisogno di un tempo decisamente maggiore per prendere adeguatamente le misure, ma sarebbe morto prima di doverlo ammettere – perché quello, con un nitrito di dolore, prima s’impennò e poi s’inarcò all’improvviso, disarcionandolo con la facilità con cui si sarebbe disarcionato un qualunque principiante.
Kurt gettò un grido, cercando di raggomitolarsi a palla per esporre la minor quantità di ossa possibile alle sicure fratture che lo avrebbero funestato quando avesse toccato terra, e poi serrò gli occhi, terrorizzato. Riaprendoli solo quando il suo corpo si adagiò con incredibile naturalezza fra un paio di possenti braccia che lo sostenevano da dietro le spalle e da sotto le ginocchia, tenendolo ben lontano dal pavimento, a più di un metro e mezzo da terra.
- Ve l’avevo detto che sareste caduto. – disse Dave, fissandolo con una certa preoccupata severità, tenendolo ben stretto, al punto di affondare quasi le dita nella carne tenera delle sue cosce attraverso il tessuto leggero dei pantaloni che indossava. Kurt arrossì profondamente: il calore delle sue mani e l’odore della sua pelle, non del tutto spiacevole come aveva ipotizzato all’inizio, lo confusero per qualche secondo, prima che la sua mente riuscisse a sgombrarsi da pensieri inattesi e molesti abbastanza da permettergli di replicare.
- La-Lasciatemi andare immediatamente! – strillò, tempestando di pugni il petto ampio dello stalliere, il quale gli lanciò un’occhiata estremamente infastidita e poi ritirò all’improvviso entrambe le braccia, lasciandolo rovinare a terra in mezzo alla fanghiglia con un urlo stridulo. – Come avete osato?! – gridò Kurt, sconvolto e oltraggiato oltremisura, fissando l’uomo dal basso prima di aggrapparsi alle redini di Pavarotti per tirarsi su.
- Mi avete detto voi di lasciarvi andare. – ribatté Dave, aggrottando le sopracciglia.
- Ma non certo di lasciarmi cadere per terra! – obiettò il ragazzo, stringendo i pugni lungo i fianchi, - Non avete un briciolo di educazione!
- Ah, davvero? – protestò lui, - Sarei io il maleducato? Vi ho appena salvato la vita, e voi non vi siete nemmeno degnato di ringraziarmi.
- Ha! Mi avreste dunque salvato la vita?! – rise Kurt, sarcastico, - Non avete un briciolo di educazione, ma in compenso siete così teatrale da farmi pensare che la vostra via non dovesse essere quella dei cavalli, bensì quella del palcoscenico! – incrociò le braccia sul petto, producendosi in uno sbuffo divertito, - Stavo solo per cadere a terra, mi sarei preso al massimo una stupida storta! Niente che non possa sopportare!
- Vi sareste spezzato l’osso del collo, sciocco ingrato privo della benché minima prudenza che non siete altro! – sbottò a quel punto lo stalliere, e mentre le labbra di Kurt si schiudevano disegnando una o perfetta, sintomo di profondissimo stupore, aggiunse: - E quanto alla teatralità, credo che per quanto io possa essere bravo a riguardo voi non abbiate alcun rivale nel campo. È evidente da quanto bene riuscite a imitare le femmine pur essendo solo un patetico scherzo della natura ancora incerto sulla possibilità di portare una sottana o un paio di pantaloni. – concluse con un’occhiata disgustata.
Il rumore dello schiaffo risuonò per tutta la stalla, mettendo in agitazione i cavalli per un istante. Poi si esaurì in un soffio di vento, ed allora anche le bestie tornarono placide, così come l’aria tornò a farsi silenziosa.
- Siete… siete un essere spregevole e disgustoso. – disse Kurt, la voce rotta dal pianto e gli occhi pieni di lacrime, - Non siete neanche un essere umano, e io non voglio vedervi mai più. – concluse, prima che la voce lo abbandonasse del tutto, girando su se stesso e fuggendo dalla stalla col volto fra le mani.
Dave, la guancia ancora in fiamme ma troppo orgoglioso per massaggiarla con una mano, abbassò lo sguardo e, una volta solo, ricondusse Sarpedonte al proprio posto e riprese a strigliare Pavarotti.
* - Kurt! – lo chiamò Finn, sconvolto, vedendolo sfrecciare di fronte a sé sotto il porticato e su per le scale, - Kurt, cos’è successo?!
- Niente! – rispose lui, piangendo a dirotto e cercando di raggiungere la propria camera il più in fretta possibile, per potercisi nascondere dentro, - Niente, lasciatemi in pace! Vi prego! – singhiozzò, cercando di tirar su l’ampia mezza gonna aperta davanti che scendeva giù dal corpetto abbottonato che indossava, e il cui strascico era tanto lungo da sfiorare il pavimento ad ogni passo.
- Neanche per idea! – insistette suo fratello, saltando i gradini a due a due e riuscendo ad afferrarlo per il polso poco prima che riuscisse effettivamente a chiudersi alle spalle la porta della propria camera da letto. Lo costrinse a voltarsi verso di sé, e per poco non si sentì mancare il respiro nell’osservare il suo viso, generalmente così bello, pallido e dolce, stravolto dal pianto, dall’irritazione e dal nervosismo. – Mio Dio, cosa vi è capitato?
Kurt si liberò dalla sua stretta con uno strattone deciso, incredibilmente mascolino, per poi nascondersi dietro le proprie stesse mani in un gesto, invece, tanto femmineo da sciogliere il cuore. Nell’avvicinarglisi e chinarsi verso di lui, come volesse proteggerlo dagli occhi indiscreti del mondo, Finn pensò che era forse questa la cosa più bella di suo fratello, in assoluto. Non la splendida voce, non i modi cortesi e raffinati, non la tagliente ironia che sovente amava usare per tenere a bada i numerosi pretendenti che, pur non essendo degni della sua persona, spesso avevano provato a conquistarlo, no. La capacità così speciale e studiata e al contempo così incredibilmente naturale che aveva di sintetizzare in sé l’uomo e la donna, come fosse nato apposta per rappresentare da solo il punto d’incontro perfetto fra i due generi.
- Non voglio parlarne qui. – singhiozzò Kurt, scuotendo il capo da dietro le mani umide di pianto, - Entriamo in camera.
Finn lo seguì docilmente, sedendosi assieme a lui sulla sponda del letto e prendendo le sue mani fra le proprie, massaggiandole delicatamente per aiutarlo a calmarsi e riprendere fiato.
- Raccontatemi. – disse, - Ridurrò a pezzi con la mia stessa spada chiunque vi abbia fatto questo.
- No! – singhiozzò immediatamente Kurt, stringendo la presa sulle mani del fratello e sporgendosi verso di lui in un’implorazione accorata, - Vi scongiuro! Non dovrete dire a nessuno quello che vi racconterò! Mi sono macchiato di ridicolo e… Dio, dovrei chiudermi in convento e mai più vedere la luce del sole! – piagnucolò, tornando a nascondersi dietro le proprie mani.
Finn sorrise intenerito, allungando le braccia verso di lui e stringendoselo al petto, cullandolo dolcemente.
- Per quanto possiate assomigliare ad una donzella, fratello, dubito che trovereste adeguato spazio fra le monache di clausura. – gli ricordò, accarezzandogli i capelli.
- Un monastero benedettino, dunque! – propose Kurt, - Lì potrei vivere in pace, espiando le mie colpe e cessando di mettere in ridicolo il buon nome della mia famiglia!
- Temo che, col vostro aspetto, - rise Finn, dondolandolo ancora un po’, - indurreste in tentazione anche il più santo degli uomini.
- Sono dunque costretto a vivere nell’empietà! – disse quindi Kurt con aria tragica, allontanandosi da lui per poggiare il dorso di una mano contro la fronte, gettando indietro il capo. Finn rise ancora, cercando di non mostrargli quanto lo trovasse ridicolo in quel momento, e riprese ad accarezzargli una mano, sorridendo incoraggiante.
- Fratello, spiegatemi cos’è accaduto. Sono certo che niente di tanto grave può essere successo, tale da giustificare il desiderio di privare il mondo della vostra così gradita presenza. – disse, invitandolo a parlare.
Kurt sospirò, incurvando le spalle come un bambino sopraffatto dalla vergogna.
- Mi sono comportato in maniera ostinata e avventata, ed ho rischiato di farmi molto male cadendo da uno dei cavalli di sua maestà. – raccontò, restio ad aggiungere i dettagli per quanto riguardava quell’orribile stalliere, - E ora non potrò mai più tornare in quella stalla, né imparare a cavalcare uno stallone, né accompagnare in groppa ad uno splendido purosangue il nostro principe in una gita per i campi del feudo! – concluse, scoppiando nuovamente in lacrime, le spalle magre e strette continuamente scosse dai singhiozzi.
- Oh, via, via, fratello! – cercò di consolarlo Finn, accarezzandogli il viso e il collo, - Innanzitutto, ditemi: vi siete forse fatto male? È per questo che piangete così incontrollabilmente? Sentite dolore da qualche parte?
- Solo al centro del petto, caro fratello, solo al centro del petto! – rispose Kurt con estrema drammaticità, giungendo le mani all’altezza del cuore, - Tutto è perduto. Non potrò mai più sposare il principe Blaine, né tantomeno sollevare i miei occhi su di lui, s’è per questo.
- Fratello, adesso state proprio esagerando! – disse Finn, cercando di riportarlo a più miti consigli utilizzando un tono di voce vagamente più severo, - Qualsiasi cosa possa essere successa, niente a parte la vostra ostinazione vi impedisce di tornare in quella stalla e riprendere le vostre lezioni d’equitazione. Avete fatto una brutta figura, d’accordo, - ammise il giovane, annuendo con decisione, - ma non vi siete macchiato di alcun peccato mortale, e sua maestà il principe, ne sono sicuro, non sentirà alcun bisogno di privarsi della vostra compagnia solo perché, un po’ avventatamente, siete caduto da cavallo. – Kurt incassò la testa nelle spalle, cessando di piangere e serrando le labbra fino a ridurle ad una linea sottilissima, abbassando vergognosamente lo sguardo. Finn sospirò, accarezzandogli una guancia ancora calda e arrossata dal pianto, ed addolcendo il proprio tono di voce per rassicurarlo. – Suvvia, siete tanto più bello quando sorridete. Per parte mia, posso promettervi che non dirò mai a nessuno quanto mi avete raccontato. Ma voi, per parte vostra, dovrete promettermi che tornerete in quella stalla, e non abbandonerete le lezioni solo per uno sciocco capriccio infantile.
Kurt tornò a guardarlo, vagamente in imbarazzo, le mani giunte in grembo.
- Fratello, queste vostre parole vogliono forse lasciarmi intendere che, nel caso il principe decidesse davvero di chiedere la mia mano, voi non avreste nulla in contrario? – domandò timidamente, in un filo di voce.
Finn levò un’occhiata supplice al cielo, allargando le braccia ai lati del corpo.
- Non smetterò mai di soffrire perché non posso avervi e al contempo non voglio lasciarvi andare. – ammise in un sospiro, scuotendo il capo, - È il triste destino di tutti i fratelli. – concluse con un sorriso, tornando a guardarlo.
Kurt non riuscì proprio a trattenere un gridolino emozionato mentre, per ringraziarlo della sua benedizione e del suo aiuto, gli prometteva che sarebbe tornato in quella stalla entro quella sera stessa, e stavolta non si sarebbe lasciato scoraggiare da niente. E da nessuno, aggiunse mentalmente. Ma questo, al fratello, non lo disse.
* Cercò di mantenersi austero e serio mentre, approfittando del favore delle tenebre, usciva di soppiatto dalla casa e si dirigeva speditamente verso la stalla. Il cortile sul retro era ancora illuminato, e tutta la servitù sembrava intrattenersi in qualche piacevole gioco mentre aspettava di concludere tutte le mansioni della giornata per ritirarsi a propria volta a dormire, come già suo padre, suo fratello e tutti gli ospiti avevano fatto un’ora dopo la conclusione della cena.
Usualmente, Kurt avrebbe seguito il suono di quelle voci e di quelle risate per unirsi agli scherzi della servitù, ma quel giorno, totalmente concentrato sul proprio obiettivo, ignorò quei festosi richiami e, giunto alle porte della stalla, si schiarì la voce, pronto a mettere in chiaro le cose con quell’orribile stalliere una volta per tutte.
Il fiato, però, assieme a tutte quelle battagliere intenzioni, gli morì in gola quando vide lo stalliere scomodamente sistemato su una sedia bassa, lievemente reclinata all’indietro – per consentirgli di appoggiare il capo contro lo stipite della porta – ed aiutata a restare in equilibrio sui due piedi posteriori dal fatto che le gambe dell’uomo erano stese in avanti a puntellarsi sopra una balla di fieno utilizzata a mo’ di poggiapiedi ma troppo cedevole per ottemperare adeguatamente al proprio scopo.
Doveva essere una posizione ben fastidiosa.
- È qui che dormite? – mormorò incerto, e l’uomo aprì dapprima solo un occhio, lanciandogli un’occhiata sommaria per poi tornare a richiuderlo, cercando di sistemarsi più comodamente.
- Vi interessa? – domandò, stringendosi nelle spalle.
- Credevo che per tutti gli ospiti fossero state approntate delle stanze. – disse Kurt, la voce venata da una sottile quanto apparentemente autentica vena di dispiacere.
- Così è, infatti. – annuì Dave, gli occhi ancora chiusi, - Ma il mio compito è restare coi cavalli. Inoltre, mi trovo molto più a mio agio in compagnia delle bestie, che non degli esseri umani.
- Questo perché le similitudini fra voi sono evidenti. – ribatté Kurt, inarcando un sopracciglio, incapace di trattenere il commento acido. - …scusatemi. – mormorò quindi, abbassando lo sguardo, - Sono stato scortese.
- Ma avete detto la verità. – disse con sicurezza Dave, rassegnandosi finalmente ad aprire gli occhi ed alzandosi in piedi, raggiungendolo dove si trovava. – Sono grato al principe perché è stato merito suo se la mia vita è stata salva, ma ciò non vuol dire che la compagnia sua, o quella del suo seguito, o quella di uno qualsiasi degli abitanti di questo principato mi piaccia.
Kurt abbassò lievemente lo sguardo, sentendosi ingiustificatamente in colpa.
- Posso chiedervi cosa vi è successo? Perché siete diventato lo stalliere di sua maestà?
Dave si voltò, allontanandosi da lui di qualche passo e lanciando un’occhiata ai cavalli sonnecchianti dentro la stalla. Sembrava facesse fatica a trovare le parole, anche se il suo viso non lasciava trasparire alcun segno di difficoltà o disagio.
- Il mio popolo è stato sterminato. – disse quindi, - Nella regione da cui provengo, le lotte fratricide fra tribù sono all’ordine del giorno. La mia tribù, quella dei Quapaw, e la tribù vicina, quella degli Yakonan, erano da anni impegnate in una di queste guerre. Il vostro principato – disse, lanciando a Kurt un’occhiata brevissima, come intendesse caricarlo di una parte della colpa di ciò che era successo, nonostante sapesse benissimo di non poterlo fare, - voleva ampliare i confini dei propri possedimenti, e dal momento che era il mio popolo quello con un territorio più ricco e più vicino a quello della Capitale, hanno fornito agli Yakonan un aiuto sufficiente per sterminarci tutti. – sospirò, passandosi brevemente una mano sulla fronte e fra i capelli. – Io sono l’unico superstite. Il principe Blaine, mentre constatava lo stato del nostro villaggio dopo la fine delle ostilità, diede ordine di curare i feriti, ma erano tutti troppo gravi per sopravvivere. Solo io ce l’ho fatta, e dal momento che ero rimasto solo il principe mi ha preso con sé.
Kurt deglutì, avvicinandoglisi impercettibilmente, come se all’improvviso si sentisse profondamente inadeguato anche solo per stargli accanto.
- Io non avevo idea… - mormorò, - Per la verità non so molto di quello che accade oltre i confini del principato. In realtà, - si concesse un imbarazzato colpo di tosse, distogliendo lo sguardo, - non mi sono mai mosso da questa villa. Mi… mi dispiace molto per le vostre perdite. Ma ciò non vuol dire che il vostro comportamento nei miei confronti sia stato giustificabile! – disse, riprendendo immediatamente colore e stringendosi nelle spalle. Dave si voltò a guardarlo, i suoi occhi erano scuri e freddi.
- È vero. – ammise, - Ma voi siete stato sciocco e imprudente. Nonostante io avessi cercato di fermarvi. Avreste potuto farvi molto male.
- Sì, lo so, lo so. – sospirò Kurt, gesticolando con aria annoiata, - È per questo che sono venuto qui, stasera. Per chiedervi scusa, auspicando che ad un mio primo passo nella vostra direzione possa seguire un vostro passo verso di me.
Dave lo guardò a lungo, la luce della luna che si rifletteva sulla sua pelle candida rendendola se possibile ancora più pallida, giocando fra le pieghe della lunga veste in raso e pizzo che indossava, e che copriva fluidamente il busto flessuoso, la vita sottile e le lunghe gambe le cui forme non erano che appena intuibili sotto tutta quella stoffa. Era bello, contestare il punto sarebbe stato come rifiutarsi di ammettere l’esistenza del calore del sole nonostante lo si sentisse sulla pelle. C’era ancora qualcosa di profondamente sbagliato nell’osservare un uomo abbigliato in tal modo e costretto a comportarsi come una donna, contrariamente alla propria natura, ma per qualche motivo la luce azzurrognola della notte ed i suoi chiaroscuri gli permettevano di osservarlo senza sentirsene eccessivamente disturbato.
Mosse un passo nella sua direzione, esattamente come Kurt gli chiedeva di fare, e gli strinse una mano. Non come avrebbe fatto con una dama, per sollevarla fino alle labbra e posare un bacio sulla pelle pur così liscia e invitante del dorso, ma per scuoterla con vigore, come avrebbe fatto con un qualunque uomo.
Per qualche motivo, s’era aspettato che Kurt saltasse in aria e si ritraesse di fronte a quel contatto così rude, ma ciò non avvenne. Il ragazzo sorrise, ricambiando la stretta, e Dave continuò a stringere, ricambiando il sorriso.
* Fu con un certo stupore che Rachel, entrando in camera di Kurt l’indomani mattina, lo trovò già sveglio e pronto. Indossava abiti eleganti ma comodi, un’ampia gonna che sembrava perfetta per favorire lunghe passeggiate per territori non propriamente semplici da attraversare, come se il signorino si preparasse a scalare le colline o qualcosa del genere. La sola idea era esilarante, al punto che fu più quello a farla ridere che non il trovare Kurt già in piedi davanti ai suoi spartiti e pronto per la lezione di solfeggio, cosa che, già da sola, in un altro momento l’avrebbe costretta a piegarsi in due dalle risate.
Le sue due dame di compagnia, nel cogliere questo suo moto d’ilarità, non riuscirono a loro volta a trattenere il proprio, e in breve Kurt si ritrovò circondato all’improvviso da donne ridacchianti per motivi che a lui sfuggivano completamente.
- Cosa vi prende? – domandò, incuriosito e un po’ indispettito da quella che, da qualunque lato provasse a guardarla, non sembrava molto diversa da una presa in giro, - Perché ridete?
- È insolito vedervi già in piedi prima di mezzogiorno, signorino Kurt. – rispose Rachel, posando i libri di musica e la bacchetta sulla scrivania e stringendosi nelle spalle, - Usualmente riuscite a vestirvi solo appena in tempo per il pranzo.
- Ho deciso di dare inizio a una nuova era della mia vita. – rispose Kurt, piegando il capo verso l’alto ed incrociando le braccia sul petto in uno sbuffo polemico, - Un’era in cui mi sveglierò di buon mattino e mi godrò la bontà dell’aria di campagna e—
- E potrete passare più tempo col vostro adorato principe, naturalmente. – ridacchiò Santana, abbozzando un inchino ironico.
- Santana! – la rimproverò Kurt, oltraggiato, arrossendo. – Per tua informazione, il principe sarà impegnato per i prossimi giorni assieme alla propria compagnia e a mio fratello nel perlustrare i territori attraverso i quali passa la strada per la Foresta Nera! Partirà prima di pranzo, lasciando qui solo il suo stalliere, ed è con lui che passerò la giornata. Egli è stato incaricato di mostrarmi come si monta uno stallone, così che poi io possa farlo in presenza di sua maestà!
Le tre donne lo fissarono per qualche secondo, spalancando occhi e bocca, e quando ripresero a ridere, perfino più forte di prima, Kurt arrossì ancor più violentemente.
- Siete… siete terribili! – si lamentò, coprendosi il volto con le mani.
- Perdonateci, signorino Kurt. – disse Rachel, cercando di darsi un contegno e recuperando la bacchetta dalla scrivania, - È dunque con lo stalliere di sua maestà che passerete la giornata? E non vi pare che gli abiti che indossate siano poco adatti all’equitazione?
Kurt sbuffò, stringendosi nelle spalle.
- Il mio completo da cavallerizza s’è sporcato di fango, ieri, e non è ancora pronto. Questa gonna dovrebbe andare bene… - disse, sollevandola appena, - È ampia, dovrebbe scivolare bene anche quando sarò in sella.
- Oh, che scivoli bene è indubbio. – ridacchiò Brittany, divertita, - Se volete attirare l’attenzione del giovane stalliere, sarà perfetta.
- Che— Che cosa? – sussultò Kurt, arrossendo un’altra volta, - Ma cosa dici, Brittany! È per il principe che faccio tutto ciò, ricordatevelo! Solo per lui!
- Io lo trovo… - intervenne Santana, prendendosi qualche secondo per cercare bene la parola adatta, anche se nessuno aveva chiesto la sua opinione in merito, - scialbo. Ecco, sì. Intendiamoci, - riprese, come mettendo le mani avanti, - è un principe, è fascinoso, a suo modo, è perfino bello, se lo si guarda dalla giusta prospettiva—
- Se lo si guarda dalla giusta prospettiva?! – la interruppe Kurt, posandosi una mano sul cuore in un gesto di sincero sconvolgimento, - E quale prospettiva sarebbe, quella sbagliata? Perché, da qualunque prospettiva io lo guardi, egli è ai miei occhi un esempio di perfezione! La sua bellezza non conosce confini, la sua eleganza innata è indiscussa, il suo fascino è intrepido e toccante pur senza mai eccedere in volgarità gratuite, e—
- Sì, sarà. – sospirò Santana, già annoiata dalla dichiarazione, - Ma a me piace di più lo stalliere. – concluse, scoppiando a ridere maliziosamente mentre Rachel e Brittany le facevano coro per qualche secondo.
- Santana, non parlare così. – la rimbrottò quindi Rachel, nonostante fosse evidente dal suo tono giocoso che non intendeva rimproverarla sul serio, - Sai bene quanto fini e sensibili siano le orecchie del signorino Kurt. Potrebbe turbarsi.
- Io non mi turbo affatto! – sbottò lui, stendendo le braccia lungo i fianchi e piegandosi in avanti come un bimbo pronto a pestare i piedi se non vedrà esaudito all’istante il suo ennesimo capriccio, - Sono perfettamente conscio di quanto una figura ben piantata ed un paio di possenti braccia possano turbare gli sciocchi umori di una donna, ma io sono ben altro! Io sono una dama, ed in quanto tale destinato ad avere ben più di un semplice stalliere, come compagno di tutta una vita! E mi stupisco di voi, - concluse, lanciando occhiate severe alle tre donne che lo circondavano, - che pure siete state educate a ricercare sempre la finezza e il garbo! Guardate come vi confondono un… un paio di muscoli!
- Ben più di un paio, se posso permettermi, signorino Kurt. – precisò Santana in una risata compiaciuta, per nulla turbata dal rimprovero del suo padroncino.
- Via, via. – sorrise Rachel, cercando di placare gli animi ed introducendosi nel discorso prima che Kurt potesse partire con un’altra scarica di rimproveri, - Se può consolarvi, signorino Kurt, lo stalliere non è nemmeno il mio tipo. Ed ho idea che stia cominciando a farsi tardi, per cui sarebbe proprio il caso che cominciassimo la lezione.
- E invece non cominceremo proprio un bel niente. – rispose Kurt, sedendosi di scatto sul letto ed incassando la testa nelle spalle mentre tornava a incrociare le braccia sul petto in una posa così ostinatamente infantile da muovere quasi i cuori alla tenerezza. – È tardi, come hai detto, e fra meno di mezz’ora dovremo accomiatarci da sua maestà, visto che lui e la sua compagnia staranno lontani almeno per un paio di giorni, ed io devo ancora finire di prepararmi. Inoltre, il vostro sciocco chiacchiericcio mi ha messo di malumore. – aggiunse, non risparmiandosi di lanciare un’altra occhiataccia a Santana, la quale, conoscendolo, non si sognò nemmeno di offendersi a riguardo. – Riprenderemo regolarmente le lezioni da domani, Rachel, ma ricordami di congedare prima le mie due dame da compagnia, quando arriverai.
Rachel faticò a trattenere un sorriso, lanciando un’occhiata d’intesa alle due dame ed inchinandosi subito dopo, per poi salutare il signorino Kurt ed abbandonare la stanza. Stava per ritirarsi in camera propria, per indossare un abito più formale che fosse consono al momento in cui si sarebbero tutti ritrovati in cortile per salutare il principe in partenza, quando appoggiato alla parete, a pochi centimetri dalla porta, trovò il principe di Carmel, inequivocabilmente atteggiato come fosse in attesa di qualcuno.
- Maestà. – lo salutò con un inchino, fermandosi di fronte a lui, - Vi siete forse perso?
- Al contrario. – sorrise lui, allontanandosi dalla parete con uno scatto di reni, - Trovare la vostra camera non è stato affatto semplice. Sono tutte uguali. Se non avessi saputo che siete l’insegnante di musica del giovane Hummel, e non avessi perciò notato immediatamente il pianoforte in questa camera, non avrei mai potuto indovinare che era la vostra.
- Perdonatemi, maestà, - disse lei, producendosi in un altro inchino ma faticando a nascondere l’espressione accigliata che le era naturalmente affiorata sul viso nel sentirlo parlare, - ma non penso sia stato molto cortese da parte vostra sbirciare in camera di una dama, fosse pure per trovarla. Inoltre, non riesco a capire per quale motivo desideraste vedermi.
- Cortese? – sorrise Jesse, girandole attorno con aria quasi predatoria, pur senza mai permettersi di avvicinarsi troppo a lei, - La cortesia non è che un’inutile posa, una menzogna, un comportamento artefatto. I metodi sussiegosi di questa regione mi nauseano, e non capisco come una come te, - la stuzzicò, sottolineando quell’appellativo con soddisfazione, - una col mio stesso sangue, possa trovarsi bene in mezzo a tutti questi damerini.
Rachel gli sollevò addosso un’occhiata raggelata, lasciando andare la gonna e indietreggiando appena.
- Come avete fatto a—
- A capire che venivi anche tu da Carmel? – completò per lei, sorridendole con sicurezza, - Ma l’ho visto subito. Te l’ho sentito addosso. I tuoi lineamenti, la forma dei tuoi occhi, perfino il profumo della tua pelle… - si avvicinò impercettibilmente, non abbastanza da invadere il suo spazio vitale ma decisamente a sufficienza da imporre il proprio profumo così virile e penetrante su di lei, - Le donne di Carmel sono fra le più belle di tutta la nostra grande nazione. Ed io sono in viaggio ormai da mesi. Vederne una ha riempito il mio cuore di gioia.
- I-Io trovo tutto ciò molto sconveniente, maestà. – cercò di fermarlo lei, indietreggiando ancora fino a schiacciarsi contro la porta, - E vi sarei molto grata se poteste smetterla di comportarvi così, e riprendeste a darmi del voi, come i costumi di questo paese impongono.
Jesse si allontanò, sollevando entrambe le mani in un gesto di resa, pur senza mai rinunciare a quel sorriso così spavaldo e irritante.
- Come volete, Rachel. – disse annuendo, - Ma avremo modo di ridiscutere la questione, quando sarò tornato dalla perlustrazione col principe Blaine. – concluse, prima di voltarle le spalle ed attraversare il corridoio in pochi passi, diretto al cortile.
Il respiro affannoso ed una mano sul petto, Rachel rimase e lungo sulla porta, prima di convincersi a muoversi e rientrare in camera.
* - Conterò i giorni per il vostro ritorno, maestà. – sorrise Kurt, porgendo al principe una ghirlanda di fiori che aveva intrecciato quella mattina in fretta e furia dopo essere corso al prato di nascosto per coglierli, - Questa villa non sarà la stessa, senza la vostra presenza.
- Io non sarò lo stesso, senza voi al mio fianco. – rispose Blaine, trattenendo una delle sue mani fra le proprie e premendosela sul petto all’altezza del cuore, mentre Finn, completamente ignorato dal fratello e già a cavallo, incrociava le braccia sul petto, sbuffando e distogliendo lo sguardo, irritato. – La vostra assenza lascerà in me un vuoto incolmabile. In ogni momento, il mio pensiero sarà rivolto a voi. Spero possiate sentirlo. E a tale proposito, - schioccò le dita, e Sam si fece avanti, trafelato e sporco di polvere come al solito, portando con sé quella che si sarebbe detta una gabbia per uccelli coperta da un telo, - questo è un piccolo presente, perché non vi dimentichiate di me mentre sono via.
Kurt sollevò il telo, scoprendo una gabbia d’oro finemente decorata che conteneva un piccolo canarino dal petto giallo.
- Oh, cielo, maestà! – esclamò commosso, - È così carino!
- La sua voce non sarà bella come la vostra, - proseguì Blaine, tornando a stringergli una mano e portandosela alle labbra, - ma dal momento in cui ieri mi si è posato spontaneamente su una spalla, rallegrandomi col suo gentile canto, ho pensato che doveva essere vostro.
- Maestà, il dono che mi fate va ben oltre il semplice valore di quest’uccello. – ringraziò Kurt con un inchino, - Lo chiamerò Pavarotti, come il vostro splendido cavallo. E se mai c’era ancora una minuscola possibilità che la mia mente ed il mio cuore potessero allontanarsi per un istante dal pensiero della vostra persona, da adesso in poi il suo canto impedirà che ciò possa mai accadere.
Blaine sorrise, gli occhi brillanti di affetto, e dopo un ultimo bacio posato sulle delicate dita di Kurt si issò in sella, spronando il cavallo al galoppo lungo il sentiero che portava verso i prati aperti e, più avanti, alla foresta. Il gruppo dei gentiluomini al suo seguito partì immediatamente dopo di lui, e ben presto il cortile fu di nuovo sgombro, e tutta la servitù riprese con le normali attività. Kurt ordinò a Sam di portare il piccolo Pavarotti in camera sua e poggiare la gabbietta sul davanzale della finestra, assicurandola al telaio perché non ci fosse il rischio che qualche improvviso colpo di vento la rovesciasse o, peggio, la facesse precipitare di sotto, e poi, sorridendo sereno e gioviale, si incamminò verso la stalla.
Al suo arrivo, Dave stava finendo di preparare Sarpedonte per lui. Restando un po’ in disparte, certo che lo stalliere non lo avrebbe visto, giacché ogni volta che si trovava in compagnia dei cavalli sembrava sempre non avere occhi per nient’altro, si prese qualche secondo per osservarlo, notando con quanta cura ed attenzione assicurasse la sella alla schiena dell’animale, stringendo bene le cinghie sotto il suo ventre e concludendo ogni operazione con una pacca o una carezza sul collo della bestia, come ci tenesse a rassicurarlo passo passo del fatto che ogni cosa stava andando per il verso giusto.
- Sembrate amare molto i cavalli. – commentò, avanzando all’interno della stalla mentre sollevava appena la lunga gonna sulle caviglie magre, per evitare che potesse sporcarsi o sdrucirsi strisciando sulle assi del pavimento. – Intendo, indipendentemente dal fatto che preferiate la loro compagnia a quella umana. Scommetto che li amavate anche da prima che vi accadesse tutto quello che mi avete raccontato.
Lo stalliere non sollevò lo sguardo dal cavallo, ma sorrise appena, dando modo a Kurt di capire che l’aveva sentito. Afferrò una spazzola da una delle tasche del grembiule da lavoro che indossava, e prese a pettinare con cura la criniera dell’animale, accarezzandola con le dita per verificare che non rimanessero nodi dove la spazzola era già passata.
- È vero. – ammise, mentre Kurt si sedeva di propria iniziativa su una delle balle di fieno accatastate in un angolo, per osservarlo lavorare, - Mio padre Paul possedeva una mandria di splendidi cavalli che allevavamo per renderli perfetti cavalli da corsa o da carrozza. Ho passato tutta la mia infanzia in compagnia di questi animali, e man mano che crescevo è diventato normale, per me, prendermene cura.
- Di certo, - commentò Kurt, - trattate loro con molta più delicatezza di quanta ne usiate per i vostri simili.
Dave si voltò a guardarlo, accigliato, ma stese immediatamente le sopracciglia, rilassandosi, quando notò il sorriso quasi intenerito che gli piegava le labbra.
- Dunque avete smesso di considerarmi una bestia? – chiese quindi, con un mezzo sorriso divertito, - Dalle vostre ultime parole, sembra quasi che abbiate deciso di accogliermi fra gli esseri umani.
- Mi pare che vi stiate meritando il posto, dopotutto. – ridacchiò Kurt, stringendosi nelle spalle e fingendo una serietà che in quel momento non gli apparteneva affatto. – Allora, - disse poi, saltando in piedi e battendo le mani davanti al viso con emozione palese, - quando potrò cominciare a cavalcare? Non vedo l’ora!
Dave gli lanciò un’occhiata critica, studiando il suo abbigliamento dalla testa ai piedi.
- Dove sono finiti i vostri pantaloni? – domandò severamente, e Kurt si strinse nelle spalle, vagamente in imbarazzo.
- Purtroppo, gli unici che posseggo sono quelli del completo da cavallerizza, e non sono ancora pronti. Dopo la caduta di ieri si sono sporcati. – sospirò. Dave schiuse le labbra e batté un paio di volte le palpebre.
- Intendete salire a cavallo con la gonna? – chiese con aria incredula, puntandolo con un dito.
- Non è carino indicare. – borbottò Kurt, gonfiando le guance e appendendo le mani ai fianchi, e lo stupì non poco notare la punta di imbarazzo con la quale immediatamente Dave abbassò la mano, pur continuando a fissarlo sgomento. – So che non è il più appropriato degli abbigliamenti—
- Non solo non è il più appropriato, ma non è affatto appropriato. – precisò Dave, quasi rimproverandolo. – Avete idea di cosa succederebbe se per caso l’orlo della gonna restasse impigliato fra il vostro piede e la staffa? Rischiereste di cadere.
- Be’, non c’è problema! – ribatté Kurt, incoraggiante, - La gonna è molto ampia, mi lascerà libero di muovermi, e posso sempre tirarla su! – disse, chinandosi appena per stringere fra le mani l’orlo dell’abito, sollevandolo fin sotto ai fianchi. Dave distolse immediatamente lo sguardo, tornando a pettinare con foga la criniera di Sarpedonte. – Dave, per l’amor del cielo! – sbottò Kurt, sconvolto, - Sono pur sempre un ragazzo! Potete per un attimo dimenticare che indosso un abito femminile? Non mi sembra il momento adatto per perdersi in sciocchi, infantili ed inutili imbarazzi!
- Sarebbe più facile per me dimenticare che indossate una gonna, se voi semplicemente non la indossaste! – ribatté lo stalliere, posando la spazzola e voltandosi verso di lui mentre allargava le braccia ai lati del corpo in un gesto arreso.
- D’accordo! – replicò il ragazzo, allargando a propria volta le braccia e lasciando ricadere la gonna a terra, per poi correre subito con le dita alla fascia di stoffa che gli stringeva l’abito in vita, - Posso toglierla! Resterò in biancheria!
- Cosa?! – strillò Dave, allarmato, muovendosi celermente verso di lui e poggiandogli entrambe le mani sui fianchi per fermarlo, - Ma siete impazzito? Cosa penserebbero gli altri se vi vedessero?
Kurt smise di armeggiare con la fascia, facendosi educatamente indietro per interrompere il contatto con le sue mani senza per questo dovergli sgarbatamente chiedere di allontanarle dai suoi fianchi, e rifletté per qualche secondo.
- In effetti, avete ragione. – annuì, - Ma posso condurvi in un posto in cui nessuno ci vedrebbe. È un grande prato nelle vicinanze del lago. Lì avremo al contempo tutto lo spazio e tutto il riserbo che ci serve.
Dave si lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, incurvando le spalle.
- Siete proprio deciso a cavalcare in mutande, dunque. – constatò, atterrito. Kurt annuì con entusiasmo, afferrando Sarpedonte per le redini e cominciando a condurlo verso l’uscita della stalla.
- Andiamo? – domandò, sorridendo gentilmente. A Dave non rimase che seguirlo attraverso il cortile, adesso silenzioso, per favorire l’ora di riposo pomeridiano che Lord Hummel amava concedersi durante i pomeriggi così afosi, e poi lungo il sentiero che, dalla villa, si dipanava attraverso la campagna, fino al lago.
Il prato di cui Kurt gli aveva parlato era in effetti grande abbastanza da fornire loro spazio a sufficienza per tutti gli esercizi, e l’erba, così alta e soffice, già da sola rappresentava una buona superficie morbida sulla quale Kurt, atterrando, non si sarebbe fatto troppo male, anche nel caso gli fosse capitato di sfuggire alle sue braccia.
- È davvero un bel posto. – commentò guardandosi intorno, affascinato dalle moltitudini di colori diversi che macchiavano il prato, come schizzi di tempera su una tela, - Nel mio paese non c’erano molti prati come questo. Era una terra piuttosto arida.
- Qui tutta la campagna è così. – annuì Kurt, con aria sognante, - Anche se – aggiunse, stringendosi nelle spalle ed arrossendo appena, - ammetto di non essere molto bravo a godermela. Mi sveglio sempre tardi, al mattino, e per il momento in cui sono pronto l’aria è sempre troppo calda per spingermi a passeggiare fino a qui. I miei abiti non mi consentono spostamenti troppo lunghi, sono faticosi da portare.
- Immagino. – rise Dave, chinandosi ad accarezzare il collo di Sarpedonte mentre quest’ultimo si piegava sulla superficie del lago per abbeverarsi. – In effetti, danno l’idea di ingolfarvi parecchio.
- Già. – ridacchiò Kurt, - Per questo l’idea di togliere la gonna non mi urta più di tanto. – ammise, correndo velocemente con le mani alla fascia di seta per svolgerla, trattenendola fra le mani per piegarla ordinatamente ed appoggiarla nell’erba poco distante prima di sciogliere il fiocco che assicurava la gonna ai suoi fianchi magri, e sfilarla in un unico gesto.
Dave voltò repentinamente il capo, col rischio di farsi venire un gran torcicollo, mentre Kurt ripiegava anche la gonna e la appoggiava accanto alla fascia.
- Insomma! – protestò il ragazzo quando, voltandosi nella sua direzione, lo vide intento a fissare con interesse quasi maniacale le increspature dell’acqua attorno al muso di Sarpedonte, - Mi sembrava che la questione del mio sesso fosse risolta!
- Perdonatemi, ma voi indossate biancheria intima femminile! – sbottò Dave, indicando con un cenno vago i mutandoni di pizzo che coprivano le cosce di Kurt fino al ginocchio, - Questa cosa è davvero disorientante.
- Quanta pazienza. – sospirò Kurt, lanciando al cielo un’occhiata supplice, - Posso chiedervi, per piacere, di mettere da parte i vostri ridicoli pregiudizi, almeno finché saremo forzati a passare del tempo insieme? Vi prometto che, quando sarò pronto a cavalcare uno stallone da solo, non vedrete più le mie sottane neanche da lontano. Va bene?
Dave sospirò a propria volta, immergendo una mano in acqua e passandosela sul viso per rinfrescarsi.
- D’accordo. – disse quindi, - Andiamo, Sarpedonte. – ordinò al cavallo, conducendolo verso Kurt. – Salite. E tenete a mente che un cavallo come questo vi obbliga a tenere le gambe al contempo ben aperte e ben salde. Non cercate di partire subito al galoppo, prendetevi il vostro tempo per ambientarvi, prima.
Kurt annuì coscienziosamente, piantando entrambe le mani sulla sella e puntando il piede nella staffa per salire in groppa a Sarpedonte. Una volta su, inspirò ed espirò, guardando per bene il paesaggio attorno a sé. Il cavallo era altissimo, e gli permetteva di scrutare le cime degli alberi della foresta in lontananza fin dove cominciavano a inerpicarsi lungo l’aspro pendio delle montagne.
- Adesso? – domandò, tornando a guardare Dave e stringendo le redini fra le dita.
- Adesso – disse Dave, accarezzando il muso del cavallo per poi afferrarlo saldamente per il morso, - proveremo a fare qualche passo. Non è necessario che lo sproniate voi, vi condurrò io. Voi cercate semplicemente di tenervi in equilibrio.
- Come sarebbe a dire cercate di tenervi in equilibrio? – borbottò Kurt, aggrottando le sopracciglia, mentre Sarpedonte iniziava a passeggiare lentamente, - So perfettamente come tenermi in equilibrio in sella, signore! Per vostra informazione, vado a cavallo da quando avevo dieci anni, e— ah! – strillò, mentre la veemenza con la quale aveva cominciato a discutere prendeva il sopravvento sul suo autocontrollo, portandolo a mollare la presa delle gambe attorno al corpo del cavallo e scivolare lateralmente lungo la sella, aiutato anche dal tessuto liscio e troppo leggero della sua biancheria.
- Attento. – lo rimbrottò Dave, mollando immediatamente il morso di Sarpedonte per precipitarsi al suo fianco ed impedirgli di rovinare a terra, aiutandolo a scendere dalla sella e rimettersi in piedi saldo sulle proprie gambe. – Quante volte devo dirvi che una cavalcatura come questa è profondamente differente da quelle alle quali siete abituato? Siete così cocciuto!
- Non ci riuscirò mai. – piagnucolò Kurt, accarezzando lievemente un fianco a Sarpedonte per poi allontanarsi da lui e lasciarsi ricadere sgraziatamente nell’erba a pochi passi dalla riva fangosa del lago. – Basta, ci rinuncio. Sono stanco! – si lamentò, rannicchiandosi su se stesso e fissando l’orizzonte con aria triste.
- E siete anche pigro. – borbottò Dave, conducendo il cavallo a riva e legandolo ad un albero lì di fianco, per poi andare a sedersi accanto a Kurt, - Raccogliete in voi proprio tutti i difetti di entrambi i sessi, complimenti.
- In molti mi hanno detto che invece in me convivono solo i pregi di maschi e femmine. – sbottò Kurt, voltandosi a guardarlo con aria vagamente irritata, per poi sospirare stancamente. – Non voglio litigare, Dave, non offendetemi.
- Vi stavo solo prendendo un po’ in giro. – rise piano l’uomo, sistemandosi meglio nell’erba. – Posso chiedervi perché lo fate?
- Perché faccio cosa? – chiese Kurt, voltandosi a guardarlo con aria genuinamente perplessa.
- Tutto questo. – rispose Dave, accennando alla sua intera figura con un cenno del capo, - Perché vi vestite da donna, perché vi comportate come una donna, soprattutto perché accettate che altri uomini vi trattino come se voi foste veramente una donna? Non è umiliante? Per me lo sarebbe. – concluse con una scrollatina di spalle.
- Be’, voi sareste inguardabile, con una gonna. – notò Kurt con una mezza risata. – Comunque, - riprese in una nota più seria, - qualcuno doveva pur farlo, suppongo. Non è facile vivere in un paese in cui non nascono figlie femmine. Io sono sempre stato piuttosto delicato, e per la verità non mi sono mai interessato a tutte quelle cose che invece facevano impazzire mio fratello Finn, perciò non mi sono mai ribellato al modo in cui venivo educato.
- Avreste potuto rifiutarvi. – disse Dave, scrutandolo con interesse, e Kurt sorrise, guardando il lago.
- Ma a me piaceva. – rispose, - Questi vestiti, i modi, il canto, il ruolo che ho all’interno della famiglia… a me piace. Lo trovate così assurdo?
- Per la verità, sì. – ammise lui, abbassando lo sguardo e sentendosi in qualche modo stranamente in difetto.
- Allora il problema non è perché io lo faccia, - gli sorrise Kurt, - quanto più il fatto che voi non riusciate ad accettare che a me possa piacere farlo. E non vi sembra questo perfino più assurdo?
- Che intendete? – domandò Dave, inarcando un sopracciglio con aria scettica. Kurt prese tempo, giocando con qualche filo d’erba, e notò lo sguardo interessato con cui Dave seguiva il movimento lento e aggraziato delle sue dita. Sembrava che quell’uomo non riuscisse proprio a capacitarsi dell’esistenza in vita di una creatura come lui. Era esilarante, se si metteva da parte quanto offensive potessero essere a volte le sue parole.
- Intendo – si decise a rispondere, finalmente, - che io trovo molto più assurdo che voi, che non avete mai indossato una gonna, possiate contestare il mio piacere nell’indossarne una, piuttosto che il fatto che a me possa effettivamente piacere comportarmi come una donna. Non potrete mai sapere perché mi piace, semplicemente perché non potrete mai provarlo sulla vostra pelle. Dovreste semplicemente accettarlo, e basta.
Dave sembrò riflettere seriamente sulla questione, gli occhi distanti persi sulla superficie del lago, e poi annuì brevemente.
- Sì, forse. – ammise, - Mi sembra ancora una cosa completamente incomprensibile, ma è probabile che io abbia ancora molto da imparare.
Kurt sorrise ancora, sporgendosi appena verso di lui.
- Avrete bisogno di essere educato. – propose, ed al solo sentire le sue parole Dave, che si era appena voltato a guardarlo, dovette chinare nuovamente il capo, e Kurt fu non poco stupito dall’osservare quel lieve rossore che, improvvisamente, prese a colorargli le guance. – Cosa vi prende? – domandò quindi, incerto, - Vi sentite poco bene?
Dave si voltò a guardarlo come non potesse credere alle proprie orecchie.
- Alle volte siete veramente un maschio. – constatò allibito, - Non vi rendete proprio conto.
Kurt sbatté le lunghe ciglia un paio di volte, disorientato.
- Non comprendo. – ammise perplesso. Dave sospirò, alzandosi in piedi e tendendogli una mano per aiutarlo a fare lo stesso.
- Lasciate perdere. – cercò di sorridergli, - Ora andiamo, s’è fatto tardi. Vi riaccompagno a casa.
Kurt annuì, ancora confuso dalle sue parole, ma accettò l’aiuto di buon grado, alzandosi in piedi e finendo poi per afflosciarsi sul petto di Dave non appena ebbe provato a star dritto, mugolando un lieve “oh” in parte sorpreso e in parte addolorato al quale lo stalliere rispose con un’occhiata talmente preoccupata da far sembrare che temesse per la propria stessa vita.
- Accidenti… - mormorò Kurt, reggendosi alle spalle forti dell’uomo mentre sollevava un piede da terra.
- Cos’avete? – domandò lui, cercando contemporaneamente di sorreggerlo e di sporgersi oltre la sua spalla per dare un’occhiata al piede.
- Devo essermi storto una caviglia, prima. – borbottò il ragazzo, infastidito. – Non credo di riuscire a camminare.
- Queste cose capitano perché siete uno sconsiderato. – lo rimproverò aspramente Dave, aggrottando le sopracciglia. – Coraggio, montate in groppa a Sarpedonte.
- Cosa? No! – sbottò Kurt, incrociando le braccia sul petto e cadendo immediatamente seduto per terra non appena si rese conto che la caviglia non lo reggeva affatto, - Io non ci salgo più, là sopra!
- Oh, per favore, niente capricci, adesso! – sbuffò Dave, roteando gli occhi e recuperandolo da terra, afferrandolo per le spalle e tirandolo su di peso per poi condurlo senza la minima grazia verso il cavallo. – Appoggiatevi a lui. – ordinò fermo, e Kurt, pur piegando le labbra in una smorfia altamente contrariata, obbedì, osservandolo allontanarsi verso la sua gonna e la sua fascia per recuperarli da terra. – Permettetemi di rivestirvi. – chiese rispettosamente, attendendo un suo cenno di intesa per avvolgergli la gonna attorno ai fianchi e stringere poi il tutto con la fascia in vita. Kurt si lasciò maneggiare senza protestare, stupito dalla delicatezza di quelle mani così grandi, callose e tozze ma inaspettatamente gentili.
- Siete… molto dolce. – commentò stupito, mentre Dave lo guardava incerto. – Mi avete appena trattato come fossi uno dei vostri cavalli. – spiegò, - Non so se questo dovrebbe turbarmi, in effetti. – aggiunse con tono un po’ sconcertato, inumidendosi le labbra.
- Basta sciocchezze. – tagliò corto Dave, distogliendo lo sguardo. – Adesso non muovetevi. – disse, stringendogli le mani in vita e sollevandolo senza il minimo sforzo fino a consentirgli di accomodarsi in sella per traverso, per poi puntare un piede nella staffa e salire in groppa al cavallo subito dietro di lui. – Aggrappatevi a me. – ordinò.
- Mi sembra parecchio sconveniente. – protestò Kurt, arrossendo a causa della sua improvvisa vicinanza.
- A me sembrerebbe molto più sconveniente se cadeste di nuovo, magari completando l’opera e facendovi male anche all’altra caviglia. – replicò Dave, serissimo. – Stringetevi a me, o non ci muoveremo mai.
- E va bene, d’accordo! – concesse Kurt con un sospiro esasperato, appoggiandosi nuovamente al petto di Dave e stringendo fra le dita il tessuto della casacca che indossava. – Non vi si può fare un complimento che subito me lo ricacciate in gola. – borbottò, mentre Dave spronava il cavallo a ripartire alla volta della villa.
- Scommetto che se fosse stato il principe Blaine, a chiedervi di stringervi a lui, non avreste protestato così tanto. – disse Dave, incapace di trattenere l’acidità nella voce, mentre Kurt si voltava a fissarlo con sgomento palese, - E non vi sarebbe importato di quanto fosse sconveniente.
- Come osate?! – scattò offeso, tirandogli un lieve pugno contro il petto, - Se avete intenzione di litigare, sappiate che non ne ho alcuna voglia! Smettetela subito!
- La smetto, la smetto. – sbuffò lui, lanciando il cavallo al galoppo per fare più in fretta.
- Siete terribile. – insistette Kurt, prendendo a fissare ostinatamente la strada accidentata che sfilava veloce sotto di loro, ma appoggiandosi comunque a lui per ridurre al minimo il rischio di cadere. – Mi ero trovato così bene, fino a poco fa. Non capisco che vi è preso.
- Mi siete preso voi, ecco che mi è preso! – ribatté Dave, stringendo la presa sulle redini e sospirando sollevato alla vista della villa in fondo alla strada.
- E cosa vorreste dire, con ciò?! – sbottò Kurt, tornando a guardarlo con aria allucinata.
- Voglio dire che siete una persona assurda, non si sa mai cosa aspettarsi da voi e… e siete insopportabile! – quasi strillò, fermando il cavallo in mezzo al cortile e scendendo in un gesto così repentino da rischiare di far perdere nuovamente l’equilibrio a Kurt. – Aspettate qui, vado a chiamare qualcuno che possa portarvi in camera vostra. – disse rudemente, distogliendo lo sguardo dalla sua figura.
- Ma dove andate, dove andate! – roteò gli occhi il ragazzo, sbuffando esasperato, - Mi avete portato fino a qui, portatemi anche in camera. Datemi una mano e smettetela di fare lo scontroso, piuttosto. Siete incredibile! – si lagnò, porgendogli una mano in un gesto inequivocabile. Dave sospirò stancamente, ma prese la sua mano nella propria e si preparò ad accoglierlo quando lui scivolò fluidamente giù dalla sella, atterrando morbido fra le sue braccia.
- E portarvi in braccio in camera vostra com’è? – gli chiese ironico mentre, tenendolo saldamente stretto al petto, attraversava il cortile, entrava in casa e poi imboccava le scale per il piano di sopra, - Sconveniente?
- Voi siete la persona più noiosa del mondo, ne siete consapevole? – gli fece presente Kurt, scuotendo il capo e incrociando le braccia sul petto, - Non è né sconveniente, né nient’altro, è solo necessario. – spiegò, cercando di riportare il tono della propria voce su una nota meno stridula e indisponente. – Ora, se vi è possibile, vorreste per piacere tornare ad essere la piacevolissima persona che siete stato fino a un momento fa? O volete continuare a comportarvi così finché non vi odierò senza speranza?
Già giunto di fronte alla porta di camera sua, Dave non poté che sospirare, arreso.
- Voi mi stancate in modi incomprensibili. – ammise, aspettando che fosse Kurt a sporgersi per aprire la porta e poi conducendolo all’interno, - Siete proprio faticoso, e non invidio affatto il povero principe Blaine che sarà costretto a sopportarvi per tutto il resto della vostra vita. – concluse, richiudendosi la porta alle spalle con un calcio.
- Possa Iddio concedermene una abbastanza lunga da venire ogni sera a tirarvi i piedi nel letto mentre dormite, se la mia povera porta sarà stata danneggiata dal vostro sgarbato scarpone! – strillò Kurt, agitandosi fra le sue braccia mentre Dave gli urlava di stare buono, - E comunque, non preoccupatevi per la mia futura vita matrimoniale, sono convinto che sarà rosea e splendente!
- Bene! – sbottò lo stalliere, lasciandolo ricadere sul proprio letto.
- Bene! – gli fece eco Kurt, sollevandosi a sedere sul materasso e fissandolo irritato, - Ora vi siete sfogato? La smettete o no?!
- Tacete, santi numi! – gridò Dave, fuori di sé dalla frustrazione, e non fu che un attimo prima che si sporgesse verso di lui e, stringendogli il viso fra le mani, appoggiasse le proprie labbra contro le sue, con una foga un po’ goffa, ma talmente infuocata da ricoprire la pelle di Kurt di brividi bollenti.
Era il suo primo bacio.
- …cosa. – annaspò sconvolto, quando Dave si fu allontanato da lui. Lo fissò con occhi enormi e persi, in parte spaventato, in parte confuso, come aspettandosi automaticamente da lui una risposta plausibile che spiegasse quel gesto apparentemente così assurdo.
- …perdonatemi. – deglutì Dave, lasciandolo andare e rimettendosi dritto. – Non so cosa mi è preso. Non avrei dovuto.
- No che non avreste dovuto! – strillò Kurt, gli occhi pieni di lacrime, - Era— Era la prima volta che qualcuno— che—
- Ho chiesto scusa! – lo interruppe Dave, innervosito dal suo melodrammatico balbettio, - E, in ogni caso, suppongo di essere stato appena nuovamente retrocesso assieme a tutte le altre bestie, per cui non pensateci. Sarà come se un cane vi avesse leccato il viso.
- Quest’immagine è agghiacciante e oh, santo cielo, voi mi avete baciato! – continuò a strillare Kurt, sconvolto, rannicchiandosi in un angolino del letto come avesse paura che Dave potesse nuovamente saltargli addosso, nonostante fosse abbastanza chiaro che non l’avrebbe fatto. – Siete un bruto! Un— un— non ho parole per descrivervi!
- Ecco, perfetto, allora non cercatele neanche. – sospirò l’uomo, passandosi una mano sul viso e cercando di calmarsi. – Vado via, adesso. Fate finta che niente di tutto questo sia mai accaduto. Ad insegnarvi come si cavalca uno stallone ci penserà il principe al suo ritorno. Mi sembra la cosa più giusta.
- Dave. – lo chiamò Kurt, osservandolo dargli le spalle per uscire, - Dave! Non osate abbandonare questa stanza prima che io vi abbia dato il permesso di farlo! – strillò, stringendo il copriletto fra le dita con foga, come se questo potesse in qualche modo contribuire a trattenere anche lo stalliere.
Non servì, comunque.
* Erano ormai parecchie ore che Blaine e il suo seguito erano in viaggio. Per evitare di perdere tempo inutilmente, non si erano fermati a riposare, se non per una breve sosta nei pressi di un corso d’acqua, giusto per far abbeverare i cavalli, prima di riprendere la corsa verso la foresta. Nelle sue perlustrazioni solitarie dei giorni precedenti, Blaine aveva visto che era possibile arrivare fin lì in qualche ora, tenendo i cavalli al galoppo ad un ritmo serrato, ed era stato proprio questo l’ordine che aveva impartito e che aveva permesso al suo gruppo di trovarsi già all’imboccatura della valle nel fondo della quale la foresta cresceva forte e rigogliosa, nutrita dall’umidità e dal sole del mattino prima che l’abbraccio della montagna sulla quale poi s’inerpicava la proteggesse dal calore infuocato del sole di mezzogiorno, mantenendola nell’ombra fino all’alba successiva.
Fatta eccezione per la foresta stessa, la valle sembrava del tutto inanimata. Fra gli alberi, la fauna doveva senz’altro essere viva e varia, dovevano sicuramente esserci molte specie di uccelli, parecchi roditori, chissà, forse perfino qualche volpe e qualche lupo, ma nulla sembrava vivo al di fuori del cerchio degli alberi più esterni, sulla tavola di pietra piattissima e levigata sulla quale loro si trovavano.
- Questo posto mi mette i brividi. – commentò Finn, che aveva approfittato dell’occasione per uscire un po’ dai confini del villaggio ma si sentiva ancora offeso dalla scarsa considerazione che Kurt aveva dimostrato per lui, dimenticando completamente di salutarlo, preso com’era dal desiderio di salutare il principe. Il suo umore non aveva avuto alcun motivo di rallegrarsi, sia a causa delle faticose ore trascorse al galoppo, sia a causa della compagnia, che da quando aveva discusso animatamente col principe Jesse durante la cena di qualche sera prima aveva cessato quasi del tutto di essere piacevole.
- Non preoccupatevi, Finn. – lo rassicurò Blaine con un sorriso, avvicinandoglisi al trotto, - Non avete niente da temere. Il principe Jesse lo sentirebbe, se ci fosse una strega nei dintorni.
- E infatti una strega c’è. – disse l’uomo, passando loro accanto senza degnarli di uno sguardo, scrutando intensamente il folto della foresta nel suo punto più oscuro e misterioso, - Non nelle immediate vicinanze, però, no. – proseguì, fermandosi a qualche metro dal punto in cui il sentiero si insinuava fra le radici degli alberi, fino a scomparire. – Nelle profondità di questa foresta, nondimeno, una strega vive di sicuro. Ed è anche alquanto potete, se i miei sensi non mi ingannano.
- I vostri sensi? – domandò Finn, sprezzante, - Per favore. La cartomante zingara che leggeva i tarocchi per gioco a me e a mio fratello quando eravamo bambini era più credibile di voi! Quantomeno, lei usava degli strumenti per giustificare le proprie percezioni! Voi, invece? Cos’è, l’aria intorno ad una strega puzza? – aggiunse in tono canzonatorio, prendendolo in giro. Jesse non raccolse la provocazione, e nemmeno si voltò a guardarlo, prendendo a passeggiare a cavallo attorno al limitare della foresta, come seguendo una linea curva immaginaria che lo conducesse attorno alla macchia verde per tutto il suo perimetro.
- Dal momento che me lo chiedete, signore, - rispose con tono apparentemente disinteressato, - sì. Puzza, ed è più pesante. Impregnata di magia. Non potete sentirla perché non ne avete le capacità, ma ciò non toglie che sia così.
- Provengo da una famiglia di studiosi, principe Jesse. – insistette Finn, accigliandosi, - Il fondatore di Lima, sir William McKinley, era lo scienziato più rinomato del paese. Io non credo a ciò che non posso toccare con mano, non mi lascio abbindolare da niente che non sia scientificamente provato e palese sotto i miei occhi.
Lord Montgomery si voltò immediatamente a cercare con lo sguardo la figura del principe, per chiedergli silenziosamente di porre fine a quell’alterco prima che potesse degenerare, e ben presto la sua mossa fu ripetuta anche dagli altri due membri del Consiglio della Dalton, ma il principe era così preso dall’ammirazione quasi sognante con la quale stava osservando la foresta e i suoi dintorni che del litigio non sembrava curarsi per niente. Lord Montgomery sospirò pesantemente: che sovrano sarebbe mai stato, quel ragazzo, se avesse continuato a farsi distrarre così facilmente da qualsiasi cosa, si trattasse di una coccinella su una foglia o di un giovanotto in gonnella?
Fortunatamente, Jesse non sembrava particolarmente interessato a mettersi a litigare in quel momento. Anzi, tutte le sue forze sembravano concentrate nel fare in modo che quella spedizione potesse durare per il minor tempo possibile. Sembrava, per motivi che nessuno comprendeva appieno, incredibilmente impaziente di tornare a Lima quanto prima.
- Maestà, - disse quindi, fermando repentinamente il cavallo e voltandosi verso Blaine, così sensibile alla sua parola, che reputava eminente e degna di ascolto, da concedergli immediatamente tutta la propria attenzione, - avrò bisogno di tornare alla villa di Lord Hummel, e da lì far partire un messo che possa recarsi a Carmel per portarmi alcuni volumi, e naturalmente per condurre a me i miei alchimisti.
- Ah, perfetto. – sospirò Finn, roteando gli occhi, - Ora la mia casa dovrà per forza diventare la base operativa di questa scempiaggine. Tutto ciò è ridicolo.
- Finn, vi prego, abbiate fiducia nel principe Jesse come ne avete in me. – tagliò corto Blaine con un sorriso, e Finn gli avrebbe volentieri risposto che in realtà si fidava di Jesse esattamente tanto quanto si fidava di lui, e cioè molto poco, ma trattenne la lingua e si limitò ad annuire cupo, supponendo che se già la compagnia non l’aveva in simpatia per il trattamento sprezzante che riservava al principe di Carmel, le cose non avrebbero potuto che peggiorare se si fosse rivolto nello stesso modo anche a Blaine. – Bene! – riprese il principe, spronando il cavallo ad avanzare, - Giriamo attorno alla foresta e cerchiamo un pozzo o uno specchio d’acqua nelle vicinanze del quale accamparci, sia mai durante la notte abbia luogo qualche strano evento. Ripartiremo domani in mattinata.
- Sissignore. – risposero in coro i tre componenti del Consiglio, spronando immediatamente i cavalli al seguito di quello del principe e di quello di Jesse, che gli si affiancò quasi subito. Finn rimase indietro di qualche metro: non aveva alcuna fretta di raggiungere gli altri, e supponeva che, se avessero trovato il posto adatto per accamparsi, prima o poi l’avrebbe visto anche lui, pur senza lanciarsi al galoppo come se dovesse assaltare una diligenza. Che modo era, quello, di cavalcare? Come se ogni volta che si saliva a cavallo si dovesse per forza scapicollarsi verso l’obbiettivo, quando sarebbe stato indubbiamente più sicuro e meno faticoso procedere con calma.
Per tale motivo, quando gli altri intravidero i resti del villaggio indiano distrutto, lui fu l’ultimo a notarli. Sapeva che gli indiani al confine coi possedimenti del principato stavano lentamente guadagnando terreno, spostandosi verso territori più verdeggianti e spingendosi talvolta fino a stabilirsi in luoghi particolarmente pericolosi, come quella valle, ma non aveva nessuna notizia di un villaggio eretto proprio di fianco alla foresta.
- C’è qualcosa di molto strano, qui. – mormorò, raggiungendo Blaine e Jesse in testa alla compagnia, - È tutto bruciato.
- Sicuramente opera della strega. – annuì Blaine, per poi voltarsi subito dopo a lanciare un’occhiata a Jesse, in cerca di un suo segno di approvazione. Il principe di Carmel, però, non gliene concesse alcuno: si limitò a continuare a cavalcare in silenzio fra le tende bruciate, l’odore acre del legno carbonizzato ad infastidirgli le narici, e il fumo ad annebbiargli la vista.
- Maestà, - lo richiamò quindi Lord Thompson, ritornando verso di lui dopo essere andato in ricognizione verso est fino ai confini del piccolo agglomerato di tende ormai devastato, - ci sono dei superstiti.
Immediatamente, tutto il manipolo di uomini si mosse nella direzione indicata dal cavaliere, e quando giunsero al luogo nel quale l’uomo li aveva condotti – una piccola capanna, molto più piccola delle altre, e forse proprio per questo scampata quasi interamente al disastro – videro due ragazzi sporchi di cenere rannicchiati in un angolo, stretti l’uno all’altra, spaventati come conigli dopo uno sparo. Si assomigliavano incredibilmente – entrambi biondi, entrambi dagli occhi chiari, sebbene di due sfumature di colori differenti, entrambi alti e longilinei, dai lineamenti eleganti e affascinanti, entrambi di pelle chiara e liscia – tanto da sembrare fratelli. Finn e Blaine scesero immediatamente dalle loro cavalcature, avvicinandoli come guidati da una forza misteriosa.
- Maestà? – chiamò Lord Thompson, stupito da quel comportamento, ma Jesse lo zittì con un gesto.
- È tutto a posto. – disse, e poi, con più convinzione, voltandosi verso l’uomo, aggiunse: - Non vedete che sono feriti? Correte immediatamente ad avvisare Harwood e Montgomery, dite loro di raggiungerci.
- Sì, signore. – annuì il cavaliere, partendo subito al galoppo. Indietreggiando lievemente, Jesse rimase ad osservare la scena mentre Blaine si chinava sul ragazzo, controllando che stesse bene per porgergli la mano, e Finn faceva lo stesso con la ragazza, sostenendola da sotto le ascelle per aiutarla a risollevarsi in piedi.
- Cosa è successo qui? – chiese il principe, rivolgendosi al ragazzo, ma prima che questi potesse rispondergli la ragazza scoppiò a piangere, e tenendosi la testa fra le mani cominciò a lamentarsi.
- Brucia… brucia tutto… - mugolò insensatamente, gli occhi fissi nel vuoto ma pieni di lacrime, - È tutto bruciato… - singhiozzò un’ultima volta, prima di svenire fra le braccia di Finn, che dovette faticare non poco per prenderla al volo e caricarsela in braccio.
Il ragazzo le fu subito accanto, accarezzandole brevemente il volto e il collo per verificare che fosse ancora viva, prima di rivolgersi al principe.
- Voi siete la giovane maestà di Westerville, è così? – domandò. Blaine annuì. – Non sappiamo esattamente cosa è successo. – proseguì il ragazzo, - Mi chiamo Jeremiah. Io e mia sorella Quinn eravamo nella nostra tenda, quando è scoppiato l’incendio. Ci siamo salvati per miracolo. – raccontò, la voce tremante e incerta. – Non è rimasto niente.
Proprio in quel momento, giunsero finalmente i tre lord del Consiglio della Dalton. Mentre Finn risaliva a cavallo, portando con sé la giovane, Jesse si voltò verso di loro per interrogarli.
- Superstiti? – chiese, il tono di chi sa già cosa aspettarsi in risposta.
- Nessuno. – disse infatti Lord Harwood, scuotendo il capo, - Solo cadaveri carbonizzati.
Jeremiah abbassò lo sguardo, stringendo i pugni lungo i fianchi. Blaine lo notò, ed allungò una mano a sfiorare quel pugno così serrato, che al solo percepire quel lieve tocco sembrò sciogliersi appena.
- Venite con noi. – disse il principe con un sorriso, - Avete bisogno di cure, e non potete restare qui. Vostra sorella andrà col mio fidato amico, il giovane primogenito del signore di queste terre. Voi, invece, salirete a cavallo con me.
Il ragazzo sorrise ed annuì, ringraziando a bassa voce. Blaine risalì in sella, ed aspettò che il giovane indiano l’avesse raggiunto, prima di dare l’ordine di lasciar perdere l’idea di accamparsi lì per la notte e fare immediatamente ritorno a Lima.
* Nel folto della foresta, in una baracca di legno apparentemente abbandonata, una donna restava seduta sulla propria sedia a dondolo, in attesa, alzandosi solo ogni tanto per controllare lo stato dell’intruglio che stava cuocendo in un enorme calderone in un angolo della stanza.
Si alzò di scatto, repentinamente, quando un giovane folletto biondo con un paio di occhiali tondi sul naso saltò sul davanzale della finestra, ridacchiando entusiasta.
- Ah, sei tu, Becky. – disse la strega, rilassandosi. – È andato tutto bene?
- Tutto come avevate previsto. – annuì il folletto, scuotendo il caschetto biondo in un’altra risatina divertita.
Avvolta nel suo mantello di acetato rosso, la strega tornò a sedersi, e sorrise.
* Santana e Brittany lo trovarono in lacrime. Le vesti scomposte, il volto arrossato, piegato su se stesso come certi fiori che chinano il capo per meglio sopportare il peso delle nevicate in inverno, Kurt piangeva ad alta voce, inconsolabile, esprimendosi solo in mugolii e gemiti privi del benché minimo senso.
- Mio Dio. – esalò Santana, sconvolta da una tale visione, - Signorino Kurt, cosa vi è successo?
Non era inusuale cogliere il giovane in atteggiamenti drammatici o esageratamente disperati, a volte anche per delle facezie, ma di certo era una novità che il ragazzo si permettesse di dare sfogo a tanto dolore in maniera così sguaiata e priva di pudore, come se ormai non gl’importasse più di mantenere la compostezza.
- Vi sentite male? – domandò Brittany, sedendosi sulla sponda del letto e accarezzandogli i capelli, - Avete le vostre cose?
- Brittany! – sbottò Santana, sollevando gli occhi al cielo, - È un maschio!
- Perché, loro non ce le hanno? – domandò la ragazza, spostandole addosso un paio d’occhi smarriti e vuoti mentre Santana sospirava profondamente, scuoteva il capo e poi si sedeva accanto a Kurt, dall’altro lato del letto, prendendo a propria volta ad accarezzargli i capelli, la nuca, le spalle e la schiena.
- Signorino Kurt, coraggio, - disse dolcemente, cullandolo con la propria voce bassa e quell’accento ispanico che più volte Kurt aveva detto di trovare delizioso, - dite alla vostra Tana cos’è successo. Vi sentite male?
Kurt sollevò lo sguardo. Aveva gli occhi arrossati e continuava a piangere, grosse lacrime scendevano rotolando lungo le sue guance piene come goccioloni di pioggia.
- È… è tutto perduto. – mugolò, abbattendosi nuovamente sul materasso e nascondendo il volto sugli avambracci.
- Oh, per la miseria, signorino Kurt! – borbottò Santana, battendo qualche pacca d’incoraggiamento sulle spalle del ragazzo, ora scosse da singhiozzi perfino più violenti, - Cosa può mai essere successo?
- La mia purezza… - si lamentò Kurt, la voce ridotta a un fiato sottilissimo, - è ormai perduta, non sono più degno di vivere in questa casa. Prenderò i voti, mi trasferirò in un monastero e lì vivrò nell’ascesi e nella privazione finché i miei peccati non saranno mondati.
Le due dame si lanciarono un’occhiata incerta, e poi Brittany si chinò nuovamente sul proprio padroncino, riprovando a consolarlo.
- Signorino Kurt, perché dovreste voler vivere nell’ascesso? È doloroso e secerne liquido puzzolente. – disse con una mezza smorfia.
- Britt, sta’ zitta. – tagliò corto Santana, per poi afferrare delicatamente Kurt per le spalle e rimetterlo dritto, - Signorino Kurt, qualsiasi cosa possa essere successo, sono sicura che potremo trovare una soluzione adeguata per risolvere il problema. Dovete soltanto confidarvi.
- Giammai! – strillò istericamente Kurt, coprendosi il volto con le mani, giacché Santana, tenendolo ben saldo per le spalle, gli impediva di accasciarsi nuovamente fra le lenzuola e lì restare fino a morire di consunzione, - No, Santana, no! – insistette, - Porterò il mio orribile segreto nella tomba, coi resti delle mie mortali spoglie. Mai nessuno saprà a quale disonore ho costretto questa famiglia, mai nessuno vedrà quanto orribile il mio peccato sia stato. Morirò impuro, e nessuno saprà mai perché. – concluse, lanciando una teatrale occhiata di disperazione a Pavarotti, rinchiuso nella sua gabbietta, che approfittò di quel primo momento di silenzio per accennare un paio di note del proprio canto. Al solo sentirle, Kurt si sciolse nuovamente in singhiozzi, perfino più rumorosi e violenti di prima, e il povero uccellino tornò a lisciarsi le penne in silenzio.
Santana e Brittany si guardarono dubbiose un’altra volta, ma quando la bionda aprì la bocca per parlare Santana le impedì di farlo, parlando a propria volta.
- Signorino Kurt, ascoltatemi. – disse con tono soave e materno, sorridendo dolcemente un attimo prima che tutti i suoi lineamenti mutassero, rendendola improvvisamente più simile a un demone infernale che all’angelica dama di compagnia che era stata fino a pochi secondi prima, - Adesso basta piagnucolare, siete isterico e ridicolo. – lo rimproverò, schiaffeggiandolo violentemente e mandandolo a rovesciarsi sul letto mentre Brittany, strillando spaventata, lo prendeva per le spalle. – Madre de Dios, siete una piaga! – lo rimproverò, mentre Kurt, stretto fra le braccia di Brittany, la fissava con occhi enormi carichi di sconcerto, - Adesso voi vi mettete in piedi, vi ripulite, vi risistemate e poi andate a trovare vostro padre, e discutete con lui di qualsiasi sia questo problema che vi affligge. Se sarà sua opinione che dobbiate trascorrere la vostra intera vita in convento, io per prima mi occuperò di cucirvi un saio che esalti le vostre forme, e vorrò io stessa a chiudervi nella vostra cella a doppia mandata per poi gettare via la chiave. Ma se invece vostro padre riterrà questo problema una sciocchezza, o comunque qualcosa di risolvibile senza avviarvi verso l’abito talare… - concluse con aria minacciosa, assottigliando i grandi occhi scuri e tendendo le labbra rosse e piene in una smorfia terrificante, - non voglio più sentirvi parlare di convento ed altre simili sciocchezze. Mai più!
- S-Santana! – provò a richiamarla Kurt in un balbettio sconvolto, ma la donna non gli permise di farlo.
- Shush! – sbuffò interrompendolo, - Basa storie, basta lagne da bambino viziato, basta lacrime, soprattutto. – stabilì, alzandosi in piedi e poi afferrandolo per entrambe le mani per tirarlo su di peso, un attimo prima di tornare a sorridergli conciliante. – Forza, vi aiuto a rimettervi in sesto.
Pur controvoglia, Kurt abbassò lo sguardo ed annuì, troppo esausto dalle lunghe ore di pianto per insistere e farsi lasciare in pace. Seguì Santana fino alla toeletta, sedendosi sullo sgabello imbottito e lasciando che fossero lei e Brittany a prendersi cura di lui, sciacquargli il viso, coprire l’innaturale rossore delle guance con un po’ di cipria per lasciare che trasparisse solo quel lieve colorito rosato più accentuato sulle gote che contribuiva a dargli quell’aria da ragazzina che tutti amavano tanto, e poi rimetterlo perfino in piedi, dopo averlo aiutato a cambiarsi d’abito, indossando qualcosa di più leggero per evitare che il calore di quell’afosa giornata di primavera lo innervosisse troppo, impedendogli di rilassarsi.
Il dolore alla caviglia, notò Kurt mentre, lentamente, scendeva le scale per andare a trovare suo padre in quello che lui per primo si fregiava di chiamare “il suo laboratorio segreto” – non senza un certo divertimento – era quasi del tutto passato, non ne rimaneva che un’eco lievissima che lo infastidiva, sì, ma non tanto per il dolore in sé, quanto più perché ogni volta che sentiva pizzicare una lieve fitta da qualche parte attorno all’attaccatura del piede non poteva fare a meno di ripensare allo stalliere di sua maestà, alle mani grandi e forti che l’avevano rivestito, alla voce che, con preoccupata fermezza, l’aveva tanto rimproverato, e alle sue labbra calde e asciutte premute contro le proprie.
Arrossì improvvisamente, e quando se ne accorse scosse il capo con decisione, strizzando gli occhi, nel tentativo di liberare la mente da quei pensieri molesti. Dopo aver parlato con suo padre, sarebbe corso immediatamente in camera propria, e lì, sul davanzale della finestra, si sarebbe seduto, e sarebbe rimasto immobile a leggere una delle storie che tanto gli piacevano, in cui principi affascinanti e coraggiosi salvavano principesse tristi e bellissime dal loro infausto destino. Pavarotti avrebbe cantato in sottofondo e il suo pensiero sarebbe immediatamente corso al principe Blaine, intento a perlustrare il limitare della Foresta Nera assieme al suo seguito, e tutto sarebbe stato di nuovo semplice e bello.
Suo padre era, come al solito in quei pomeriggi in cui era privo di incombenze ufficiali e poteva dedicarsi solo a se stesso e al proprio piacere, sepolto per più di metà sotto uno dei suoi complessi macchinari sempre sporchi e borbottanti. Sdraiato su una piattaforma su un lato della quale aveva montato quattro piccole rotelle, in modo che fungesse da carrello e potesse aiutarlo a muoversi più agevolmente anche quando era disteso sulla schiena, stava nascosto fin quasi alla vita, al punto che di lui si vedeva solo la parte di corpo dalla cintola in giù. Stava martellando qualcosa con una certa veemenza, e da qualche parte un qualche marchingegno a vapore stava sbuffando come una teiera pronta ad esplodere, e a causa di tutto questo trambusto inizialmente neanche riuscì a sentire la voce di Kurt che, sottilissima, lo chiamava.
- Padre! – disse quindi Kurt, spazientito, irrigidendo le braccia lungo i fianchi e picchiettando per terra con un tacco, - Venite fuori di lì, una buona volta!
- Cosa? – biascicò Burt, scivolando sul suo carrellino fino a mostrarsi completamente agli occhi del figlio. Indossava un’ampia casacca da lavoro sdrucita e sporca d’olio, e due enormi guanti di pelle rovinati sulle dita che sembravano ingolfarlo nei movimenti, più che aiutarlo a compierli. Reggeva un martello in una mano ed un paio di bulloni nell’altra, e stringeva tra i denti una chiave inglese come un corsaro avrebbe fatto col proprio fido coltello durante un assalto a una nave mercantile. La restante metà del suo viso era coperta da un paio di occhiali giganteschi sui quali erano montati, al posto di lenti normali, due spesse lenti d’ingrandimento che rendevano i suoi occhi innaturalmente grandi e infantili. Si sfilò la chiave inglese dalle labbra, allungando un piede a tirare un calcio ad una leva che, spostandosi, zittì il marchingegno che produceva quell’orribile rumore di vapore che sfiata, riportando finalmente il silenzio nell’officina. – Kurt? Che succede?
Il ragazzo emise un sospiro rassegnato, afferrando uno sgabello basso da un angolo della stanza e trascinandolo vicino al carrello del padre, mentre questi si sollevava a sedere, e poi si sedette a propria volta, piegando le lunghe gambe e risistemandosi la gonna sulle ginocchia prima di parlare.
- Padre, - cominciò malinconicamente, - io… voi sapete che io non potrei mai continuare a vivere, se sapessi di essere una delusione, per voi.
- Una delusione? Per me? – sbottò Burt, incredulo, sistemandosi gli occhiali sul naso, - Kurt, ma cosa mai ti salta in mente? Sai bene di essere il mio vanto e la mia gioia! Mai nessun padre fu più fortunato di me ad avere un figlio devoto e bello come te!
- Sì, ma… - insistette Kurt, risollevando lo sguardo, - …potreste togliervi dalla faccia quella roba?! – strillò, incrociando le braccia sul petto, - Siete ridicolo, non riesco nemmeno a guardarvi! – Burt rise, sfilandosi gli occhiali dal naso mentre Kurt sospirava ancora, scuotendo il capo. – Quello che intendo dire, - riprese il ragazzo, incurvando le spalle e tornando a fissare il pavimento, incapace di sostenere il benevolo sguardo paterno, - è che voi mi avete sempre detto che sarei riuscito ad essere felice solo quando un principe avesse chiesto la mia mano, portandomi con sé nel suo castello e costruendo con me una famiglia… ed io… io ci ho sempre creduto, ed ero felice di crederci, ma ora mi chiedo, padre, se io non riuscissi a portare a termine questa missione, vi deluderei? – disse tutto in un fiato, chiudendo gli occhi come in attesa della propria meritata punizione.
Burt lo fissò accigliato per qualche secondo, le labbra dischiuse, come non riuscisse bene a decidersi su cosa fosse opportuno dirgli.
- Kurt, - cominciò poi, con tono paziente, - qualunque cosa io ti abbia detto per indirizzarti verso una certa strada, l’ho fatta perché credevo fosse quella giusta per te, non certo per mio tornaconto personale.
- Lo so, padre! – si affrettò a precisare Kurt, sollevando repentinamente lo sguardo, ferito in prima persona dal fraintendimento, - Non ho mai pensato che voleste niente di meno che il mio bene!
- E dunque, - riprese Burt, - perché parli della tua vita come di una missione? Non ti ho mai chiesto di diventare un principe consorte perché quella doveva essere la tua missione. Sono solo convinto che tu sia tanto meraviglioso da meritare il meglio, e dunque cosa può esistere di meglio di un principe, della Capitale, della corona?
Già, si disse Kurt, tornando a guardare il pavimento e sentendo le lacrime pungere sotto le ciglia, cosa poteva esserci di meglio?
- Ma se io non riuscissi a sposare il principe Blaine, o comunque un principe… - insistette, la voce ridotta nuovamente a un rantolo prossimo a rompersi in singhiozzi, - voi sareste deluso da me, padre? Smettereste di amarmi?
Burt rise appena, quasi intenerito da quella domanda.
- Non ti ho mai sentito dire così tante sciocchezze tutte assieme, Kurt. – lo rassicurò, sporgendosi ad accarezzargli una guancia. I guanti che ancora indossava erano ruvidi ed unti, ma Kurt non se ne sentì infastidito mentre un minuscolo sorriso nasceva anche sulle sue labbra. – Sarò felice chiunque sia la persona che tu deciderai di sposare, tesoro mio. Sarò felice anche se deciderai di non sposare nessuno, anzi, forse allora sarò perfino più felice, perché vorrà dire che potrò tenerti per sempre con me. – rise appena, allungandosi a stringerlo per le spalle per tirarselo contro ed abbracciarlo con calore. – Ed ora basta cupi pensieri, figlio mio. – proseguì, allontanandosi abbastanza perché Kurt potesse vederlo sorridere incoraggiante, - Torna in camera tua e riposa. Nella serata di domani, i nostri ospiti saranno di ritorno, e si dovrà provvedere a sollevarli dalla loro stanchezza. Canterai per noi, vero, figliolo? Canterai per me?
Kurt annuì, sorridendo fiducioso.
- Sì, padre. – promise stringendogli una mano, prima di alzarsi in piedi. – Cercate di non farvi male mentre lavorate a questo… questo coso. – si raccomandò, indicando il macchinario con un vago cenno del capo. Suo padre rise divertito, tornando a stendersi sul proprio carrello per poi scomparire sotto la macchina subito dopo. Kurt inspirò a pieni polmoni l’aria pura della primavera, uscendo nuovamente in cortile. Col peso che l’aveva oppresso ormai sollevato dal petto, perfino respirare era più facile e piacevole.
Attraversò il piazzale con un sorriso sempre più grande sulle labbra, accennando perfino qualche passo di danza quando fu sicuro che nessuno avrebbe potuto vederlo, ma tutta l’ilarità e la leggerezza di spirito che aveva sentito si dissolsero in un baleno quando i suoi occhi, scivolando distrattamente sulla stalla, scorsero attraverso l’uscio aperto la figura di Dave, intento a strigliare i cavalli e prepararli per la notte.
Poteva ignorarlo quanto voleva, ma il problema sarebbe rimasto. E, se non fosse stato capace di affrontarlo di petto, si sarebbe ripresentato, e forse sarebbe addirittura peggiorato. Doveva parlare con quell’uomo, capire per quale motivo il suo comportamento fosse così lunatico, capire cosa gli fosse passato per la testa quando l’aveva baciato. Soprattutto, doveva capire se il lieve calore che sentiva al bassoventre ogni volta che ripensava alle sue mani, alle sue labbra, al petto forte al quale si era appoggiato tornando verso la villa a cavallo con lui, era davvero provocato dalla sua presenza, o se per caso era possibile imputarlo a qualche sciocco colpo di calore, o qualche altra irrilevante ragione.
Entrò cercando di non fare rumore, guardandosi intorno con aria circospetta. Dave, nonostante tutte le sue precauzioni, lo notò subito.
- Credevo che non voleste più vedermi. – disse, senza sollevare gli occhi da Sarpedonte, e Kurt si mosse a disagio, spostando il peso del corpo da un piede all’altro per non pesare troppo sulla caviglia che, adesso che si trovava di nuovo vicino a lui, aveva ripreso a dolere, come se quell’uomo avesse il potere di gestire non solo i suoi stati d’animo, ma perfino le sue sensazioni fisiche.
- Lo credevo anch’io. – ammise, deglutendo forzatamente, - Ero molto scosso.
- Vi ho già detto che mi dispiace. – replicò Dave, aggrottando le sopracciglia con un certo fastidio.
- Sì, lo so. – cercò di sorridere Kurt, stringendosi nelle spalle, - Non è per questo che sono qui.
Dave sospirò, mettendo via la pezza bagnata con la quale stava ripulendo Sarpedonte e avvicinandoglisi di qualche passo. L’espressione sul suo viso era addolorata, quasi contrita, ed al solo vederla a Kurt sembrò di sentire una tenaglia chiuderglisi di scatto sul cuore. Non aveva mai provato una sensazione simile.
- …la vostra vista mi è insopportabile. – gemette Dave, irrigidendo le braccia lungo i fianchi, quasi temesse di poterne perdere il controllo. Kurt si morse un labbro, ferito da quelle parole così aspre.
- Io non vi capisco, signore. – disse in un sussurro, gli occhi che si riempivano velocemente di lacrime, - Perché siete così crudele con me? Non vi capisco proprio.
- Non è necessario che voi capiate. – ribatté Dave, distogliendo lo sguardo, - Vi prego, ditemi perché siete venuto, e poi andate via.
- Non posso! – insistette Kurt, andandogli incontro e cercando i suoi occhi coi propri, - Se sono venuto qui è proprio per capire! Non posso andarmene finché non mi sarà tutto chiaro.
- Be’, allora temo di dovervi dare una delusione, - rispose Dave, - non posso chiarirvi niente, se non c’è niente che sia chiaro a me per primo.
- Voi state mentendo. – sbottò Kurt, continuando a inseguire i suoi occhi sfuggenti, - Perché mi avete baciato?
- Lasciatemi in pace! – strillò lo stalliere, voltandogli le spalle.
- No! – continuò Kurt, girandogli attorno ed afferrandogli i polsi con entrambe le mani, - Perché mi avete baciato, per zittirmi? Per umiliarmi? Per— non lo so, per macchiare il mio onore, di modo che non potessi più avvicinarmi a sua maestà, né tantomeno coltivare la speranza di poterlo un giorno sposare?
- Oh, buon Dio! – esalò Dave, cercando di liberarsi dalla stretta delle sue mani scrollando violentemente i polsi, senza però ottenere i risultati sperati, - Non mi interessa niente della vostra storia col principe Blaine! Per quel che mi riguarda, potete sposarlo e andare a vivere con lui dove vorrete!
- E allora perché?! – ripeté Kurt, spalancando gli occhi, - Perché avreste dovuto farlo, se vi disgusto così tanto?! Se neanche riuscite a tollerare la mia vista, tale è il ribrezzo che vi provoco?! Perché?!
Dave trattenne il respiro così a lungo da diventare rosso in viso, e Kurt ebbe la chiara impressione che stesse contando fino a dieci per provare ad impedirsi di fare qualcosa di cui si sarebbe certamente pentito.
Contare non dovette essere sufficiente, però, perché alla fine Dave si sporse in avanti e, dopo essersi liberato della prigione delle sue mani con un altro strattone, lo afferrò per le spalle, tenendolo fermo mentre si chinava su di lui e copriva nuovamente le sue labbra con le proprie, stavolta senza fermarsi al solo contatto delle labbra.
Kurt gemette, stupito dalla sensazione umida della lingua dello stalliere che s’insinuava fra le sue labbra alla ricerca della sua, e spalancò gli occhi, incapace di porre un freno a quanto stava accadendo e lasciandosi condurre da Dave quando lui lo sospinse verso la parete in legno della stalla, per allontanarsi dallo spicchio di luce che la porta aperta proiettava all’interno dell’edificio.
Il buio sembrò accoglierli in un abbraccio confortante, e solo quando gli parve di non riuscire più a riconoscere i contorni delle cose Kurt si concesse di rilassarsi, sciogliersi fra le braccia dell’uomo che lo stringeva e piegare appena il capo, schiudendo le labbra con più sicurezza mentre la lingua di Dave accarezzava la sua e le sue mani scivolavano lungo le sue braccia, fermandosi sui suoi fianchi e stringendoli con forza fra le dita.
Kurt gemette ancora, e quel flebile suono sembrò come dar fuoco ad una miccia. Dave si spinse repentinamente in avanti, schiacciando il proprio bacino contro il suo, e Kurt spalancò gli occhi nel percepire distintamente qualcosa di rigido premuto contro l’interno della coscia. Mugolò e si dibatté, cercando di allontanare lo stalliere, ma lui non gli diede tregua, serrando con più forza le labbra sulle sue e le mani attorno alla sua vita, ma rallentando il ritmo delle carezze della propria lingua e sfiorandogli a tratti i fianchi con i polpastrelli callosi dei pollici, approfittando dei centimetri di pelle lasciati scoperti dalla casacca il cui orlo, con tutto quel dimenarsi e quello strattonarsi, era uscito dalla fascia legata in vita.
Kurt smise di agitarsi, placato da quei gesti così dolci e lenti, e tornò a chiudere le palpebre, riprendendo a baciare Dave con dolcezza mentre le sue mani, quasi sospinte dal vento o da una forza soprannaturale, risalivano lungo le sue braccia forti, fermandosi sulle spalle ampie sotto la pelle delle quali Kurt, accennando una pressione appena percettibile con le punte delle dita, riusciva a sentire tutti i muscoli piegarsi e tendersi ad ogni movimento.
Si allontanò da lui per riprendere fiato solo quando Dave gliene concesse la possibilità, ed in realtà già un paio di secondi dopo avrebbe voluto che Dave tornasse a farsi avanti, tale era il bisogno che le sue labbra sentivano di provare di nuovo quel calore, e tale era il bisogno che la sua lingua sentiva di assaggiare di nuovo il suo sapore. Era lì lì per metter via gli imbarazzi e le esitazioni, aveva già stretto con più vigore le braccia attorno al collo dell’altro uomo e stava per sollevarsi sulle punte dei piedi per raggiungere agevolmente le sue labbra una seconda volta, quando la voce di Sam, affannata e carica di fretta, spezzò il silenzio del tramonto ormai quasi del tutto tramutatosi in sera.
- Il principe! – annunciò, correndo a perdifiato per tutto il cortile, mentre le galline chiocciavano e frullavano le ali spaventate attorno ai suoi piedi scalzi, spostandosi goffamente nel tentativo di sfuggire alla sua travolgente furia, - Il principe è di ritorno! E porta con sé due nuovi ospiti!
Quel trambusto fu sufficiente per rompere l’incantesimo. Dave si ritrasse con la fretta di una bestia ferita, e Kurt, spaventato da quei movimenti così repentini e imbarazzato oltre ogni limite, si rannicchiò il più possibile contro al muro, pregando di riuscire a sparire nel buio.
Il principe era di ritorno. E lui aveva appena baciato volontariamente un altro uomo.
* Il principe Blaine sembrava preso in faccende ben più importanti di lui, e pertanto si limitò a salutarlo educatamente ma un po’ freddamente, un attimo prima di chiamare a gran voce suo padre, che accorse di fretta dall’officina nella quale era ancora rinchiuso, le braccia ancora sporche di grasso e olio fino ai gomiti.
- Principe Blaine! – lo salutò, vagamente inquieto, - Non vi aspettavamo prima di domani.
Blaine annuì, indicando la ragazza che Finn teneva stretta fra le braccia e si rifiutava di consegnare ai vari cavalieri che si offrivano di reggerla mentre lui scendeva da cavallo.
- Stavamo perlustrando il limitare della Foresta Nera, - raccontò, - quando ci siamo imbattuti in un villaggio indiano quasi interamente ridotto in cenere. Loro due, - disse, accennando nuovamente alla ragazza e poi allo splendido giovane che, fiero e dritto, era in piedi al suo fianco, - sono gli unici superstiti. Si chiamano Quinn e Jeremiah. So che disturbo già fin troppo fastidiosamente la vostra quiete anche da solo, - chiese con aria afflitta, - ma Burt, posso abusare ancora della vostra pazienza e chiedervi di ospitare anche questi due giovani, finché non si saranno rimessi e non sia stato possibile decidere del loro destino?
Burt lanciò un’occhiata perplessa ai due sconosciuti, ma non seppe resistere allo sguardo fiero ma provato del giovane, né all’espressione stanca e addolorata che la ragazza manteneva intatta nonostante fosse ancora svenuta, ed annuì.
- Se avete deciso di tenerli con voi, principe Blaine, io li tratterò con lo stesso riguardo con cui tratto la Vostra Maestà. – assicurò con un breve inchino. Blaine gli rivolse un sorriso colmo di gratitudine, stringendo le sue mani fra le proprie, incurante di quanto fossero sporche.
- Siete l’amico più caro che possiedo. – disse commosso, e si limitò ad un altro semplice cenno del capo in direzione di Kurt, passandogli davanti, quando Burt lo pregò di seguire Artie nel suo laboratorio, portando i due ospiti con sé, sperando che il medico potesse fare qualcosa per aiutarli.
In un qualsiasi altro momento, Kurt si sarebbe offeso per quella palese mancanza di attenzione, o si sarebbe preoccupato per ciò che un simile disinteresse avrebbe potuto implicare, ma in quel momento la distanza posta dal principe fra se stesso e lui non fece altro che rincuorarlo e farlo sentire protetto. Non gli interessava molto di tutto il trambusto che stava accadendo, e d’altronde era abbastanza certo che nessuna stupida strega si nascondesse nel folto di quella foresta talmente intricata e ricca di bestie feroci da rendere impossibile la vita per chiunque, e men che meno lo intrigava l’idea di avere altri nuovi ospiti alla villa, visto che quella di ospitare i viandanti era ormai una consuetudine, ma dopo quello che era successo nella stalla non sarebbe riuscito a reggere lo sguardo di sua maestà se fosse stato appassionato e ardente com’era stato prima della partenza, e perciò fu silenziosamente grato a quel cumulo di sciocchezze e leggende e casualità coinvolgenti villaggi indiani rasi al suolo da forze misteriose, perché permettevano alla mente ed al cuore del principe di intrattenersi abbastanza da non avere attenzione in più sufficiente da poterne dedicare anche a lui.
- Kurt? – lo chiamò suo padre, avvicinandosi a lui e guardandolo con una certa apprensione dopo aver osservato il proprio figlio maggiore scomparire assieme al seguito del principe alle spalle del medico della villa, - Figliolo, è tutto a posto? Sei incredibilmente pallido.
- Io… - mormorò lui in risposta, passandosi una mano sulla fronte e su una guancia, trovando la prima scottante e la seconda gelida in modo decisamente innaturale. Tutta la sua pelle era coperta da una sottile patina di sudore freddo, e si sentiva come stesse lì lì per svenire. - …no, credo di non sentirmi bene, padre. – deglutì, socchiudendo gli occhi.
Burt gli si avvicinò ulteriormente, sorreggendolo per le spalle.
- È successo forse qualcosa? – domandò con evidente preoccupazione, ma Kurt si affrettò a scuotere il capo, negando decisamente.
- Credo di essere solo un po’ stanco. – mentì, cercando di reggersi sulle proprie gambe, - Non vi offenderete, padre, se mi ritiro nelle mie stanze, per oggi, vero? – chiese con aria supplice, sollevando gli occhi umidi e arrossati nei suoi.
- Naturalmente no. – lo rassicurò Burt, abbracciandolo stretto per qualche secondo, - Vuoi che ti faccia portare la cena in camera, come al solito?
- No, vi prego. – scosse il capo Kurt, avviandosi verso il portico, - Date ordine di non disturbarmi. Preferisco riposare fino a domattina.
Non attese di vedere suo padre annuire a quella richiesta: sapeva già che la sua volontà sarebbe stata rispettata. Suo padre non lo aveva mai viziato troppo; anzi, se pure – potendosi permettere di trattarlo come una figlia – si era concesso di lasciargli passare qualche capriccio quando era ancora un bambino, non aveva mai perso di vista la sua vera natura, ed aveva pertanto sempre tenuto presente il fatto che, in quanto maschietto, necessitasse per essere educato di una dose di rigore molto maggiore di quella che si sarebbe riservata usualmente ad una femminuccia, per sua natura più incline ad obbedire agli ordini paterni. Ciononostante, pur essendo sempre stato un padre severo, era sempre stato anche un padre buono e giusto, premuroso e comprensivo quando non addirittura accondiscendente, e non aveva mai fatto mancare a Kurt niente di ciò di cui aveva bisogno, fosse del sostegno, del semplice affetto o anche la possibilità di mandare all’aria le etichette e quello che il suo ruolo avrebbe preteso da lui, per concedergli di prendersi un po’ di tempo per se stesso.
Entrando in camera propria ed abbandonandosi per qualche secondo di spalle contro la porta, Kurt inspirò ed espirò profondamente, ringraziando suo padre per essere com’era, dal momento che un altro padre probabilmente non gli avrebbe mai permesso di sparire prima di cena, senza neanche passare a salutare gli ospiti prima di andare a dormire, specialmente dal momento che si trattava di ospiti così importanti. Gli dispiaceva sapere perfettamente che suo padre avrebbe passato le prossime ore a scusarsi per la sua assenza inventando malori ben più gravi di un moto di stanchezza per giustificarla, e se gli fosse stato possibile l’avrebbe di certo sollevato da un’incombenza simile, ma la sola idea di vedere tutta quella gente ed incontrare anche solo per sbaglio lo sguardo del principe era per lui già troppo per poter essere tollerata.
Si scostò a fatica dalla porta, muovendosi verso il letto in un paio di passi zoppicanti. La caviglia faceva adesso perfino più male di quanto non avesse fatto quando era quasi caduto da cavallo – e solo il pensiero di quel momento bastò a riportare in superficie il calore delle braccia di Dave strette attorno al suo corpo, l’odore forte, così maschile e prepotente, che si emanava dal suo petto, e Kurt chiuse gli occhi, lasciandosi scivolare lentamente sul materasso.
Continuò a tenerli chiusi mentre il canto sottile e melodioso di Pavarotti si diffondeva nel silenzio perfetto della sua camera, e nonostante volesse con tutte le sue forze urlargli di stare zitto, di smetterla di ricordargli l’enormità del suo crimine annegando il suo cuore in un oceano di dolci rimpianti, non lo fece. Rimase immobile, e così com’era, in qualche minuto, si addormentò.
* Aprì gli occhi nel silenzio della notte, non avrebbe saputo dire quante ore dopo. La luna era alta nel cielo, perfettamente inquadrata dalla cornice della sua finestra, bella come un dipinto. Pavarotti, tutto rannicchiato su se stesso, con la testolina rotonda incassata fra le ali e schiacciata contro il petto paffuto e morbido, riposava placidamente, come avrebbe voluto continuare a fare anche lui.
Mugolò insoddisfatto, cercando di capire cosa l’avesse svegliato. Aveva soltanto la sensazione di aver percepito qualcosa, un disturbo insistente e aritmico, che gli aveva impedito di continuare a dormire. Fu solo quando riuscì finalmente a mettere per bene a fuoco tutto l’ambiente che lo circondava che si rese conto che qualcuno stava bussando alla sua finestra. Il che era impossibile, a meno che chiunque stava bussando non fosse dotato di ali.
Si alzò lentamente, avvicinandosi al vetro un passo dopo l’altro, e gli saltò il cuore in gola quando vide che l’uomo in equilibrio sul suo davanzale altri non era che Dave.
- Oh, mio Dio! – esalò, portando entrambe le mani al viso in un gesto sconcertato, - Ma cosa ci fate lì?!
- Aprite! – disse Dave, la voce attutita dallo spessore del vetro, continuando a bussare piano.
- Oh, cielo! – continuò a sospirare lui, confuso e improvvisamente accaldato, - Oh, per carità, ma cosa vi è saltato in testa?! Avreste potuto cadere di sotto e morire! – sfilò il ferro e spalancò le imposte, allungandosi ad afferrare immediatamente l’uomo per le spalle perché non perdesse l’equilibrio, e premurandosi di trascinarlo all’interno della stanza il più in fretta possibile. – Voi siete pazzo! – aggiunse per sovrapprezzo quando Dave fu al sicuro, seduto sul pavimento di camera sua, col fiatone e lo sguardo perso di chi in prima persona non si capacita di cosa sia riuscito a fare.
- Voi… voi mi dovete una spiegazione. – disse quindi l’uomo, ritrovando una parvenza di compostezza ed alzandosi in piedi per fronteggiare Kurt da una posizione più favorevole. Gli puntò un dito contro, mentre Pavarotti, disturbato dal chiacchiericcio, sollevava il capino piumato, guardandosi intorno con aria smarrita. – Cosa è successo in quella stalla?
Kurt spalancò gli occhi, sconvolto.
- Cosa?! – quasi strillò, ricordando solo in ritardo di dover stare attento al volume della propria voce, - Voi mi avete baciato! – aggiunse in un sibilo astioso, piantandogli un indice nel mezzo del petto e spingendolo ad indietreggiare verso la porta, - Questo è successo!
- Nossignore. – ribatté Dave, afferrandogli la mano e togliendosela di dosso per ricominciare a incombere su di lui, costringendolo ad indietreggiare come Kurt aveva appena fatto nei suoi confronti, - Io vi ho baciato, d’accordo, ma non è quello il punto!
- Ah, davvero? – sbottò Kurt, cercando di liberarsi della sua stretta senza però riuscirci, mentre Pavarotti cinguettava incerto alle loro spalle, - E quale sarebbe il punto?
- Che voi avete ricambiato il bacio! – rispose Dave con ovvietà, lasciandolo andare, infastidito dal suo continuo dimenarsi, ed allargando le braccia ai lati del corpo in un gesto per metà rassegnato e per metà semplicemente sbigottito dalla sua ottusità.
- Un tragico errore. – esalò Kurt, cupo, portando una mano alla fronte e distogliendo lo sguardo, - Che mi premurerò di non ripetere mai più!
- Ah. – sibilò Dave, irritato, irrigidendo le braccia lungo i fianchi, - Non sembravate di quest’opinione, mentre gemevate fra le mie braccia.
- Io non gemevo affatto! – strillò il ragazzo, indietreggiando oltraggiato ed arrossendo vistosamente, - Sono tutte menzogne!
- Oh, no, non lo sono per niente! – insistette Dave, avanzando verso di lui. Kurt gli girò attorno, consapevole di essersi avvicinato troppo alla finestra, e Dave si voltò immediatamente a cercare i suoi occhi, le sopracciglia corrugate e tutti i lineamenti del volto tesi in uno spasmo nervoso. – Ebbene?
- Voi siete pazzo. – ribadì Kurt, serio e freddo, - Non ho idea di cosa vi siate messo in testa, ma quello che è successo è stato un errore, ve l’ho detto e ve lo ripeto. E non dovrà mai più verificarsi.
- Nient’affatto, signorina. – disse, calcando il tono sull’ultima parola, mentre Kurt inorridiva, le guance che si arrossavano ancora più violentemente per la vergogna e l’offesa, - Bisogna essere in due per stabilire queste cose, e se permettete io non ho ancora detto la mia.
- Voi siete… siete un individuo gretto e meschino! – sbottò Kurt, indicandolo sgomento.
- Oh, non ricominciate, adesso. – sospirò Dave, sollevando uno sguardo supplice al soffitto.
- Ma è la verità! – ribadì il ragazzo, gli occhi pieni di lacrime, - Siete orribile e maleducato, e come osate entrare qui in camera mia, di notte, e darmi della signorina, e trattarmi come se fossi— come se fossi una donna di malaffare?! Se anche ci fosse stata per voi una minima speranza, signore, adesso non avete che da dimenticarmi, perché mai i miei occhi incroceranno un’altra volta i vostri, se non per disprezzarvi!
- Non potete prendermi in giro. – disse Dave a bassa voce, per niente spaventato dai suoi rimproveri, riducendo al minimo le distanze fra loro e stringendogli i polsi fra le mani per impedirgli di spingerlo lontano da sé, - Io ero qui, in questa stanza, quando vi ho baciato la prima volta. E voi eravate lì con me. Come prima, nella stalla.
- Voi siete pazzo. – piagnucolò un’altra volta Kurt, agitandosi per cercare di farsi lasciare, - Andatevene! Io vi odio, non ero da nessuna parte, né prima, né dopo! Vi odio, voi mi disgustate!
- Kurt. – lo chiamò Dave a bassa voce, - Ascoltami—
- No! – strillò il ragazzo, spalancando improvvisamente gli occhi e recuperando abbastanza forze per piantargli entrambe le mani contro il petto e spingerlo ad allontanarsi, - Non osate! Non osate darmi del tu! Voi non siete niente! – lo spinse violentemente, - Non siete nessuno! – lo spinse ancora, - Siete solo una macchia che non posso cancellare, ma terrò ben nascosta, e mi vergogno di esservi stato vicino abbastanza da permettervi di immaginare chissà che, ma state ben certo, - concluse, riprendendo a spingerlo con violenza sempre maggiore verso la finestra, - che una tale occasione non vi sarà data una seconda volta! Lasciatemi in pace! – e così dicendo, lo spinse per l’ultima volta.
Le gambe di Dave urtarono contro il basso davanzale della finestra, e Kurt lo osservò inciampare e sporgersi pericolosamente verso l’esterno mentre l’espressione del suo volto si tramutava istantaneamente da rabbiosa a sconcertata, ed allungò entrambe le braccia verso di lui, strillando “no!” e afferrandolo per il bavero del gilet che indossava. Dave si aggrappò a lui con tutte le proprie forze, cercando di recuperare l’equilibrio per non cadere di sotto, ma nel farlo urtò inavvertitamente la gabbietta di Pavarotti, con una tale spaventata violenza che i sottili fili che la tenevano legata al davanzale si strapparono; priva del suo sostegno, la gabbia oscillò sulla propria base e in un battito di ciglia precipitò di sotto, mentre Pavarotti strillava per l’ultima volta, prima di schiantarsi al suolo.
Dopo che la sua voce sottile si fu estinta per sempre, la notte piombò nuovamente nel silenzio più oscuro e pesante, interrotto soltanto dall’ansimare convulso e spaventato di Dave e Kurt che, ancora aggrappati l’uno all’altro, si fissavano negli occhi. Fu Kurt il primo a muoversi, lanciando un grido inorridito talmente forte da far tremare i vetri.
- Pavarotti! – strillò, strattonandosi via di dosso Dave per correre al davanzale e guardare giù, - Oh, mio Dio, no! No!
Dave si alzò subito in piedi, avvicinandoglisi, gli occhi pieni di paura.
- Kurt, non urlate! – cercò di fermarlo, tappandogli la bocca, ma Kurt si divincolò velocemente, allontanandosi da lui e rintanandosi in un angolo della stanza.
- Andate via! Via! – strillò, il volto inondato di lacrime. Dave tese un braccio verso di lui e provò ad avvicinarsi, ma la casa si stava già riempiendo delle luci delle lampade ad olio, e lo scalpiccio di parecchi passi era già in avvicinamento verso la porta chiusa, perciò, pur se a malincuore, scavalcò il davanzale e ridiscese giù per la grondaia lungo la quale era salito fin lì, perdendosi presto nei cespugli oltre la siepe.
* Rachel scelse volontariamente di non farsi coinvolgere dal trambusto che percepì giungere dalla camera del signorino Kurt. Aveva osservato attentamente il comportamento del giovane signor Finn da quando era rientrato, portando con sé quella giovane sconosciuta, ed il vederlo così inspiegabilmente preso da lei non aveva potuto fare altro che turbarla. Non avrebbe potuto dire di sentirsene propriamente gelosa – d’altronde, non aveva mai creduto che la relazione fra lei e il signor Finn potesse continuare in eterno, non fosse altro che per l’appartenenza a due classi diverse, che li teneva lontani ben più di quanto potesse tollerare di ammettere lui, con tutte le sue romantiche idee di avventura e uguaglianza tirate fuori dai poemi che amava leggere a suo fratello – ma allo stesso tempo avrebbe voluto poter dire di non esserne toccata neanche in parte, e invece così non era.
Se ne sentiva disturbata, e non riusciva a capire perché. Se non era per amore, né per gelosia, perché? Forse per gli occhi coi quali Finn guardava quella ragazza, per la luce abbagliante che sembrava brillargli nelle pupille. Aveva mai guardato lei in quel modo? Con tanto vivo e bruciante interesse? Qualcuno l’avrebbe mai guardata così?
Non era forse la gelosia in senso stretto ad urtarla, no, ma una specie di gelosia in senso più ampio, quello forse sì. In ogni caso, non si sentiva della disposizione d’animo adatta per star dietro alle stramberie del signorino Kurt: le sue dame di compagnia non avrebbero avuto alcun problema a gestirlo come sempre facevano, e lei sarebbe rimasta esattamente dove si trovava, seduta sulla panchina di legno appena fuori dalle mura della villa, dalla quale si poteva osservare l’enorme campagna che la circondava e la lunga via commerciale che, da ovest ad est, tagliava in due il paesaggio, passando a pochi metri dal cancello e perdendosi all’orizzonte, oltre le curve dolcissime delle colline.
Fu lì che il principe Jesse la raggiunse, sedendosi al suo fianco proprio mentre lei lasciava scivolare il pensiero lungo una china pericolosa, accarezzando con affetto l’idea di potere, un giorno, imboccare quella strada per andare via da lì.
- Dovreste essere a letto. – lo avvertì, - Sarete stanco, dopo il lungo viaggio.
Il principe le sorrise, anche se lei non mostrò di averlo visto o di essere in alcun modo intenzionata a voltarsi verso di lui.
- La stessa cosa si potrebbe voler dire di voi, Rachel. – commentò, e poi lasciò andare un verso frustrato e infastidito, - Dobbiamo proprio continuare con questa farsa del voi? È così irritante.
Rachel sorrise a propria volta, cercando anzi di trattenere le risate. I modi del principe erano così poco regali, e lei non ricordava abbastanza, di Carmel, per poter dire se fosse normale o se fosse lui ad essere particolarmente rozzo, nonostante il sangue blu.
- Vi sarei grata se continuaste, maestà, sì. – annuì, - Gli usi di questa terra, come vi ho detto, lo impongono.
- Gli usi di questa terra, come ho già provato a farvi capire, - sorrise lui, facendole il verso, - non mi riguardano. E non dovrebbero riguardare neanche voi. – Rachel non rispose, continuando a fissare l’orizzonte, e il principe prese il suo silenzio come un invito a proseguire. – Non intendo restare qui molto a lungo. – disse, - Questo luogo non mi piace. Non che abbia qualcosa di male in sé, s’intende, - ridacchiò, - ma tutti i luoghi smettono di piacermi, dopo un po’ di tempo. Mi è successo anche con la mia città natale, è naturale che mi succeda adesso con questo villaggio. Non esercita su di me alcuna attrattiva, se non quella della missione per uccidere la strega. Ed intendo partire subito dopo averla portata a termine.
- E per andare dove, maestà? – domandò alfine lei, prendendo in giro un po’ lui, e un po’ anche se stessa, per aver osato pensare quella stessa cosa solo pochi istanti prima, - Quale sarebbe il punto della partenza, se voi stesso avete detto che tutti i luoghi finiscono con l’annoiarvi, dopo un po’? Pensate davvero che possa esistere un luogo nel mondo così diverso da tutti gli altri da non annoiarvi anche se decidete di trascorrere lì tutta la vostra intera esistenza?
Il principe Jesse sorrise, contento di avere attirato la sua attenzione abbastanza da costringerla a rispondere.
- Il mondo è abbastanza grande da permettermi di evitare di pormi interrogativi simili. – disse, - La vita di un uomo è ben più breve del tempo che occorre per visitarlo tutto in ogni sua parte. Ma io intendo comunque provarci. – Rachel distolse lo sguardo, aggrottando le sopracciglia, sentendosi inspiegabilmente infastidita e sconfitta. Jesse sorrise ancora, chinandosi su di lei. – Mi piacerebbe potervi portare con me, quando tutto sarà finito. – le sussurrò teneramente, lasciandole un lieve bacio su una guancia. Rachel si allontanò immediatamente, voltandosi a fissarlo quasi con paura, sorpresa da quell’improvviso contatto.
Ciò che vide negli occhi di quell’uomo, un istante prima che lui si voltasse per allontanarsi, rientrando nella villa, la turbò.
Bruciava. Brillava.
La chiamava.
Ma lei non aveva alcuna intenzione di starlo a sentire.
* Se c’era una ed una sola cosa per la quale Kurt poteva dirsi contento, la mattina successiva, era la possibilità di nascondere il proprio volto dietro la veletta nera che aveva indossato prima di uscire dalla propria stanza, per presenziare al funerale del canarino. Era stato organizzato in fretta e furia, quindi non si sarebbe certo trattato di una cerimonia in grande stile, sicuramente non la cerimonia che il povero, innocente uccelletto avrebbe meritato, ma era tutto ciò che era stato possibile approntare per tempo, e Kurt non aveva intenzione di lamentarsi al riguardo.
Oltre il velo finemente ricamato che lo copriva fin sotto le labbra, il sole batteva impietoso, avvolgendolo interamente, attirato dai toni scuri della stoffa di cui il suo abito da lutto era composto. Era una veste accollata, abbottonata fino sotto al mento. Kurt soffriva incredibilmente il caldo, ma non si sarebbe sentito in grado di mostrare neanche un polso, in quel momento, tale era il cordoglio che provava. Indossava perfino i guanti, alti, fino a metà gomito, per evitare qualsiasi possibilità di mostrarsi meno che profondamente atterrito dalla propria perdita.
Pavarotti era stato un bravo canarino. Più di ogni altra cosa, però, era stato soprattutto una promessa. Non una promessa scritta, naturalmente, né una promessa di qualcosa di specifico, piuttosto la promessa di qualcosa che avrebbe potuto essere, un pensiero dolcissimo dal quale Kurt si era spesso lasciato accarezzare ascoltando il suo canto melodioso alla sera, prima di andare a dormire. Un pensiero che parlava di una vita futura felice, soddisfacente, ricca di amore, vissuta tra le eleganti stanze del palazzo reale, in compagnia del principe dei suoi sogni.
Per quanto sciocco potesse sembrare, aveva come l’impressione che, col canarino, fossero morte anche tutte le possibilità che aveva avuto di poter vivere felicemente per sempre col principe Blaine, a Westerville. Ed immaginava che questo brutto presagio fosse causato in parte anche dal fatto che, per quanto si ostinasse a cercare in giro fra tutti gli invitati che aveva in qualche modo costretto a presenziare al funerale, il principe non figurava.
- Sua maestà…? – domandò incerto, piegandosi appena verso Santana, immobile e stretta in un abito nero dalla foggia molto simile a quello che anche lui indossava, pur più spartano e privo di veletta. La ragazza mostrò qualche segno di insofferenza, sbuffando accaldata, prima di rispondergli.
- Vorrei non essere io a darvi questa notizia, - borbottò, - ma il principe non ha ritenuto fosse suo dovere presenziare al funerale. È a cavallo, signorino Kurt. Col giovane ospite che ha condotto con sé alla villa tornando dal suo breve viaggio ieri.
Kurt spalancò gli occhi, ritraendosi di scatto, come la donna avesse tentato di attaccarlo con un coltello. Una mano sul petto e l’altra rigida lungo il fianco, trattenne il respiro per un paio di secondi, prima di abbassare lo sguardo. Ecco che tutto si compiva, dunque, ecco che, morto Pavarotti, fin da subito il principe Blaine cominciava a disinteressarsi di lui. Doveva aver preso la morte del canarino come un’offesa personale, doveva aver creduto che l’uccello fosse morto perché lui non se n’era preso abbastanza cura, e questo doveva averlo convinto della sua assoluta inaffidabilità in quanto uomo, in quanto donna ed anche in quanto qualsiasi cosa stesse in mezzo alle due condizioni. Non avrebbe mai più voluto vederlo, e Kurt non avrebbe mai più avuto la possibilità di scrutare nelle profondità dei suoi occhi scuri e vedere brillare quella scintilla d’ammirazione, interesse e rispetto che sembrava già così lontana da assomigliare a un sogno.
Istintivamente, seguendo l’impulso inconscio che sempre l’aveva guidato verso suo fratello nei momenti di maggiore sconforto, allungò un braccio alla propria sinistra, cercando la mano di Finn da stringere. Non trovò niente, comunque. Non c’era nessuno, al suo fianco. Sospirando pesantemente, dopo aver ricordato che anche di suo fratello non aveva visto nemmeno l’ombra dalla sera precedente, si chinò un’altra volta verso Santana.
- E mio fratello? – bisbigliò fra i denti, irritato. Santana si inumidì le labbra, apparentemente molto innervosita dalla situazione in generale e dalle sue domande in particolare.
- A cavallo anche lui, signorino Kurt. – spiegò, - Con la giovane che lo accompagnava ieri.
Kurt aggrottò le sopracciglia, deluso e infastidito. Il sole era bollente, l’aria immobile, e la litania con la quale il prete del villaggio – coinvolto controvoglia in quella pantomima – stava accompagnando la sepoltura di Pavarotti suonava sempre più irritante, minuto dopo minuto.
Non poté che salutare con un sospiro sollevato la fine della funzione. Scivolò accanto alla montagnola di terriccio smosso che custodiva la piccola scatola di legno decorato all’interno della quale Pavarotti era stato sepolto, e vi lasciò cadere sopra il fiore bianco che teneva fra le dita, concedendosi un ultimo pensiero per la tragica fine incontro alla quale l’uccelletto era andato, prima di abbandonare il quadrato di terra circondato da cespugli all’interno del quale la funzione aveva avuto luogo.
Attraversò il cortile deserto, chiedendosi se sarebbe stato troppo sconveniente sbottonare almeno il colletto dell’abito, dal momento che più i secondi passavano più lui se ne sentiva soffocato, ma si risolse a mantenere la propria compostezza quando sentì risuonare una risata cristallina proveniente dai prati poco oltre il cancello della villa. Seguì quel suono, oltrepassando l’entrata e guardandosi intorno con circospezione, e si sentì quasi perso quando individuò il principe Blaine e suo fratello così presi a chiacchierare e cavalcare coi loro due ospiti da non accorgersi nemmeno di lui. Due uomini che, avrebbe potuto giurarlo, sarebbero riusciti ad individuarlo al primo colpo anche in una folla di migliaia di persone, due uomini che si erano sempre accorti della sua presenza anche solo dal suo profumo appena percettibile nell’aria, due uomini che avevano sempre messo da parte tutto il resto – Finn per tutta la propria vita, il principe da meno tempo, ma sicuramente non con meno intensità – per dedicarsi completamente a lui, ora sembravano averlo del tutto dimenticato.
Il principe Blaine sorrideva sereno e perso, guardando il giovane col quale era intento a cavalcare come non esistesse niente di altrettanto bello in tutto il mondo. Uno sguardo che Kurt poteva riconoscere con facilità, avendolo sentito addosso spesso prima che il principe partisse per la breve spedizione che l’aveva portato ai confini della Foresta Nera, e dalla quale era tornato con quel ragazzo. E Finn, Finn continuava a trattare quella ragazza bionda dai lineamenti angelici come fosse il tesoro più fragile e prezioso che avesse mai posseduto. Esattamente come usava trattare Kurt prima di incontrarla.
Li spiò a lungo, osservandoli ridere e scherzare in sella ai loro cavalli, e più i minuti passavano più percepiva qualcosa di oscuro e malvagio nascergli nel petto, e ingrandirsi fino ad inglobarlo tutto. Gelosia, tradimento, odio, fastidio. Digrignò i denti, distogliendo lo sguardo dallo spettacolo idilliaco che lo stava ormai nauseando, e voltò loro le spalle, ritornando verso il centro del cortile.
Non sapeva cosa fare. Per qualche motivo, in quel momento qualsiasi luogo sembrava inospitale, triste, doloroso. La propria camera, l’officina di suo padre, i giardini, le stalle, il lago poco oltre le mura, perfino quello stesso cortile in cui si trovava. Avrebbe voluto essere lontano da lì, a chilometri e chilometri di distanza. Solo e libero di continuare a sentirsi così disgustato da se stesso e da tutto il resto senza per questo dover sentire il pungiglione velenoso del senso di colpa conficcarsi dentro di lui con forza ogni volta che rivolgeva pensieri carichi d’odio al principe Blaine o a suo fratello.
Avrebbe preferito non dover vedere nessuno, ma se anche avesse voluto stilare una lista delle persone che, con molti sforzi, avrebbe potuto tollerare di incontrare in quel momento, lo stalliere di sua maestà sarebbe stato così in basso, in graduatoria, da non comparire nemmeno. Ed invece eccolo. Eccolo attraversare il cortile, riconducendo verso la stalla uno dei cavalli meno pregiati di sua maestà.
Kurt distolse lo sguardo, fissandolo in un punto imprecisato del pavimento ciottolato del cortile. Rimase immobile, incapace di muoversi, o di seguire la richiesta quasi disperata delle sue gambe, che lo imploravano di inghiottire la tristezza che provava al solo pensiero di tornare in camera propria, e correre immediatamente dentro casa.
Ascoltò il suono che gli zoccoli del cavallo producevano, sperando di sentirlo passare oltre entro pochi secondi, ma quando quel suono si interruppe all’improvviso seppe che non poteva più sfuggire al proprio destino, e che se non era scappato fino a quel momento non avrebbe più avuto occasione di farlo; perciò sollevò lo sguardo, cercando la figura di Dave e trattenendo il fiato con dolorosa difficoltà quando intravide l’espressione contrita che da un lato addolciva e dall’altro irrigidiva i tratti del suo viso.
- Cosa… - deglutì forzatamente, stringendo i pugni lungo i fianchi, quasi insopportabilmente teso. Dave era così vicino da togliergli quasi ogni barlume di lucidità, ed era imbarazzante sentirsi così solo per la sua vicinanza. – Cosa succede?
L’uomo si inumidì le labbra, guardando altrove per qualche secondo, prima di tornare a fissarlo negli occhi.
- Sono… sono molto dispiaciuto per quello che è successo. – bisbigliò, ed era evidente quanto pronunciare quelle poche parole lo affaticasse. – Per quello che ho fatto. – aggiunse, tornando ad abbassare lo sguardo, - Mi dispiace così tanto, Kurt.
Kurt spalancò gli occhi, nel sentirlo pronunciare ancora il suo nome. I ricordi della sera precedente in camera propria invasero la sua mente senza preavviso e senza permesso, riempiendolo di confusione. Tutta la paura, la rabbia, la tristezza, l’attrazione repressa che aveva provato nei suoi confronti tornarono a farsi sentire più vivide che mai, così travolgenti da renderlo quasi instabile sulle proprie stesse gambe, e nel momento in cui sentì la caviglia ancora dolorante pulsare violentemente, quasi volesse suggerirgli di accasciarsi su di lui e lasciarsi sorreggere dalle sue braccia, seppe in un istante che il suo corpo stava semplicemente cercando di avvertirlo.
Non c’era più alcuna ragione di combatterlo.
Abbassò lo sguardo, avvicinandosi a lui, e Dave si irrigidì pericolosamente quando percepì il suo dolce peso appoggiarsi sul suo petto, quelle mani così sottili e magre stringersi attorno al tessuto ruvido della casacca che indossava, e quel viso improvvisamente così spaurito e confuso che si sollevava appena, per cercare il suo sguardo.
- Portami via da qui. – sussurrò in un mezzo singhiozzo, mentre le mani di Dave si chiudevano con calore attorno alle sue, - Per favore.
Dave si concesse di restare a guardarlo solo per qualche secondo. Poi, lasciando scivolare le mani all’altezza della sua vita, lo issò sul cavallo già sellato. Meno di un minuto dopo, erano già in fuga, al galoppo, verso la foresta.
* La foresta si apriva lussureggiante e rigogliosa attorno a loro, carica di colori, profumi, suoni, giochi di luce, e tutte le meraviglie che la natura aveva potuto pensare nel mettere insieme ogni albero, ogni fiore, ogni foglia, ogni sasso ed ogni singolo filo d’erba perché il risultato fosse splendido, armonioso, bello come un dipinto ma allo stesso tempo vivido come solo la realtà poteva essere, ma di tutta quella bellezza così affascinante e travolgente né Dave né Kurt avevano contezza. Stretto al petto di Dave, Kurt mugolava e gemeva, le labbra premute contro quelle dell’altro uomo, le cui mani si chiudevano con forza attorno alla sua vita nonostante l’obbligo di dover reggere assieme a lui anche le redini, ma per quanto ancora provasse a guidare il cavallo attraverso i sentieri sempre più confusi e meno battuti della foresta era evidente che anche Dave avesse già da tempo perso interesse nei confronti di quella che poteva essere la strada giusta, preferendo concentrarsi sull’unica via che in quel momento avesse un qualche significato, per lui: quella umida e saporita che le labbra di Kurt tracciavano nel muoversi sopra le sue, nello schiudersi appena per accogliere la sua lingua e per lasciare che la propria rispondesse ad ogni carezza con lo stesso identico desiderio.
- Dave… - mugolò Kurt, allontanandosi da lui ed appoggiando sul suo petto le mani aperte – poteva sentire quanto forti fossero i suoi muscoli sotto la casacca che indossava, anche attraverso i pesanti guanti neri che ancora coprivano le sue dita – per invitarlo a fermarsi, - Non dovremmo…
- Dammi una buona ragione. – insistette l’uomo, chinandosi nuovamente su di lui e catturando le sue labbra con le proprie mentre il cavallo si fermava nei pressi di una radura, guardandosi intorno con aria stanca e impigrita dal caldo.
- Io non… - mugolò ancora il ragazzo, piegando il capo per evitare il bacio e finendo soltanto per esporre ai tocchi sempre più affamati delle labbra dello stalliere i pochi centimetri del proprio collo che spuntavano dal colletto abbottonato, mentre le sue mani calde provvedevano a sfilare dall’asola ogni bottone, liberandolo da quella stretta soffocante. – Io non dovrei, sono… sono promesso al principe.
- Non lo sei. – gli ricordò Dave, stringendo possessivo le mani attorno alla sua vita mentre tornava a coprire le sue labbra con le proprie, costringendolo ad un altro bacio affamato, umido e aperto.
- No, forse no… - ammise controvoglia Kurt, schiudendo gli occhi sulla radura. Il sole, filtrando attraverso le foglie sottili degli alberi, creava splendidi giochi di luce sul prato, il cui manto sembrava adesso così accogliente, così comodo. – Dave… - miagolò disperatamente, sentendo le mani dell’uomo scivolare lente sui suoi fianchi, dal basso verso l’alto, e poi soffermarsi appena sotto le curve dolci delle sue scapole, tirando alla cieca i fili che tenevano chiuso il corsetto. – Dave, no…
L’uomo lo baciò ancora, forzandolo a riportare l’attenzione su di lui. Si ritrasse quasi subito, pur rimanendogli abbastanza vicino da poter sfiorare le sue labbra con le proprie ad ogni respiro, ad ogni movimento, ad ogni parola.
- Voglio toccarti. – disse, mentre Kurt chiudeva gli occhi e tremava per la scarica di desiderio che la sua voce aveva scatenato dentro il suo corpo, - E so che lo vuoi anche tu. – aggiunse semplicemente, il tono appena più dolce, tornando ad annullare la distanza fra le loro bocche e coinvolgendolo in un altro bacio mentre smontava da cavallo, portandolo con sé. Kurt lo seguì, gemendo confusamente quando, scivolando lungo la sella per cercare di scendere senza dover smettere di baciarlo, cadde praticamente fra le sue braccia, stringendosi al suo petto e percependo il suo desiderio fra le cosce, così prepotente da tendere i pantaloni sull’inguine, così simile a quello che provava lui, che però, vergognosamente, teneva il proprio nascosto sotto l’ampia gonna a strati che indossava.
Era ancora vestito a lutto. E, per quanto inopportuno potesse sembrare, in realtà sembrava avere perfino senso. Aveva appena seppellito ogni possibilità di vivere il sogno della sua infanzia, d’altronde – sposare un principe, vivere in un castello, essere felice per sempre – per cui quale altro abito sarebbe stato più adatto di quello?
Lasciò che Dave lo adagiasse sull’erba, continuando a baciarlo come in un estremo tentativo di distrazione, anche se avrebbe voluto dirgli di non darsi pena, che non c’era niente che lui potesse fare per distrarlo da ciò che stava accadendo. Qualcosa di cui lui era estremamente, quasi dolorosamente consapevole. Qualcosa, dentro di lui, un pezzo di se stesso, un pezzo di ciò che era e che aveva resistito negli anni agli obblighi, ai cambiamenti, ad una delle condizioni più sfortunate che un ragazzo potesse ritrovarsi a vivere – quante volte s’era raccontato di essere perfettamente felice? Quante volte aveva sentito qualcosa pizzicare sotto le ciglia, e quante volte s’era ripetuto che quella tristezza immotivata e profonda sarebbe sicuramente sparita quando il suo sogno fosse diventato realtà? – morì in quel momento, quando le mani di Dave scivolarono sotto la sua gonna e, sollevandola centimetro dopo centimetro, percorsero le sue gambe in punta di dita, accarezzandolo lentamente. Quella parte infantile di lui che nonostante l’educazione e gli studi non aveva mai smesso di credere nelle favole, nel principe azzurro, nelle streghe e nei draghi, si frantumò e crollò in pezzi, sciogliendosi nel gemito libero ed estenuato che Kurt si lasciò sfuggire dalle labbra, gettando indietro il capo e schiudendo istintivamente le gambe quando la mano di Dave si chiuse ruvida e improvvisa attorno alla sua erezione, strofinandola con impazienza.
Non ci sarebbero stati principi, né castelli, e forse neanche un “e vissero per sempre felici e contenti”. Ed era magnifico che fosse così. Era magnifico sentirsi per la prima volta così libero di pensare, libero di sentire, libero di godere. Sollevò un braccio, appoggiando una mano alla nuca di Dave e tirandolo verso di sé per un bacio improvviso e affamato, gemendo ancora quando, nel movimento, Dave gli scivolò addosso, strofinando il proprio bacino contro il suo.
- Sì… - mormorò, esponendo il collo per invitare Dave a ricoprirlo di baci e piccoli morsi, - Sì, per favore.
Dave gemette a propria volta, tornando a baciarlo freneticamente sulle labbra mentre si sollevava, interrompendo il contatto fra i loro corpi per un tempo appena sufficiente a liberarsi dei propri pantaloni, tornando quasi subito a schiacciarsi contro di lui, muovendosi lentamente avanti e indietro, in cerca di un po’ di frizione, di un po’ di sollievo.
Kurt si morse le labbra, scivolando con la punta del naso lungo la curva del collo di Dave ed inspirando con forza quell’odore che l’aveva colpito fin dalle prime volte in cui si era ritrovato vicino a lui abbastanza da poterlo percepire. L’odore selvaggio della sua terra lontana, un aroma che sussurrava misteri alle sue orecchie, gli parlava di viaggi, avventure, nuove scoperte, e Kurt non aveva mai capito perché gli occhi di suo fratello Finn brillassero tanto alla sola idea di partire, ma adesso, fra le braccia di Dave, senza più nessun obbligo al quale adempiere che non quello di seguire il proprio istinto, sembrava tutto così emozionante, tutto così vivido.
- Ho paura che farà un po’ male. – sussurrò dolcemente Dave sulla pelle accaldata del suo collo, leccando via una gocciolina di sudore prima che si facesse troppo fastidiosa. Kurt annuì, chiudendo gli occhi e trattenendo il fiato, aspettandosi il peggio, e tornando a spalancarli e a lasciarsi libero di respirare quando si rese conto che Dave lo stava preparando con le proprie dita. Arrossì furiosamente, cercando le sue labbra per darsi qualcosa da fare, qualcosa a cui pensare per non dover prendere atto di quanto piacevoli fossero i suoi tocchi ruvidi ma attenti, e quando finalmente sentì premere la punta della sua erezione contro la propria apertura non poté evitare di concedersi un sospiro liquido e gonfio di desiderio e aspettativa.
- Non voglio più tornare a casa. – disse in un gemito, scivolando con entrambe le mani lungo la curva della schiena di Dave e soffermandosi lì dove quella stessa curva si faceva più stretta, invitandolo a muoversi più decisamente, - Non c’è più niente, lì, per me. Voglio fuggire via con te. – concluse con un mezzo sorriso un po’ perso, gli occhi semichiusi e brillanti di lacrime troppo piccole per poter sfuggire alla gabbia così fitta delle sue ciglia scure.
Dave gemette di gola, avanzando per un paio di centimetri dentro di lui ed affondando i denti nella carne tenera del suo collo quando Kurt lo espose, gettando indietro il capo in un urlo gonfio in egual misura di piacere e dolore.
- Quasi neanche mi conosci. – gli sussurrò addosso, accarezzando in punta di lingua la pelle resa arrossata e ipersensibile dalla pressione così famelica dei propri denti. Fra un gemito e un singhiozzo sorpreso, mentre Dave cominciava a muoversi più freneticamente dentro di lui, Kurt si concesse una risata senza fiato.
- Proprio per questo. – mugolò intenerito. E poi chiuse gli occhi, lasciando alle mani di Dave l’incombenza di guidarlo verso l’orgasmo.
* Steso a pancia in su, la testa comodamente appoggiata contro il petto nudo di Dave, già da almeno mezz’ora, fra una chiacchiera e l’altra, Kurt stava lasciandosi ipnotizzare dai meravigliosi giochi di luce che i raggi del sole producevano filtrando attraverso la cupola di fogliame verde brillante che il complicato intreccio di rami annodati disegnava sopra la loro testa, proteggendoli dall’asfissiante calura estiva. Lì nella radura, fra l’erba e i fiori, coccolati dall’ombra e dalla lieve brezza che spazzava il prato a intervalli regolari, si stava bene; perfino il lieve pizzicare delle formiche sulla loro pelle nuda non sembrava affatto fastidioso, e Kurt stesso era abbastanza convinto – perché gli era già successo in passato – che se si fosse trovato nel proprio giardino, sul dondolo, intento a leggere, ed una formica l’avesse morsicato, avrebbe reagito con stizza e fastidio, ritirandosi immediatamente nelle proprie stanze. Invece, in quel momento, con l’aria silenziosa della radura piena solo dei loro respiri e del tono soffice delle loro voci mentre chiacchieravano del più e del meno senza soluzione di continuità, tutto sembrava così incredibilmente dolce, così incredibilmente appropriato al loro stato d’animo, da non rappresentare neanche il più insignificante motivo di turbamento. Kurt se ne accorgeva dalla piega delle proprie labbra, dall’insistenza con la quale quel sorriso indomito e divertito si ostinava a piegarle, e ne era affascinato. Non si era mai sentito così felice, lui che pure aveva sempre creduto di vivere molto felicemente.
- Quindi non hai mai conosciuto tua madre? – chiese Dave, quasi con timore. Kurt sorrise fra sé, in parte anche per rassicurarlo sulla sua stessa tranquillità, nonostante l’indiscrezione della domanda.
- Era una schiava nomade, proprio come la madre di mio fratello. In questa regione, i nomadi sono preferiti agli stanziali, soprattutto per prendere servizio nelle magioni come quella di mio padre. Arrivano per la semina e si trattengono solo fino al raccolto, che poi è il motivo per cui sia io che mio fratello siamo nati in estate. – sorrise teneramente. – I signori preferiscono gli schiavi nomadi perché non gravano sul bilancio della famiglia per altri mesi che non siano quelli in cui lavorano i campi, e perché… be’, - aggiunse con una scrollatina di spalle, - perché le madri non portano con sé i figli, dopo averli partoriti. Per un paese nella situazione in cui si trova il nostro, donne come loro sono necessarie, se si vuole garantire un futuro ai nostri nomi. Non avanzano pretese, e non portano problemi.
- E tu non ne hai mai sentito la mancanza? – domandò premuroso Dave, accarezzandogli dolcemente i capelli. Kurt scosse il capo, anche se con estrema lentezza, per non sottrarsi a quel tocco.
- E i tuoi genitori? – domandò, piegando lievemente il collo all’indietro, per guardare Dave da sotto in su. Lui sorrise distante, rigirandosi una ciocca dei suoi capelli fra le dita.
- Ho vissuto quasi tutta la mia vita solo con mio padre. – rispose lui, - Mia madre è morta quando ero ancora molto piccolo. Ma la ricordo. Ne ricordo la voce e la presenza. – annuì, sorridendo lievemente.
- Dev’essere un pensiero doloroso. – commentò Kurt, guardando altrove per qualche secondo, ma Dave scosse il capo, attirando nuovamente la sua attenzione su di sé.
- È confortante, invece. Sapere che c’è qualcosa di lei che resta dentro di me, anche se lei non c’è più. – sorrise con calore, appoggiandogli una mano sul petto, proprio all’altezza del cuore. – Tu non conservi niente del genere, di tua madre? – domandò, e Kurt si voltò sullo stomaco, appoggiandosi nuovamente su di lui e lasciando che la mano di Dave scivolasse lungo la sua spina dorsale, fermandosi lì dove la curva della sua schiena lasciava il posto alla rotondità delle sue natiche.
- Finn, sai, lui ha sempre voluto viaggiare. – annuì, - Ha sempre sentito questa spinta indomabile verso terre sconosciute, ma ha sempre detto anche che non aveva alcuna intenzione di partire finché io non mi fossi sposato. – arrossì appena, abbassando lo sguardo, - Credevo che sarebbe finalmente successo, e questo avrebbe liberato entrambi, capisci cosa intendo? Io avrei vissuto il sogno della mia infanzia, ed anche lui. Ma ormai non credo che succederà mai. – sospirò. Dave si morse un labbro, sollevando una mano per accarezzargli il viso, e Kurt lasciò che lo facesse, ma al contempo lo rassicurò con un piccolo sorriso. – Non importa più, comunque. E il punto della questione era un altro. Quello che intendevo dire è che probabilmente è questa spinta per l’avventura e per il viaggio quella parte di sua madre che Finn porta dentro di sé. Ed io credevo di non averla, credevo di aver sempre vissuto solo per sposare un principe e vivere con lui per l’eternità, e invece… - un altro piccolo sorriso gli piegò le labbra, mentre lui lasciava la frase sospesa nell’aria quieta del pomeriggio nella foresta.
- E invece? – incalzò Dave, sorridendo a propria volta, e Kurt si lasciò sfuggire una risatina, coprendosi la bocca con le mani.
- E invece tutto ciò che voglio adesso è che tu mi issi su quel cavallo e mi porti a vedere il mondo. – concluse, chinandosi sulle sue labbra per un bacio lento, umido e un po’ pigro. – E sarà… - sollevò nuovamente lo sguardo, cercando con gli occhi il destriero che li aveva condotti fin là, e dischiuse le labbra in una smorfia stupita e atterrita quando non lo trovò. - …impossibile.
- Eh? – domandò subito Dave, gli occhi ancora chiusi e i lineamenti rilassati dal torpore che li aveva avvinti fino a quel momento. – Cosa sarà impossibile?
- Partire! – strillò Kurt, saltando in piedi e vagando per la radura in cerca del proprio abito, i cui numerosi e variegati strati di stoffa giacevano inermi e sfatti per tutto il prato, - Il cavallo è scomparso!
- Che? – domandò Dave, ancora confuso dagli avvenimenti delle ultime ore, voltando lo sguardo in giro e saltando in piedi a propria volta dopo essersi accorto di ciò che le parole di Kurt implicavano: erano soli, senza una cavalcatura e persi in mezzo alla Foresta Nera, ad ore ed ore di viaggio rispetto al feudo degli Hummel, ore che si sarebbero inevitabilmente trasformate in giorni se avessero dovuto percorrere quello stesso tragitto a piedi; erano privi di abiti adatti per viaggiare, privi di viveri, privi di armi da usare eventualmente contro gli animali feroci che, si diceva, a centinaia si aggiravano per la foresta, e privi anche di una mappa che indicasse loro come uscire da quel groviglio di alberi improvvisamente molto meno ospitale di quanto non sembrasse quando erano ancora entrambi distesi sulla schiena nell’erba. – Dobbiamo ritrovare il cavallo. – disse Dave, recuperando i propri pantaloni e indossandoli sbrigativamente. Non c’era molto altro che potessero fare.
- Ma potrebbe essere ovunque! – strillò Kurt, cercando invano di allacciarsi il corsetto, contorcendosi affannosamente, - Questa foresta è immensa, abbiamo perso il sentiero, e comunque dubito che il cavallo ne abbia seguito uno! Siamo condannati, moriremo qui e nessuno troverà mai i nostri corpi. – singhiozzò, coprendosi il volto con le mani.
- Cosa? – borbottò Dave, inarcando un sopracciglio, - No, nessuno di noi morirà. Che storia è questa?
- Certo che moriremo! – insistette Kurt, agitando le braccia sopra la testa mentre il nodo casuale con cui aveva stretto i lacci del corsetto si disfaceva inevitabilmente ad ogni suo movimento, - Senza cibo né acqua, senza un cavallo e persi in una foresta che pullula di bestie selvagge assetate si sangue? Quanto vuoi che si riesca a sopravvivere?! Oh, sventura! Non viaggerò mai oltre i confini del regno, non vedrò mai l’oceano, non visiterò mai l’antica ed elegante Europa! Meschina è la mia sorte, tragico il mio futuro! Mi si fa credere di avere una possibilità di vedere il mondo solo per poi uccidermi barbaramente lontano dai miei cari! Oh, me tapino! – gemette sconsolato, abbandonandosi per terra.
- Smettila! – strillò Dave, allucinato, avvicinandoglisi e tirandolo su di peso, scuotendolo violentemente per le spalle, - Stai delirando! Adesso ci addentreremo fra gli alberi e troveremo il cavallo. Non può essere andato troppo lontano, il terreno è pieno di radici e sporgenze, non è adatto al galoppo!
- E tu cosa ne sai?! – protestò Kurt, lasciandosi comunque maneggiare con disinvoltura e cercando di guardare Dave da sopra una spalla mentre lui gli riallacciava il corsetto con gesti rudi e piuttosto spicci, - E fa’ piano con questa roba, non è mica la sella di un cavallo!
- No, infatti sarebbe molto più facile se dovessi semplicemente sellarti e poi cavalcarti. – borbottò Dave, strattonando i lacci perché il corsetto aderisse bene al torso di Kurt.
- Non mi piace dove i doppi sensi di questa conversazione stanno andando a parare! – strillò oltraggiato, voltandosi immediatamente quando Dave ebbe finito di sistemarlo, - E non mi hai ancora detto in virtù di cosa dovresti essere tanto certo che il cavallo non si sia messo a galoppare fra le sterpaglie e le radici sporgenti!
- Perché sono uno stalliere! – tuonò a propria volta Dave, incapace di mantenere oltre la propria calma e cercando di afferrare Kurt per una mano, operazione resa impossibile dal fatto che il ragazzo continuava a gesticolare come si aspettasse di poter prendere il volo se vorticava le braccia abbastanza velocemente, - Il terreno è troppo accidentato per il galoppo, se davvero il cavallo si fosse messo a galoppare stai tranquillo che ne sentiremmo i nitriti di dolore da qui, perché si sarebbe anche spezzato una zampa per provarci!
- Occielo, magari è morto! – strillò terrorizzato Kurt, portando entrambe le mani ai lati del viso, mossa teatrale fino al fastidio quasi fisico, ma che Dave accettò di buon grado perché gli permise finalmente di poter visualizzare il proprio obiettivo da fermo, e lasciar scattare una mano ad afferrare la sua, centrando finalmente il bersaglio e stringendo le sue dita fra le proprie con forza mentre prendeva a trascinarlo verso il folto del bosco. – Magari è morto e troveremo il suo cadavere mentre lo cerchiamo! Non ho mai visto la carcassa di un animale! Non ho mai visto la carcassa di nessuno prima che tu uccidessi Pavarotti sotto il mio sguardo atterrito!
- Piantala di parlare come un libro stampato! – si lagnò Dave, strattonandolo violentemente e rischiando di spezzargli un braccio nel tentativo di farlo muovere più velocemente nonostante l’ampia gonna che gli impicciava i movimenti.
- Ahi! – si lamentò Kurt, tirando all’indietro come un cane ben deciso a rendere la vita impossibile al proprio padrone, - Sei sempre il solito bruto, non posso credere di essere qui con te, in questo momento! Voglio tornare a casa!
- E addio alla voglia di viaggiare in giro per il mondo. – sospirò teatralmente Dave, ricevendo in risposta da Kurt uno schiaffo in piena nuca.
- Non ti è permesso prendermi in giro! – lo rimproverò il ragazzo, - Anzi, ora che ci penso, questa è tutta colpa tua! Se tu non mi avessi sedotto—
- Io ti avrei cosa?! – sbottò Dave, voltandosi a guardarlo.
- Sedotto! – ribadì Kurt, allontanandosi da lui con uno strattone risentito, - E contro la mia volontà! Mi hai molestato ed è per questo che ora sono qui, perché mi hai confuso! Dovrei essere a casa a lavorare all’uncinetto aspettando devotamente che il principe si riprenda da questa cotta per quell’orribile ragazzo che ha portato con sé da quel villaggio devastato dalle fiamme!
- Io non ti ho sedotto, e se davvero preferiresti essere a casa a, che Dio mi perdoni, lavorare all’uncinetto!, piuttosto che essere qui con me, be’, allora dovresti semplicemente tornarci! – sbottò Dave, incrociando le braccia sul petto e guardandolo con astio.
- È esattamente quello che intendo fare! – concluse Kurt, risentito, - Non appena avremo ritrovato… il cavallo! – strillò quindi, il volto illuminato da un sorriso sorprendentemente improvviso, mentre scattava ad indicare un punto imprecisato dietro le spalle di Dave.
- Cosa? Dove? – chiese lo stalliere, voltandosi intorno ed identificando finalmente la placida figura del cavallo intento a brucare tenera erbetta nei pressi di un’alta siepe naturale di cespugli di more. – Ah! Eccolo. – disse con soddisfazione, avvicinandosi a grandi passi mentre Kurt, correndo come un bambino, lo superava, raggiungendo il cavallo ben prima di lui ed accarezzandogli il muso con calore, stringendolo fra le braccia. – L’avevo detto io che non poteva essere lontano.
- Hai visto, Dave? – cinguettò Kurt, deliziato, - Adesso possiamo andare dove vogliamo! Partiamo immediatamente!
- E dov’è finito il tuo brillante piano? – domandò Dave con un mezzo ghigno, inarcando un sopracciglio mentre incrociava le braccia sul petto.
- Piano? – chiese a propria volta Kurt, schiudendo gli occhi e guardandolo con sincera curiosità mentre continuava ad accarezzare devotamente il muso dell’animale, - Quale piano?
- Tornare a casa, fare la calza per il tuo principe aspettando che si innamori nuovamente di te… - gli ricordò Dave, il ghigno che si apriva ancora un po’, con palese divertimento. Kurt sbuffò, distogliendo lo sguardo.
- Ho cambiato idea. – concluse, - E poi… - si interruppe all’improvviso, aggrottando le sopracciglia ed aguzzando lo sguardo come se la sua attenzione fosse appena stata attirata da qualcosa di strano e particolare. – Ma cosa… - mormorò, appoggiandosi ad uno dei cespugli, stando bene attento a non ferirsi con le spine, e scostandone delicatamente le fronde per guardare oltre. – C’è una casa, qui.
- Come? – chiese Dave, aggrottando le sopracciglia ed abbassandosi per poter spiare attraverso lo spiraglio che Kurt aveva aperto nel fogliame. – È vero, e sembra anche abitata, guarda la finestra aperta, e guarda il comignolo, ne esce del fumo. Una casa di caccia, forse?
- Nessuno viene a caccia nella Foresta Nera, - rispose Kurt, scuotendo il capo, - hanno tutti troppa paura della strega. È ridicolo. – sbottò con disappunto, - Uno si aspetta che, avendo la scuola più rinomata di tutto il paese entro i confini del feudo, almeno la gente di queste parti sia colta abbastanza da— ssh, arriva qualcuno! – si interruppe all’improvviso, schiacciando una mano contro la bocca di Dave.
- Ma eri tu che stavi parlando! – protestò Dave, abbassando la voce per non fare troppo rumore e parlando contro il palmo della mano di Kurt, prima di notare anche lui con la coda dell’occhio il movimento che aveva insospettito il ragazzo al punto da schiacciargli quella mano sulla faccia.
La porta della casa si aprì con un cigolio sinistro, ed una donna avvolta in un lungo mantello di acetato rosso si soffermò sulla soglia, guardandosi intorno con estremo fastidio e disappunto.
- Becky! – strillò, - Dove diavolo sei?!
Non passarono che pochi secondi, prima che un folletto con una stramba divisa addosso, un corto caschetto biondo e un paio di occhiali tondi sul naso, si presentasse al suo cospetto, inchinandosi con sussiego.
- Non so come scusarmi. – disse contrita. Le labbra della donna si piegarono in una smorfia.
- Non sei riuscita a trovarli? – chiese, camminando nervosamente avanti e indietro, le braccia incrociate sul petto.
- No, mia signora. – confessò il folletto, - Ne ho perso le tracce nei pressi di una radura. Il loro cavallo è fuggito, comunque, non passerà molto tempo prima che i lupi li sbranino. La notte è vicina.
- Sciocca! – la rimproverò la donna, afferrando uno dei vasi da fiori vuoti che decoravano sinistramente il davanzale di una delle finestre, e scagliandolo a terra con improvvisa violenza, riducendolo in frantumi, - Non possiamo rischiare che il mio nascondiglio venga scoperto! Mai alcun essere umano si era addentrato all’interno della Foresta Nera, in più di cento anni, e tu ora mi dici che hai perso le tracce dei due intrusi?!
- Sono mortalmente dispiaciuta, mia signora. – piagnucolò il folletto, facendosi sempre più piccolo, accucciato com’era per terra, - Cercherò ancora!
- Sarebbe completamente inutile! – tuonò ancora la donna, afferrando un altro vaso e scagliando per terra anche quello, - Mai lasciar fare a un folletto il lavoro di una strega. – aggiunse astiosa. Da dietro i cespugli di more, Dave e Kurt trattennero il respiro, increduli. – Un incantesimo di localizzazione dovrebbe fare al caso mio. Ci metterò almeno tre ore, ma vista la tua incompetenza è necessario.
- Chiedo perdono, mia signora. – ripeté il folletto sempre più contrito, - Andrò a perlustrare dalle parti della cascata, forse lì…
- Ma dove vuoi andare, dove?! – la rimproverò la donna, afferrandola per un orecchio, - Vieni con me e dammi una mano con l’incantesimo! – sbottò, trascinandola dentro casa e chiudendosi la porta alle spalle.
Quando fu sparita, il silenzio tornò ad impadronirsi della foresta, e Kurt si sentì finalmente libero di abbassare la mano che ancora teneva premuta contro le labbra di Dave. Entrambi respiravano pesantemente, e fu Dave il primo ad allontanarsi, recuperando il cavallo per le redini e stringendo Kurt per un braccio, spostando entrambi verso un luogo più sicuro.
- Dobbiamo andarcene. – disse, - Scappare il più lontano possibile. La strega è reale. Esiste davvero.
- Io non posso crederci… - balbettò Kurt, scosso, - Sono solo fantasie da ragazzini, non… non è mai esistita nessuna strega!
- Mi pare evidente che le tue fantasie da ragazzino sono ben più reali di quello che pensavamo! – insistette Dave, continuando a trascinare sia lui che il cavallo per la strada che, dalla radura, li aveva condotti fin lì. – Kurt, - aggiunse più dolcemente, - dobbiamo lasciare la foresta, subito, prima che la strega ci trovi. E poi potremo abbandonare il paese. Viaggiare, come vuoi tu! Ti porterò dovunque tu voglia, ma adesso andiamo.
- No! – disse Kurt improvvisamente, puntando i piedi per terra, - Non capisci? Se la strega è reale, allora lo è anche la maledizione! Il motivo per cui non nascono più bambine in questo paese… - gemette appena, quasi sopraffatto da quanto aveva sentito negli ultimi minuti e da ciò che queste informazioni implicavano per lui e per tutti gli abitanti del feudo. – Non possiamo andare via senza dire niente a nessuno! – disse poco dopo, aggrappandosi alla camicia di Dave e strattonandolo appena, - Dobbiamo tornare da mio padre, parlare con quel cacciatore di streghe, rivelargli il luogo dove la strega è nascosta! E poi potremo partire.
- Kurt… - sospirò Dave, stringendo le proprie mani attorno alle sue e guardandolo con occhi tristi, - Se torniamo da tuo padre adesso, se la tua famiglia scopre quello che abbiamo fatto, perché eravamo nascosti nella foresta… partire sarà impossibile.
Kurt indietreggiò, preso alla sprovvista. Non aveva considerato la situazione da questa prospettiva, e doveva ammettere che l’idea di dover tornare a casa e raccontare tutto a suo padre, a suo fratello e al principe lo turbava non poco. Ma non poteva lasciare che le sorti della sua patria fossero decise dalla sua codardia.
Stringendo i pugni lungo i fianchi, si avvicinò a Dave un passo dopo l’altro, e poi si sollevò sulle punte, tenendogli dolcemente il viso fra le mani e baciandolo a fior di labbra.
- Ti prometto che troveremo un modo per risolvere la situazione. – disse piano, soffiando appena sulla sua pelle umida, - E partiremo insieme. Ma prima dobbiamo dire a tutti della strega… e anche di noi due. – aggiunse, annuendo timidamente.
Tutti i lineamenti del volto di Dave si tesero per un secondo, la preoccupazione e la paura così evidenti da danzare freneticamente nei suoi occhi scuri, obbligando il cuore di Kurt a battere con violenza nella gabbia fragilissima del suo petto, in attesa della sua risposta. Che giunse in un sospiro, in un bacio ricambiato ed in una breve carezza su una guancia, prima di saltare in sella al cavallo e dirigersi al galoppo verso la magione degli Hummel.
* - Non fate che correre da un lato all’altro della villa. – commentò il principe Jesse, affiancandola lungo il corridoio centrale che, dalle cucine, portava alla porta d’ingresso e quindi al cortile, - L’atmosfera rilassata che circonda questa casa non sembra neanche sfiorarvi.
- Perdonatemi, maestà, ma non ho tempo di intrattenermi in chiacchiere con voi. – rispose Rachel, nervosa e dura, proseguendo nella sua marcia verso l’esterno della dimora degli Hummel, - L’atmosfera rilassata di cui parlate sta mandando il feudo in rovina. Vi siete guardato intorno, nelle ultime ore?! – insistette, fermandosi all’improvviso e voltandosi a guardarlo, sconvolta da quanto placidamente lui sorridesse, come se le ultime vicende non lo avessero minimamente sfiorato. Cosa che, d’altronde, sarebbe stata giustificabile per lui, ma non lo era altrettanto per tutti gli altri abitanti della casa, che versavano in condizioni più o meno simili, senza eccezioni. – La gente si aggira per la proprietà come se non avesse memoria delle proprie mansioni! Nessuno si occupa dei lavori manuali! Giungo adesso dalla cucina dove ho cercato per mezz’ora di convincere le cuoche a preparare la cena senza risultati! Il principe Blaine e il signor Finn non fanno che correre dietro quei due individui alla cui sola vista chiunque sembra cadere in una trance o chissà che altro maleficio, e il signorino Kurt è scomparso! – si interruppe per prendere fiato, scuotendo il capo, sconsolata. – Come fate a non accorgervene, proprio voi? È chiaramente l’opera di una strega.
- Oh, andiamo, Rachel. – ridacchiò il principe, allungando una mano e stringendo con forza le proprie dita attorno al braccio sottile della ragazza, trattenendola, - E voi sareste l’unica immune al sortilegio? E perché mai dovreste esserlo?
- Non ne ho idea, signore. – borbottò lei, tirando appena per costringerlo a lasciarla, senza però ottenere i risultasti sperati, - Ma mi sembra l’unica spiegazione plausibile.
- L’unica spiegazione che invece sembra plausibile a me, Rachel, - insistette il principe, rafforzando la stretta attorno al suo braccio, - è che voi non ne possiate più di vivere in questo luogo. – concluse con un sorrisetto soddisfatto, come avesse appena risolto chissà che intricato dilemma.
- …come, prego? – domandò Rachel, inarcando un sopracciglio. Lui sbuffò compiaciuto, lasciandola finalmente libera di muovere il braccio e scrollando altezzosamente le spalle.
- Ma sì, - annuì, - questo feudo è ormai troppo pacifico, per te. Una viaggiatrice, un’avventuriera come te, una guerriera, come tutte le donne del nostro popolo, non può davvero sopportare una vita così noiosa e abitudinaria. Io posso capirlo, Rachel, l’ho capito dal nostro ultimo incontro, quella notte. – aggiunse, avvicinandosi a lei e sorridendole fascinosamente, - Posso capirlo, perché io sono uguale. Perfino il trono di Carmel non è stato abbastanza per saziare la mia sete di imprese ed avventure. Vieni con me, Rachel! – la invitò, stringendole una mano fra le proprie, - Partiamo! Alla volta dell’ignoto! Alla ricerca di luoghi che ci offrano sfide, battaglie, magari un vero scontro con una vera strega!
- C’è una vera strega anche qui, maestà! – sbottò Rachel, ritirando la mano e riprendendo a marciare decisa verso il cortile, - Siete cieco, anche voi, come tutti gli altri! Reso sordo da un qualche stupido sortilegio! – sbuffò ancora, annoiata. – Perdonatemi, ma non ho davvero tempo di star dietro alle vostre fantasie, principe Jesse. Devo ancora approntare i tavoli per la cena e poi inseguire ogni singolo abitante di questa villa per convincerlo a nutrirsi. Se volete scusarmi… - concluse in un mezzo inchino, che non poté mai completarsi perché dal cortile cominciarono improvvisamente a giungere strani rumori, dapprima solo confusi e martellanti, e poi sempre più violenti, fino ad esplodere in un gran fracasso. – Ma che…? – si domandò, prima di aumentare il passo e dirigersi spedita verso l’esterno della casa. Il principe Jesse, nonostante si sentisse ancora abbastanza spensierato da pensare automaticamente che non potesse trattarsi di niente di così grave, la seguì, mantenendosi a pochi passi di distanza.
- Tutto ciò è inammissibile! – stava strillando il signorino Kurt, mandando all’aria enormi secchi pieni di granaglie con la sola forza delle proprie striminzite braccina, nel più totale disinteresse dei pochi presenti in cortile, - Perché nessuno mi ascolta?! Oh, ma quando riuscirò a convincere mio padre a darmi retta, la vedrete!
- Kurt! – strillava… era lo stalliere del principe Blaine, quell’uomo che continuava ad inseguire Kurt ovunque, cercando di placarlo, mettendogli inappropriatamente le mani addosso e dandogli del tu senza che ce ne fosse un apparente motivo? – Kurt, per l’amor del cielo, calmati! Ma cosa diavolo stai combinando?!
- Nessuno mi ascolta! – strillò Kurt per tutta risposta, rovesciando un ripiano in legno ricoperto di pannocchie, - Mio padre vegeta sorridendo beatamente ad un garofano e millanta di stare osservando la di lui crescita istante dopo istante! Mio fratello giace nella paglia della stalla in compagnia di quella stupida gallina bionda che ha portato con sé dal sopralluogo di quello stupido villaggio indiano, e il principe Blaine! – la sua voce di sollevò di un paio di ottave, oltraggiata e sconcertata, - Il principe Blaine nuota placidamente nel lago abbozzando coreografie casuali per far contento quell’orrendo giovanotto che lo guarda divertito dalla riva! Tutto ciò è assurdo! Ed io che vado in giro parlando della strega e recando notizie di sventura che potevo anche risparmiarmi di riportare, vengo ostentatamente ignorato!
- Signorino Kurt! – urlò Rachel per richiamare la sua attenzione, correndogli incontro, - Siete tornato!
- Rachel! – la chiamò a propria volta il ragazzo, ancora ansante, voltandosi verso di lei, il volto istantaneamente illuminato da un barlume di sollievo, - Vi prego di ascoltarmi e di non impegnarvi in qualche insulsa attività come se fosse la cosa più importante che abbiate mai fatto nella vostra vita!
- Signorino Kurt, non dite sciocchezze. – lo rimbrottò lei, sbuffando appena e piantando entrambe le mani sui fianchi, - Piuttosto, dove eravate finito? Qui sta succedendo qualcosa di molto, molto strano, ed io vi sto cercando da ore!
- Me ne rendo conto. – annuì il ragazzo, - Sembrano tutti sotto ipnosi, vagano come sonnambuli sorridendo per sciocchezze e agendo come dissennati! Perché?
- La vostra dama è convinta che si tratti del sortilegio di una strega. – ridacchiò Jesse, apparendo alle loro spalle, - Non è ridicolo?
- Sentir dire qualcosa di simile proprio da voi, principe Jesse, proverebbe che si tratta di un maleficio anche se non sapessi, come invece so, che è proprio ciò di cui si tratta. – annuì compitamente Kurt, degnando il principe appena di un’occhiata, prima di tornare a concentrare tutta la propria attenzione su Rachel. – Avete ragione, è opera della strega, ne sono sicuro! Ella vive proprio nel folto della Foresta Nera, come il principe Blaine e il principe Jesse sospettavano prima di essere ammaliati da chissà che malvagio incantesimo! Io e Dave l’abbiamo vista con i nostri occhi!
- Oh mio Dio! – strillò Rachel, coprendosi la bocca con entrambe le mani, - Cosa ci facevate voi e lo stalliere del principe nella Foresta Nera da soli? E perché lo chiamate per nome? E, ora che ci penso, per quale motivo egli può fare lo stesso con voi e—
- Non mi pare il caso di intrattenerci in stupidi pettegolezzi, Rachel! – sbottò Kurt, arrossendo improvvisamente e stringendo i pugni contro i fianchi, - Una strega si sta prendendo gioco di noi, e tutti gli abitanti di questo palazzo devono esserne informati! Avete capito?! – insistette, voltandosi intorno e cercando di attrarre nuovamente l’attenzione di tutti i presenti, mentre anche Finn (uscito dalla stalla con la propria dama al braccio), il principe Blaine (di ritorno dal lago con un braccio attorno alle spalle del proprio accompagnatore) e suo padre (affiacciatosi sul piazzale col proprio vaso di garofani sottobraccio), si degnavano finalmente di offrirgli un po’ della loro attenzione. – Voi tutti siete vittime di un incantesimo! La strega della Foresta Nera vi rende stupidi e imbelli, in modo da poter continuare a vivere la propria vita in pace senza che noi si muova guerra contro di lei! Svegliatevi!
- Nessuno di loro si sveglierà. – tuonò una voce sconosciuta, che tutti i presenti seguirono immediatamente, per cercare di capire a chi appartenesse. Dinanzi all’enorme portone di legno, adesso spalancato, che si apriva sulle mura che delimitavano la villa degli Hummel, un uomo di media statura si stagliava implacabile contro la luce del tramonto. Il suo volto era quasi interamente coperto da un cappello a tesa larga, di cuoio marrone, ed un lungo cappotto della stessa foggia avvolgeva l’interezza del suo corpo, svolazzando nel vento ai suoi piedi. Una giovane dall’aria allegra e dall’aspetto vagamente chiassoso lo seguiva a pochi passi di distanza, stringendosi nelle spalle. – Nessuno si sveglierà, a meno che non li obblighiamo a farlo. – precisò l’uomo con un ghigno sottile, prima di voltarsi in direzione della propria compagna. – Emma. – la chiamò semplicemente, e lei annuì, sorridendo placida e portandosi silenziosamente fino al centro del cortile, sollevando entrambe le braccia sopra la testa. Il coloratissimo vestitino che indossava le lasciò scoperte le gambe per un paio di secondi, prima che lei si decidesse ad abbassare repentinamente le braccia.
- Dissolvo! – strillò, la voce rombante nell’aria placida della sera. I suoi occhi, per un istante, si accesero dello stesso fuoco che accendeva il cielo in quel momento.
- Ugh… - si lamentò la ragazza stretta al braccio di Finn, portandosi una mano al collo. Suo fratello la seguì quasi subito.
- Che succede? – domandò il principe Blaine, stringendosi al proprio accompagnatore e cercando di sostenerlo mentre questi si afflosciava inesorabilmente per terra, indebolito.
- Quinn! – gridò Finn, nell’osservare la ragazza al suo fianco spalancare gli occhi e gettare indietro il capo, schiudendo le labbra in un urlo animalesco mentre il suo corpo si riempiva di una luce anomala e dall’aspetto pericoloso, calda come se bruciasse. Istintivamente, Finn mosse un paio di passi indietro, e la stessa cosa si ritrovò costretto a fare Blaine quando la mano di Jeremiah, che stava ancora stringendo convulsamente, si fece troppo calda per poter essere sopportata ancora.
- Che cosa state facendo?! – gridò Dave, rivolgendosi allo straniero e alla donna, che nel frattempo gli era tornata accanto, quando nell’orrore degli astanti Quinn e Jeremiah presero a bruciare, avvolti in una fiamma biancastra che sembrava incapace di appiccare il fuoco a qualunque cosa non fossero i loro corpi, - Sono esseri umani!
- È questo l’errore. – ghignò l’uomo, e nell’istante successivo le urla di Quinn e Jeremiah si trasformarono in lamenti striduli, poco prima che i loro corpi, invece di carbonizzarsi, cominciassero a tramutarsi velocemente in polvere. Ne rimasero solo due mucchietti, sopra ai quali aleggiò per un singolo istante un’ombra scura con uno spaventoso ghigno e due occhi di brace, prima di sparire, lasciando solo cenere.
- Cosa… - mormorò il principe Blaine, lanciando uno sguardo confuso attorno a sé e spalancando gli occhi subito dopo, come se improvvisamente i suoi ricordi fossero stati lasciati liberi di fluire al suo cervello. – Kurt… - gemette, i lineamenti del volto contratti in un’espressione addolorata, avvicinandosi lievemente a lui, una mano protesa verso la sua figura. Kurt si strinse nelle spalle, schiacciandosi immediatamente contro il fianco di Dave, che prima ancora di capire perché il ragazzo si stesse comportando così lo cinse protettivo con un braccio. Blaine si fermò all’istante, abbassando la mano e serrando le labbra, le sopracciglia ancora inarcate verso il basso. – Ne… ne riparleremo. – mormorò con palese vergogna, abbassando lo sguardo, per poi sollevarlo verso lo straniero. – Chi siete voi? – domandò imperioso, mentre attorno a lui anche tutti gli altri abitanti della villa riprendevano possesso delle proprie facoltà, e il vaso che Burt aveva portato con sé come un figlio nelle ultime ore finiva infranto contro il pavimento acciottolato del cortile.
- È… è William Van Schuester. – deglutì il principe Jesse, - Il più grande cacciatore di streghe al mondo.
L’uomo sollevò finalmente il viso, abbastanza perché i presenti potessero vedere i suoi occhi. Profondi e scuri, nascondevano segreti inconfessabili.
- Voi tutti… - spiegò, muovendo qualche passo intorno, come stesse prendendo confidenza con l’ambiente, - Siete stati vittime di un incantesimo. La strega che infesta questo paese con la sua presenza, la stessa che ha gettato sul vostro popolo la maledizione che vi impedisce di generare figlie femmine, sentendosi evidentemente minacciata da qualcosa che avete fatto ha spedito in mezzo a voi due creature. – indicò il mucchietto di ceneri, che la sua assistente stava già provvedendo a spazzare e conservare in due ampolline, ed annuì. – Quelle due creature. Non erano che diversivi, e il loro compito era distrarvi e attutire i vostri sensi, di modo che i vostri propositi bellicosi si smorzassero.
- Ah! – strillò Kurt, battendosi un pugno contro il palmo di una mano, - Visto? L’avevo detto io.
Van Schuester si voltò a guardarlo, infastidito dall’interruzione.
- E voi chi sareste? – domandò. Burt si fece avanti, frapponendosi fra lui e l’uomo.
- Mio figlio, messere. – rispose a muso duro, - E nel caso vi chiedeste chi sono io, ebbene sono il signore di questa casa e di questo feudo.
- Bene. – annuì il cacciatore, per nulla intimidito né tantomeno impressionato dalla durezza dell’uomo, - Allora è con voi che devo parlare, perché di sicuro siete voi ad avermi obbligato a fare tutta questa strada per venire fin qui.
- Che cosa?! – ringhiò Burt, aggrottando le sopracciglia, - Ma di cosa diamine state parlando? Nessuno vi ha chiamato!
- Se posso intromettermi… - cinguettò la donna, avvicinandosi con un sorriso timido, - Il mio nome è Emma, è un piacere fare la vostra conoscenza, signor… - allungò una mano verso di lui, ma quando si accorse che era sporca di terra si affrettò a ritirarla, prima che Burt potesse stringerla, - …signor signore della casa e del feudo. – annuì compitamente. – Io e il mio signore siamo giunti in visita perché il nostro incantesimo di localizzazione ha chiaramente mostrato uno squilibrio dell’energia magica in questa zona del principato. – spiegò sorridendo, - Tale squilibrio poteva essere motivato solo da un’importante combinazione di sortilegi, e ci è bastato fare un paio di ricerche per capire che qualcosa di losco stava avendo luogo da queste parti. Vorremmo, se ce lo permetterete, aiutarvi a liberare il paese dal maleficio che questa strega ha gettato su tutti voi.
- Se permettete, - iniziò il principe Blaine, facendosi avanti, le sopracciglia aggrottate e i lineamenti tesi, - io e il principe Jesse, qui, abbiamo il pieno controllo della situazione. Siamo già giunti alle porte della Foresta Nera e siamo sicuri di essere vicini a scoprire dove si trova la strega.
- Principe… - richiamò la sua attenzione Jesse, schiarendosi la voce, - Lasciate perdere. Van Schuester è di un altro livello. Io stesso, che pure di streghe ne ho ammazzate parecchie, non sono che un principiante, al suo confronto.
- E, in ogni caso, - soggiunse Kurt, tornando a farsi avanti pur rimanendo al fianco di Dave, - non avete il pieno controllo su niente. Signor Van Schuester, tutto quello che il principe e il suo seguito sono stati in grado di fare è stato spingersi fino ai confini della foresta e poi tornare a casa recando con sé due malefici. Io e Dave, invece, siamo rimasti all’interno della foresta solo poche ore, ma siamo comunque riusciti a fare di meglio, scovando il nascondiglio della strega e tornando qui di corsa per comunicarlo a tutti, anche se nessuno voleva ascoltarci.
Van Schuester lo guardò con severità per una manciata di secondi.
- Dilettanti! – proruppe quindi, scrutandoli tutti con malcelato disgusto, - Organizzare spedizioni nei pressi di un rinomato luogo saturo di magia, e portare con sé persone mai viste prima e palesemente sospette? Inoltrarsi da soli all’interno di una foresta di quel tipo e spingersi fino al cuore della stessa, disarmati e inermi, alla ricerca del covo di una strega potente al punto da lanciare una maledizione centenaria su un intero paese?! Sciocchi! Dissennati! Ridicoli dilettanti!
- Non siamo disarmati, Van Schuester! – interloquì il principe Jesse, sentendosi in questo punto nel vivo, - I miei alchimisti—
- I vostri alchimisti sono degli incapaci. – tagliò corto il cacciatore, agitando una mano a mezz’aria, - Quel ridicolo liquido che utilizzate per ucciderle… l’acido, è questo il suo nome, vero? Che sciocchezza. Come se fosse possibile combattere una strega portandosi dietro un calderone in cui immergerla.
- Ho sconfitto parecchie streghe, col mio calderone d’acido, signore. – insistette Jesse, rigido, stringendo i pugni lungo i fianchi.
- Siete stato solo molto fortunato, stupido ragazzino presuntuoso! – lo rimproverò Van Schuester, lanciandogli un’occhiata di fuoco, - Le streghe sono creature magiche. Non è possibile sconfiggerle senza magia! L’unico modo per renderle deboli senza usare incantesimi contro di loro, consiste nel conquistarle come donne, e non c’è neanche bisogno di dire quanto questa pratica sia disgustosa. – concluse con una smorfia a metà fra il saccente e l’inorridito. Rosso di rabbia e vergogna, Jesse rimase in silenzio.
- Adesso smettetela. – si fece avanti Rachel, scrutando l’uomo con piglio severo, - Il principe Jesse ha fatto ciò che ha ritenuto opportuno fare per proteggere il proprio paese, offrendosi poi di aiutare anche il nostro. – Van Schuester la fissò con un certo interesse, aggrottando le sopracciglia. – È ovvio che, non potendo egli disporre di poteri magici, abbia scelto di provvedere al meglio delle sue capacità, con ciò che poteva fare. Voi non avete alcun diritto di—
- Non è esatto dire che non può disporre di poteri magici. – la interruppe il cacciatore, avvicinandosi un passo dopo l’altro e girandole intorno con aria pensosa, - Voi, che vi fate avanti per difenderlo… siete sempre stata al suo fianco?
Rachel rimase immobile nella propria posizione, senza seguire l’uomo neanche con lo sguardo.
- No, signore. – rispose freddamente, - Io ho sempre vissuto qui.
Van Schuester si voltò verso il principe Jesse, indicando Rachel con un cenno del capo e concedendosi un sorriso sghembo, di scherno.
- Che razza di cacciatore sareste, voi, se non siete in grado di riconoscere una strega neanche quando ce l’avete di fronte?
- Che cosa?! – strillò immediatamente Rachel, perdendo tutta la propria compostezza e voltandosi repentinamente a guardarlo.
- Adesso basta con queste stramberie! – tuonò Burt, muovendosi a grandi passi verso lo straniero per poi frapporsi fra lui e la ragazza, - Rachel è parte di questa famiglia ormai da anni, ed è comunque troppo giovane per essere la strega della foresta!
- Non ho mai pensato che la strega della foresta potesse essere lei. – inarcò un sopracciglio Van Schuester, incrociando le braccia sul petto senza però indietreggiare di un singolo passo, per nulla intimorito, - Ho solo detto che lei è comunque una strega. Ne ha l’odore, ne ha l’energia, ne ha l’aura magica. È sicuramente figlia di una strega, e strega anch’ella. E… Emma? – chiamò la propria compagna, e lei, immediatamente, si voltò verso di lui. – Risvegliala. Potrebbe esserci utile. La strega che andiamo a combattere potrebbe costringerci a chiedere aiuto.
La donna annuì compitamente e, sorridendo serena, si avvicino alla ragazza.
- Cos’avete in mente? – domandò Blaine, facendosi avanti.
- Oh, assolutamente niente di pericoloso. – sorrise rassicurante lei, tirando fuori un sottile guanto di seta da uno dei graziosi sacchetti ricamati che portava appesi alla cintura stretta in vita, ed indossandolo con attenzione, - Ma state indietro, per favore. Anche voi, signor signore della casa e del feudo.
- È Hummel, per tutti i cieli e gli inferni. – sbottò lui, infastidito, - Hummel.
- Signor Hummel, dunque. – sorrise ancora Emma, affatto turbata, - Indietreggiate, prego. Sto per risvegliarla e potrebbe esserci uno scoppio d’energia.
- Cosa… ma di cosa state parlando?! – sbottò Rachel, stringendosi nelle spalle, sulla difensiva, - Io non sono una strega! Non… che cosa state facendo?! – ebbe appena il tempo di strillare, prima che Emma, sorridendo serenamente, coprisse in pochissimi istanti la distanza che ancora le separava, appoggiando la mano guantata sulla sua spalla.
I presenti lanciarono un grido di sorpresa quando videro entrambe le figure femminili essere avvolte da una luce splendente, all’interno della quale scomparvero per qualche secondo. Nel momento in cui la luce si diradò, Emma si allontanò da Rachel, sfilando il guanto che aveva indossato e riponendolo in una delle sporte. Rachel rimase immobile nel mezzo del cortile, gli occhi spalancati e vuoti, la pelle crepitante di scintille bluastre. Le tremavano le labbra.
- Mia madre… - bisbigliò, - La strega Shelby. Io… io l’ho vista.
- Dannato mostro! – strillò Finn, scagliandosi contro Emma, - Cosa le avete fatto?!
- Fermo! – lo bloccò Rachel, sollevando una mano. Finn si ritrovò sbalzato all’indietro, seduto per terra sul ciottolato del cortile, prima di riuscire a colpire Emma, prima ancora che Van Schuester potesse muoversi per proteggerla. – Io ho visto mia madre. – proseguì, cercando con lo sguardo il principe Jesse, - La strega Shelby. Di Carmel. – gli occhi le si riempirono di lacrime, quando individuò la figura del principe, che quando sentì le sue parole serrò le labbra, i lineamenti del viso tesi in una maschera di sconcerto. – La prima strega che avete ucciso. Era mia madre.
- Bene. – tagliò corto Van Schuester, spezzando la tensione che rendeva l’aria del cortile irrespirabile, - Ora ditemi, qual è il vostro compagno?
Rachel si voltò a guardarlo, gli occhi persi.
- Come…? – balbettò, incerta, e Van Schuester sospirò sgarbatamente, sollevando gli occhi al cielo come fosse già stufo di dover fornire spiegazioni su spiegazioni a un gruppo di palesi ignoranti.
- Il vostro compagno umano. – precisò, - Come io sono il compagno umano di Emma. Una strega può scegliere di condividere il proprio potere o parte di esso con il proprio compagno, rendendolo più forte, adatto al combattimento. La strega di cui stiamo parlando è molto potente, e potrebbe servirci aiuto. Dunque, ditemi chi è il vostro compagno, e vi spiegherò come condividere parte del vostro potere con lui.
Rachel boccheggiò, guardandosi intorno con paura. I suoi occhi si posarono per un secondo anche su Finn, ancora seduto per terra e sbigottito, ma nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono, lui distolse il proprio, e lei si sentì costretta a fare lo stesso, piegando le labbra in una smorfia addolorata.
- Non ne ho uno, signore. – rispose, abbassando il capo.
Del tutto disinteressato a quale potesse essere il suo dolore, Van Schuester scrollò le spalle.
- Be’, trovatene uno, e in fretta, anche. Non possiamo rischiare che—
- Che cosa, cacciatore? – disse una voce profonda ma indiscutibilmente femminile alle loro spalle. Tutti i presenti si voltarono, individuando immediatamente la figura di una donna alta e magra, avvolta in uno strano mantello rosso, le gambe divaricate e le mani poggiate sui fianchi in una posa presuntuosa e arrogante. La donna ghignò cattiva, piegando appena la testa. – Che la strega possa arrivare prima che voi possiate aver concluso i vostri preparativi per difendersi? – scoppiò a ridere, gettando indietro il capo. – Ops. – concluse, prima di sollevare le braccia verso il cielo. – Tempesta! – strillò, ed immediatamente il cielo ancora rossastro del tramonto si tinse di una sfumatura più scura, quasi sanguigna, mentre nuvole enormi e cupe si addensavano minacciose sopra le loro teste, gonfie di pioggia.
- Dannazione. – ringhiò fra i denti Van Schuester, stringendo i pugni ed indietreggiando di qualche passo, mentre tutti i presenti si stringevano inconsciamente l’uno all’altro e dietro di lui.
- Rachel… - disse piano il principe Jesse, quando le fu vicino, - Io…
- Tacete. – lo zittì lei, distogliendo lo sguardo, - Non adesso. Forse mai. Ma sicuramente non adesso.
Jesse distolse lo sguardo a propria volta, mordendosi un labbro.
La strega avanzò di un passo.
- Guardatevi, dunque. – disse con cattiveria, - Siete tutti qui? Così pochi? E pensate di avere anche solo una misera possibilità di sconfiggere me e la mia armata? – rise, allargando le braccia e, con esse, anche il mantello, che svolazzò furiosamente nel vento che adesso spazzava il cortile con violenza, e poi tornò ad afflosciarsi lungo i suoi fianchi. Mostrando all’improvviso decine e decine di donne – amazzoni, si sarebbe detto – dai lunghi capelli blu, abbigliate negli stessi toni rossastri del mantello della strega – gli stessi toni rossastri del cielo e dell’aria e di tutto ciò che li circondava in quel momento – in attesa di un solo ordine, le labbra già piegate in un ghigno ferino e spaventoso, le lingue che ogni tanto saettavano ad inumidirle, come non vedessero l’ora di avventarsi su tutti loro per divorarli senza pietà. – È tanto di quel tempo che le mie creature non mangiano. – soggiunse la strega con un altro spaventoso ghigno, - Dovrei lasciarle attaccare?
- Dannata! – ringhiò a quel punto Burt, avanzando di un paio di passi e ponendosi coraggiosamente in testa al drappello di persone, - Perché fai tutto ciò?! Cosa mai ti ha fatto il nostro popolo di tanto malvagio, perché tu abbia tanto rancore da serbare nei nostri confronti?!
Nel momento in cui gli occhi della strega di posarono su di lui, le pupille della donna si fecero ardenti come braci, e le sue labbra si piegarono in una smorfia di disgusto. Le amazzoni schierate dietro di lei ringhiarono con maggior forza, probabilmente percependo la tensione nella loro padrona, e snudarono le zanne, mostrando denti appuntiti e scintillanti degli stessi bagliori rossastri che agitavano il cielo della tempesta sanguigna evocata dalla fattucchiera.
- Nonostante la mia magia… - disse la strega, fissando l’uomo con disgusto, - sei invecchiato, Burt.
- Cosa…? – sussurrò il principe Blaine, indietreggiando appena e lanciando un’occhiata preoccupata a messer Hummel, - Voi la… la conoscete?
- Non l’ho mai vista in vita mia! – si difese Burt, voltandosi verso gli altri e guardandoli tutti con ansietà sempre crescente. Cercò gli occhi di Kurt, e vi trovò dentro solo paura e smarrimento. – Giuro che non ho la più pallida idea di chi questa donna sia e cosa voglia da noi. – disse più dolcemente, parlando ad alta voce perché tutti potessero sentirlo ma allo stesso tempo fissando il proprio sguardo colmo di paterna tristezza solo su Kurt, e su suo fratello Finn, di fianco a lui, così che fosse chiaro che a ciò che gli altri avrebbero potuto pensare era interessato solo parzialmente, e l’unica cosa che contava davvero, per lui, era che i suoi due figli gli credessero. Entrambi annuirono, senza mai distogliere gli occhi dalla sua austera figura.
- Il fatto che tu non ricordi rende la mia rabbia solo più profonda e devastante! – ringhiò la strega, mentre fiamme apparentemente incandescenti la avvolgevano interamente, senza ferirla in alcun modo, e le sue amazzoni si scatenavano, abbaiando e ruggendo e torcendosi le dita artigliate, - Tu avevi promesso, Burt Hummel! In riva al lago, centoquindici anni fa, tu hai promesso!
- Cento… centoquindici…? – Kurt spalancò gli occhi, guardando il proprio padre con sconcerto. – Padre, cosa… - provò a chiedere, ma fu costretto a interrompersi quando vide gli occhi di Burt spalancarsi, come se un’improvvisa consapevolezza li illuminasse. Trattenne il fiato, e Finn accanto a sé fece lo stesso, e così si ritrovarono costretti a fare anche tutti gli altri quando una voce tonante dal cielo cominciò a raccontare.
La notte era placida e silenziosa, calda e umida sulla riva del lago. Burt giunse da Ovest, come sempre faceva, e Sue lo attendeva, seduta su uno dei grandi sassi che, come sedute naturali, si affiancavano nei pressi della piccola cascatella che, rotolando giù dalla montagna, faceva sì che la temperatura di quelle acque restasse sempre gelida. Abbigliata di rosso, come al solito, sedeva compostamente, le mani poggiate in grembo ed un ampio cappuccio a coprirle il capo e scivolare lungo i contorni eleganti e fieri del viso. Le sue labbra sottili erano increspate in un sorriso appena distinguibile, e Burt, come ogni notte, la trovò bellissima.
«Sei in ritardo» lo ammonì scherzosamente lei, e lui ridacchiò imbarazzato, grattandosi la nuca e prendendo posto al suo fianco, su una pietra ampia ma più bassa rispetto a quella sulla quale sedeva lei.
«I preparativi, sai…» borbottò, stringendosi nelle spalle, «Mia madre ha passato l’intera giornata a piangere» aggiunse con aria un po’ triste, «Mi ha detto che avrebbe preferito avere una figlia femmina, in modo da poterla tenere sempre con sé. Con me non può farlo, se dico che voglio viaggiare non può impedirmelo.»
«Deve infastidirti parecchio» commentò Sue con un mezzo sorriso, avvicinandoglisi di un paio di centimetri. Burt rise divertito, scuotendo il capo.
«In realtà la comprendo» confessò imbarazzato, «È questo il motivo per cui anch’io vorrei avere solo figlie femmine. In modo da non dovermene separare.»
Nel sentire quelle parole, Sue arrossì immediatamente, ma riuscì a distogliere lo sguardo abbastanza in fretta da fare in modo che Burt non lo notasse. Si schiarì la voce, fissando insistentemente gli ampi cerchi che l’acqua della cascatella generava infrangendosi sulla superficie del lago. «Parti domani, dunque» commentò, provando a celare la tristezza così evidente nella propria voce. Burt si voltò a guardarla, allungando una mano ad accarezzarle una spalla.
«Tornerò» cercò di rassicurarla con un mezzo sorriso. Lei lo ricambiò, ma senza crederci.
«Però non è questo ciò che ti preoccupa» gli disse, sorridendo con aria più furba, gli occhi chiari stretti come due fessure, eppure ancora così brillanti. «Qualcosa ti angoscia, ma non è tua madre, né la tua imminente partenza, né, ahimè, doverti separare dalla sottoscritta per intraprendere questo lungo viaggio» aggiunse in una risatina, dissimulando l’imbarazzo che provava per avere appena detto qualcosa di simile ad alta voce. Burt volle ribattere, ma non ne ebbe il tempo. «So che qualcosa c’è» disse lei, interrompendolo prima che potesse dirle alcunché a proposito di quella battuta, «Ti va di dirmi cos’è?»
Burt sospirò, abbassando lo sguardo e torcendosi le mani in grembo. «Oggi…» cominciò incerto, «Risistemavo i miei progetti e le mie carte, e… improvvisamente mi è stato tutto molto chiaro.»
«Cosa?» domandò Sue, lanciandogli un’occhiata incuriosita. Lui si strinse nelle spalle, concedendosi un mezzo sorriso.
«Io non ce la farò» rispose con rassegnazione. «I miei studi sono all’avanguardia. Troppo all’avanguardia. So già che fine faranno. Le mie macchine non saranno mai, mai comprese prima di centinaia d’anni. I miei progetti subiranno lo stesso destino di quelli del grande Da Vinci. Nessuno dei miei prototipi funziona, nessuno li comprende, i miei genitori e tutti gli accademici del paese mi trattano come fossi un pazzo visionario. Intraprendo questo viaggio sperando di trovare qualcuno, da qualche parte in questo paese, che sia disposto a credere in me e in quello che sono capace di fare, ma la realtà è che so già che questo viaggio sarà inutile. Non troverò nessuno. Semplicemente perché è impossibile che io lo trovi.»
«Via, via, adesso» lo prese in giro lei, con una risatina divertita, «Non stiamo volando un po’ troppo alti, paragonandoci a Da Vinci?»
«Volare…» quasi mugolò Burt, un debole sorriso sognante a farsi strada sulle sue labbra, «Quello sarebbe davvero il massimo. E la mia non è presunzione!» si difese, sentendosi però quasi moralmente obbligato ad abbassare lo sguardo subito dopo, «Intendo… forse sì. Forse un po’ lo è. Ma è solo perché so dove tutto ciò mi sta portando, e so che si parla di un luogo molto lontano. Un luogo che potrebbe non essere qui nemmeno in cinquecento, seicento anni! Io ho… ho solo bisogno di più tempo. Più tempo, capisci? Per vedere dove mi porteranno i miei studi.»
Sue sorrise, stringendosi nelle spalle. «Sei ancora giovane» rispose, «Hai tutto il tempo che ti serve.»
«No, non è così» scosse il capo lui, avvicinandosi a lei e stringendo le sue mani pallide e sottili fra le proprie, «La mia scienza è già parecchio avanti rispetto a quella degli altri scienziati di questo paese, ma— non è sufficiente. Non mi serve solo qualche anno in più, non sto parlando di un paio di decenni, sto parlando di… tempo. Tempo vero. Quel tempo che quando lo guardi sembra infinito, quel tempo che ce n’è sempre abbastanza. Quel tempo lì serve a me.»
Rossa in viso, la ragazza deglutì, senza allontanarsi di un passo, ed anzi, ricambiando la stretta delle sue mani con le proprie. «Cent’anni? Duecento?» deglutì ancora. I suoi occhi scintillavano. Dalle sue dita partivano tenui raggi di luce che illuminavano la radura come stelle. La superficie del lago, resa nera come la pece dalla notte inoltrata, sembrava un cielo d’estate. «Io posso darteli» annuì, «Ma tu devi promettere.»
Lui non si allontanò. Avrebbe promesso la luna a chiunque, se solo gli avessero dato abbastanza anni per imparare a raggiungerla e catturarla in una gabbia. «Dimmi cosa devo promettere, e lo prometterò.»
«Prometti…» sussurrò la ragazza, avvicinandosi a lui e bisbigliando al suo orecchio. «Prometti di sposarmi. Rimanda il viaggio di qualche giorno, sposiamoci in fretta, non ho bisogno di grandi cerimonie, non ho famiglia, non ho legami. Sposiamoci, e poi partiamo insieme. Voglio… voglio rimanerti accanto, e fare di te il mio compagno.»
Lui spalancò gli occhi e, nell’ascoltare la sua voce gentile e ciò che diceva, si lasciò sfuggire una risatina divertita. Non poteva essere che uno sciocco gioco, lei non poteva aiutarlo. Era solo una ragazzina innamorata, che per lui avrebbe fatto di tutto, ma che non poteva a conti fatti fare niente. Ma lui le avrebbe comunque promesso ciò che voleva, per ringraziarla di averlo ascoltato ed aver provato ad illuderlo che un modo per sconfiggere il tempo esistesse davvero.
Chinandosi sulle sue labbra e sfiorandole in un bacio lievissimo, promise. Rispondendo al bacio, lei suggellò la promessa, e quando si separò da lui bisbigliò poche parole. «Possa la clessidra per duecento volte girare, prima che il tuo corpo cominci ad invecchiare. Con quest’incantesimo, tempo, ti comando: al giovane che amo…» arrossì appena, «Concedi più vita, e meno affanno.»
Dovettero salutarsi celermente quando furono passati solo pochi istanti: la madre di Burt doveva essersi svegliata ed aver creduto che lui avesse deciso di partire nottetempo senza salutare nessuno, perché ovunque intorno alla villa uomini armati di lanterne stavano invocando il suo nome a gran voce. Lui pensò non fosse il caso di spaventare e rattristare ancora la sua povera madre, e baciò Sue sulle labbra in fretta e furia prima di imboccare di corsa il sentiero del ritorno.
Partì l’indomani. Non la rivide più. Nel corso del suo lungo viaggio intorno a tutto il continente ebbe modo di imparare molto, ma niente di ciò che vide sembrò aiutarlo a progredire nei suoi studi in maniera sostanziale. Venti volte le stagioni si avvicendarono, venti volte venne l’autunno con le sue piogge, e venti volte l’inverno con le sue nevi e le pelli di animali che Burt cacciava per ripararsi dal freddo; venti volte la primavera, col profumo intenso dei fiori, e venti volte l’estate, col sapore zuccherino dei suoi frutti maturi. All’alba del ventunesimo anno, Burt guardò il sole sorgere, e si sentì triste.
Recuperò i propri bagagli e si accodò alla prima carovana diretta verso Nord-Est. L’odore di casa, dei campi coltivati, della cucina di famiglia, dell’aia, del cortile, della stalla, del lago, delle colline ricoperte di fiori, si faceva più forte giorno dopo giorno, e Burt sentì per la prima volta da quando era partito il bisogno di piangere quando vide finalmente apparire all’orizzonte i contorni della grande villa che era appartenuta agli Hummel per generazioni. Avrebbe continuato a lavorare sui suoi macchinari a tempo perso, era ora di prendere il suo giusto posto nel mondo. Probabilmente, non era quello il suo destino. Doveva accettarlo, per quanto doloroso fosse.
Sua madre lo attendeva seduta sulla poltrona che era stata di suo padre, in salotto. Le mani in grembo, il viso bianco e pallido ricoperto di dolci rughe, i capelli candidi a scivolare in ciocche ordinate fuori dalla cuffietta da notte. Sorrideva come se sapesse esattamente che lui sarebbe tornato proprio quella sera.
Si alzò, e Burt le corse incontro perché dovesse fare meno strada. «Figlio» lo salutò lei, accarezzandogli una guancia, «Non sei cambiato affatto.»
Morì pochi giorni dopo. Ancora frastornato, dopo il funerale, Burt convocò gli abitanti della villa, ed assicurò loro che né lì né nel feudo sarebbe cambiato qualcosa.
«Qualcosa, però, è cambiato, mentre voi non c’eravate, signore» disse qualcuno. Non nascevano più bambine. Non era nata una sola femmina negli ultimi vent’anni, e gli abitanti avevano escluso che dovesse trattarsi di un problema di fertilità, perché di maschi continuavano a nascerne a iosa.
Burt non avrebbe mai avuto una figlia.
Non pensò mai a prendere moglie. Chiese solo una volta se qualcuno avesse notizie della donzella sempre vestita di rosso con la quale soleva accompagnarsi negli anni della sua gioventù. Ma nessuno seppe rispondergli, e dopo un po’ Burt smise perfino di pensarci.
- Ma io non ho mai smesso. – disse la strega quando la voce rombante smise di raccontare. I suoi occhi erano gelidi e immobili, fissi sulla figura di Burt, attorno alla quale s’era formato uno spazio via via sempre più grande, man mano che tutti gli abitanti della villa si andavano allontanando da lui, ascoltando il racconto dipanarsi una battuta dopo l’altra. – Dopo la tua partenza, avendo capito quanto poco fosse valsa la tua promessa, sono tornata nel folto della foresta, al luogo al quale appartenevo. E ho lanciato la mia maledizione sul tuo paese. Nel caso tu fossi mai tornato a casa, tutte le belle figlie che volevi non le avresti mai avute. Nessuno le avrebbe mai avute. E sarebbe stata solo tua la colpa!
- Sue… - provò Burt, avvicinandosi di un passo, la mano tesa verso di lei mentre le amazzoni ringhiavano e strepitavano sul posto, come fossero trattenute da catene invisibili, - Io pensavo che fossero solo le fantasie di una ragazzina! Sono uno scienziato, non ho mai creduto nella magia! Come potevo sapere che—
- Non era importante che tu sapessi! – lo interruppe lei, ringhiando tanto forte da far tremare la terra, mentre le amazzoni si avventavano su di lui e poi tornavano ad indietreggiare e ruggire frustrate, come se lo scoppio d’ira di Sue le avesse liberate dalle invisibili catene che le tenevano bloccate, e poi, una volta placatosi, le avesse obbligate a fermarsi ancora. – Era una promessa! Che io fossi una strega o meno, che la mia magia funzionasse rendendoti più longevo o meno, avresti dovuto mantenerla! E invece non ti è mai importato, mi hai dimenticata! – inspirò ed espirò a fatica, calmandosi mentre le nubi in cielo si scurivano sempre di più, come fossero pronte a esplodere in una pioggia di sangue. – Ma ormai non importa più. – concluse in un breve sorriso cattivo, - Ora tu morirai, e con te tutta la tua famiglia e tutta la tua gente. Io e le mie bestie metteremo a ferro e fuoco il feudo e niente resterà più anche solo a ricordare la tua esistenza e il tuo passaggio su questo mondo! Preparati, Burt Hu—
- Abbiamo finito? – la interruppe Van Schuester, frapponendosi fra lei e l’uomo, - Possiamo passare oltre, al momento in cui ti sconfiggo e brucio il tuo corpo di modo che tu possa fare la stessa fine di tutte quelle della tua razza?
- Ma guarda un po’… - sorrise la strega, imperturbabile, incrociando le braccia sul petto e picchiettandosi con due dita sull’interno del gomito, - Un altro ficcanaso. Credevo che le mie due altre creature sarebbero state sufficienti a distrarre la compagnia a sufficienza perché nessuno mi scoprisse… a questo proposito, principe Blaine, giovane Finn, avete gradito i miei doni? – ridacchiò, disegnando un cerchio nell’aria con entrambe le mani ed evocando due evanescenti figure in tutto e per tutto somiglianti a Quinn e Jeremiah, - Sono così dispiaciuta che il mio perfetto incantesimo di ipnosi abbia funzionato al punto da distruggere la relazione che avevate con le due persone di cui eravate davvero innamorati. – disse, fingendo contrizione, - Oh, ma cosa dico. – rise quindi, scrollando le spalle, - Non mi dispiace per niente. Ma fossi in voi, giovani signori, - aggiunse in un ghigno, - non mi sentirei troppo in colpa. Mentre voi vi dibattevate inconsapevolmente in balia del mio incantesimo, i vostri innamorati… - sghignazzò, disegnando figure invisibili nell’aria mentre due fili di magia evanescente apparivano in mezzo alla folla, - erano bene impegnati a dimenticarsi di voi il più in fretta possibile. – concluse, mentre uno dei due nastri avvolgeva per un istante Kurt e Dave per poi dileguarsi, ed il secondo faceva lo stesso con Rachel e col principe Jesse, scomparendo subito nel crepitio delle gocce di pioggia rossastra che aveva cominciato finalmente a cadere dal cielo. – È questo che succede con l’amore. – riprese cupa, allargando entrambe le braccia ai lati del corpo, - Ti strappa il cuore, e poi lo porta via con sé, solo per gettarlo in un fosso e perderne ogni ricordo. – i suoi occhi divennero neri come la pece, mentre chiudeva un’altra volta le braccia, prima di urlare, - Andate, bambine! – liberando una volta per tutte le amazzoni dalle loro catene invisibili, e lasciandole finalmente libere di piombare sulla folla con ruggiti terrificanti ed urla raccapriccianti.
- Dannazione. – ringhiò a propria volta Van Schuester, - Emma!
La donna annuì, sollevando le braccia.
- Escudo! – urlò, battendo le mani in aria e poi allargandole progressivamente ai lati del proprio corpo, mentre, quasi seguendo il movimento delle sue braccia, sopra di loro si creava una barriera magica protettiva contro la quale le amazzoni andarono a schiantarsi una dopo l’altra, finendo sbalzate all’indietro e stordite per qualche secondo, prima di riprendere ad attaccarla con pugni, calci, morsi e unghiate. – Will… - mormorò la giovane strega, concentrando tutti i propri sforzi nel tentativo di fortificare la barriera, - Non reggerà a lungo…
Van Schuester annuì, voltandosi verso gli altri. Si trattava di poco più di un mucchietto sparuto di persone, nessuna delle quali aveva la più pallida idea dell’enorme disastro che si profilava davanti ai loro occhi. La strega stava modificando lo spazio attorno a loro, manipolando anche il clima di quella campagna, e naturalmente attentando a tutte le loro vite. Dovevano fare qualcosa, e dovevano farla al più presto.
- D’accordo. Tu. – disse risoluto, indicando il principe Blaine, - Tu. – proseguì, indicando anche Finn, - E… tu. – concluse, indicando Dave, - Ascoltatemi attentamente. Quelle bestie là fuori, - spiegò, accennando alle amazzoni ancora intente a lanciarsi ripetutamente contro la barriera, nel tentativo di aprirla, - non sono magiche. Sono demoni, la strega li ha evocati, ma non posseggono energia magica, sono solo animali affamati di sangue. Per questo motivo, appena la barriera crollerà, perché crollerà, questo è certo, voi dovrete prendere tutti gli inermi e condurli in un luogo sicuro, e combattere per proteggerli.
- Possiamo farlo. – annuì Blaine, - Siamo armati.
- No! – interloquì Kurt, aggrappandosi al braccio di Dave, - Lui non lo è!
- Posso combattere, Kurt. – ribatté l’uomo, scostandosi da lui con gentilezza, ma anche con decisione, - Ho solo bisogno di una spada. – continuò, voltandosi a guardare Blaine. Il principe scrutò prima lui e poi le mani di Kurt, ancora poggiate sul suo avambraccio, e deglutì.
- D’accordo. – rispose, - Ci serve una spada.
- Prendete quella del signor Hummel. – risolse per loro Van Schuester, e Burt portò istantaneamente una mano all’elsa della propria arma.
- Cosa? No! – protestò, sulla difensiva, - Voglio combattere. Tutto questo è successo per causa mia, e—
- Oh, combatterete, signore, non preoccupatevi. – tagliò corto Van Schuester, avvicinandoglisi in un paio di passi e privandolo della propria spada con tutta la fodera, per poi consegnarla a Dave, - Solo, non con quest’arma. Avete qualcosa di ben più potente ed efficace da usare contro quella strega. Voi, - disse, - e voi, anche, - continuò, accennando a Rachel e Jesse, - Non andrete con gli altri. Avrò bisogno del vostro aiuto contro la strega, non contro i demoni.
- Signore, non c’è niente che io possa fare per aiutarvi. – abbassò lo sguardo Rachel, torcendosi le mani, - Non so nemmeno se sono in grado di utilizzare i miei… poteri. Li sento agitarsi dentro di me, ma è come se provenissero da qualcun altro. Non li sento miei.
Van Schuester la fissò, senza neanche cercare di nascondere il proprio disappunto.
- Questo è semplicemente logico e normale. – sbottò, infastidito da una tale palese ignoranza, - Generalmente, le giovani streghe vengono risvegliate da una scintilla di potere delle loro madri quando raggiungono l’età della maturazione completa, intorno ai quattordici anni. Voi, signorina, avete superato quell’età da un pezzo, e per di più a risvegliarvi non è stata vostra madre, dal momento che evidentemente non ne ha avuto il tempo, per cui è perfettamente ovvio che voi non sentiate il potere che vi scorre in corpo come qualcosa di vostro. Ciononostante, - aggiunse, - quel potere c’è, e ci è necessario, se vogliamo sconfiggere quella strega. L’alternativa è non fare niente e lasciarci ammazzare, e se permettete non sono disposto a considerarla come valida.
- Non mi sembra il caso di parlarle a questo modo, signore. – si intromise Jesse, aggrottando le sopracciglia. Van Schuester si voltò a guardarlo con aria profondamente disgustata.
- Non so se qualcuno di voi l’ha notato, - cominciò con piglio severo, - ma qui siamo tutti in pericolo di vita. La mia compagna – disse, indicando Emma, - sta tenendo in piedi una barriera da sola contro un’orda di demoni inferociti, e quando quella barriera sarà crollata non ci sarà più niente a proteggerci. La nostra unica speranza è unire le nostre forze, proteggere i più deboli e cercare di sconfiggere la strega. Per questo motivo… - tornò a guardare Rachel, - ho bisogno che voi scegliate il vostro compagno, giovane strega. Dovete condividere i vostri poteri con lui. La condivisione rende la strega più forte, e arma il compagno a sufficienza per renderlo pericoloso in battaglia. Usualmente, non si tratta di una scelta che possa essere forzata, ma capite bene che…
- Un attimo, un attimo soltanto! – protestò Finn, pinzandosi la radice del naso, - Volete forse dire che… intendo, non vorrete mica obbligarla a prendere una decisione simile nel giro di così pochi minuti?! Tutta la sua vita potrebbe dipenderne!
- La sua vita ne dipenderà sicuramente, se non la prende! – insistette Van Schuester, gesticolando animatamente, - Io ed Emma non possiamo contrastare la potenza di quella strega da soli! Credete forse che tutte le streghe siano in grado di evocare demoni dall’inferno o cambiare la pioggia in sangue?! Siamo di fronte ad un esemplare di una potenza inaudita, reso ancora più potente dal risentimento covato nel corso dell’ultimo secolo! Abbiamo bisogno di lei!
- Ma non potete costringerla a—
- Basta! – li interruppe Rachel, alzando la voce al punto che tutti la sentirono rombare all’interno della bolla formata dalla barriera protettiva. La ragazza si voltò verso Finn, scrutandolo con occhi privi di emozione. – Signore, qualunque sia la mia scelta, state pure sicuro che voi non ne sarete coinvolto. – si sforzò di sorridere, avvicinandosi a lui e sollevando un braccio per accarezzargli una guancia, - Finn, noi non eravamo niente. – disse piano, - Eravamo solo convenienti. Semplici. Voi non volete nemmeno rimanere in questo luogo, ed io non vi appartengo. Non vi sono mai appartenuta, e non apparterrò mai a nessuno. Il principe Jesse ha ragione, quando dice che io non sono fatta per questi luoghi, per questa terra, o per essere una maestra di canto. Non sono mai stata quel tipo di donna, ed ora so anche perché.
- Finalmente sento qualcuno parlare con un po’ di senno. – sbottò Van Schuester, - Dunque è quest’uomo, la vostra scelta? – chiese, indicando Jesse con un cenno del capo. Rachel lo guardò, e poi tornò a fissare Van Schuester.
- Combatterò da sola, signore. – disse con fierezza, - Lasciate che il principe aiuti a proteggere i più deboli.
- Questa è una sciocchezza. – quasi ringhiò il cacciatore, stringendo i pugni lungo i fianchi.
- È la mia ultima parola. – ribadì lei con un mezzo sorriso, e Van Schuester sospirò.
- Sta bene. – cedette, - Voi, unitevi agli altri. Prendete con voi le donne e i ragazzi, ed allontanatevi il più possibile. Trovate un riparo, e presidiatene gli ingressi. Noi cercheremo di fare in modo che la battaglia possa durare meno a lungo possibile. – aspettò un cenno d’intesa da parte dei due principi e di Finn e Dave, prima di voltarsi a cercare la sua compagna. – Emma, - la chiamò, - lasciala andare!
La strega annuì, e con un gemito di sollievo e dolore abbassò finalmente le braccia, lasciando la barriera infrangersi sotto i colpi delle amazzoni affamate, che si lanciarono immediatamente su di loro.
- Andiamo! – gridò il principe Blaine, stringendo la propria spada fra le mani e parando l’attacco di un demone, - Raggruppate gli altri, scappate verso la stalla!
- Principe Blaine! – gridò Kurt, - Alla vostra sinistra!
- Cosa? – ringhiò lui, a stento in grado di controbattere ai furiosi attacchi dell’amazzone che aveva di fronte, - Dannazione!
- Dave! – chiamò Kurt, ma quando si voltò a cercare lo stalliere al proprio fianco non lo trovò. Si era già lanciato al fianco del principe Blaine, brandendo la spada appena in tempo per parare l’attacco della seconda amazzone.
- Voi avete salvato la mia vita. – disse, combattendo col principe spalla contro spalla, - Adesso siamo pari.
Il principe Blaine lo guardò incerto per qualche secondo, e poi un breve sorriso gli affiorò alle labbra, e lui annuì.
- Coraggio, - incitò Kurt, rivolgendosi a Finn ed al principe Jesse, - andiamo verso la stalla!
I due uomini annuirono, e mentre Jesse si lanciava in avanti, attirando parecchi demoni e trafiggendoli uno dopo l’altro, Finn raccolse il gruppo, si assicurò che fossero tutti presenti e poi li guidò tutti assieme verso l’entrata della stalla.
- Kurt, una volta dentro, controllate le finestre e le aperture, e cercate di chiuderle. – disse. Suo fratello annuì, restando in disparte per far sì che tutti gli abitanti della villa potessero rifugiarsi all’interno dell’edificio, per ripararsi dagli attacchi dei demoni e da quelle gocce di pioggia rosse come sangue che continuavano a piovere dal cielo. Fece per entrare quando si accorse che erano tutti già passati, ma Finn lo fermò, arpionandolo per un braccio, e Kurt si voltò nuovamente a guardarlo. – Mi… mi dispiace che le cose siano andate così. – sospirò, - Forse, se vi fossi stato maggiormente vicino…
Kurt sorrise dolcemente, allungando una mano ad accarezzargli il viso.
- Non è stata colpa vostra. – lo rassicurò in un sospiro, - È accaduto ciò che doveva accadere. Non datevi pena, sarebbe accaduto anche se mi foste rimasto accanto per tutto il tempo. – concluse, prima di correre dentro la stalla ad aiutare gli altri nella fortificazione dell’edificio.
Finn abbassò lo sguardo e sospirò profondamente. Non aveva mai pensato ad una carezza come ad un addio, eppure, nel giro di pochi minuti, era già successo due volte che dovesse prendere atto di quel secondo significato nascosto di un gesto tanto semplice e dolce.
- Finn! Arriviamo! – lo avvisò il principe Blaine dalla distanza, e lui non poté fare altro che riscuotersi dai suoi pensieri.
- Sono pronto! – rispose, impugnando saldamente la spada e parandosi di fronte all’entrata della stalla mentre Blaine e Dave si sistemavano al suo fianco, da un lato e dall’altro, e Jesse continuava ad attirare l’attenzione di alcuni demoni lontano da quel punto, - Da qui non passerà nessuno. – sentenziò cupamente, lanciandosi all’attacco di una delle amazzoni.
Dave e Blaine rimasero a presidiare l’ingresso, respingendo gli attacchi uno dopo l’altro e pregando che la strega venisse sconfitta il più in fretta possibile. Erano già stremati, mentre le amazzoni continuavano ad attaccare come non sentissero alcuna fatica, e – cosa ancora più preoccupante – il loro numero continuava ad aumentare indipendentemente da quante loro riuscissero a sconfiggerne. Continuando di questo passo, non avrebbero resistito ancora a lungo.
* Van Schuester sollevò entrambe le braccia, scagliando palle di fuoco contro le amazzoni che continuavano ad attaccarlo. Emma, impegnata a proteggere quanto più poteva l’indifeso signor Hummel, e al contempo a respingere gli attacchi delle altre amazzoni, non poteva aiutarlo. Quella giovane, Rachel, faceva il possibile per dare una mano, ma i suoi poteri erano ancora deboli, ed ella stessa non sembrava in grado di controllarli come avrebbe voluto e come sarebbe stato più utile per tutti che imparasse a fare. Sciocca, cocciuta ragazza. Avrebbe avuto bisogno di così poco, per rinforzarsi… e quella strega restava immobile, sollevata in aria di un paio di metri, ridendo e scagliando incantesimi contro i campi, contro il lago, contro il cielo, bruciando gli uni, prosciugando l’altro e ferendo a morte l’ultimo, e non c’era niente che loro potessero fare per impedirglielo. Era troppo forte. Non avevano speranza.
- Maledetta… - ringhiò fra i denti, scagliando lontano due amazzoni con la forza delle proprie braccia, e chinandosi appena in tempo per evitare le due stalattiti di ghiaccio che Emma aveva creato con la propria magia e poi lanciato contro di loro. Le trafissero nel mezzo del petto, ed entrambi i demoni crollarono a terra dopo un urlo disumano, apparentemente senza vita, solo per rialzarsi subito dopo, quando entrambe le stalattiti si furono disciolte a causa del calore insopportabile che ormai avvinceva l’intera zona in un soffocante abbraccio di morte.
- Sembra che non possiate niente, contro le mie creature. – rise malvagia la strega, appiccando un incendio ad un boschetto nelle vicinanze, - E naturalmente non potete nulla contro di me. Arrendetevi al vostro destino! Consegnatevi nelle mie mani e ai più forti di voi sarà concesso di vivere come miei servi, mentre sarò tanto magnanima da infliggere una morte solo moderatamente dolorosa a tutti gli altri!
- Mai! – urlò Van Schuester, giungendo le mani per creare un’enorme palla di fuoco da scagliarle contro. La strega non ebbe neanche bisogno di evitarla: le bastò sollevare un braccio per estinguerla ben prima che arrivasse anche solo a bruciacchiarle l’orlo del mantello.
- Non stiamo progredendo. – commentò Emma, affaticata, lanciando un fulmine di luce contro un’amazzone pronta a saltare addosso a Rachel.
- Grazie, Emma, senza di te non me ne sarei mai accorto. – borbottò Van Schuester, inarcando un sopracciglio e finendo a rotolare lateralmente quando un demone gli si lanciò contro da dietro un mucchio di fieno. – Maledetto mostro— - ringhiò, cercando di trattenere le fauci e gli artigli della creatura lontani dal suo corpo, resistendo appena a sufficienza da permettere a Rachel di strillare terrorizzata e generare con la propria voce un’onda sonora che sbalzò via la creatura, stordendola per qualche minuto. – Dannazione. Moriremo tutti. Come se la cava la linea difensiva davanti alle stalle? – gridò, voltandosi e cercando il principe Blaine con lo sguardo.
- Teniamo! – rispose lui, tranciando con la propria spada il braccio di un demone dopo una mezza piroetta, - Ma non potremo farcela a lungo! Bisogna fermare la strega!
- Certo! – grugnì Van Schuester, afferrando un’amazzone per un polso e rigirandoglielo dietro la schiena, in modo da bloccarla abbastanza a lungo da poterle afferrare la testa con un braccio e torcergliela di netto, spezzandole il collo, - Continuate tutti a ricordarmi ovvietà di cui sono già perfettamente a conoscenza! È proprio quello che mi serve, in una situazione come questa! – soffiò imbestialito. L’amazzone cadde a terra senza vita, e pochi minuti dopo si risollevò in piedi, senza neanche darsi pena di rimettere a posto il collo, prima di avventarsi contro Rachel, che la tenne lontana con un altro strillo dei suoi. Sembrava che quella fosse la sua peculiarità, il suo potere speciale, ma per tutti gli dei del creato e per tutte le forze mistiche dell’universo, andava perfezionata. – Rachel, piantatela una buona volta di strillare a caso ed ascoltatemi. – cominciò con piglio severo, scaricando fulmini crepitanti di elettricità sulle amazzoni che lo circondavano ogni paio di minuti, - Ho capito che non avete la benché minima intenzione di seguire i miei consigli e condividere i vostri poteri con qualcuno, ma qui stiamo solo perdendo tempo prezioso, e se non ci sbrighiamo a fare qualcosa quella donna e le sue maledette arpie faranno strage di noi tutti. – Rachel gli lanciò un’occhiata colma di terror panico, e Van Schuester annuì. – Bene, adesso che ho la vostra attenzione, ho bisogno che voi vi… - si interruppe per scansare l’attacco di un’amazzone ed utilizzare la forza con la quale essa gli si era avventata addosso per mandarla a sbattere contro un carretto pieno di cereali dietro di sé, - …vi avviciniate ad Emma, e vi concentriate. Lei vi spiegherà cosa fare. – concluse, per poi rivolgersi alla propria compagna ed indirizzarle un cenno d’intesa, al quale lei rispose annuendo determinata, liberandosi delle due amazzoni che l’assillavano per portarsi più vicina a Rachel, e poggiare le proprie mani sulle sue spalle.
- So che al momento percepisci l’energia dentro di te come una massa confusa e indomabile, - le sussurrò, sorridendo comprensiva, - ma chiudi gli occhi e prova a focalizzarla. Immaginala come una cosa fisica, se pensi che possa aiutarti. Tu canti, vero? – Rachel annuì incerta, mordicchiandosi il labbro inferiore. – Bene. – sorrise Emma, più convinta, - Allora pensala come se fosse una voce. Una voce interiore. Chiudi gli occhi e prova ad ascoltarla.
- Ma… - provò Rachel, - Non posso chiudere gli occhi, in mezzo alla battaglia…
- Siamo protette. – le sorrise Emma, rassicurante, - Ho creato una barriera, e Will ci sta proteggendo da fuori. Non preoccuparti. Ora, chiudi gli occhi. – sussurrò, sorridendo compiaciuta quando vide Rachel obbedire. – Senti come ti chiama dalle profondità della tua mente? Da luoghi della tua coscienza ancora inesplorati, che non credevi neanche di contenere dentro di te? Ti sta chiamando perché è tua, vuole che tu la riconosca.
- Non c’è… - aggrottò le sopracciglia Rachel, scuotendo il capo, - Non vedo niente…
- Non devi vedere. – sorrise ancora Emma, stringendo le sue spalle con più calore ed aiutandola con un’altra scintilla della propria magia, - Devi sentire. – sussurrò, e nel momento in cui lo disse Rachel spalancò gli occhi e sollevò il capo, e un gemito piccolissimo le si dischiuse sulle labbra mentre la sua pelle si illuminava appena, come bagnata dalla luce fioca e tremula di una candela.
- La sento… - mormorò confusamente, - Batte nelle mie vene col ritmo di un tamburo di guerra.
Emma sorrise soddisfatta, allontanandosi di un passo.
- Adesso abbasserò la barriera, Rachel, e nel momento in cui sentirai la mia energia smettere di proteggerci tu dovrai concentrarti al massimo delle tue forze e raccogliere tutta la magia di cui sei capace focalizzandola in un unico punto, ed indirizzandola contro la strega. L’incantesimo è un incantesimo basilare di prigionia, non avrai problemi a portarlo a termine. – sorrise con maggiore convinzione, cercando di spazzare via i dubbi che si agitavano sul fondo scuro degli occhi di Rachel. – Non è necessario che tu pronunci una formula, la tua magia sa ciò che vuoi da lei. – concluse, facendole l’occhiolino. – Adesso, mi raccomando. Abbasso la barriera e corro dal signor Hummel a spiegargli cosa deve fare. Tu fai subito come ti ho detto, niente esitazioni, eh! – precisò per l’ultima volta, mentre Rachel, più confusa che persuasa, annuiva freneticamente.
Non perse tempo a fare ciò che aveva detto: dissolse la barriera con un rapido cenno della mano e si precipitò al fianco del signore del feudo, ergendone immediatamente un’altra attorno a loro e prendendosi qualche secondo per osservare con evidente soddisfazione Rachel strizzare gli occhi e poi lanciare un grido quasi disperato, mentre un fascio di luce abbagliante si sprigionava dal centro del suo petto, diretto verso la strega. Le sarebbe piaciuto poter portare con sé quella ragazza. Istruirla secondo la sua vera natura, aiutarla nel lungo cammino che avrebbe fatto di lei una vera strega. Ma non era quello il suo destino. E, in ogni caso, in quel momento aveva un compito ben più urgente da svolgere.
- Signor signore del feudo, - sorrise amabile, - adesso mi ascolti attentamente.
* Van Schuester osservò con attenzione Emma muoversi velocemente da un lato all’altro del campo di battaglia, creando bolle protettive prima attorno a se stessa ed a Rachel, e poi attorno a se stessa e al signor Hummel. La sua attenzione venne immediatamente calamitata dalla giovane quando, una volta libera dalla protezione di Emma, si ritrovò da sola, ferma in mezzo al cortile, le braccia lievemente larghe rispetto al corpo e gli occhi apparentemente vuoti, brillanti però di una luce sinistra, quasi cattiva. Van Schuester sorrise: questo era ciò che faceva delle streghe le creature più forti al mondo, quella loro crudeltà di fondo che risiedeva nella negatività essenziale della loro magia.
La loro negatività di base era però anche il loro limite. Una strega puramente malvagia non sarebbe mai stata forte quanto una strega che, invece, aveva conosciuto la luce. In sostanza, una strega che si fosse, almeno una volta nella propria vita, innamorata. E che avesse deciso di condividere il proprio potere con un compagno. Quello era il passo che rendeva le streghe forti al massimo del loro potenziale, lasciare entrare un po’ di luce nella loro anima permetteva loro di esplodere come stelle.
Ironicamente, era anche ciò che le rendeva vulnerabili.
Van Schuester sorrise. La strega che avevano di fronte era fortissima, ma aveva conosciuto l’amore. E sarebbe stato quell’insignificante dettaglio a distruggerla.
- Rachel! – gridò, - Tutta la vostra energia! Concentratela sulla strega!
Rachel non parve nemmeno sentirlo, ma il grido che nacque sulle sue labbra e il fascio di luce che si generò dal suo petto furono risposte sufficienti. Van Schuester osservò quella luce raggiungere la strega trapassando con violenza ogni sua difesa, ed osservò la strega strabuzzare gli occhi quando quella stessa luce assunse forma fisica, girando attorno a lei due volte e poi stringendosi attorno alle sue spalle e alle sue braccia come una corda.
- Cosa… cosa diamine sta succedendo?! – strillò, e Van Schuester sorrise ancora.
- Bene. Bene! – esultò entusiasta, generando a propria volta un fascio di luce, giungendo le mani all’altezza del petto, - Ci siamo.
Il suo fascio di luce, più ampio e veloce di quello generato da Rachel, si affrettò ad allacciarsi anch’esso attorno al corpo della strega, la quale rispose con un ringhio furioso, provocando nelle amazzoni una furia anche maggiore. Quando anche il raggio di luce generato da Emma – che nel mentre doveva aver spiegato al signor Hummel cosa fare – fu avvolto attorno a lei, Van Schuester si concesse di sperare che quella battaglia sarebbe finita presto.
Fu un errore.
Lanciando un grido di dolore e frustrazione, la strega si rannicchiò per un secondo come in posizione fetale, e quando tornò a raddrizzarsi spalancò entrambe le braccia, spezzando i fasci di luce che la tenevano prigioniera e che scomparvero il secondo successivo. Ansimante, bruciacchiata, provata, ma ancora indubitabilmente forte, lanciò uno sguardo di trionfo ed un sorriso cattivo in direzione di Van Schuester.
- Non siete forti abbastanza. – gracchiò, - La streghetta non è forte abbastanza. – precisò con una mezza risata, indicando Rachel, la quale, ritornata in sé e tremendamente indebolita dall’uso massiccio che aveva fatto della propria energia senza sapere bene come controllarla, indietreggiò terrorizzata. – Faccio fuori lei, - considerò la strega, - e non avrete più speranze.
Attorno all’estremità del suo dito indice, quello puntato contro Rachel, andò formandosi un cerchio di fuoco, che si fece via via sempre più grande, sempre più grande e minaccioso.
- No! – urlò Van Schuester, capendo ciò che la strega aveva intenzione di fare. Debole com’era, Rachel non avrebbe saputo come difendersi, ed in ogni caso non era istruita abbastanza da sapere come lanciare un incantesimo di protezione, e sia lui che Emma erano troppo lontani per provare a frapporsi fra lei e l’incantesimo di fuoco che la strega lanciò subito dopo.
Van Schuester ebbe appena modo di muovere un passo, prima che l’incantesimo giungesse a destinazione, schiantandosi a terra e appiccando un incendio al covone di paglia poco distante.
Quando riaprì gli occhi, aggrottò le sopracciglia.
Il cadavere. Non c’era.
* - Rachel. – disse il principe Jesse, accarezzandole una guancia, - State bene?
- È viva! – gridò Van Schuester, individuando i due giovani avvinghiati per terra poco lontano. Il principe, decisamente più vicino rispetto a loro, doveva essersi liberato del demone contro il quale stava combattendo, e doveva anche essersi lanciato sulla ragazza, allontanandola dal luogo dell’impatto. La sua camicia era bruciata in più punti, specie nel centro esatto della schiena. Non doveva essere uscito completamente illeso dallo scontro.
- Principe Jesse. – boccheggiò Rachel, spalancando gli occhi e rendendosi conto di quanto era successo, - Siete ferito!
- Ma voi siete viva. – sorrise lui, rotolando giù dal suo corpo ed accasciandosi a terra con un gemito gonfio di dolore, - È ciò che importa. Ora abbiamo ancora una speranza.
Emma gli si precipitò accanto, stringendogli una mano e chiudendo gli occhi.
- È stato colpito gravemente. – disse poi, rivolgendosi alla ragazza, - La sua energia vitale è stata compromessa.
- Che sciocchezza… - ansimò il principe, agitando la mano libera, - È solo una ferita superficiale.
- La ferita lo è, - annuì Emma, aggrottando le sopracciglia, - ma la forza degli incantesimi non risiede nel dolore fisico che procurano, ma nell’uso che fanno dell’energia di chi li scaglia e di chi li assorbe. È una questione di bilanciamento, ed un alchimista come voi dovrebbe saperlo. – concluse severamente, voltandosi a guardare Rachel. – L’energia del principe non è più bilanciata. Il suo corpo è invaso dalla magia nera, e non può reggere ancora a lungo.
Rachel le ricambiò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore.
- Cosa posso fare? – domandò quindi, la voce tremula.
- Cosa puoi fare, già lo sai. – rispose Emma, sorridendo debolmente.
Rachel si irrigidì per qualche secondo, fissandola con paura e incertezza per un tempo che sembrò lunghissimo, prima di abbassare nuovamente lo sguardo sul principe Jesse. Ansimava pericolosamente, il petto che si sollevava e si abbassava con fatica sempre maggiore sotto la camicia bruciacchiata, i capelli scomposti appiccicati alla fronte dal sudore e dal sangue. Ne scacciò via una ciocca, accarezzandogli una tempia. E poi gli sorrise.
* - No… - mormorò la strega, indietreggiando appena quando vide il cacciatore, la sua compagna, la giovane strega e colui che era appena diventato il suo compagno avanzare risolutamente verso di lei, - No, questo è… no.
- È finita, strega. – ruggì Van Schuester, - Adesso siamo forti abbastanza. Preparati.
- No! – gridò ancora lei, sollevando le braccia per evocare un altro incantesimo di fuoco, mentre tutte le sue amazzoni lanciavano un devastante urlo di guerra e si avventavano sulle loro vittime con maggior foga.
Il principe Blaine e i suoi cavalieri ne circondarono un gruppo, trapassandole da parte a parte con le loro spade. Finn si lanciò con tutto il proprio corpo contro un’amazzone ormai pronta a irrompere all’interno della stalla, caricandola con forza fino a rispedirla indietro di un paio di metri. Dave ruggì con forza, afferrando per le caviglie un demone che stava già arrampicandosi lungo la parete della stalla per entrare dal tetto, e le spezzò le ginocchia con le proprie mani, prima di calciarla lontano.
- Non possiamo farcela. – ansimò, appoggiandosi alla parete per non cadere a terra in ginocchio, - Non abbiamo più forze. Van Schuester! – urlò, cercando con gli occhi il cacciatore, - Se la strega non muore… - ma dovette interrompersi, schiudendo le labbra in un’espressione di pura meraviglia quando vide quattro fasci identici di luce bianca sprigionarsi dal centro dei petti dei quattro impegnati a fronteggiare la strega. Come fulmini, attraversarono lo spazio fino al corpo della donna, chiudendosi attorno a lei con la violenza rabbiosa di una tenaglia e imprigionandola. La strega si dibatté, ringhiando e urlando, mentre gli attacchi delle amazzoni si facevano sempre più confusi e furiosi, ora che l’esercito di demoni stava perdendo la lucidità di chi li aveva evocati.
- Hummel! – gridò Van Schuester, - È il vostro momento!
Il signor Hummel, rimasto fino a quell’istante nascosto all’interno di una bolla generata da Emma, si fece avanti, mentre l’incantesimo di protezione attorno a lui si dissolveva. Inspirò ed espirò profondamente, irrigidendo le braccia lungo i fianchi e stringendo convulsamente i pugni.
- La tua magia, strega… - pronunciò a bassa voce, in un ringhio sommesso, - Io la rifiuto! – aggiunse in un grido più forte, ed il tempo sembrò fermarsi per un istante mentre la sua rabbia diventava magia, prendeva forma in una sfera di energia rosso sangue, e poi si lanciava contro la strega, colpendola all’improvviso.
La donna lanciò un grido straziante, gettando indietro il capo, il corpo squassato dalle fitte di dolore.
- Maledetti! – gridò, mentre le sue amazzoni si accasciavano per terra una dopo l’altra, in preda a convulsioni violentissime, per poi sparire senza lasciare la minima traccia. – Maledetti! Io vi maledico! – e mentre il suo corpo prendeva fuoco dall’interno, mentre gli occhi all’interno delle sue orbite si scioglievano e colavano via, mentre i suoi capelli si riducevano in polvere ed ogni fibra del suo corpo si anneriva, devastata dalla potenza della propria magia rifiutata che tornava indietro per distruggerla, trovò la forza di pronunciare un ultimo, tremendo incantesimo. – Giunone, Giunone, siimi vicina, mentre di Madre Natura inverto il ciclo, meschina. Ciò che un tempo aveste, e tolto vi fu, torni adesso ove al maschio fa male di più!
Quando tutto fu finito, restò solo l’eco della sua voce, ed un mucchietto di ceneri dove un tempo era stato il suo corpo. Il vento furioso della notte, tornata scura dopo la sua morte, portò via entrambe le cose nel giro di pochi istanti.
* - È già nato? – strillò Finn, irrompendo nell’anticamera che introduceva alla stanza del fratello e spalancando la porta senza la minima grazia, ricevendo in cambio un colpo di asciugamano bagnato in faccia da parte di Santana. Era ancora avvolto nel proprio impolveratissimo mantello da viaggio, essendo rientrato appena in tempo dopo aver ricevuto la lettera recapitata dal messo che l’aveva trovato a cavalcare lungo la costa orientale del continente, recante l’informazione della gravidanza del fratello ormai giunta quasi a compimento.
- Chi dovrebbe essere nato? – domandò Brittany, e Finn, massaggiandosi il viso, la fissò con aria incerta.
- Ma come chi? Il bambino! – rispose con ovvietà, allargando le braccia ai lati del corpo.
- Quale bambino? – insistette Brittany, e Finn lasciò andare un suono frustrato, mentre Santana interveniva in sua difesa, pinzandosi la radice del naso.
- Il signor Finn usa la parola “bambino” per intendere “neonato”, Britt. Parla della bambina del signorino Kurt. – rispose. Finn spalancò gli occhi, e poi le sue labbra si dischiusero in un sorriso ebete.
- È davvero femmina! – esclamò estasiato. Quando aveva sentito dell’assurda spiegazione fornita da Rachel e da quell’altra strega, mesi prima, non aveva potuto crederci; aveva deciso di prendere il tutto con le pinze, ed era tutto sommato contento di averlo fatto, dal momento che ora poteva dire di provare una gioia sorprendente che nessuno di coloro che avevano creduto a quella versione fin da subito poteva affermare di aver provato. – La prima femmina in tutto il villaggio dopo centoquindici anni, ed è mia nipote! – quasi cinguettò, muovendosi verso la porta più interna, attraverso la quale sentiva provenire i placidi vagiti di un neonato indiscutibilmente felice di essere venuto al mondo. – Fratello! – lo chiamò, spalancando anche quella porta e precipitandosi al fianco del giovane, ancora steso a letto, prima che Santana potesse anche solo provare a fermarlo, - State bene? – chiese premuroso, inginocchiandosi sul pavimento e sporgendosi per sbirciare la bambina avvolta in un morbido panno bianco ricamato. – Oh, cielo, è deliziosa. – ridacchiò nell’osservarne le gote chiazzate di rosso e la piccola bocca di rosa, - Dunque Rachel aveva ragione.
Kurt annuì, stringendo al petto la bambina mentre Dave, seduto sul letto al suo fianco, stringeva al petto lui. Quando, qualche mese dopo la dipartita della strega, il ventre di Kurt aveva cominciato a gonfiarsi, inizialmente tutti avevano pensato con terrore ad una qualche malattia. Il signor Hummel, che pure dalla morte della strega aveva preso ad invecchiare molto velocemente, e che ora si ritrovava bianchissimo e quasi privo di forze ma tutto sommato in salute per contare quasi centoventicinque anni d’età, aveva temuto di poter perdere il minore dei propri figli prima che fosse giunta la propria ora, e il pensiero si era fatto insopportabile al punto che, dopo aver consultato tutti i medici ed essersi sentito ripetere decine e decine di volte che la causa di quel gonfiore sembrava introvabile, aveva supposto che dovesse trattarsi di qualcosa di relativo all’ultima maledizione lanciata da quella donna prima di bruciare, e pertanto aveva chiesto a sua maestà Blaine – ritornato a palazzo dopo aver appreso dalla viva voce di Kurt che, pur lusingato dal suo affetto, non intendeva più sposarlo – di inviare messi in tutti gli angoli del continente, per rintracciare gli unici che forse avrebbero potuto salvare Kurt, e che si trovavano in quel momento da qualche parte senza che nessuno sapesse dove, in viaggio alla ricerca di nuove streghe da sconfiggere.
Rachel, il principe Jesse, il cacciatore Van Schuester e la sua giovane compagna Emma erano stati ritrovati nei pressi della Foresta dei Salici Piangenti, a Ovest rispetto a Lima, intenti a cercare di portare a termine una nuova missione, ed erano stati ricondotti alla villa di gran fretta. Lì, dopo un’accurata visita ed un consulto, Rachel ed Emma avevano fornito la spiegazione che ritenevano più plausibile: entrambe ricordavano bene le ultime parole della strega, e poggiando le mani sul ventre gonfio di Kurt potevano ancora sentirne l’eco; la donna aveva ridato la fertilità al villaggio, che ora era nuovamente in grado di dare alla luce bambine, ma solo tramite gli esponenti maschi della specie. Da quel momento in poi, solo gli uomini avrebbero potuto partorire femmine, mentre le donne avrebbero continuato a partorire solo maschi.
Le due streghe avevano rassicurato Kurt sulla salute della sua bimba, spiegandogli che per quanto l’eco della maledizione della strega risuonasse forte dentro di lui, l’energia spirituale della bambina sembrava intatta e pura come quella di tutti i bambini prima di nascere, e che pertanto non correva alcun rischio.
Il ventre aveva continuato a crescere. Tutti avevano preso atto dell’incredibile verità come più cento anni prima avevano preso atto dell’altrettanto incredibile verità di non poter più dare alla luce bambine, e poco a poco anche l’idea di un uomo che potesse partorire una bimba era diventata naturale, come anni addietro era diventato naturale che nessuna donna potesse più farlo. Era stato per certi versi perfino obbligatorio accettarlo, dal momento che, come Van Schuester aveva professionalmente spiegato quando era stato interpellato, l’ultima maledizione che una strega lancia prima di morire non ha alcuna possibilità di essere annullata in alcun modo.
- Eccola qui. – disse dolcemente Kurt, mostrando al proprio fratello la bambina appena nata, - È bella, vero?
Finn annuì, commosso. Aveva viaggiato in lungo e in largo, da quando, dopo la morte della strega, era riuscito a confessare che non esistesse niente al mondo che desiderasse di più di spingersi oltre i confini del continente, ed esplorare il mondo; aveva viaggiato in lungo e in largo, sì, ma non aveva mai visto niente di più bello di quella creatura.
- Come la chiamerete? – domandò. Kurt chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, ascoltando la musica dentro di sé, quella che l’aveva accompagnato per tutta la gravidanza, e di cui non aveva mai parlato a nessuno.
- Sue. – rispose, - La chiamerò Sue.
La bambina, stretta contro il suo petto, persa nei propri sogni, piegò il capo e sorrise.
La ragazza sorrise, stringendosi nelle spalle. «Sei ancora giovane» rispose, «Hai tutto il tempo che ti serve.»
«No, non è così» scosse il capo lui, avvicinandosi a lei e stringendo le sue mani pallide e sottili fra le proprie, «La mia scienza è già parecchio avanti rispetto a quella degli altri scienziati di questo paese, ma— non è sufficiente. Non mi serve solo qualche anno in più, non sto parlando di un paio di decenni, sto parlando di… tempo. Tempo vero. Quel tempo che quando lo guardi sembra infinito, quel tempo che ce n’è sempre abbastanza. Quel tempo lì serve a me.»
Rossa in viso, la ragazza deglutì, senza allontanarsi di un passo, ed anzi, ricambiando la stretta delle sue mani con le proprie. «Cent’anni? Duecento?» deglutì ancora. I suoi occhi scintillavano. Dalle sue dita partivano tenui raggi di luce che illuminavano la radura come stelle. La superficie del lago, resa nera come la pece dalla notte inoltrata, sembrava un cielo d’estate. «Io posso darteli» annuì, «Ma tu devi promettere.»
Lui non si allontanò. Avrebbe promesso la luna a chiunque, se solo gli avessero dato abbastanza anni per imparare a raggiungerla e catturarla in una gabbia. «Dimmi cosa devo promettere, e lo prometterò.»
«Prometti…» sussurrò la ragazza, avvicinandosi a lui e bisbigliando al suo orecchio. Lui spalancò gli occhi e, nell’ascoltare la sua voce gentile e ciò che diceva, si lasciò sfuggire una risatina divertita. Non poteva essere che uno sciocco gioco, lei non poteva aiutarlo. Ma lui le avrebbe comunque promesso ciò che voleva, per ringraziarla di averlo ascoltato ed aver provato ad illuderlo che un modo per sconfiggere il tempo esistesse davvero.
Chinandosi sulle sue labbra e sfiorandole in un bacio lievissimo, promise.
Partì l’indomani. Non la rivide più.
WHERE TIME STANDS STILL
Erano ormai più di cento anni che nel Principato non nascevano bambine. A quanto pareva, non si trattava di una questione di infertilità – le schiave straniere che sovente venivano prese ad oggetto dei favori dei signorotti del paese partorivano spesso e volentieri, ma solo maschi – quanto più di semplice sfortuna, o, come credevano altri, compresi i componenti del Consiglio della Dalton, che nella capitale del principato, Westerville, si occupavano di servire il principe Blaine facendo uso di tutta la loro cultura e saggezza, di una maledizione, gettata sul Principato da qualche malvagia fattucchiera o da un principe di un altro paese, geloso delle ampie ricchezze che anche a quel tempo, nonostante la carenza di figlie femmine, continuavano a benedire il Principato.
Mentre gli alchimisti della capitale cercavano di risolvere il problema, preparando unguenti e pozioni da somministrare alle schiave nella speranza che potessero riprendere a partorire figlie femmine, e mentre ogni sei mesi da Westerville partivano spedizioni nelle foreste circostanti il Principato nella speranza di trovare l’antro della malvagia strega che si riteneva responsabile di questa incresciosa situazione, nelle campagne e nei piccoli villaggi circostanti la capitale la vita aveva continuato a svolgersi tranquillamente, priva di preoccupazioni eccessive.
Lord Burt Hummel, ad esempio, che governava con amore e giustizia il piccolo villaggio di Lima, era convinto che tutte le teorie del Consiglio non fossero altro che baggianate. Lui, da sempre seguace delle teorie razionaliste dei colti studiosi dell’Accademia McKinley, orgoglio e vanto del villaggio, era più propenso a credere che si trattasse di una semplice – improbabile, ma non del tutto impossibile – flessione delle nascite, come ogni tanto se ne vedevano in quella regione, specie nei periodi di magra o di carestia. Certo, sarebbe stato molto più semplice e probabile che le nascite calassero tutte, maschili o femminili che fossero, ma si poteva forse condannare il caso per avere azzerato le nascite delle bambine soltanto? Naturalmente no. Prima o poi le femmine avrebbero ricominciato a nascere, e tutto si sarebbe messo a posto da sé.
Fino a quel momento, però, ci si sarebbe dovuti arrangiare, ed era secondo questo principio che Lord Hummel aveva deciso di educare il suo secondogenito, il signorino Kurt. Le schiave, infatti, andavano bene per placare gli appetiti sessuali dei giovani signorotti del paese e della campagna, certo, e potevano andare bene perfino per generare i loro eredi, ma di sicuro non potevano essere presentate a corte, non potevano entrare a far parte della società e tantomeno potevano entrare a far parte delle famiglie nobiliari che reggevano i vari villaggi, o tantomeno la Capitale. No, solo una donna di sangue blu avrebbe potuto occupare il posto che ad una donna di sangue blu era destinato. E se tali donne scarseggiavano, be’, era con ciò che si aveva a disposizione che si doveva lavorare.
Kurt era sempre stato un fanciullo molto delicato ed elegante, e perciò Burt non invidiava affatto tutti i signori dei paesi circostanti che, saputo della sua geniale idea, avevano provato a replicare coi loro figlioli quanto lui aveva fatto col proprio. La sola immagine di tutti quei monelli sporchi di fango e cioccolato, ripuliti e risistemati e ficcati a forza in un casto abito da donzella, lo divertiva oltremodo. Con Kurt, invece, era stato tutto molto più semplice, quasi non c’era stato nemmeno bisogno di forzarlo ad indossare la gonna. Kurt l’aveva fatto di propria spontanea iniziativa, così come sempre era accaduto anche quando aveva cominciato ad interessarsi alle femminee arti del canto, del cucito e dell’educata e lieve conversazione che a tutte le donzelle del suo rango era appropriata, e che lui, pur non essendo una donzella, era in grado di padroneggiare splendidamente.
In breve tempo, la voce che il secondogenito di Lord Hummel aveva assunto il ruolo della donzella di casa aveva fatto il giro del Principato, ed ovunque avevano cominciato a verificarsi casi analoghi, ma Kurt, nella sua virginea e pallida perfezione, restava l’esempio migliore che si potesse trovare in tutto il paese, un fiore di rara bellezza che tutti i villaggi limitrofi invidiavano a Lima, ben consapevoli di non avere nessuna speranza di riuscire a dare alla luce un giorno un bambino che fosse abbastanza bello e delicato da provare anche solo ad imitare le meraviglie di cui il signorino Kurt sembrava custode per volere di Dio in persona.
Con una tale luce a risplendere dal cortile e dalle finestre della villa in campagna di Lord Hummel, non c’era da stupirsi che, contrariamente a quanto accadeva in tutto il resto del Principato, ove i villaggi erano ormai diventati luoghi tristi dove altrettanti tristi caricature di giovani ragazze in boccio vagavano tristemente per le strade rattristando l’occhio già triste dei viandanti che tristemente si trovavano a passare per quei tristi luoghi, Lima rappresentasse se non meta di pellegrinaggio comunque un luogo allegro sul quale fermarsi per un po’ di ristoro, soprattutto per chi viaggiava a cavallo da giorni ed aveva ancora davanti a sé molta strada da percorrere.
Quando, quel giorno, Lord Hummel – impegnato ad intrattenersi con uno dei suoi pochi vezzi, quello di calare le braccia fino ai gomiti nei meccanismi di certe macchine a olio e a vapore che amava progettare e costruire – vide il giovane garzone Sam correre lungo il viale principale che conduceva al cortile della propria villa, scalzo come sempre ma sporco di terra e polvere più di quanto non l’avesse mai visto, immediatamente gli andò incontro, rallegrato dalla possibilità che il ragazzo portasse con sé notizie di un qualche diversivo che fosse in viaggio verso di loro dalla Capitale, per distrarsi un po’ dalla calura asfissiante con lui l’inizio della primavera li stava flagellando, e che provocava a tutti gli abitanti della tenuta un fastidio che neanche la presenza di Kurt riusciva a lenire.
- Ordunque, ragazzo! – lo fermò, poggiando le mani ancora sporche d’olio e grasso sulle sue spalle, mentre attorno a loro s’andava via via formando un crocchio di persone sempre più ampio, composto dal fattore Puck, dal medico di corte Artie, dalla cuoca Mercedes, dalla maestra di canto Rachel, dai due camerieri di origine orientale Mike e Tina e dalle due dame di compagnia di Kurt, Brittany e Santana, - Placati e doma il tuo affanno, e racconta al tuo padrone cosa ti spinge a correre così a perdifiato per i nostri bei campi, quando dovresti essere giù al villaggio ad occuparti delle spese per la famiglia tutta.
- Mio signore, - esordì Sam con entusiasmo, cercando di respirare normalmente, - stavo appunto recandomi al villaggio con le mie sporte vuote, per comprare i cibi e le bevande che mi avevate ordinato di procurarmi al mercato, quando all’improvviso di fronte a me vidi giungere un gruppo di nobiluomini a cavallo!
- Nobiluomini a cavallo! – ripeté Burt, sorridendo compiaciuto, - Viaggiatori? Principi dei paesi vicini? Granduchi e visconti diretti al mare e costretti a passare per Lima per un po’ di ristoro?
- Meglio, mio signore! – riprese Sam, quasi saltando sul posto mentre il suo pubblico rumoreggiava, educatamente raggruppato a qualche centimetro da Burt, che ancora lo teneva per le spalle, - Inizialmente mi era sembrato di non riuscire a riconoscere chi guidasse il molto onorevole drappello di gentiluomini, ma quando essi mi si sono avvicinati abbastanza non ho più avuto scuse, e d’altronde non so come sia possibile non riconoscere il regale portamento, la fiera chioma riccia e corvina e gli splendidi occhi del nostro sovrano, il principe Blaine!
- Cosa? – quasi gridò Burt, al colmo della gioia, mentre la folla si apriva in un urlo di festa, - Stai forse dicendo che sua maestà il principe sta per giungere in questa casa?
- È a meno di mezz’ora di viaggio, mio signore! – rispose Sam, indicando la strada, - I nobiluomini si sono fermati a far ristorare i cavalli sulle rive del lago a pochi chilometri da qui, ed io ho cercato di correre il più velocemente possibile per avvertirvi!
- Ed il tuo sforzo sarà premiato. – annuì Burt, battendogli un paio di pacche sulle spalle. – Puck, libera il ragazzo dai suoi pesi. – ordinò, - Di quanti uomini stiamo parlando? – chiese quindi, mentre Puck obbediva e sollevava le sporte che Sam ancora trascinava, strisciandole al suolo.
- Una decina, mio signore. – rispose subito Sam, con un lieve cenno del capo, - Oltre al nostro principe ho riconosciuto i suoi fedeli compagni, Lord Wesley Montgomery, Lord David Thompson e Lord Thad Harwood, ed essi sono accompagnati da un aitante biondo signore che non ho mai visto prima, ma di sicuro dev’essere un principe, tanto fiera e regale è la sua figura!
- Sentito, Tina, Mike? – disse Burt, voltandosi a guardare i due camerieri che, trascinati dai festeggiamenti degli altri, si affrettarono a ricomporsi e profondersi in ampi cenni del capo in direzione del loro signore per dimostrare di aver riacquistato il controllo su loro stessi, - Preparate le camere, arieggiate la villa, disponete tutto per l’arrivo dei nostri graditi ospiti, e Brittany, Santana? – chiamò, cercando con gli occhi le due dame nella folla. Esse mossero un passo avanti agli altri per farsi notare, inchinandosi di fronte a lui. – Correte ad avvertire Kurt. – disse quindi Burt, sorridendo con orgoglio, - Che sia pronto per l’arrivo di sua maestà.
Brittany e Santana annuirono e sorrisero, per poi sollevare le gonne e correre celermente verso casa, alla ricerca di Kurt. Mentre tutta la servitù riprendeva l’usuale attività, Burt si deterse le mani su un panno pulito e restò in mezzo al viale, accanto al proprio marchingegno, a scrutare l’orizzonte, tendendo l’orecchio per essere pronto a captare il più lieve segnale che potesse suggerire l’avvicinarsi di una mandria di cavalli al galoppo. La giornata si apprestava a diventare molto più interessante, e in molti sensi. D’altronde, era risaputo che il principe stesse cercando moglie, ed era altrettanto ovvio che non avrebbe potuto sposare una serva. E se le donne scarseggiavano, pensò Burt con un sorriso soddisfatto, be’, era con ciò che si aveva a disposizione che si doveva lavorare.
Kurt era per Finn niente più e niente meno che una sorella da ammirare, coccolare e adorare devotamente. Una delicata ragazza da proteggere ed alla quale stare accanto per poter meglio godere della sua bellezza, della gentilezza dei suoi gesti e della delicatezza della sua persona. Entrambi amavano trascorrere del tempo insieme, cavalcare ai margini della foresta o attorno allo splendido lago che si trovava a qualche chilometro di distanza dalla villa, ma dal momento che non sempre era possibile concedersi questa divertente attività spesso ripiegavano sulla lettura. Quasi ogni pomeriggio, che fosse estate o inverno, Finn prendeva dalla biblioteca paterna un volume di quegli splendidi poemi epici sull’amore e sulla guerra la cui lettura sovente colorava del rosso acceso delle rose in primavera le guance di Kurt, e ne declamava qualche pagina al fratello, restando seduto al suo fianco e reggendo il libro con una mano e le sue pallide dita sottili con l’altra.
Erano impegnati in questa piacevole attività anche quando Brittany e Santana irruppero a disturbare la loro quiete, quel giorno. L’eroe del poema stava dedicando alla propria dama un sonetto di intenso ardore e vivida emozione, e Finn stava divertendosi oltremodo nell’osservare la pelle quasi trasparente di Kurt avvampare sulle gote e sul collo, preda dell’imbarazzo che le parole tanto ardite del cavaliere lo costringevano a provare, quando le due dame fecero il loro ingresso nella stanza.
- Brittany, Santana. – si affrettò a sorridere Kurt, alzandosi in piedi ed andando loro incontro, nascondendo il proprio rossore dietro ai veli che scendevano giù dal suo capo, - Quali nuove? Ho sentito del trambusto, giù in cortile.
- Ciò vuol forse dire che non mi stavate ascoltando, fratello? – rise Finn, alzandosi in piedi ed affiancandosi a lui solo per vedere se le sue parole lo mettevano ulteriormente in imbarazzo, cosa che puntualmente accadde.
- Ma cosa dite, fratello? – mormorò Kurt, nascondendosi pudicamente dietro al velo, - Ho solo sentito dei rumori. Ordunque, Santana, Brittany, ditemi.
- Buone nuove, invero, signorino Kurt. – iniziò Santana con un inchino, lasciando poi la parola a Brittany. La quale sorrise con evidente soddisfazione, si profuse a propria volta in un elegante inchino e dunque parlò.
- Sam, il nostro garzone, si è evidentemente innamorato di sua maestà il principe. – disse. Se la camera non fosse stata spoglia e spartana, come ad una donzella di campagna quale Kurt avrebbe dovuto essere si addiceva, quadri sarebbero caduti dalle pareti, e piatti sarebbero piovuti dal cielo fracassandosi al suolo.
- Co-Come…? – balbettò Kurt, incerto.
- Non badatele, signorino Kurt. – sospirò Santana, sollevando gli occhi al cielo, - Conoscete Brittany, d’altronde.
- Come sarebbe a dire? – domandò la ragazza, vagamente offesa, - E tutto quel parlare di portamento regale, fieri capelli corvini e splendidi occhi?
- Era solo un modo per annunciare l’arrivo della sua graziosa maestà, Britt. – le spiegò Santana, con un altro sospiro arreso, ed appena ebbe pronunciato quelle parole fu evidente, dalla diversa tensione dell’aria, che qualcosa in Kurt era cambiato. Le due donne e Finn si voltarono immediatamente a guardarlo, per notare che, al colmo dello stupore, aveva lasciato ricadere i lunghi veli lungo i fianchi appena sottolineati dal vestito a gonna retta e priva di fronzoli che indossava. Le sue guance s’erano colorate di un rosa vivido e fanciullesco, e i suoi occhi chiari brillavano d’emozione. Finn aggrottò le sopracciglia, decisamente poco compiaciuto.
- Sua maestà… è qui? – esalò Kurt in un sospiro sognante, e le sue due dame di compagnia sorrisero, annuendo in segno di conferma.
- Arriverà in una manciata di minuti. – precisò Santana.
- Si stava abbeverando al lago coi suoi cavalli e i suoi affascinanti cortigiani. – aggiunse Brittany, fornendo particolari che nessuno sentiva il bisogno di conoscere.
- …sì. – annuì Kurt, e poi si rivolse a Finn, poggiando delicatamente entrambe le mani sul suo avambraccio e guardandolo con dolcezza, - Fratello, vi dispiacerebbe lasciarmi, adesso? Vorrei cambiarmi d’abito, per essere pronto per il momento in cui incontrerò sua maestà.
- Sì, naturalmente. – annuì Finn, sporgendosi a lasciare un lieve bacio sulla pallida fronte del fratello minore, - Ma non agghindatevi troppo. – lo rimproverò scherzosamente, agitandogli un dito davanti al viso, - Non sono ancora pronto a perdervi in favore di uno sciocco, impomatato principe a cavallo.
- Fratello! – sbottò Kurt, gonfiando le guance, mentre Brittany e Santana ridevano civettuole, affiancandolo, - Non siate offensivo nei confronti di sua maestà! Vi prego, provate ad essere gentile! Sapete bene quanto ammiro la sua regale persona!
- Come potrei non saperlo bene? A stento conversate d’altro! – rise Finn, esalando un sospiro paziente e premendo lievemente la punta del dito contro la punta del naso del fratello, - Ma basta ridere e scherzare, adesso vi lascio. Tornerò a prendervi per scortarvi in cortile quando il principe sarà giunto. A dopo. – sorrise, salutandolo con un cenno della mano e lasciandolo solo con le sue dame per lavarsi e cambiarsi d’abito.
- Tutte leggende, appunto, mio principe. – rise Burt, porgendogli la mano e stringendola vigorosamente, - I miei macchinari non sono giunti che ai confini di Lima, né tantomeno io ho mai osato spingermi oltre. Troppo poco affidabili, e di indubbio poco interesse per la vostra persona.
- Scommetto che invece mi interesseranno tantissimo. – insistette Blaine, mentre anche i suoi compagni scendevano a terra, lasciando la cura delle loro cavalcature ad un ragazzotto piuttosto tozzo, robusto, dall’espressione cupa e con due piccoli occhi sfuggenti sul volto a conferirgli un’aria sgradevolmente furtiva e scontrosa. – Vorrò vederle, anzi, tutte quante.
- Ed io ve le mostrerò con piacere. – annuì Burt, lanciando un’occhiata al porticato e notando con un sorriso l’arrivo ormai prossimo di Kurt, avvolto nel suo più ricco e sontuoso vestito, cavallerescamente scortato da Finn in alta uniforme. – Ma temo che dovrò sbrigarmi a mostrarvele, o rischio che, paragonate a quanto altro di bello hanno da offrirvi le mie modeste terre, voi le troviate ancor più banali di quanto esse già non siano.
Blaine inarcò un sopracciglio, in un primo momento incerto su quanto Lord Hummel stesse cercando di dirgli, ma quando, seguendo il suo sguardo, incontrò la snella e quasi evanescente figura di Kurt al braccio del proprio fratello maggiore, ogni parola si spense nel fondo della sua gola, ed i suoi occhi non poterono che fissarsi su di lui, mentre lo osservava avvicinarsi con movenze lente ed eleganti, seguito dalle sue due dame di compagnia.
- Principe Blaine, è un onore avervi in casa nostra. – disse immediatamente Finn, abbandonando il braccio del fratello per tributargli il saluto militare, prima di tornare a sorreggere Kurt come egli avesse bisogno di un appiglio per non cadere.
- Mio principe, - intervenne Burt, avvicinandosi ai suoi due figli, - lasciate che vi presenti i miei due gioielli più preziosi: il mio primogenito Finn, e… non so se avete mai sentito parlare del mio secondogenito, Kurt.
Blaine, il respiro sospeso e gli occhi brillanti di genuina meraviglia, si avvicinò a Kurt, inginocchiandosi al suo cospetto ed aspettando che lui gli porgesse la mano per stringerla fra le proprie dita, sfiorandone appena il dorso con le labbra in un bacio rispettoso e casto.
- Avrei dovuto essere sordo per non sentirne parlare. – confessò sollevandosi in piedi, mentre Kurt distoglieva pudicamente lo sguardo, - Siete davvero incantevole come si racconta. Ed… è un piacere conoscere anche voi, Finn. – aggiunse, cercando di riprendere padronanza del proprio raziocinio e salutando il giovane signore di quelle terre con un cenno del capo, - Della vostra intelligenza si parla in termini molto lusinghieri, alla mia corte. Spero di poter passare molto tempo in vostra compagnia.
- La speranza è ricambiata, mio principe. – rispose Finn con un sorriso spavaldo, aggiungendo mentalmente che più tempo Blaine avrebbe passato con lui, meno gliene sarebbe rimasto per portar via suo fratello Kurt.
- Sono contento di sentirvelo dire. – annuì Blaine, con un sorriso che parve a Finn sinceramente entusiasta. – Ora, Lord Hummel, - riprese, voltandosi verso Burt, - mi rincresce chiedervi un tale favore così all’improvviso, ma io e la mia modesta compagnia siamo in viaggio ormai da parecchi giorni, ed ancora parecchia strada ci separa dalla Foresta Nera, ove siamo diretti. Posso contare sulla vostra ospitalità, per qualche giorno? Il tempo necessario per rifocillarci, ritemprare i nostri spiriti e prepararci a ripartire?
- Mio signore, vi prego, - gli sorrise Burt, incoraggiante, - considerate la mia umile dimora come fosse casa vostra, per tutto il tempo che riterrete opportuno o che vi piacerà fermarvi.
Blaine sorrise entusiasta, annuendo e sporgendosi ad abbracciare Burt col calore usualmente riservato ad una persona amata e conosciuta da lungo tempo.
- Burt, permettetemi di chiamarvi per nome come un amico, e concedetemi il privilegio di fare voi lo stesso con me. – disse, stringendogli la mano, - E lasciate anche che vi presenti il mio seguito, ho portato con me solo i miei amici più fidati.
- Mio signore, sarei davvero un suddito indegno se non conoscessi già di fama gli esimi componenti del vostro consiglio. Lord Montgomery, Lord Thompson, Lord Hardwood, è un piacere avervi con noi. – li salutò con un educato cenno del capo. – Mi è invece ignoto il giovane signore dai capelli biondi che vi accompagna, Blaine.
- Oh, come ho potuto dimenticare di presentarvelo immediatamente! – sbottò il principe, sollevando gli occhi al cielo, esasperato dalla propria stessa distrazione, - Si tratta di Jesse St. James, stimato principe di Carmel e mio caro amico. – disse, poggiandogli una mano sulla spalla. Rachel, in piedi in mezzo al resto della servitù alla spalle di Lord Hummel, non poté fare a meno di concedersi un tremito emozionato nel sentire il nome di quel lontano paese, e tale tremito non sfuggì agli occhi di Finn, fermo a pochi metri da lei ed ancora immobile accanto al proprio fratello.
- È un piacere fare la vostra conoscenza, principe. – disse Burt, porgendo la mano per una stretta vigorosa anche a Jesse, - E sarà mio onore ospitare voi e il vostro seguito in casa mia. Posso chiedere alle vostre maestà qual è il motivo del vostro viaggio? – chiese quindi, tornando a rivolgersi a Blaine, il quale sembrò gonfiarsi, orgoglioso come un galletto, prima di rispondere.
- Fonti certe hanno parlato della presenza di una strega nella Foresta Nera, ai confini dei vostri possedimenti, Burt. – spiegò, - Avendo già il mio amico Jesse liberato il proprio principato dalla malvagia strega che teneva sotto scacco la popolazione privandola dell’acqua, ho chiesto il suo aiuto per sconfiggere la megera che priva noi della gioia di avere figlie femmine di sangue nostro da crescere.
- Una strega, mio signore? – chiese Burt, inarcando un sopracciglio mentre Kurt, al suo fianco, non riusciva a trattenere una risatina, che cercò invano di nascondere dietro il dorso della mano.
- Noto dello scetticismo nella vostra domanda. – sorrise Blaine, - E nella splendida risata del vostro altrettanto splendido secondogenito. – aggiunse divertito, voltandosi a guardare Kurt, - Davvero credete che l’ipotesi di una strega sia così improbabile?
- Mio signore, - disse Kurt, risolvendosi a parlare con la massima serenità, la voce dolce, femminea e soave, dopo un breve ma elegante cenno di scuse, - non lasciate che la mia posizione vi tragga in errore. Sono stato educato come una dama, ma sono stato anche istruito come un ragazzo. Streghe e fattucchiere, qui a Lima, nella capitale del razionalismo, sono sempre viste come un’ipotesi improbabile, al pari di tutte le altre creature di cui sovente leggo nei miei libri. Il mio cuore palpita al pensiero di un’avventura vissuta fra cavalieri dalle armature scintillanti, draghi sputafuoco e perfide streghe, ma la mia mente è salda, e mi impedisce di credere a simili storie.
Blaine rise, grandemente divertito, nell’allungare una mano a stringere nuovamente le dita pallide di Kurt, portandole alle labbra in un gesto delicato e rispettoso.
- Sarete una compagnia incredibilmente piacevole, mio caro Kurt. – commentò.
- Ma non prendetevi gioco delle mie parole, maestà. – lo avvertì lui, gli occhi brillanti e pieni di scintillante e battagliero orgoglio, - Il mio aspetto potrà forse ingannarvi, ma la mia lingua non è avvezza a cortesie che sarebbero unicamente formali. Mostrate di rispettarmi, ed io mostrerò uguale rispetto per voi.
La presa delle dita di Blaine attorno a quelle di Kurt si fece più stretta, mentre i suoi occhi ricambiavano con ardore l’intensità dello sguardo del ragazzo.
- Sono assolutamente sincero. – ribadì seriamente, pur senza rinunciare all’ombra di sorriso che gli piegava le labbra, - Siete meraviglioso, ed i giorni che passerò al vostro fianco saranno indubbiamente i più belli della mia vita.
Kurt si ritrasse con un sorriso divertito, stringendosi pudicamente nelle spalle.
- Grazie, mio principe. I vostri complimenti riempiono il mio cuore di orgoglio. Ma temo sia il caso che io mi ritiri, per stasera. – si voltò con grazia, cercando lo sguardo di Finn, - Fratello, vi sarebbe di troppo disturbo riaccompagnarmi alle mie stanze?
- Non saprei immaginare un’incombenza più piacevole di questa, fratello caro. – rispose Finn, sorridendogli teneramente. Blaine li osservò andare via, affrettandosi a prendere le mani di Burt non appena li vide scomparire.
- Vostro figlio, Burt, è un fiore di rara bellezza. – disse, la voce scossa da un fremito di viva emozione, - Ma avremo modo di discuterne ampiamente in futuro. – aggiunse con imbarazzo, come temesse di essersi spinto troppo oltre. – Ora, vi sarei grato se mostraste al mio stalliere dove sistemare i cavalli per la notte. E dopo, sarò contento di unirmi alla vostra famiglia per cena.
La sua voce, così elegante e ferma, aveva stregato il principe fino a costringerlo ad una mezz’ora di quieto silenzio, di cui Finn fu molto grato, ma che poi s’interruppe bruscamente quando appunto egli riprese a cantare le lodi della perfezione di Kurt, aggiungendo qua e là accenni vari a quanto la sua corte, a Westerville, avrebbe potuto trarre beneficio dalla presenza di una tale meravigliosa creatura.
- Ma ditemi, piuttosto, principe, - lo interruppe ad un certo punto Finn, ben disposto perfino a sopportare altre due ore di delirio su streghe, pozioni e malefici, pur di non dover più sentire nominare il proprio fratello come se già il principe fosse certo di poterlo sposare entro l’anno, - se davvero doveste imbattervi in questa tanto temuta strega, come la uccidereste?
- Ammetto di non essere granché ferrato, sull’argomento. – disse Blaine, con evidente imbarazzo, stringendosi nelle spalle, - È per questo che ho chiesto consiglio al principe Jesse. Lui sa già come fare, ed essendo il suo principato spesso stato vittima degli incantesimi di qualche vecchia maliarda, e provenendo dunque egli da un’antica e stimata stirpe di cacciatori di streghe, sarà più che felice di rispondere ad ogni vostra domanda.
Finn si rivolse dunque all’ospite, e così fece tutto il resto della tavolata, composta non solo dagli abitanti della casa, ma anche da alcuni importanti vassalli di Lord Hummel, ai quali, poco dopo l’arrivo del principe, erano stati inviati dei messi, poiché fossero avvisati della necessità di presenziare a cena col sovrano quella sera stessa.
- Contrariamente alle credenze popolari, - cominciò Jesse, accavallando le gambe e stendendosi più comodamente contro lo schienale della propria sedia, - le streghe non possono essere uccise col fuoco. Fortunatamente, non viviamo più in un periodo di oscurantismo religioso, come sicuramente voi dotti abitanti di Lima sarete contenti di sentirmi dire. – affermò con un sorriso, - No, io compatisco le povere donne che in epoche antiche sono morte arse vive sui roghi della Santa Madre Chiesa, - disse, sottolineando l’appellativo con un ghigno sardonico, - poiché esse erano tutte innocenti. Le vere streghe non possono essere bruciate perché cospargono costantemente la loro pelle di un unguento che le rende resistenti alle fiamme. E questo non perché abbiano paura degli esseri umani e degli sciocchi metodi che in passato hanno usato per cercare di ucciderle, ma perché durante i Sabba è il fuoco stesso dell’Inferno a lambirle, e da quello loro hanno ormai imparato a proteggersi. Se le fiamme di Lucifero non le feriscono, mi spiegate in che modo potrebbero ferirle quelle degli uomini?
- State dunque dicendo che non c’è modo di uccidere una semplice donna? – interloquì Burt, inarcando un sopracciglio, dubbioso, - Signore, voi vi burlate di noi. Vivere in campagna, lontano dai fasti della Capitale, è forse sinonimo d’ignoranza, per vostra maestà?
- Non oserei mai. – si affrettò a dire Jesse, sollevando entrambe le mani, - E d’altronde non ho detto che niente può ucciderle, solo che il fuoco non può farlo. I miei alchimisti hanno sviluppato la formula di un liquido altamente corrosivo, che abbiamo chiamato acido, dal latino acidus. È in grado di sciogliere in pochi minuti un intero corpo umano, se concentrato.
Finn, così come gran parte degli ospiti, trasalì al solo udire quelle parole.
- Ciò di cui parlate con tanta leggerezza è… è raccapricciante. – disse, deglutendo a fatica.
- Forse. – annuì Jesse, giungendo le mani in grembo, - Ma siamo uomini di mondo, e la morte non ci spaventa. Dico bene?
- Non saprei dire, signore. – rispose Finn, con evidente astio, - Ho viaggiato poco e tengo ancora in grande considerazione la vita delle persone. Forse non sono un uomo così di mondo come credete voi.
Burt tossicchiò appena, lanciando al figlio un’occhiata, come a chiedergli silenziosamente di placare il suo spirito ribelle.
- E come avreste intenzione di catturare una donna che non ha paura nemmeno del fuoco? – domandò, per riportare la conversazione su argomenti più lievi, - Il vostro… come l’avete chiamato? Acido, sì. Il vostro acido può ucciderla, ma se è un liquido non sarà poi così difficile da evitare. E le streghe, secondo le leggende, sanno volare.
Jesse annuì, pensieroso.
- In effetti, esiste un solo momento in cui le streghe perdono tutti i loro poteri. Ed è imparando a sfruttare quel singolo momento che io e i miei avi abbiamo imparato a catturarle. – sorrise compiaciuto, tirando le labbra in una smorfia quasi terrificante mentre portava alle labbra il proprio calice per un sorso di vino. – Esse sono completamente indifese nella mezz’ora successiva all’amplesso. – rivelò con un certo divertimento, mentre i commensali accoglievano la notizia chi borbottando, chi spalancando gli occhi in segno di stupore e chi – specialmente i più giovani – arrossendo vividamente.
- State dicendo che è così che le catturate? – esalò Finn, sconvolto. Suo padre cercò di fermarlo con un’altra occhiata, ma lui, totalmente concentrato sull’espressione sottilmente divertita di Jesse, non la vide, o se la vide, la ignorò. – Approfittate di loro e poi, nel momento in cui sono più vulnerabili, le catturate e le sciogliete nell’acido?
- Andiamo, - sbuffò Jesse, gesticolando vago, - è di una strega, che stiamo parlando.
- Ma è ancora un essere umano! – quasi urlò Finn, scattando in piedi, oltraggiato. – Sempre che esista. – aggiunse, abbassando il tiro e cercando di riprendere il controllo schiarendosi brevemente la voce. – Chiedo perdono, - disse, chinando il capo in segno di scuse, - sono molto stanco e non mi sono accorto di quanto sgarbatamente mi stessi ponendo nei vostri confronti. Col vostro permesso, padre, - disse, rivolgendosi a Burt, - mi ritirerei per la notte.
Burt annuì, allungandosi a poggiare brevemente una mano sulla sua, prima di lasciarlo andare.
- Chiedo scusa anch’io, - disse l’uomo, quando il figlio fu sparito oltre il porticato e all’interno della villa, - Finn sa essere molto appassionato, quando discute di argomenti che per qualche motivo lo toccano.
- Quello delle streghe è un argomento che lo tocca? – buttò lì Jesse con noncuranza, guadagnandosi un’occhiata infastidita da parte di Burt.
- Credo che a toccarlo fosse più che altro lo scarso rispetto che la vostra maestà dimostra per la vita umana, principe. – precisò Burt, forzandosi a sorridere con aria non troppo irritata.
- Via, via. – cercò di placare gli animi Blaine, frapponendosi fra i due con un sorriso meno stentato e più aperto, - Burt, non avete alcun motivo di scusarvi, e neanche vostro figlio. È normale reagire così di fronte ad abitudini così palesemente diverse dalle proprie. Domani io stesso mi occuperò di parlare con lui, per riportarlo verso più miti consigli, e sono sicuro che l’acidità nelle parole del mio caro amico Jesse derivi dalla grande stanchezza da cui solo una sana notte di sonno potrà guarirci.
Burt si alzò in piedi, allargando le braccia in un gesto di rinnovata amicizia e sorridendo più serenamente.
- Lasciate dunque che sia la mia casa a guarirvi dal vostro male. – disse, - Seguite pure i servi che vi sono stati assegnati. Essi vi condurranno alle vostre stanze. Vi auguro un sonno sereno, amici cari.
- E la stessa cosa auguriamo noi a voi, Burt. – sorrise Blaine, alzandosi a propria volta in piedi ed obbligando pertanto il resto dei commensali a fare lo stesso, - A domani, e grazie ancora.
Quel giorno, però, l’eccitazione per la presenza di sua maestà il principe e del suo seguito fra le mura della sua casa era tale da impedirgli di restare a poltrire fra le lenzuola profumate ancora a lungo. Spalancò gli occhi che non dovevano essere neanche passate le otto, e saltò immediatamente in piedi. Ancora avvolto nella propria ampia e comoda camicia da notte, chiamò Santana e Brittany perché gli preparassero un bagno e lo aiutassero a vestirsi.
- Come mai sveglio così di buon’ora, signorino Kurt? – domandò Santana, mentre la testa di Brittany ciondolava per il sonno, nonostante la ragazza cercasse di tenersi sveglia sniffando le piccole sfere di sali da bagno che poi lanciava nell’acqua bollente, osservandole disciogliersi e rilasciare il loro dolce profumo.
- Ho intenzione di andare a fare una passeggiata a cavallo. – rispose lui, aspettando che Santana gli facesse cenno di poter entrare dopo aver tastato la temperatura dell’acqua ed essersi assicurata che fosse sufficientemente tiepida, - C’è un prato meraviglioso che si estende per un paio di decine di metri attorno al lago. In questa stagione è sempre pieno di fiori. Voglio raccoglierne un po’ e intrecciare ghirlande da regalare ai nostri ospiti.
- Soprattutto a sua maestà il principe, mh? – lo prese in giro Santana, inumidendo la spugna per poi passargliela sulle spalle pallide, appena ricoperte di efelidi. Kurt ridacchiò, nascondendo il volto dietro le mani mentre si scuoteva tutto, schizzando un po’ d’acqua fuori dalla vasca.
- Cosa dici, Santana? – rispose, - Non vorrai insinuare che io abbia dell’interesse nei confronti del principe Blaine?
- Insinuarlo? – rise la donna, inarcando un sopracciglio.
- Che gioco è? – sbadigliò Brittany, spargendo un altro po’ di sali nell’acqua, - Indovina chi dice bugie? Voglio partecipare anch’io. Mmh, l’altroieri ho giocato a volano con il gatto e ho perso. Allora, Tana? Chi mente, io o il signorino Kurt?
Kurt e Santana si voltarono a guardarla con aria un po’ incuriosita e un po’ genuinamente sgomenta.
- …Britt, lascia perdere. – le consigliò Santana, occupandosi di sciacquare via il sapone dalla pelle di Kurt ed alzandosi poi in piedi per recuperare degli asciugamani nei quali potesse avvolgersi uscendo dall’acqua.
Le due dame prepararono per lui un vestito adatto alle sue intenzioni, e Kurt indossò il proprio completo da cavallerizza per la prima volta da quando la primavera era finalmente tornata a baciare i campi del villaggio di Lima dopo i rigori dell’inverno appena trascorso. Si ammirò allo specchio e sorrise compiaciuto, mentre recuperava il frustino ed indossava un paio di calzature appropriate. Lasciò detto che sarebbe tornato per pranzo, ed uscì di corsa.
Il cortile era animato e pieno di persone. La servitù stava stendendo il bucato rimasto tutta la notte a mollo in acqua perché potesse pulirsi, e si stava premurando di farlo in fretta, perché per ora di pranzo lo spazio antistante il porticato fosse libero ed in ordine, di modo da poter sistemare lì i tavoli per accogliere tutti gli ospiti che sarebbero giunti per dividere il pasto con sua maestà. Al contempo, Puck e la sua squadra di garzoni si stavano muovendo attivamente per cominciare a raccogliere in enormi sacchi di iuta le provviste che poi sarebbero state consegnate al principe e alla sua compagnia perché potessero fungere da sostentamento per quanto rimaneva loro del viaggio verso la Foresta Nera.
Kurt salutò tutti con raggianti sorrisi ed educati cenni del capo, ma non si trattenne a chiacchierare con nessuno, troppo emozionato dall’idea di andar per campi a raccogliere fiori per il suo principe per potere anche solo pensare a fermarsi più del necessario. Raggiunse celermente la stalla, aspettandosi di trovare Gaga, la sua splendida cavalla bianca, legata come al solito nell’usuale cubicolo che da sempre le era assegnato in una stalla che era per lo più quasi sempre vuota, e fece un passetto indietro, stupito, quando invece vide molti più cavalli di quelli che si sarebbe aspettato legati un po’ ovunque per tutto l’enorme stanzone. Ci mise in effetti qualche secondo a ricordare che, oltre al principe, era presente anche una nutrita compagnia di gentiluomini giunta nelle loro terre a cavallo, e che per quei destrieri un posto s’era pur dovuto trovare. Gaga era stata quasi sicuramente spostata in un punto più riparato delle stalle, lontana da tutti quegli splendidi stalloni purosangue per i quali avrebbe rappresentato solo una tentazione.
Si mosse furtivamente, più che altro perché non sapeva con esattezza dove Gaga fosse stata spostata, e doverla cercare con gli occhi gli impediva di stare attento a dove metteva i piedi, ma concentrato com’era nella ricerca della propria cavalla non percepì il lieve rumore che gli si avvicinava da un fianco, e fece perciò un considerevole salto indietro, condito da un urlo di notevole potenza, quando uno sconosciuto gli si parò di fronte all’improvviso, puntandogli un forcone a pochi centimetri dal naso.
- Ah. – disse l’uomo, abbassando il forcone appena l’ebbe riconosciuto, - Siete voi.
- Vorrei poter dire lo stesso, signore, - rispose Kurt, stringendosi nelle spalle e posandosi una mano sul petto che si alzava e si abbassava velocemente al ritmo del proprio respiro affannoso, - ma temo di non conoscervi, e vi sarei grato se poteste identificarvi.
- Sono lo stalliere del principe. – disse quello, lanciando il forcone a pochi centimetri da Kurt e costringendolo ad un altro saltello spaventato per evitarlo. – Non vi avrebbe colpito. Fate sempre tutte queste scene?
- Come… come osate?! – sbottò Kurt, oltraggiato, avvampando d’imbarazzo, - Portatemi rispetto, signore! Io non vi conosco!
- Be’, nemmeno io so molto più del vostro nome e di quello che siete. Anche se non potrei dirlo con certezza. – aggiunse malignamente, lanciandogli un’occhiata vagamente disgustata che sembrò spogliarlo nudo per spiare cosa ci fosse sotto ai suoi vestiti, un’occhiata talmente penetrante che Kurt sentì quasi il bisogno di stringersi in un abbraccio per cercare di ripararsi da quell’incredibile sfoggio di impertinenza.
- Quanto avete appena detto è estremamente maleducato, signore. Anche se non potrei dirlo con certezza. Se siate un signore o meno, intendo. – ribatté Kurt, acido. L’uomo non cadde nella trappola della provocazione che Kurt gli aveva teso, e scrollò le spalle con alterigia.
- Nel paese dal quale provengo, gli uomini non indossano la gonna. Non si comportano da signorine e non civettano con altri uomini come se fosse normale farlo. – spiegò freddamente, avvicinandosi alla sua Gaga ed accarezzandole il muso con una sorta di intenerita compassione che Kurt non poté fare a meno di trovare irritante.
- Be’, questo paese non è quello da cui provenite voi, evidentemente. – sbottò, - Perché se foste di queste parti sapreste bene per quale motivo mi comporto così. Ed allontanatevi dalla mia cavalla!
- È vostra? – chiese l’uomo, inarcando un sopracciglio proprio come non potesse credere alle proprie orecchie, - In ogni caso, conosco bene la situazione in cui versa questo principato. Ma ciò non rende il vostro comportamento meno disgustoso. – commentò, fermandosi davanti a lui e scrutandolo con fastidio evidente, quasi non riuscisse nemmeno a sopportare la sua vista.
- Voi siete… siete senza dubbio il più sgradevole uomo che abbia mai incontrato! – strillò Kurt, inviperito, - Sellate immediatamente la mia cavalla e poi sparite!
- C’è qualche problema? – disse qualcuno alle loro spalle, e Kurt si sentì saltare il cuore in gola mentre riconosceva la voce del principe e si voltava frettolosamente verso di lui.
- …no, mio signore. – rispose lo stalliere per entrambi, allontanandosi per recuperare la sella di Gaga e sistemargliela sul dorso.
- No? No?! – esclamò Kurt con veemenza, le mani sui fianchi, voltandosi a guardarlo, - Non siete solo sgradevole e maleducato, siete anche un vigliacco. E puzzate! – lo offese, tendendo la mano, - Le redini. – ordinò furioso. L’uomo non lo degnò neanche di uno sguardo mentre gliele porgeva. Kurt sbuffò offeso, dirigendosi a passo marziale verso l’uscita delle stalle. – Perdonatemi, maestà, ma il vostro servo mi ha messo di malumore. Penso che andrò, adesso.
- A-Aspettate! – disse Blaine, tendendo una mano verso di lui e soffiando deluso nel vedere che non rispondeva al suo invito, preferendo saltare a cavallo e partire al galoppo verso la campagna, - Dave! – ordinò, voltandosi verso lo stalliere, - Sella Pavarotti.
- Sì, mio signore. – annuì l’uomo, trattenendo un borbottio contrariato. Nonostante fosse lui il motivo per il quale in quel momento si trovava lì, solo al mondo e lontano dal suo paese, aveva sempre stimato molto il sovrano, e non riusciva a capire come uno come lui, uno che avrebbe potuto semplicemente cambiare la legge che impediva a sovrani e nobiluomini di sposare le schiave, preferisse invece correre dietro a quel mostro in gonnella piuttosto che trovarsi una donna vera e creare con lei una famiglia. A lui, le donne non erano mai interessate, ma quello scherzo della natura non era né una donna, né un uomo. Era solo disgustoso.
Obbedì nondimeno all’ordine del proprio padrone, e fu così che, pochi minuti dopo, a cavallo del suo Pavarotti, Blaine riuscì a raggiungere Kurt.
- Cavalcate come un uomo. – rise, affiancandolo.
- Faccio molte cose come un uomo. – rispose rudemente Kurt, ancora infastidito dall’incontro di poco prima.
- Vi prego, non lasciate che qualunque cosa possa avervi turbato prima rovini questi momenti che possiamo passare insieme senza che intorno ci sia qualcuno a disturbarci. – lo implorò, accelerando il passo del proprio cavallo per potergli tagliare la strada ed obbligarlo a fermarsi. Kurt lo fissò, gli occhi fiammeggianti di rabbia, le redini strette fra le dita. – Qualunque cosa il mio stalliere possa aver detto per offendervi, lasciate che io possa fare ammenda in sua vece. Concedetemi l’onore di scusarmi al suo posto.
Kurt sospirò, ordinando al proprio cavallo di affiancarsi a quello del principe.
- Non dovete scusarvi, - lo rassicurò con un mezzo sorriso, - il comportamento del vostro servo non è una vostra responsabilità. Ma perdonerò volentieri tutto ciò che vorrete, se verrete a cavallo con me.
Blaine sorrise, mentre entrambi partivano al trotto verso il lago.
- Torno a sentirmi in difetto, - confessò con un sorriso, seguendo il cavallo di Kurt e restando qualche centimetro indietro in segno di rispetto, - il piacere della vostra compagnia è tutto mio, mentre io temo di non essere in grado di fornirne una altrettanto ammirevole.
- Non dite sciocchezze, principe, la modestia non si addice a un uomo del vostro lignaggio. – sorrise Kurt, indicandogli la strada che girava attorno al lago, - Così come non si addice al mio. Quell’uomo, piuttosto, il vostro stalliere. Come potete sopportare un individuo tanto ripugnante nel vostro seguito?
- Ripugnante? – rise Blaine, - Davvero lo trovate così disgustoso?
- A dir poco, mio signore. – annuì Kurt, le labbra che si piegavano in una smorfia inorridita al solo riportare alla mente gli avvenimenti di pochi minuti prima.
Blaine rise ancora, cominciando ad adocchiare gli splendidi campi ricchi di fiori che riempivano i prati poco oltre la curva più ampia del lago.
- Nessuno conosce i cavalli meglio di Dave. – rispose, - L’ho conosciuto durante una delle mie campagne militari. Quella da cui proviene è una terra selvaggia. Lì gli uomini vestono di pelle di camoscio e vivono in tende dello stesso materiale, rette da pezzi di legno che ricavano a mani nude dai pochi alberi che crescono nelle vicinanze. Perdonate i suoi modi un po’ scontrosi, semplicemente non è avvezzo alla vita di corte.
- Be’, potrebbe pure imparare come ci si comporta davanti a una signora. – sbuffò Kurt, fermando il cavallo a pochi metri dalla riva del lago e scendendo di sella in un gesto fluido ed elegante. Blaine rise un’altra volta, imitandolo e conducendo Pavarotti ad abbeverarsi.
- Siete una persona ben strana, Kurt. – commentò, ma la sua voce, per quanto divertita, non nascondeva la minima traccia di sgradevole sarcasmo. Sembrava più genuinamente curiosa e a tratti perfino vagamente ammirata. – Sempre pronto a nascondervi dietro un velo quando ne sentite il bisogno, ma altrettanto pronto a ribadire che siete un uomo quando vi conviene di più.
- E d’altronde, - sorrise malizioso Kurt, chinandosi sulla riva per inumidirsi una mano e rinfrescarsi il viso e il collo, - non è forse questa la parte migliore della mia bizzarra condizione? Trarre il massimo vantaggio dalle situazioni contingenti è una caratteristica che accomuna uomini e donne in egual misura, mio signore. Ed io, modestia a parte, in questo sono maestro.
- Voi siete maestro in molte cose, Kurt. – rise Blaine, estremamente compiaciuto, - Più vi conosco e più mi convinco che la vostra presenza sarebbe indispensabile alla mia corte nella Capitale. Continuo a chiedermi come abbia fatto a vivere senza di voi fino ad ora. – sorrise, sedendosi nell’erba accanto a lui ed osservandolo raccogliere moltitudini di fiori variopinti per intrecciarli fra loro in un’allegra ghirlanda.
- Adesso mi state adulando. – sorrise Kurt, abbassando pudicamente lo sguardo, - Ed il vostro passo si sta facendo anche incredibilmente frettoloso, mio principe. Sono un suddito fedele e non potrei mai dirvi di no, qualsiasi fossero le vostre richieste nei miei confronti, - disse, sottolineando le ultime parole con un’occhiata lanciata da sotto le lunghe ciglia ricurve, - ma vi pregherei di aspettare ancora, prima di lanciarvi in proposte per le quali magari potreste cambiare idea conoscendomi meglio.
- Bello, arguto, beneducato e anche saggio! – constatò Blaine, sollevando entrambe le mani in segno di resa, - Avete almeno un difetto?
- Certo, mio signore. – ridacchiò Kurt, terminando di intrecciare la ghirlanda e poggiandola come una corona sul capo del principe, - Ne ho parecchi. Li scoprirete tutti, se vorrete intrattenervi ancora in mia compagnia.
- E vorrò. – annuì lui, sorridendo incoraggiante, per poi inspirare a pieni polmoni l’aria fresca che, portata dal venticello profumato della campagna, spazzava il prato e la superficie del lago, - Che meraviglia queste giornate di primavera.
- Già. – annuì Kurt, lasciando scorrere gli occhi sui lineamenti così deliziosamente rilassati del volto del principe, - Le adoro anch’io. Figuratevi, - mentì senza neanche arrossire, - mi sveglio sempre di buon mattino apposta per concedermi una cavalcata qui nei dintorni.
- Davvero? – chiese il principe, tornando a guardarlo, - Ho un’idea! Voglio cavalcare con voi. Voglio che usiate uno dei miei cavalli, che vediate quanto veloci possono correre!
- Uno dei vostri cavalli? – arrossì Kurt, battendo le mani e tendendosi tutto per l’emozione, - Sarebbe meraviglioso! Non ho mai cavalcato uno stallone!
- Non avevo dubbi al riguardo. – rise Blaine, - Domattina, andate da Dave. Sarà perfetto per insegnarvi a montare uno stallone senza difficoltà. È un ottimo domatore.
- Oh, principe, vi prego! – sbuffò Kurt, gonfiando le guance, - Non costringetemi a passare del tempo con quell’orribile individuo!
- Via, via! – ridacchiò Blaine, alzandosi in piedi e porgendo a Kurt una mano per aiutarlo a fare lo stesso, - Parlerò personalmente con lui e vi prometto che non oserà più mancarvi di rispetto. Da qui a tre giorni sarete perfettamente in grado di montare uno dei miei cavalli migliori, ed allora mi porterete in giro e mi mostrerete questa splendida campagna. E tutti i vostri difetti.
Controvoglia, ma nascondendo la propria delusione dietro un educato sorriso, Kurt annuì e si produsse in un breve inchino rispettoso, prima di salire nuovamente in groppa a Gaga.
- Sta bene, mio signore. – lo salutò, - Vi precedo alla villa. Possiate passare una piacevole mattinata.
Nell’osservarlo andar via, Blaine pensò che se anche il resto della giornata fosse stato orribile e disgustoso, il tempo che aveva passato con Kurt sarebbe comunque stato sufficiente per non notarlo nemmeno, e dopo un paio di minuti in accorata contemplazione del cavallo bianco che, allontanandosi, diventava sempre più piccolo, montò Pavarotti e partì in ricognizione per ispezionare i primi chilometri della strada che, quando sarebbe ripartito assieme alla propria compagnia, l’avrebbe condotto fino alla Foresta Nera.
- Voi non vi fidate mai di nessuno, mio signore. – rise Rachel, rigirandosi nel suo abbraccio e guardandolo dall’alto, - Sono tutti troppo pericolosi, tutti troppo sfuggenti, e tutti sempre troppo interessati a vostro fratello. Sbaglio?
- Rachel… - si lagnò lui, afferrando uno dei morbidi cuscini che adornavano il letto e schiacciandoselo sul viso, - Quante volte ti ho detto di non darmi del voi? Quantomeno in queste situazioni!
- Spesso, mio signore. – rise ancora lei, stringendosi nelle spalle ed appoggiandosi al suo petto, - Almeno tante volte quante quelle in cui vi ho risposto che è impossibile, per me, smettere di farlo. Restate sempre il mio padrone.
- Un padrone con cui vai a letto. – precisò lui, lanciandole un’occhiata un po’ infastidita, - Davvero, è disturbante.
- Sapete cosa disturba me? – ribatté la ragazza, per nulla intimorita dal suo tono, - Vedere con quanto sussiego possiate parlare con vostro fratello, e quanto poco invece siate capace di usarne con la sottoscritta.
- Ma lui è mio fratello! – sbottò Finn, come se proprio non riuscisse a vedere dove stesse il problema. – Piuttosto, a proposito di cose disturbanti… - riprese, aggrottando le sopracciglia con estrema serietà, - non credere che mi sia sfuggita quella mossetta, ieri.
Rachel spalancò i grandi occhi castani, piegando appena il capo per lanciargli un’occhiata incuriosita.
- Non capisco di cosa stiate parlando, mio signore. – rispose, stringendosi nelle spalle.
- Sì che lo capisci. – insistette lui, sollevandosi a sedere fra i cuscini ed incrociando le braccia sul petto, - Quando il principe Blaine ha presentato quel Jesse, hai tremato. Ti ho vista. Non dirmi che ti piace, potrei morirne. È un individuo orribile.
- Ma cosa state dicendo… - borbottò Rachel, vaga, mettendosi a propria volta a sedere e coprendosi pudicamente con il lenzuolo mentre allungava una mano verso la propria sottana, appoggiata sullo schienale di una seggiola lì vicino, - Semplicemente mi ha turbato sentire che è il principe di Carmel. È da lì che provengo.
Finn spalancò gli occhi, seguendola nel movimento e trattenendo una delle sue mani fra le proprie in una carezza dolce.
- Davvero? – le chiese, cercando di tirarla nuovamente verso di sé, - Non parli mai delle tue origini.
- Perché non c’è molto da dire. – rispose lei, stringendosi nelle spalle e provando a resistere solo per un paio di secondi prima di sciogliere i muscoli e lasciare che Finn la traesse di nuovo a sé, sistemandosela addosso, - Mia madre è morta quando io non ero che una bambina, e un padre non l’avevo mai avuto. Non c’era modo per me di sostenermi da sola. Persi la casa e finii a vivere per la strada. Lì venni raccolta da due uomini che mi ripulirono, mi nutrirono e mi portarono con loro. Avevano uno spettacolo itinerante, mi diedero lezioni di canto e fecero di me ciò che sono oggi. – si concesse un breve sorriso nel raccontare di coloro i quali aveva sempre considerato come i suoi veri genitori, e poi sospirò profondamente, riprendendo il racconto. – Alla loro morte, lo spettacolo itinerante chiuse, tutti gli artisti di dispersero, ed io, che mi ero fatta una certa fama nel principato, come ben sapete sono stata assunta da vostro padre. Fine della poco interessante storia della mia vita.
- Non è affatto poco interessante. – la contraddisse Finn, con molta serietà. – Hai viaggiato, hai visto il paese. Sei stata in un sacco di luoghi. Hai imparato tanto, e sei diventata una splendida donna forte e indipendente. Che poi sono i motivi per cui mi piaci così tanto. – sorrise appena, riprendendo ad accarezzarle i capelli. – Ti invidio molto.
- Perché sono una splendida donna forte e indipendente? – rise Rachel, prendendolo un po’ in giro, e Finn rise a propria volta, pizzicandole delicatamente una spalla.
- Hai capito perfettamente cosa intendevo. – la rimproverò bonariamente, e lei si sollevò appena per sfiorargli le labbra in un bacio asciutto e casto.
- Sì, l’ho capito. E penso che dovreste dire a vostro padre che volete viaggiare anche voi, fare nuove esperienze. Ci sarà tempo per prendere in mano il feudo ed occuparsi degli affari di famiglia. Prima dovete diventare un vero uomo.
- E come faccio? – sbuffò Finn, piegando indietro il capo e scrutando il soffitto con aria risentita, - Non posso mica lasciare Kurt qui da solo. Chi si occuperebbe di lui?
- Non saprei. – rise Rachel, - Tutto il resto del mondo?
- Non sarebbe la stessa cosa. – insistette Finn, aggrottando le sopracciglia, - E smettila di prendermi in giro. Non posso andarmene prima che Kurt si sia sposato.
- Allora siete fortunato. – ridacchiò la ragazza, approfittando del suo momento di distrazione per alzarsi finalmente in piedi e cominciare a rivestirsi, - Sembra che non dovrete aspettare poi molto.
Eppure, si disse, spianando pieghe invisibili sull’elegante ma sobrio tessuto del suo completo da cavallerizza, se voleva ottenere la felicità avrebbe anche dovuto imparare a soffrire mentre combatteva per guadagnarsela. Lo stalliere andava sopportato con coraggio e determinazione, e nel giro di un paio di giorni non sarebbe rimasto di lui che un orribile ricordo.
- Eccomi qui. – disse, entrando nella stalla e piantando entrambe le mani sui fianchi in una posa al contempo sfrontata e rigida, - Sua maestà mi ha detto che avrebbe parlato con voi per avvertirvi del mio arrivo e di quelli che sono i suoi piani per me.
L’uomo, intento a strigliare Pavarotti con attenzione ed un perfetto misto di delicatezza e forza, inizialmente sembrò non volerlo degnare di un’occhiata.
- Sedetevi lì. – disse, indicando un paio di balle di fieno accatastate in un angolo, - Non ho ancora finito di lavorare.
Kurt, oltraggiato, irrigidì le braccia lungo i fianchi e strinse i pugni.
- Come osate?! – strillò, - Sono qui apposta per prendere lezioni da voi! Il principe mi aveva detto—
- Il principe vi ha detto che io mi sarei occupato della vostra educazione equestre, sì, ne sono consapevole. – disse l’uomo, lanciandogli una breve occhiata infuocata per poi tornare a dedicare tutta la propria attenzione al cavallo placido e sereno sotto le sue mani, - Ma, vedete, le mie mansioni vengono prima di questo, visto che sono il motivo per cui il principe mi tiene con sé. Penserò a voi quando avrò terminato.
- Questo è del tutto inaccettabile! – strillò ancora Kurt, facendosi avanti e avvicinandosi a lui con aria che avrebbe voluto essere minacciosa e terribile, - Mai nessuno ha osato comportarsi così con me! Mai! In casa mia, per di più! Voi siete un bruto, un maleducato, un rifiuto, un—
- Sono uno stalliere, signore. – lo interruppe Dave, posando la spazzola sullo sgabello che aveva a fianco per poi voltarsi verso di lui, afferrarlo per le spalle e sollevarlo di peso, depositandolo pochi istanti dopo senza la minima delicatezza sulle balle di fieno che gli aveva indicato poco prima. – Lasciate dunque che mi occupi prima delle mie mansioni, e successivamente potrò prendermi cura anche di voi.
- Io sono… sono sconvolto! – balbettò Kurt, restando seduto sul fieno più perché troppo pietrificato per muoversi ancora, che perché volesse realmente farlo, - E— E non ho assolutamente alcun bisogno che un— un uomo orribile, deprecabile!, quale voi siete, si prenda cura di me. – concluse, trovando finalmente la forza per alzarsi in piedi. – Sono perfettamente in grado di andare a cavallo. – disse, - Prenderò uno degli stalloni di sua maestà e farò pratica da solo.
- Prego? – domandò Dave, lanciandogli un’occhiata quasi divertita da sotto le sopracciglia esageratamente inarcate. Aveva ripreso in mano la spazzola ed era già tornato a strigliare Pavarotti, ma s’interruppe apposta per osservare Kurt mentre, impettito e furioso, attraversava la stalla e si avvicinava ai giacigli dei vari cavalli.
- Limitatevi a dirmi quale posso prendere. – rispose il ragazzo, cercando di mostrarsi deciso mentre osservava gli enormi destrieri senza sapere quale scegliere, - Farò da me.
- Vi farete solo male. – lo avvertì Dave, - E il principe sarà in collera con me, per questo.
- Be’, mi sembra la cosa migliore in assoluto, allora! – insistette Kurt. – Ditemi quale cavallo posso prendere, signore. Mi occuperò da me della mia stessa istruzione. Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno, tantomeno del vostro.
- D’accordo, d’accordo. – rispose l’altro, già annoiato dal litigio, sollevando entrambe le braccia, - Prendete Sarpedonte. È quello lì. – disse, indicando uno splendido stallone dal lucente pelo castano con una piccola macchia bianca sulla fronte, - Ma state attento, o cadrete.
- Non cadrò affatto. – tagliò corto il ragazzo, accompagnando il cavallo già sellato verso il piazzale. Notò che Dave continuava ad osservarlo per tutto il tempo, pur rimanendo accanto a Pavarotti e strigliandolo lentamente, anche mentre lui posava il piede sulla staffa e faceva forza per issarsi in sella.
Dove riuscì a restare per il tempo massimo di un paio di respiri. Dovette spronare il cavallo tirandogli una tallonata nel punto sbagliato – d’altronde, la forma che aveva fra le gambe era completamente diversa da quella della sua Gaga, e avrebbe avuto bisogno di un tempo decisamente maggiore per prendere adeguatamente le misure, ma sarebbe morto prima di doverlo ammettere – perché quello, con un nitrito di dolore, prima s’impennò e poi s’inarcò all’improvviso, disarcionandolo con la facilità con cui si sarebbe disarcionato un qualunque principiante.
Kurt gettò un grido, cercando di raggomitolarsi a palla per esporre la minor quantità di ossa possibile alle sicure fratture che lo avrebbero funestato quando avesse toccato terra, e poi serrò gli occhi, terrorizzato. Riaprendoli solo quando il suo corpo si adagiò con incredibile naturalezza fra un paio di possenti braccia che lo sostenevano da dietro le spalle e da sotto le ginocchia, tenendolo ben lontano dal pavimento, a più di un metro e mezzo da terra.
- Ve l’avevo detto che sareste caduto. – disse Dave, fissandolo con una certa preoccupata severità, tenendolo ben stretto, al punto di affondare quasi le dita nella carne tenera delle sue cosce attraverso il tessuto leggero dei pantaloni che indossava. Kurt arrossì profondamente: il calore delle sue mani e l’odore della sua pelle, non del tutto spiacevole come aveva ipotizzato all’inizio, lo confusero per qualche secondo, prima che la sua mente riuscisse a sgombrarsi da pensieri inattesi e molesti abbastanza da permettergli di replicare.
- La-Lasciatemi andare immediatamente! – strillò, tempestando di pugni il petto ampio dello stalliere, il quale gli lanciò un’occhiata estremamente infastidita e poi ritirò all’improvviso entrambe le braccia, lasciandolo rovinare a terra in mezzo alla fanghiglia con un urlo stridulo. – Come avete osato?! – gridò Kurt, sconvolto e oltraggiato oltremisura, fissando l’uomo dal basso prima di aggrapparsi alle redini di Pavarotti per tirarsi su.
- Mi avete detto voi di lasciarvi andare. – ribatté Dave, aggrottando le sopracciglia.
- Ma non certo di lasciarmi cadere per terra! – obiettò il ragazzo, stringendo i pugni lungo i fianchi, - Non avete un briciolo di educazione!
- Ah, davvero? – protestò lui, - Sarei io il maleducato? Vi ho appena salvato la vita, e voi non vi siete nemmeno degnato di ringraziarmi.
- Ha! Mi avreste dunque salvato la vita?! – rise Kurt, sarcastico, - Non avete un briciolo di educazione, ma in compenso siete così teatrale da farmi pensare che la vostra via non dovesse essere quella dei cavalli, bensì quella del palcoscenico! – incrociò le braccia sul petto, producendosi in uno sbuffo divertito, - Stavo solo per cadere a terra, mi sarei preso al massimo una stupida storta! Niente che non possa sopportare!
- Vi sareste spezzato l’osso del collo, sciocco ingrato privo della benché minima prudenza che non siete altro! – sbottò a quel punto lo stalliere, e mentre le labbra di Kurt si schiudevano disegnando una o perfetta, sintomo di profondissimo stupore, aggiunse: - E quanto alla teatralità, credo che per quanto io possa essere bravo a riguardo voi non abbiate alcun rivale nel campo. È evidente da quanto bene riuscite a imitare le femmine pur essendo solo un patetico scherzo della natura ancora incerto sulla possibilità di portare una sottana o un paio di pantaloni. – concluse con un’occhiata disgustata.
Il rumore dello schiaffo risuonò per tutta la stalla, mettendo in agitazione i cavalli per un istante. Poi si esaurì in un soffio di vento, ed allora anche le bestie tornarono placide, così come l’aria tornò a farsi silenziosa.
- Siete… siete un essere spregevole e disgustoso. – disse Kurt, la voce rotta dal pianto e gli occhi pieni di lacrime, - Non siete neanche un essere umano, e io non voglio vedervi mai più. – concluse, prima che la voce lo abbandonasse del tutto, girando su se stesso e fuggendo dalla stalla col volto fra le mani.
Dave, la guancia ancora in fiamme ma troppo orgoglioso per massaggiarla con una mano, abbassò lo sguardo e, una volta solo, ricondusse Sarpedonte al proprio posto e riprese a strigliare Pavarotti.
- Niente! – rispose lui, piangendo a dirotto e cercando di raggiungere la propria camera il più in fretta possibile, per potercisi nascondere dentro, - Niente, lasciatemi in pace! Vi prego! – singhiozzò, cercando di tirar su l’ampia mezza gonna aperta davanti che scendeva giù dal corpetto abbottonato che indossava, e il cui strascico era tanto lungo da sfiorare il pavimento ad ogni passo.
- Neanche per idea! – insistette suo fratello, saltando i gradini a due a due e riuscendo ad afferrarlo per il polso poco prima che riuscisse effettivamente a chiudersi alle spalle la porta della propria camera da letto. Lo costrinse a voltarsi verso di sé, e per poco non si sentì mancare il respiro nell’osservare il suo viso, generalmente così bello, pallido e dolce, stravolto dal pianto, dall’irritazione e dal nervosismo. – Mio Dio, cosa vi è capitato?
Kurt si liberò dalla sua stretta con uno strattone deciso, incredibilmente mascolino, per poi nascondersi dietro le proprie stesse mani in un gesto, invece, tanto femmineo da sciogliere il cuore. Nell’avvicinarglisi e chinarsi verso di lui, come volesse proteggerlo dagli occhi indiscreti del mondo, Finn pensò che era forse questa la cosa più bella di suo fratello, in assoluto. Non la splendida voce, non i modi cortesi e raffinati, non la tagliente ironia che sovente amava usare per tenere a bada i numerosi pretendenti che, pur non essendo degni della sua persona, spesso avevano provato a conquistarlo, no. La capacità così speciale e studiata e al contempo così incredibilmente naturale che aveva di sintetizzare in sé l’uomo e la donna, come fosse nato apposta per rappresentare da solo il punto d’incontro perfetto fra i due generi.
- Non voglio parlarne qui. – singhiozzò Kurt, scuotendo il capo da dietro le mani umide di pianto, - Entriamo in camera.
Finn lo seguì docilmente, sedendosi assieme a lui sulla sponda del letto e prendendo le sue mani fra le proprie, massaggiandole delicatamente per aiutarlo a calmarsi e riprendere fiato.
- Raccontatemi. – disse, - Ridurrò a pezzi con la mia stessa spada chiunque vi abbia fatto questo.
- No! – singhiozzò immediatamente Kurt, stringendo la presa sulle mani del fratello e sporgendosi verso di lui in un’implorazione accorata, - Vi scongiuro! Non dovrete dire a nessuno quello che vi racconterò! Mi sono macchiato di ridicolo e… Dio, dovrei chiudermi in convento e mai più vedere la luce del sole! – piagnucolò, tornando a nascondersi dietro le proprie mani.
Finn sorrise intenerito, allungando le braccia verso di lui e stringendoselo al petto, cullandolo dolcemente.
- Per quanto possiate assomigliare ad una donzella, fratello, dubito che trovereste adeguato spazio fra le monache di clausura. – gli ricordò, accarezzandogli i capelli.
- Un monastero benedettino, dunque! – propose Kurt, - Lì potrei vivere in pace, espiando le mie colpe e cessando di mettere in ridicolo il buon nome della mia famiglia!
- Temo che, col vostro aspetto, - rise Finn, dondolandolo ancora un po’, - indurreste in tentazione anche il più santo degli uomini.
- Sono dunque costretto a vivere nell’empietà! – disse quindi Kurt con aria tragica, allontanandosi da lui per poggiare il dorso di una mano contro la fronte, gettando indietro il capo. Finn rise ancora, cercando di non mostrargli quanto lo trovasse ridicolo in quel momento, e riprese ad accarezzargli una mano, sorridendo incoraggiante.
- Fratello, spiegatemi cos’è accaduto. Sono certo che niente di tanto grave può essere successo, tale da giustificare il desiderio di privare il mondo della vostra così gradita presenza. – disse, invitandolo a parlare.
Kurt sospirò, incurvando le spalle come un bambino sopraffatto dalla vergogna.
- Mi sono comportato in maniera ostinata e avventata, ed ho rischiato di farmi molto male cadendo da uno dei cavalli di sua maestà. – raccontò, restio ad aggiungere i dettagli per quanto riguardava quell’orribile stalliere, - E ora non potrò mai più tornare in quella stalla, né imparare a cavalcare uno stallone, né accompagnare in groppa ad uno splendido purosangue il nostro principe in una gita per i campi del feudo! – concluse, scoppiando nuovamente in lacrime, le spalle magre e strette continuamente scosse dai singhiozzi.
- Oh, via, via, fratello! – cercò di consolarlo Finn, accarezzandogli il viso e il collo, - Innanzitutto, ditemi: vi siete forse fatto male? È per questo che piangete così incontrollabilmente? Sentite dolore da qualche parte?
- Solo al centro del petto, caro fratello, solo al centro del petto! – rispose Kurt con estrema drammaticità, giungendo le mani all’altezza del cuore, - Tutto è perduto. Non potrò mai più sposare il principe Blaine, né tantomeno sollevare i miei occhi su di lui, s’è per questo.
- Fratello, adesso state proprio esagerando! – disse Finn, cercando di riportarlo a più miti consigli utilizzando un tono di voce vagamente più severo, - Qualsiasi cosa possa essere successa, niente a parte la vostra ostinazione vi impedisce di tornare in quella stalla e riprendere le vostre lezioni d’equitazione. Avete fatto una brutta figura, d’accordo, - ammise il giovane, annuendo con decisione, - ma non vi siete macchiato di alcun peccato mortale, e sua maestà il principe, ne sono sicuro, non sentirà alcun bisogno di privarsi della vostra compagnia solo perché, un po’ avventatamente, siete caduto da cavallo. – Kurt incassò la testa nelle spalle, cessando di piangere e serrando le labbra fino a ridurle ad una linea sottilissima, abbassando vergognosamente lo sguardo. Finn sospirò, accarezzandogli una guancia ancora calda e arrossata dal pianto, ed addolcendo il proprio tono di voce per rassicurarlo. – Suvvia, siete tanto più bello quando sorridete. Per parte mia, posso promettervi che non dirò mai a nessuno quanto mi avete raccontato. Ma voi, per parte vostra, dovrete promettermi che tornerete in quella stalla, e non abbandonerete le lezioni solo per uno sciocco capriccio infantile.
Kurt tornò a guardarlo, vagamente in imbarazzo, le mani giunte in grembo.
- Fratello, queste vostre parole vogliono forse lasciarmi intendere che, nel caso il principe decidesse davvero di chiedere la mia mano, voi non avreste nulla in contrario? – domandò timidamente, in un filo di voce.
Finn levò un’occhiata supplice al cielo, allargando le braccia ai lati del corpo.
- Non smetterò mai di soffrire perché non posso avervi e al contempo non voglio lasciarvi andare. – ammise in un sospiro, scuotendo il capo, - È il triste destino di tutti i fratelli. – concluse con un sorriso, tornando a guardarlo.
Kurt non riuscì proprio a trattenere un gridolino emozionato mentre, per ringraziarlo della sua benedizione e del suo aiuto, gli prometteva che sarebbe tornato in quella stalla entro quella sera stessa, e stavolta non si sarebbe lasciato scoraggiare da niente. E da nessuno, aggiunse mentalmente. Ma questo, al fratello, non lo disse.
Usualmente, Kurt avrebbe seguito il suono di quelle voci e di quelle risate per unirsi agli scherzi della servitù, ma quel giorno, totalmente concentrato sul proprio obiettivo, ignorò quei festosi richiami e, giunto alle porte della stalla, si schiarì la voce, pronto a mettere in chiaro le cose con quell’orribile stalliere una volta per tutte.
Il fiato, però, assieme a tutte quelle battagliere intenzioni, gli morì in gola quando vide lo stalliere scomodamente sistemato su una sedia bassa, lievemente reclinata all’indietro – per consentirgli di appoggiare il capo contro lo stipite della porta – ed aiutata a restare in equilibrio sui due piedi posteriori dal fatto che le gambe dell’uomo erano stese in avanti a puntellarsi sopra una balla di fieno utilizzata a mo’ di poggiapiedi ma troppo cedevole per ottemperare adeguatamente al proprio scopo.
Doveva essere una posizione ben fastidiosa.
- È qui che dormite? – mormorò incerto, e l’uomo aprì dapprima solo un occhio, lanciandogli un’occhiata sommaria per poi tornare a richiuderlo, cercando di sistemarsi più comodamente.
- Vi interessa? – domandò, stringendosi nelle spalle.
- Credevo che per tutti gli ospiti fossero state approntate delle stanze. – disse Kurt, la voce venata da una sottile quanto apparentemente autentica vena di dispiacere.
- Così è, infatti. – annuì Dave, gli occhi ancora chiusi, - Ma il mio compito è restare coi cavalli. Inoltre, mi trovo molto più a mio agio in compagnia delle bestie, che non degli esseri umani.
- Questo perché le similitudini fra voi sono evidenti. – ribatté Kurt, inarcando un sopracciglio, incapace di trattenere il commento acido. - …scusatemi. – mormorò quindi, abbassando lo sguardo, - Sono stato scortese.
- Ma avete detto la verità. – disse con sicurezza Dave, rassegnandosi finalmente ad aprire gli occhi ed alzandosi in piedi, raggiungendolo dove si trovava. – Sono grato al principe perché è stato merito suo se la mia vita è stata salva, ma ciò non vuol dire che la compagnia sua, o quella del suo seguito, o quella di uno qualsiasi degli abitanti di questo principato mi piaccia.
Kurt abbassò lievemente lo sguardo, sentendosi ingiustificatamente in colpa.
- Posso chiedervi cosa vi è successo? Perché siete diventato lo stalliere di sua maestà?
Dave si voltò, allontanandosi da lui di qualche passo e lanciando un’occhiata ai cavalli sonnecchianti dentro la stalla. Sembrava facesse fatica a trovare le parole, anche se il suo viso non lasciava trasparire alcun segno di difficoltà o disagio.
- Il mio popolo è stato sterminato. – disse quindi, - Nella regione da cui provengo, le lotte fratricide fra tribù sono all’ordine del giorno. La mia tribù, quella dei Quapaw, e la tribù vicina, quella degli Yakonan, erano da anni impegnate in una di queste guerre. Il vostro principato – disse, lanciando a Kurt un’occhiata brevissima, come intendesse caricarlo di una parte della colpa di ciò che era successo, nonostante sapesse benissimo di non poterlo fare, - voleva ampliare i confini dei propri possedimenti, e dal momento che era il mio popolo quello con un territorio più ricco e più vicino a quello della Capitale, hanno fornito agli Yakonan un aiuto sufficiente per sterminarci tutti. – sospirò, passandosi brevemente una mano sulla fronte e fra i capelli. – Io sono l’unico superstite. Il principe Blaine, mentre constatava lo stato del nostro villaggio dopo la fine delle ostilità, diede ordine di curare i feriti, ma erano tutti troppo gravi per sopravvivere. Solo io ce l’ho fatta, e dal momento che ero rimasto solo il principe mi ha preso con sé.
Kurt deglutì, avvicinandoglisi impercettibilmente, come se all’improvviso si sentisse profondamente inadeguato anche solo per stargli accanto.
- Io non avevo idea… - mormorò, - Per la verità non so molto di quello che accade oltre i confini del principato. In realtà, - si concesse un imbarazzato colpo di tosse, distogliendo lo sguardo, - non mi sono mai mosso da questa villa. Mi… mi dispiace molto per le vostre perdite. Ma ciò non vuol dire che il vostro comportamento nei miei confronti sia stato giustificabile! – disse, riprendendo immediatamente colore e stringendosi nelle spalle. Dave si voltò a guardarlo, i suoi occhi erano scuri e freddi.
- È vero. – ammise, - Ma voi siete stato sciocco e imprudente. Nonostante io avessi cercato di fermarvi. Avreste potuto farvi molto male.
- Sì, lo so, lo so. – sospirò Kurt, gesticolando con aria annoiata, - È per questo che sono venuto qui, stasera. Per chiedervi scusa, auspicando che ad un mio primo passo nella vostra direzione possa seguire un vostro passo verso di me.
Dave lo guardò a lungo, la luce della luna che si rifletteva sulla sua pelle candida rendendola se possibile ancora più pallida, giocando fra le pieghe della lunga veste in raso e pizzo che indossava, e che copriva fluidamente il busto flessuoso, la vita sottile e le lunghe gambe le cui forme non erano che appena intuibili sotto tutta quella stoffa. Era bello, contestare il punto sarebbe stato come rifiutarsi di ammettere l’esistenza del calore del sole nonostante lo si sentisse sulla pelle. C’era ancora qualcosa di profondamente sbagliato nell’osservare un uomo abbigliato in tal modo e costretto a comportarsi come una donna, contrariamente alla propria natura, ma per qualche motivo la luce azzurrognola della notte ed i suoi chiaroscuri gli permettevano di osservarlo senza sentirsene eccessivamente disturbato.
Mosse un passo nella sua direzione, esattamente come Kurt gli chiedeva di fare, e gli strinse una mano. Non come avrebbe fatto con una dama, per sollevarla fino alle labbra e posare un bacio sulla pelle pur così liscia e invitante del dorso, ma per scuoterla con vigore, come avrebbe fatto con un qualunque uomo.
Per qualche motivo, s’era aspettato che Kurt saltasse in aria e si ritraesse di fronte a quel contatto così rude, ma ciò non avvenne. Il ragazzo sorrise, ricambiando la stretta, e Dave continuò a stringere, ricambiando il sorriso.
Le sue due dame di compagnia, nel cogliere questo suo moto d’ilarità, non riuscirono a loro volta a trattenere il proprio, e in breve Kurt si ritrovò circondato all’improvviso da donne ridacchianti per motivi che a lui sfuggivano completamente.
- Cosa vi prende? – domandò, incuriosito e un po’ indispettito da quella che, da qualunque lato provasse a guardarla, non sembrava molto diversa da una presa in giro, - Perché ridete?
- È insolito vedervi già in piedi prima di mezzogiorno, signorino Kurt. – rispose Rachel, posando i libri di musica e la bacchetta sulla scrivania e stringendosi nelle spalle, - Usualmente riuscite a vestirvi solo appena in tempo per il pranzo.
- Ho deciso di dare inizio a una nuova era della mia vita. – rispose Kurt, piegando il capo verso l’alto ed incrociando le braccia sul petto in uno sbuffo polemico, - Un’era in cui mi sveglierò di buon mattino e mi godrò la bontà dell’aria di campagna e—
- E potrete passare più tempo col vostro adorato principe, naturalmente. – ridacchiò Santana, abbozzando un inchino ironico.
- Santana! – la rimproverò Kurt, oltraggiato, arrossendo. – Per tua informazione, il principe sarà impegnato per i prossimi giorni assieme alla propria compagnia e a mio fratello nel perlustrare i territori attraverso i quali passa la strada per la Foresta Nera! Partirà prima di pranzo, lasciando qui solo il suo stalliere, ed è con lui che passerò la giornata. Egli è stato incaricato di mostrarmi come si monta uno stallone, così che poi io possa farlo in presenza di sua maestà!
Le tre donne lo fissarono per qualche secondo, spalancando occhi e bocca, e quando ripresero a ridere, perfino più forte di prima, Kurt arrossì ancor più violentemente.
- Siete… siete terribili! – si lamentò, coprendosi il volto con le mani.
- Perdonateci, signorino Kurt. – disse Rachel, cercando di darsi un contegno e recuperando la bacchetta dalla scrivania, - È dunque con lo stalliere di sua maestà che passerete la giornata? E non vi pare che gli abiti che indossate siano poco adatti all’equitazione?
Kurt sbuffò, stringendosi nelle spalle.
- Il mio completo da cavallerizza s’è sporcato di fango, ieri, e non è ancora pronto. Questa gonna dovrebbe andare bene… - disse, sollevandola appena, - È ampia, dovrebbe scivolare bene anche quando sarò in sella.
- Oh, che scivoli bene è indubbio. – ridacchiò Brittany, divertita, - Se volete attirare l’attenzione del giovane stalliere, sarà perfetta.
- Che— Che cosa? – sussultò Kurt, arrossendo un’altra volta, - Ma cosa dici, Brittany! È per il principe che faccio tutto ciò, ricordatevelo! Solo per lui!
- Io lo trovo… - intervenne Santana, prendendosi qualche secondo per cercare bene la parola adatta, anche se nessuno aveva chiesto la sua opinione in merito, - scialbo. Ecco, sì. Intendiamoci, - riprese, come mettendo le mani avanti, - è un principe, è fascinoso, a suo modo, è perfino bello, se lo si guarda dalla giusta prospettiva—
- Se lo si guarda dalla giusta prospettiva?! – la interruppe Kurt, posandosi una mano sul cuore in un gesto di sincero sconvolgimento, - E quale prospettiva sarebbe, quella sbagliata? Perché, da qualunque prospettiva io lo guardi, egli è ai miei occhi un esempio di perfezione! La sua bellezza non conosce confini, la sua eleganza innata è indiscussa, il suo fascino è intrepido e toccante pur senza mai eccedere in volgarità gratuite, e—
- Sì, sarà. – sospirò Santana, già annoiata dalla dichiarazione, - Ma a me piace di più lo stalliere. – concluse, scoppiando a ridere maliziosamente mentre Rachel e Brittany le facevano coro per qualche secondo.
- Santana, non parlare così. – la rimbrottò quindi Rachel, nonostante fosse evidente dal suo tono giocoso che non intendeva rimproverarla sul serio, - Sai bene quanto fini e sensibili siano le orecchie del signorino Kurt. Potrebbe turbarsi.
- Io non mi turbo affatto! – sbottò lui, stendendo le braccia lungo i fianchi e piegandosi in avanti come un bimbo pronto a pestare i piedi se non vedrà esaudito all’istante il suo ennesimo capriccio, - Sono perfettamente conscio di quanto una figura ben piantata ed un paio di possenti braccia possano turbare gli sciocchi umori di una donna, ma io sono ben altro! Io sono una dama, ed in quanto tale destinato ad avere ben più di un semplice stalliere, come compagno di tutta una vita! E mi stupisco di voi, - concluse, lanciando occhiate severe alle tre donne che lo circondavano, - che pure siete state educate a ricercare sempre la finezza e il garbo! Guardate come vi confondono un… un paio di muscoli!
- Ben più di un paio, se posso permettermi, signorino Kurt. – precisò Santana in una risata compiaciuta, per nulla turbata dal rimprovero del suo padroncino.
- Via, via. – sorrise Rachel, cercando di placare gli animi ed introducendosi nel discorso prima che Kurt potesse partire con un’altra scarica di rimproveri, - Se può consolarvi, signorino Kurt, lo stalliere non è nemmeno il mio tipo. Ed ho idea che stia cominciando a farsi tardi, per cui sarebbe proprio il caso che cominciassimo la lezione.
- E invece non cominceremo proprio un bel niente. – rispose Kurt, sedendosi di scatto sul letto ed incassando la testa nelle spalle mentre tornava a incrociare le braccia sul petto in una posa così ostinatamente infantile da muovere quasi i cuori alla tenerezza. – È tardi, come hai detto, e fra meno di mezz’ora dovremo accomiatarci da sua maestà, visto che lui e la sua compagnia staranno lontani almeno per un paio di giorni, ed io devo ancora finire di prepararmi. Inoltre, il vostro sciocco chiacchiericcio mi ha messo di malumore. – aggiunse, non risparmiandosi di lanciare un’altra occhiataccia a Santana, la quale, conoscendolo, non si sognò nemmeno di offendersi a riguardo. – Riprenderemo regolarmente le lezioni da domani, Rachel, ma ricordami di congedare prima le mie due dame da compagnia, quando arriverai.
Rachel faticò a trattenere un sorriso, lanciando un’occhiata d’intesa alle due dame ed inchinandosi subito dopo, per poi salutare il signorino Kurt ed abbandonare la stanza. Stava per ritirarsi in camera propria, per indossare un abito più formale che fosse consono al momento in cui si sarebbero tutti ritrovati in cortile per salutare il principe in partenza, quando appoggiato alla parete, a pochi centimetri dalla porta, trovò il principe di Carmel, inequivocabilmente atteggiato come fosse in attesa di qualcuno.
- Maestà. – lo salutò con un inchino, fermandosi di fronte a lui, - Vi siete forse perso?
- Al contrario. – sorrise lui, allontanandosi dalla parete con uno scatto di reni, - Trovare la vostra camera non è stato affatto semplice. Sono tutte uguali. Se non avessi saputo che siete l’insegnante di musica del giovane Hummel, e non avessi perciò notato immediatamente il pianoforte in questa camera, non avrei mai potuto indovinare che era la vostra.
- Perdonatemi, maestà, - disse lei, producendosi in un altro inchino ma faticando a nascondere l’espressione accigliata che le era naturalmente affiorata sul viso nel sentirlo parlare, - ma non penso sia stato molto cortese da parte vostra sbirciare in camera di una dama, fosse pure per trovarla. Inoltre, non riesco a capire per quale motivo desideraste vedermi.
- Cortese? – sorrise Jesse, girandole attorno con aria quasi predatoria, pur senza mai permettersi di avvicinarsi troppo a lei, - La cortesia non è che un’inutile posa, una menzogna, un comportamento artefatto. I metodi sussiegosi di questa regione mi nauseano, e non capisco come una come te, - la stuzzicò, sottolineando quell’appellativo con soddisfazione, - una col mio stesso sangue, possa trovarsi bene in mezzo a tutti questi damerini.
Rachel gli sollevò addosso un’occhiata raggelata, lasciando andare la gonna e indietreggiando appena.
- Come avete fatto a—
- A capire che venivi anche tu da Carmel? – completò per lei, sorridendole con sicurezza, - Ma l’ho visto subito. Te l’ho sentito addosso. I tuoi lineamenti, la forma dei tuoi occhi, perfino il profumo della tua pelle… - si avvicinò impercettibilmente, non abbastanza da invadere il suo spazio vitale ma decisamente a sufficienza da imporre il proprio profumo così virile e penetrante su di lei, - Le donne di Carmel sono fra le più belle di tutta la nostra grande nazione. Ed io sono in viaggio ormai da mesi. Vederne una ha riempito il mio cuore di gioia.
- I-Io trovo tutto ciò molto sconveniente, maestà. – cercò di fermarlo lei, indietreggiando ancora fino a schiacciarsi contro la porta, - E vi sarei molto grata se poteste smetterla di comportarvi così, e riprendeste a darmi del voi, come i costumi di questo paese impongono.
Jesse si allontanò, sollevando entrambe le mani in un gesto di resa, pur senza mai rinunciare a quel sorriso così spavaldo e irritante.
- Come volete, Rachel. – disse annuendo, - Ma avremo modo di ridiscutere la questione, quando sarò tornato dalla perlustrazione col principe Blaine. – concluse, prima di voltarle le spalle ed attraversare il corridoio in pochi passi, diretto al cortile.
Il respiro affannoso ed una mano sul petto, Rachel rimase e lungo sulla porta, prima di convincersi a muoversi e rientrare in camera.
- Io non sarò lo stesso, senza voi al mio fianco. – rispose Blaine, trattenendo una delle sue mani fra le proprie e premendosela sul petto all’altezza del cuore, mentre Finn, completamente ignorato dal fratello e già a cavallo, incrociava le braccia sul petto, sbuffando e distogliendo lo sguardo, irritato. – La vostra assenza lascerà in me un vuoto incolmabile. In ogni momento, il mio pensiero sarà rivolto a voi. Spero possiate sentirlo. E a tale proposito, - schioccò le dita, e Sam si fece avanti, trafelato e sporco di polvere come al solito, portando con sé quella che si sarebbe detta una gabbia per uccelli coperta da un telo, - questo è un piccolo presente, perché non vi dimentichiate di me mentre sono via.
Kurt sollevò il telo, scoprendo una gabbia d’oro finemente decorata che conteneva un piccolo canarino dal petto giallo.
- Oh, cielo, maestà! – esclamò commosso, - È così carino!
- La sua voce non sarà bella come la vostra, - proseguì Blaine, tornando a stringergli una mano e portandosela alle labbra, - ma dal momento in cui ieri mi si è posato spontaneamente su una spalla, rallegrandomi col suo gentile canto, ho pensato che doveva essere vostro.
- Maestà, il dono che mi fate va ben oltre il semplice valore di quest’uccello. – ringraziò Kurt con un inchino, - Lo chiamerò Pavarotti, come il vostro splendido cavallo. E se mai c’era ancora una minuscola possibilità che la mia mente ed il mio cuore potessero allontanarsi per un istante dal pensiero della vostra persona, da adesso in poi il suo canto impedirà che ciò possa mai accadere.
Blaine sorrise, gli occhi brillanti di affetto, e dopo un ultimo bacio posato sulle delicate dita di Kurt si issò in sella, spronando il cavallo al galoppo lungo il sentiero che portava verso i prati aperti e, più avanti, alla foresta. Il gruppo dei gentiluomini al suo seguito partì immediatamente dopo di lui, e ben presto il cortile fu di nuovo sgombro, e tutta la servitù riprese con le normali attività. Kurt ordinò a Sam di portare il piccolo Pavarotti in camera sua e poggiare la gabbietta sul davanzale della finestra, assicurandola al telaio perché non ci fosse il rischio che qualche improvviso colpo di vento la rovesciasse o, peggio, la facesse precipitare di sotto, e poi, sorridendo sereno e gioviale, si incamminò verso la stalla.
Al suo arrivo, Dave stava finendo di preparare Sarpedonte per lui. Restando un po’ in disparte, certo che lo stalliere non lo avrebbe visto, giacché ogni volta che si trovava in compagnia dei cavalli sembrava sempre non avere occhi per nient’altro, si prese qualche secondo per osservarlo, notando con quanta cura ed attenzione assicurasse la sella alla schiena dell’animale, stringendo bene le cinghie sotto il suo ventre e concludendo ogni operazione con una pacca o una carezza sul collo della bestia, come ci tenesse a rassicurarlo passo passo del fatto che ogni cosa stava andando per il verso giusto.
- Sembrate amare molto i cavalli. – commentò, avanzando all’interno della stalla mentre sollevava appena la lunga gonna sulle caviglie magre, per evitare che potesse sporcarsi o sdrucirsi strisciando sulle assi del pavimento. – Intendo, indipendentemente dal fatto che preferiate la loro compagnia a quella umana. Scommetto che li amavate anche da prima che vi accadesse tutto quello che mi avete raccontato.
Lo stalliere non sollevò lo sguardo dal cavallo, ma sorrise appena, dando modo a Kurt di capire che l’aveva sentito. Afferrò una spazzola da una delle tasche del grembiule da lavoro che indossava, e prese a pettinare con cura la criniera dell’animale, accarezzandola con le dita per verificare che non rimanessero nodi dove la spazzola era già passata.
- È vero. – ammise, mentre Kurt si sedeva di propria iniziativa su una delle balle di fieno accatastate in un angolo, per osservarlo lavorare, - Mio padre Paul possedeva una mandria di splendidi cavalli che allevavamo per renderli perfetti cavalli da corsa o da carrozza. Ho passato tutta la mia infanzia in compagnia di questi animali, e man mano che crescevo è diventato normale, per me, prendermene cura.
- Di certo, - commentò Kurt, - trattate loro con molta più delicatezza di quanta ne usiate per i vostri simili.
Dave si voltò a guardarlo, accigliato, ma stese immediatamente le sopracciglia, rilassandosi, quando notò il sorriso quasi intenerito che gli piegava le labbra.
- Dunque avete smesso di considerarmi una bestia? – chiese quindi, con un mezzo sorriso divertito, - Dalle vostre ultime parole, sembra quasi che abbiate deciso di accogliermi fra gli esseri umani.
- Mi pare che vi stiate meritando il posto, dopotutto. – ridacchiò Kurt, stringendosi nelle spalle e fingendo una serietà che in quel momento non gli apparteneva affatto. – Allora, - disse poi, saltando in piedi e battendo le mani davanti al viso con emozione palese, - quando potrò cominciare a cavalcare? Non vedo l’ora!
Dave gli lanciò un’occhiata critica, studiando il suo abbigliamento dalla testa ai piedi.
- Dove sono finiti i vostri pantaloni? – domandò severamente, e Kurt si strinse nelle spalle, vagamente in imbarazzo.
- Purtroppo, gli unici che posseggo sono quelli del completo da cavallerizza, e non sono ancora pronti. Dopo la caduta di ieri si sono sporcati. – sospirò. Dave schiuse le labbra e batté un paio di volte le palpebre.
- Intendete salire a cavallo con la gonna? – chiese con aria incredula, puntandolo con un dito.
- Non è carino indicare. – borbottò Kurt, gonfiando le guance e appendendo le mani ai fianchi, e lo stupì non poco notare la punta di imbarazzo con la quale immediatamente Dave abbassò la mano, pur continuando a fissarlo sgomento. – So che non è il più appropriato degli abbigliamenti—
- Non solo non è il più appropriato, ma non è affatto appropriato. – precisò Dave, quasi rimproverandolo. – Avete idea di cosa succederebbe se per caso l’orlo della gonna restasse impigliato fra il vostro piede e la staffa? Rischiereste di cadere.
- Be’, non c’è problema! – ribatté Kurt, incoraggiante, - La gonna è molto ampia, mi lascerà libero di muovermi, e posso sempre tirarla su! – disse, chinandosi appena per stringere fra le mani l’orlo dell’abito, sollevandolo fin sotto ai fianchi. Dave distolse immediatamente lo sguardo, tornando a pettinare con foga la criniera di Sarpedonte. – Dave, per l’amor del cielo! – sbottò Kurt, sconvolto, - Sono pur sempre un ragazzo! Potete per un attimo dimenticare che indosso un abito femminile? Non mi sembra il momento adatto per perdersi in sciocchi, infantili ed inutili imbarazzi!
- Sarebbe più facile per me dimenticare che indossate una gonna, se voi semplicemente non la indossaste! – ribatté lo stalliere, posando la spazzola e voltandosi verso di lui mentre allargava le braccia ai lati del corpo in un gesto arreso.
- D’accordo! – replicò il ragazzo, allargando a propria volta le braccia e lasciando ricadere la gonna a terra, per poi correre subito con le dita alla fascia di stoffa che gli stringeva l’abito in vita, - Posso toglierla! Resterò in biancheria!
- Cosa?! – strillò Dave, allarmato, muovendosi celermente verso di lui e poggiandogli entrambe le mani sui fianchi per fermarlo, - Ma siete impazzito? Cosa penserebbero gli altri se vi vedessero?
Kurt smise di armeggiare con la fascia, facendosi educatamente indietro per interrompere il contatto con le sue mani senza per questo dovergli sgarbatamente chiedere di allontanarle dai suoi fianchi, e rifletté per qualche secondo.
- In effetti, avete ragione. – annuì, - Ma posso condurvi in un posto in cui nessuno ci vedrebbe. È un grande prato nelle vicinanze del lago. Lì avremo al contempo tutto lo spazio e tutto il riserbo che ci serve.
Dave si lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, incurvando le spalle.
- Siete proprio deciso a cavalcare in mutande, dunque. – constatò, atterrito. Kurt annuì con entusiasmo, afferrando Sarpedonte per le redini e cominciando a condurlo verso l’uscita della stalla.
- Andiamo? – domandò, sorridendo gentilmente. A Dave non rimase che seguirlo attraverso il cortile, adesso silenzioso, per favorire l’ora di riposo pomeridiano che Lord Hummel amava concedersi durante i pomeriggi così afosi, e poi lungo il sentiero che, dalla villa, si dipanava attraverso la campagna, fino al lago.
Il prato di cui Kurt gli aveva parlato era in effetti grande abbastanza da fornire loro spazio a sufficienza per tutti gli esercizi, e l’erba, così alta e soffice, già da sola rappresentava una buona superficie morbida sulla quale Kurt, atterrando, non si sarebbe fatto troppo male, anche nel caso gli fosse capitato di sfuggire alle sue braccia.
- È davvero un bel posto. – commentò guardandosi intorno, affascinato dalle moltitudini di colori diversi che macchiavano il prato, come schizzi di tempera su una tela, - Nel mio paese non c’erano molti prati come questo. Era una terra piuttosto arida.
- Qui tutta la campagna è così. – annuì Kurt, con aria sognante, - Anche se – aggiunse, stringendosi nelle spalle ed arrossendo appena, - ammetto di non essere molto bravo a godermela. Mi sveglio sempre tardi, al mattino, e per il momento in cui sono pronto l’aria è sempre troppo calda per spingermi a passeggiare fino a qui. I miei abiti non mi consentono spostamenti troppo lunghi, sono faticosi da portare.
- Immagino. – rise Dave, chinandosi ad accarezzare il collo di Sarpedonte mentre quest’ultimo si piegava sulla superficie del lago per abbeverarsi. – In effetti, danno l’idea di ingolfarvi parecchio.
- Già. – ridacchiò Kurt, - Per questo l’idea di togliere la gonna non mi urta più di tanto. – ammise, correndo velocemente con le mani alla fascia di seta per svolgerla, trattenendola fra le mani per piegarla ordinatamente ed appoggiarla nell’erba poco distante prima di sciogliere il fiocco che assicurava la gonna ai suoi fianchi magri, e sfilarla in un unico gesto.
Dave voltò repentinamente il capo, col rischio di farsi venire un gran torcicollo, mentre Kurt ripiegava anche la gonna e la appoggiava accanto alla fascia.
- Insomma! – protestò il ragazzo quando, voltandosi nella sua direzione, lo vide intento a fissare con interesse quasi maniacale le increspature dell’acqua attorno al muso di Sarpedonte, - Mi sembrava che la questione del mio sesso fosse risolta!
- Perdonatemi, ma voi indossate biancheria intima femminile! – sbottò Dave, indicando con un cenno vago i mutandoni di pizzo che coprivano le cosce di Kurt fino al ginocchio, - Questa cosa è davvero disorientante.
- Quanta pazienza. – sospirò Kurt, lanciando al cielo un’occhiata supplice, - Posso chiedervi, per piacere, di mettere da parte i vostri ridicoli pregiudizi, almeno finché saremo forzati a passare del tempo insieme? Vi prometto che, quando sarò pronto a cavalcare uno stallone da solo, non vedrete più le mie sottane neanche da lontano. Va bene?
Dave sospirò a propria volta, immergendo una mano in acqua e passandosela sul viso per rinfrescarsi.
- D’accordo. – disse quindi, - Andiamo, Sarpedonte. – ordinò al cavallo, conducendolo verso Kurt. – Salite. E tenete a mente che un cavallo come questo vi obbliga a tenere le gambe al contempo ben aperte e ben salde. Non cercate di partire subito al galoppo, prendetevi il vostro tempo per ambientarvi, prima.
Kurt annuì coscienziosamente, piantando entrambe le mani sulla sella e puntando il piede nella staffa per salire in groppa a Sarpedonte. Una volta su, inspirò ed espirò, guardando per bene il paesaggio attorno a sé. Il cavallo era altissimo, e gli permetteva di scrutare le cime degli alberi della foresta in lontananza fin dove cominciavano a inerpicarsi lungo l’aspro pendio delle montagne.
- Adesso? – domandò, tornando a guardare Dave e stringendo le redini fra le dita.
- Adesso – disse Dave, accarezzando il muso del cavallo per poi afferrarlo saldamente per il morso, - proveremo a fare qualche passo. Non è necessario che lo sproniate voi, vi condurrò io. Voi cercate semplicemente di tenervi in equilibrio.
- Come sarebbe a dire cercate di tenervi in equilibrio? – borbottò Kurt, aggrottando le sopracciglia, mentre Sarpedonte iniziava a passeggiare lentamente, - So perfettamente come tenermi in equilibrio in sella, signore! Per vostra informazione, vado a cavallo da quando avevo dieci anni, e— ah! – strillò, mentre la veemenza con la quale aveva cominciato a discutere prendeva il sopravvento sul suo autocontrollo, portandolo a mollare la presa delle gambe attorno al corpo del cavallo e scivolare lateralmente lungo la sella, aiutato anche dal tessuto liscio e troppo leggero della sua biancheria.
- Attento. – lo rimbrottò Dave, mollando immediatamente il morso di Sarpedonte per precipitarsi al suo fianco ed impedirgli di rovinare a terra, aiutandolo a scendere dalla sella e rimettersi in piedi saldo sulle proprie gambe. – Quante volte devo dirvi che una cavalcatura come questa è profondamente differente da quelle alle quali siete abituato? Siete così cocciuto!
- Non ci riuscirò mai. – piagnucolò Kurt, accarezzando lievemente un fianco a Sarpedonte per poi allontanarsi da lui e lasciarsi ricadere sgraziatamente nell’erba a pochi passi dalla riva fangosa del lago. – Basta, ci rinuncio. Sono stanco! – si lamentò, rannicchiandosi su se stesso e fissando l’orizzonte con aria triste.
- E siete anche pigro. – borbottò Dave, conducendo il cavallo a riva e legandolo ad un albero lì di fianco, per poi andare a sedersi accanto a Kurt, - Raccogliete in voi proprio tutti i difetti di entrambi i sessi, complimenti.
- In molti mi hanno detto che invece in me convivono solo i pregi di maschi e femmine. – sbottò Kurt, voltandosi a guardarlo con aria vagamente irritata, per poi sospirare stancamente. – Non voglio litigare, Dave, non offendetemi.
- Vi stavo solo prendendo un po’ in giro. – rise piano l’uomo, sistemandosi meglio nell’erba. – Posso chiedervi perché lo fate?
- Perché faccio cosa? – chiese Kurt, voltandosi a guardarlo con aria genuinamente perplessa.
- Tutto questo. – rispose Dave, accennando alla sua intera figura con un cenno del capo, - Perché vi vestite da donna, perché vi comportate come una donna, soprattutto perché accettate che altri uomini vi trattino come se voi foste veramente una donna? Non è umiliante? Per me lo sarebbe. – concluse con una scrollatina di spalle.
- Be’, voi sareste inguardabile, con una gonna. – notò Kurt con una mezza risata. – Comunque, - riprese in una nota più seria, - qualcuno doveva pur farlo, suppongo. Non è facile vivere in un paese in cui non nascono figlie femmine. Io sono sempre stato piuttosto delicato, e per la verità non mi sono mai interessato a tutte quelle cose che invece facevano impazzire mio fratello Finn, perciò non mi sono mai ribellato al modo in cui venivo educato.
- Avreste potuto rifiutarvi. – disse Dave, scrutandolo con interesse, e Kurt sorrise, guardando il lago.
- Ma a me piaceva. – rispose, - Questi vestiti, i modi, il canto, il ruolo che ho all’interno della famiglia… a me piace. Lo trovate così assurdo?
- Per la verità, sì. – ammise lui, abbassando lo sguardo e sentendosi in qualche modo stranamente in difetto.
- Allora il problema non è perché io lo faccia, - gli sorrise Kurt, - quanto più il fatto che voi non riusciate ad accettare che a me possa piacere farlo. E non vi sembra questo perfino più assurdo?
- Che intendete? – domandò Dave, inarcando un sopracciglio con aria scettica. Kurt prese tempo, giocando con qualche filo d’erba, e notò lo sguardo interessato con cui Dave seguiva il movimento lento e aggraziato delle sue dita. Sembrava che quell’uomo non riuscisse proprio a capacitarsi dell’esistenza in vita di una creatura come lui. Era esilarante, se si metteva da parte quanto offensive potessero essere a volte le sue parole.
- Intendo – si decise a rispondere, finalmente, - che io trovo molto più assurdo che voi, che non avete mai indossato una gonna, possiate contestare il mio piacere nell’indossarne una, piuttosto che il fatto che a me possa effettivamente piacere comportarmi come una donna. Non potrete mai sapere perché mi piace, semplicemente perché non potrete mai provarlo sulla vostra pelle. Dovreste semplicemente accettarlo, e basta.
Dave sembrò riflettere seriamente sulla questione, gli occhi distanti persi sulla superficie del lago, e poi annuì brevemente.
- Sì, forse. – ammise, - Mi sembra ancora una cosa completamente incomprensibile, ma è probabile che io abbia ancora molto da imparare.
Kurt sorrise ancora, sporgendosi appena verso di lui.
- Avrete bisogno di essere educato. – propose, ed al solo sentire le sue parole Dave, che si era appena voltato a guardarlo, dovette chinare nuovamente il capo, e Kurt fu non poco stupito dall’osservare quel lieve rossore che, improvvisamente, prese a colorargli le guance. – Cosa vi prende? – domandò quindi, incerto, - Vi sentite poco bene?
Dave si voltò a guardarlo come non potesse credere alle proprie orecchie.
- Alle volte siete veramente un maschio. – constatò allibito, - Non vi rendete proprio conto.
Kurt sbatté le lunghe ciglia un paio di volte, disorientato.
- Non comprendo. – ammise perplesso. Dave sospirò, alzandosi in piedi e tendendogli una mano per aiutarlo a fare lo stesso.
- Lasciate perdere. – cercò di sorridergli, - Ora andiamo, s’è fatto tardi. Vi riaccompagno a casa.
Kurt annuì, ancora confuso dalle sue parole, ma accettò l’aiuto di buon grado, alzandosi in piedi e finendo poi per afflosciarsi sul petto di Dave non appena ebbe provato a star dritto, mugolando un lieve “oh” in parte sorpreso e in parte addolorato al quale lo stalliere rispose con un’occhiata talmente preoccupata da far sembrare che temesse per la propria stessa vita.
- Accidenti… - mormorò Kurt, reggendosi alle spalle forti dell’uomo mentre sollevava un piede da terra.
- Cos’avete? – domandò lui, cercando contemporaneamente di sorreggerlo e di sporgersi oltre la sua spalla per dare un’occhiata al piede.
- Devo essermi storto una caviglia, prima. – borbottò il ragazzo, infastidito. – Non credo di riuscire a camminare.
- Queste cose capitano perché siete uno sconsiderato. – lo rimproverò aspramente Dave, aggrottando le sopracciglia. – Coraggio, montate in groppa a Sarpedonte.
- Cosa? No! – sbottò Kurt, incrociando le braccia sul petto e cadendo immediatamente seduto per terra non appena si rese conto che la caviglia non lo reggeva affatto, - Io non ci salgo più, là sopra!
- Oh, per favore, niente capricci, adesso! – sbuffò Dave, roteando gli occhi e recuperandolo da terra, afferrandolo per le spalle e tirandolo su di peso per poi condurlo senza la minima grazia verso il cavallo. – Appoggiatevi a lui. – ordinò fermo, e Kurt, pur piegando le labbra in una smorfia altamente contrariata, obbedì, osservandolo allontanarsi verso la sua gonna e la sua fascia per recuperarli da terra. – Permettetemi di rivestirvi. – chiese rispettosamente, attendendo un suo cenno di intesa per avvolgergli la gonna attorno ai fianchi e stringere poi il tutto con la fascia in vita. Kurt si lasciò maneggiare senza protestare, stupito dalla delicatezza di quelle mani così grandi, callose e tozze ma inaspettatamente gentili.
- Siete… molto dolce. – commentò stupito, mentre Dave lo guardava incerto. – Mi avete appena trattato come fossi uno dei vostri cavalli. – spiegò, - Non so se questo dovrebbe turbarmi, in effetti. – aggiunse con tono un po’ sconcertato, inumidendosi le labbra.
- Basta sciocchezze. – tagliò corto Dave, distogliendo lo sguardo. – Adesso non muovetevi. – disse, stringendogli le mani in vita e sollevandolo senza il minimo sforzo fino a consentirgli di accomodarsi in sella per traverso, per poi puntare un piede nella staffa e salire in groppa al cavallo subito dietro di lui. – Aggrappatevi a me. – ordinò.
- Mi sembra parecchio sconveniente. – protestò Kurt, arrossendo a causa della sua improvvisa vicinanza.
- A me sembrerebbe molto più sconveniente se cadeste di nuovo, magari completando l’opera e facendovi male anche all’altra caviglia. – replicò Dave, serissimo. – Stringetevi a me, o non ci muoveremo mai.
- E va bene, d’accordo! – concesse Kurt con un sospiro esasperato, appoggiandosi nuovamente al petto di Dave e stringendo fra le dita il tessuto della casacca che indossava. – Non vi si può fare un complimento che subito me lo ricacciate in gola. – borbottò, mentre Dave spronava il cavallo a ripartire alla volta della villa.
- Scommetto che se fosse stato il principe Blaine, a chiedervi di stringervi a lui, non avreste protestato così tanto. – disse Dave, incapace di trattenere l’acidità nella voce, mentre Kurt si voltava a fissarlo con sgomento palese, - E non vi sarebbe importato di quanto fosse sconveniente.
- Come osate?! – scattò offeso, tirandogli un lieve pugno contro il petto, - Se avete intenzione di litigare, sappiate che non ne ho alcuna voglia! Smettetela subito!
- La smetto, la smetto. – sbuffò lui, lanciando il cavallo al galoppo per fare più in fretta.
- Siete terribile. – insistette Kurt, prendendo a fissare ostinatamente la strada accidentata che sfilava veloce sotto di loro, ma appoggiandosi comunque a lui per ridurre al minimo il rischio di cadere. – Mi ero trovato così bene, fino a poco fa. Non capisco che vi è preso.
- Mi siete preso voi, ecco che mi è preso! – ribatté Dave, stringendo la presa sulle redini e sospirando sollevato alla vista della villa in fondo alla strada.
- E cosa vorreste dire, con ciò?! – sbottò Kurt, tornando a guardarlo con aria allucinata.
- Voglio dire che siete una persona assurda, non si sa mai cosa aspettarsi da voi e… e siete insopportabile! – quasi strillò, fermando il cavallo in mezzo al cortile e scendendo in un gesto così repentino da rischiare di far perdere nuovamente l’equilibrio a Kurt. – Aspettate qui, vado a chiamare qualcuno che possa portarvi in camera vostra. – disse rudemente, distogliendo lo sguardo dalla sua figura.
- Ma dove andate, dove andate! – roteò gli occhi il ragazzo, sbuffando esasperato, - Mi avete portato fino a qui, portatemi anche in camera. Datemi una mano e smettetela di fare lo scontroso, piuttosto. Siete incredibile! – si lagnò, porgendogli una mano in un gesto inequivocabile. Dave sospirò stancamente, ma prese la sua mano nella propria e si preparò ad accoglierlo quando lui scivolò fluidamente giù dalla sella, atterrando morbido fra le sue braccia.
- E portarvi in braccio in camera vostra com’è? – gli chiese ironico mentre, tenendolo saldamente stretto al petto, attraversava il cortile, entrava in casa e poi imboccava le scale per il piano di sopra, - Sconveniente?
- Voi siete la persona più noiosa del mondo, ne siete consapevole? – gli fece presente Kurt, scuotendo il capo e incrociando le braccia sul petto, - Non è né sconveniente, né nient’altro, è solo necessario. – spiegò, cercando di riportare il tono della propria voce su una nota meno stridula e indisponente. – Ora, se vi è possibile, vorreste per piacere tornare ad essere la piacevolissima persona che siete stato fino a un momento fa? O volete continuare a comportarvi così finché non vi odierò senza speranza?
Già giunto di fronte alla porta di camera sua, Dave non poté che sospirare, arreso.
- Voi mi stancate in modi incomprensibili. – ammise, aspettando che fosse Kurt a sporgersi per aprire la porta e poi conducendolo all’interno, - Siete proprio faticoso, e non invidio affatto il povero principe Blaine che sarà costretto a sopportarvi per tutto il resto della vostra vita. – concluse, richiudendosi la porta alle spalle con un calcio.
- Possa Iddio concedermene una abbastanza lunga da venire ogni sera a tirarvi i piedi nel letto mentre dormite, se la mia povera porta sarà stata danneggiata dal vostro sgarbato scarpone! – strillò Kurt, agitandosi fra le sue braccia mentre Dave gli urlava di stare buono, - E comunque, non preoccupatevi per la mia futura vita matrimoniale, sono convinto che sarà rosea e splendente!
- Bene! – sbottò lo stalliere, lasciandolo ricadere sul proprio letto.
- Bene! – gli fece eco Kurt, sollevandosi a sedere sul materasso e fissandolo irritato, - Ora vi siete sfogato? La smettete o no?!
- Tacete, santi numi! – gridò Dave, fuori di sé dalla frustrazione, e non fu che un attimo prima che si sporgesse verso di lui e, stringendogli il viso fra le mani, appoggiasse le proprie labbra contro le sue, con una foga un po’ goffa, ma talmente infuocata da ricoprire la pelle di Kurt di brividi bollenti.
Era il suo primo bacio.
- …cosa. – annaspò sconvolto, quando Dave si fu allontanato da lui. Lo fissò con occhi enormi e persi, in parte spaventato, in parte confuso, come aspettandosi automaticamente da lui una risposta plausibile che spiegasse quel gesto apparentemente così assurdo.
- …perdonatemi. – deglutì Dave, lasciandolo andare e rimettendosi dritto. – Non so cosa mi è preso. Non avrei dovuto.
- No che non avreste dovuto! – strillò Kurt, gli occhi pieni di lacrime, - Era— Era la prima volta che qualcuno— che—
- Ho chiesto scusa! – lo interruppe Dave, innervosito dal suo melodrammatico balbettio, - E, in ogni caso, suppongo di essere stato appena nuovamente retrocesso assieme a tutte le altre bestie, per cui non pensateci. Sarà come se un cane vi avesse leccato il viso.
- Quest’immagine è agghiacciante e oh, santo cielo, voi mi avete baciato! – continuò a strillare Kurt, sconvolto, rannicchiandosi in un angolino del letto come avesse paura che Dave potesse nuovamente saltargli addosso, nonostante fosse abbastanza chiaro che non l’avrebbe fatto. – Siete un bruto! Un— un— non ho parole per descrivervi!
- Ecco, perfetto, allora non cercatele neanche. – sospirò l’uomo, passandosi una mano sul viso e cercando di calmarsi. – Vado via, adesso. Fate finta che niente di tutto questo sia mai accaduto. Ad insegnarvi come si cavalca uno stallone ci penserà il principe al suo ritorno. Mi sembra la cosa più giusta.
- Dave. – lo chiamò Kurt, osservandolo dargli le spalle per uscire, - Dave! Non osate abbandonare questa stanza prima che io vi abbia dato il permesso di farlo! – strillò, stringendo il copriletto fra le dita con foga, come se questo potesse in qualche modo contribuire a trattenere anche lo stalliere.
Non servì, comunque.
Fatta eccezione per la foresta stessa, la valle sembrava del tutto inanimata. Fra gli alberi, la fauna doveva senz’altro essere viva e varia, dovevano sicuramente esserci molte specie di uccelli, parecchi roditori, chissà, forse perfino qualche volpe e qualche lupo, ma nulla sembrava vivo al di fuori del cerchio degli alberi più esterni, sulla tavola di pietra piattissima e levigata sulla quale loro si trovavano.
- Questo posto mi mette i brividi. – commentò Finn, che aveva approfittato dell’occasione per uscire un po’ dai confini del villaggio ma si sentiva ancora offeso dalla scarsa considerazione che Kurt aveva dimostrato per lui, dimenticando completamente di salutarlo, preso com’era dal desiderio di salutare il principe. Il suo umore non aveva avuto alcun motivo di rallegrarsi, sia a causa delle faticose ore trascorse al galoppo, sia a causa della compagnia, che da quando aveva discusso animatamente col principe Jesse durante la cena di qualche sera prima aveva cessato quasi del tutto di essere piacevole.
- Non preoccupatevi, Finn. – lo rassicurò Blaine con un sorriso, avvicinandoglisi al trotto, - Non avete niente da temere. Il principe Jesse lo sentirebbe, se ci fosse una strega nei dintorni.
- E infatti una strega c’è. – disse l’uomo, passando loro accanto senza degnarli di uno sguardo, scrutando intensamente il folto della foresta nel suo punto più oscuro e misterioso, - Non nelle immediate vicinanze, però, no. – proseguì, fermandosi a qualche metro dal punto in cui il sentiero si insinuava fra le radici degli alberi, fino a scomparire. – Nelle profondità di questa foresta, nondimeno, una strega vive di sicuro. Ed è anche alquanto potete, se i miei sensi non mi ingannano.
- I vostri sensi? – domandò Finn, sprezzante, - Per favore. La cartomante zingara che leggeva i tarocchi per gioco a me e a mio fratello quando eravamo bambini era più credibile di voi! Quantomeno, lei usava degli strumenti per giustificare le proprie percezioni! Voi, invece? Cos’è, l’aria intorno ad una strega puzza? – aggiunse in tono canzonatorio, prendendolo in giro. Jesse non raccolse la provocazione, e nemmeno si voltò a guardarlo, prendendo a passeggiare a cavallo attorno al limitare della foresta, come seguendo una linea curva immaginaria che lo conducesse attorno alla macchia verde per tutto il suo perimetro.
- Dal momento che me lo chiedete, signore, - rispose con tono apparentemente disinteressato, - sì. Puzza, ed è più pesante. Impregnata di magia. Non potete sentirla perché non ne avete le capacità, ma ciò non toglie che sia così.
- Provengo da una famiglia di studiosi, principe Jesse. – insistette Finn, accigliandosi, - Il fondatore di Lima, sir William McKinley, era lo scienziato più rinomato del paese. Io non credo a ciò che non posso toccare con mano, non mi lascio abbindolare da niente che non sia scientificamente provato e palese sotto i miei occhi.
Lord Montgomery si voltò immediatamente a cercare con lo sguardo la figura del principe, per chiedergli silenziosamente di porre fine a quell’alterco prima che potesse degenerare, e ben presto la sua mossa fu ripetuta anche dagli altri due membri del Consiglio della Dalton, ma il principe era così preso dall’ammirazione quasi sognante con la quale stava osservando la foresta e i suoi dintorni che del litigio non sembrava curarsi per niente. Lord Montgomery sospirò pesantemente: che sovrano sarebbe mai stato, quel ragazzo, se avesse continuato a farsi distrarre così facilmente da qualsiasi cosa, si trattasse di una coccinella su una foglia o di un giovanotto in gonnella?
Fortunatamente, Jesse non sembrava particolarmente interessato a mettersi a litigare in quel momento. Anzi, tutte le sue forze sembravano concentrate nel fare in modo che quella spedizione potesse durare per il minor tempo possibile. Sembrava, per motivi che nessuno comprendeva appieno, incredibilmente impaziente di tornare a Lima quanto prima.
- Maestà, - disse quindi, fermando repentinamente il cavallo e voltandosi verso Blaine, così sensibile alla sua parola, che reputava eminente e degna di ascolto, da concedergli immediatamente tutta la propria attenzione, - avrò bisogno di tornare alla villa di Lord Hummel, e da lì far partire un messo che possa recarsi a Carmel per portarmi alcuni volumi, e naturalmente per condurre a me i miei alchimisti.
- Ah, perfetto. – sospirò Finn, roteando gli occhi, - Ora la mia casa dovrà per forza diventare la base operativa di questa scempiaggine. Tutto ciò è ridicolo.
- Finn, vi prego, abbiate fiducia nel principe Jesse come ne avete in me. – tagliò corto Blaine con un sorriso, e Finn gli avrebbe volentieri risposto che in realtà si fidava di Jesse esattamente tanto quanto si fidava di lui, e cioè molto poco, ma trattenne la lingua e si limitò ad annuire cupo, supponendo che se già la compagnia non l’aveva in simpatia per il trattamento sprezzante che riservava al principe di Carmel, le cose non avrebbero potuto che peggiorare se si fosse rivolto nello stesso modo anche a Blaine. – Bene! – riprese il principe, spronando il cavallo ad avanzare, - Giriamo attorno alla foresta e cerchiamo un pozzo o uno specchio d’acqua nelle vicinanze del quale accamparci, sia mai durante la notte abbia luogo qualche strano evento. Ripartiremo domani in mattinata.
- Sissignore. – risposero in coro i tre componenti del Consiglio, spronando immediatamente i cavalli al seguito di quello del principe e di quello di Jesse, che gli si affiancò quasi subito. Finn rimase indietro di qualche metro: non aveva alcuna fretta di raggiungere gli altri, e supponeva che, se avessero trovato il posto adatto per accamparsi, prima o poi l’avrebbe visto anche lui, pur senza lanciarsi al galoppo come se dovesse assaltare una diligenza. Che modo era, quello, di cavalcare? Come se ogni volta che si saliva a cavallo si dovesse per forza scapicollarsi verso l’obbiettivo, quando sarebbe stato indubbiamente più sicuro e meno faticoso procedere con calma.
Per tale motivo, quando gli altri intravidero i resti del villaggio indiano distrutto, lui fu l’ultimo a notarli. Sapeva che gli indiani al confine coi possedimenti del principato stavano lentamente guadagnando terreno, spostandosi verso territori più verdeggianti e spingendosi talvolta fino a stabilirsi in luoghi particolarmente pericolosi, come quella valle, ma non aveva nessuna notizia di un villaggio eretto proprio di fianco alla foresta.
- C’è qualcosa di molto strano, qui. – mormorò, raggiungendo Blaine e Jesse in testa alla compagnia, - È tutto bruciato.
- Sicuramente opera della strega. – annuì Blaine, per poi voltarsi subito dopo a lanciare un’occhiata a Jesse, in cerca di un suo segno di approvazione. Il principe di Carmel, però, non gliene concesse alcuno: si limitò a continuare a cavalcare in silenzio fra le tende bruciate, l’odore acre del legno carbonizzato ad infastidirgli le narici, e il fumo ad annebbiargli la vista.
- Maestà, - lo richiamò quindi Lord Thompson, ritornando verso di lui dopo essere andato in ricognizione verso est fino ai confini del piccolo agglomerato di tende ormai devastato, - ci sono dei superstiti.
Immediatamente, tutto il manipolo di uomini si mosse nella direzione indicata dal cavaliere, e quando giunsero al luogo nel quale l’uomo li aveva condotti – una piccola capanna, molto più piccola delle altre, e forse proprio per questo scampata quasi interamente al disastro – videro due ragazzi sporchi di cenere rannicchiati in un angolo, stretti l’uno all’altra, spaventati come conigli dopo uno sparo. Si assomigliavano incredibilmente – entrambi biondi, entrambi dagli occhi chiari, sebbene di due sfumature di colori differenti, entrambi alti e longilinei, dai lineamenti eleganti e affascinanti, entrambi di pelle chiara e liscia – tanto da sembrare fratelli. Finn e Blaine scesero immediatamente dalle loro cavalcature, avvicinandoli come guidati da una forza misteriosa.
- Maestà? – chiamò Lord Thompson, stupito da quel comportamento, ma Jesse lo zittì con un gesto.
- È tutto a posto. – disse, e poi, con più convinzione, voltandosi verso l’uomo, aggiunse: - Non vedete che sono feriti? Correte immediatamente ad avvisare Harwood e Montgomery, dite loro di raggiungerci.
- Sì, signore. – annuì il cavaliere, partendo subito al galoppo. Indietreggiando lievemente, Jesse rimase ad osservare la scena mentre Blaine si chinava sul ragazzo, controllando che stesse bene per porgergli la mano, e Finn faceva lo stesso con la ragazza, sostenendola da sotto le ascelle per aiutarla a risollevarsi in piedi.
- Cosa è successo qui? – chiese il principe, rivolgendosi al ragazzo, ma prima che questi potesse rispondergli la ragazza scoppiò a piangere, e tenendosi la testa fra le mani cominciò a lamentarsi.
- Brucia… brucia tutto… - mugolò insensatamente, gli occhi fissi nel vuoto ma pieni di lacrime, - È tutto bruciato… - singhiozzò un’ultima volta, prima di svenire fra le braccia di Finn, che dovette faticare non poco per prenderla al volo e caricarsela in braccio.
Il ragazzo le fu subito accanto, accarezzandole brevemente il volto e il collo per verificare che fosse ancora viva, prima di rivolgersi al principe.
- Voi siete la giovane maestà di Westerville, è così? – domandò. Blaine annuì. – Non sappiamo esattamente cosa è successo. – proseguì il ragazzo, - Mi chiamo Jeremiah. Io e mia sorella Quinn eravamo nella nostra tenda, quando è scoppiato l’incendio. Ci siamo salvati per miracolo. – raccontò, la voce tremante e incerta. – Non è rimasto niente.
Proprio in quel momento, giunsero finalmente i tre lord del Consiglio della Dalton. Mentre Finn risaliva a cavallo, portando con sé la giovane, Jesse si voltò verso di loro per interrogarli.
- Superstiti? – chiese, il tono di chi sa già cosa aspettarsi in risposta.
- Nessuno. – disse infatti Lord Harwood, scuotendo il capo, - Solo cadaveri carbonizzati.
Jeremiah abbassò lo sguardo, stringendo i pugni lungo i fianchi. Blaine lo notò, ed allungò una mano a sfiorare quel pugno così serrato, che al solo percepire quel lieve tocco sembrò sciogliersi appena.
- Venite con noi. – disse il principe con un sorriso, - Avete bisogno di cure, e non potete restare qui. Vostra sorella andrà col mio fidato amico, il giovane primogenito del signore di queste terre. Voi, invece, salirete a cavallo con me.
Il ragazzo sorrise ed annuì, ringraziando a bassa voce. Blaine risalì in sella, ed aspettò che il giovane indiano l’avesse raggiunto, prima di dare l’ordine di lasciar perdere l’idea di accamparsi lì per la notte e fare immediatamente ritorno a Lima.
Si alzò di scatto, repentinamente, quando un giovane folletto biondo con un paio di occhiali tondi sul naso saltò sul davanzale della finestra, ridacchiando entusiasta.
- Ah, sei tu, Becky. – disse la strega, rilassandosi. – È andato tutto bene?
- Tutto come avevate previsto. – annuì il folletto, scuotendo il caschetto biondo in un’altra risatina divertita.
Avvolta nel suo mantello di acetato rosso, la strega tornò a sedersi, e sorrise.
- Mio Dio. – esalò Santana, sconvolta da una tale visione, - Signorino Kurt, cosa vi è successo?
Non era inusuale cogliere il giovane in atteggiamenti drammatici o esageratamente disperati, a volte anche per delle facezie, ma di certo era una novità che il ragazzo si permettesse di dare sfogo a tanto dolore in maniera così sguaiata e priva di pudore, come se ormai non gl’importasse più di mantenere la compostezza.
- Vi sentite male? – domandò Brittany, sedendosi sulla sponda del letto e accarezzandogli i capelli, - Avete le vostre cose?
- Brittany! – sbottò Santana, sollevando gli occhi al cielo, - È un maschio!
- Perché, loro non ce le hanno? – domandò la ragazza, spostandole addosso un paio d’occhi smarriti e vuoti mentre Santana sospirava profondamente, scuoteva il capo e poi si sedeva accanto a Kurt, dall’altro lato del letto, prendendo a propria volta ad accarezzargli i capelli, la nuca, le spalle e la schiena.
- Signorino Kurt, coraggio, - disse dolcemente, cullandolo con la propria voce bassa e quell’accento ispanico che più volte Kurt aveva detto di trovare delizioso, - dite alla vostra Tana cos’è successo. Vi sentite male?
Kurt sollevò lo sguardo. Aveva gli occhi arrossati e continuava a piangere, grosse lacrime scendevano rotolando lungo le sue guance piene come goccioloni di pioggia.
- È… è tutto perduto. – mugolò, abbattendosi nuovamente sul materasso e nascondendo il volto sugli avambracci.
- Oh, per la miseria, signorino Kurt! – borbottò Santana, battendo qualche pacca d’incoraggiamento sulle spalle del ragazzo, ora scosse da singhiozzi perfino più violenti, - Cosa può mai essere successo?
- La mia purezza… - si lamentò Kurt, la voce ridotta a un fiato sottilissimo, - è ormai perduta, non sono più degno di vivere in questa casa. Prenderò i voti, mi trasferirò in un monastero e lì vivrò nell’ascesi e nella privazione finché i miei peccati non saranno mondati.
Le due dame si lanciarono un’occhiata incerta, e poi Brittany si chinò nuovamente sul proprio padroncino, riprovando a consolarlo.
- Signorino Kurt, perché dovreste voler vivere nell’ascesso? È doloroso e secerne liquido puzzolente. – disse con una mezza smorfia.
- Britt, sta’ zitta. – tagliò corto Santana, per poi afferrare delicatamente Kurt per le spalle e rimetterlo dritto, - Signorino Kurt, qualsiasi cosa possa essere successo, sono sicura che potremo trovare una soluzione adeguata per risolvere il problema. Dovete soltanto confidarvi.
- Giammai! – strillò istericamente Kurt, coprendosi il volto con le mani, giacché Santana, tenendolo ben saldo per le spalle, gli impediva di accasciarsi nuovamente fra le lenzuola e lì restare fino a morire di consunzione, - No, Santana, no! – insistette, - Porterò il mio orribile segreto nella tomba, coi resti delle mie mortali spoglie. Mai nessuno saprà a quale disonore ho costretto questa famiglia, mai nessuno vedrà quanto orribile il mio peccato sia stato. Morirò impuro, e nessuno saprà mai perché. – concluse, lanciando una teatrale occhiata di disperazione a Pavarotti, rinchiuso nella sua gabbietta, che approfittò di quel primo momento di silenzio per accennare un paio di note del proprio canto. Al solo sentirle, Kurt si sciolse nuovamente in singhiozzi, perfino più rumorosi e violenti di prima, e il povero uccellino tornò a lisciarsi le penne in silenzio.
Santana e Brittany si guardarono dubbiose un’altra volta, ma quando la bionda aprì la bocca per parlare Santana le impedì di farlo, parlando a propria volta.
- Signorino Kurt, ascoltatemi. – disse con tono soave e materno, sorridendo dolcemente un attimo prima che tutti i suoi lineamenti mutassero, rendendola improvvisamente più simile a un demone infernale che all’angelica dama di compagnia che era stata fino a pochi secondi prima, - Adesso basta piagnucolare, siete isterico e ridicolo. – lo rimproverò, schiaffeggiandolo violentemente e mandandolo a rovesciarsi sul letto mentre Brittany, strillando spaventata, lo prendeva per le spalle. – Madre de Dios, siete una piaga! – lo rimproverò, mentre Kurt, stretto fra le braccia di Brittany, la fissava con occhi enormi carichi di sconcerto, - Adesso voi vi mettete in piedi, vi ripulite, vi risistemate e poi andate a trovare vostro padre, e discutete con lui di qualsiasi sia questo problema che vi affligge. Se sarà sua opinione che dobbiate trascorrere la vostra intera vita in convento, io per prima mi occuperò di cucirvi un saio che esalti le vostre forme, e vorrò io stessa a chiudervi nella vostra cella a doppia mandata per poi gettare via la chiave. Ma se invece vostro padre riterrà questo problema una sciocchezza, o comunque qualcosa di risolvibile senza avviarvi verso l’abito talare… - concluse con aria minacciosa, assottigliando i grandi occhi scuri e tendendo le labbra rosse e piene in una smorfia terrificante, - non voglio più sentirvi parlare di convento ed altre simili sciocchezze. Mai più!
- S-Santana! – provò a richiamarla Kurt in un balbettio sconvolto, ma la donna non gli permise di farlo.
- Shush! – sbuffò interrompendolo, - Basa storie, basta lagne da bambino viziato, basta lacrime, soprattutto. – stabilì, alzandosi in piedi e poi afferrandolo per entrambe le mani per tirarlo su di peso, un attimo prima di tornare a sorridergli conciliante. – Forza, vi aiuto a rimettervi in sesto.
Pur controvoglia, Kurt abbassò lo sguardo ed annuì, troppo esausto dalle lunghe ore di pianto per insistere e farsi lasciare in pace. Seguì Santana fino alla toeletta, sedendosi sullo sgabello imbottito e lasciando che fossero lei e Brittany a prendersi cura di lui, sciacquargli il viso, coprire l’innaturale rossore delle guance con un po’ di cipria per lasciare che trasparisse solo quel lieve colorito rosato più accentuato sulle gote che contribuiva a dargli quell’aria da ragazzina che tutti amavano tanto, e poi rimetterlo perfino in piedi, dopo averlo aiutato a cambiarsi d’abito, indossando qualcosa di più leggero per evitare che il calore di quell’afosa giornata di primavera lo innervosisse troppo, impedendogli di rilassarsi.
Il dolore alla caviglia, notò Kurt mentre, lentamente, scendeva le scale per andare a trovare suo padre in quello che lui per primo si fregiava di chiamare “il suo laboratorio segreto” – non senza un certo divertimento – era quasi del tutto passato, non ne rimaneva che un’eco lievissima che lo infastidiva, sì, ma non tanto per il dolore in sé, quanto più perché ogni volta che sentiva pizzicare una lieve fitta da qualche parte attorno all’attaccatura del piede non poteva fare a meno di ripensare allo stalliere di sua maestà, alle mani grandi e forti che l’avevano rivestito, alla voce che, con preoccupata fermezza, l’aveva tanto rimproverato, e alle sue labbra calde e asciutte premute contro le proprie.
Arrossì improvvisamente, e quando se ne accorse scosse il capo con decisione, strizzando gli occhi, nel tentativo di liberare la mente da quei pensieri molesti. Dopo aver parlato con suo padre, sarebbe corso immediatamente in camera propria, e lì, sul davanzale della finestra, si sarebbe seduto, e sarebbe rimasto immobile a leggere una delle storie che tanto gli piacevano, in cui principi affascinanti e coraggiosi salvavano principesse tristi e bellissime dal loro infausto destino. Pavarotti avrebbe cantato in sottofondo e il suo pensiero sarebbe immediatamente corso al principe Blaine, intento a perlustrare il limitare della Foresta Nera assieme al suo seguito, e tutto sarebbe stato di nuovo semplice e bello.
Suo padre era, come al solito in quei pomeriggi in cui era privo di incombenze ufficiali e poteva dedicarsi solo a se stesso e al proprio piacere, sepolto per più di metà sotto uno dei suoi complessi macchinari sempre sporchi e borbottanti. Sdraiato su una piattaforma su un lato della quale aveva montato quattro piccole rotelle, in modo che fungesse da carrello e potesse aiutarlo a muoversi più agevolmente anche quando era disteso sulla schiena, stava nascosto fin quasi alla vita, al punto che di lui si vedeva solo la parte di corpo dalla cintola in giù. Stava martellando qualcosa con una certa veemenza, e da qualche parte un qualche marchingegno a vapore stava sbuffando come una teiera pronta ad esplodere, e a causa di tutto questo trambusto inizialmente neanche riuscì a sentire la voce di Kurt che, sottilissima, lo chiamava.
- Padre! – disse quindi Kurt, spazientito, irrigidendo le braccia lungo i fianchi e picchiettando per terra con un tacco, - Venite fuori di lì, una buona volta!
- Cosa? – biascicò Burt, scivolando sul suo carrellino fino a mostrarsi completamente agli occhi del figlio. Indossava un’ampia casacca da lavoro sdrucita e sporca d’olio, e due enormi guanti di pelle rovinati sulle dita che sembravano ingolfarlo nei movimenti, più che aiutarlo a compierli. Reggeva un martello in una mano ed un paio di bulloni nell’altra, e stringeva tra i denti una chiave inglese come un corsaro avrebbe fatto col proprio fido coltello durante un assalto a una nave mercantile. La restante metà del suo viso era coperta da un paio di occhiali giganteschi sui quali erano montati, al posto di lenti normali, due spesse lenti d’ingrandimento che rendevano i suoi occhi innaturalmente grandi e infantili. Si sfilò la chiave inglese dalle labbra, allungando un piede a tirare un calcio ad una leva che, spostandosi, zittì il marchingegno che produceva quell’orribile rumore di vapore che sfiata, riportando finalmente il silenzio nell’officina. – Kurt? Che succede?
Il ragazzo emise un sospiro rassegnato, afferrando uno sgabello basso da un angolo della stanza e trascinandolo vicino al carrello del padre, mentre questi si sollevava a sedere, e poi si sedette a propria volta, piegando le lunghe gambe e risistemandosi la gonna sulle ginocchia prima di parlare.
- Padre, - cominciò malinconicamente, - io… voi sapete che io non potrei mai continuare a vivere, se sapessi di essere una delusione, per voi.
- Una delusione? Per me? – sbottò Burt, incredulo, sistemandosi gli occhiali sul naso, - Kurt, ma cosa mai ti salta in mente? Sai bene di essere il mio vanto e la mia gioia! Mai nessun padre fu più fortunato di me ad avere un figlio devoto e bello come te!
- Sì, ma… - insistette Kurt, risollevando lo sguardo, - …potreste togliervi dalla faccia quella roba?! – strillò, incrociando le braccia sul petto, - Siete ridicolo, non riesco nemmeno a guardarvi! – Burt rise, sfilandosi gli occhiali dal naso mentre Kurt sospirava ancora, scuotendo il capo. – Quello che intendo dire, - riprese il ragazzo, incurvando le spalle e tornando a fissare il pavimento, incapace di sostenere il benevolo sguardo paterno, - è che voi mi avete sempre detto che sarei riuscito ad essere felice solo quando un principe avesse chiesto la mia mano, portandomi con sé nel suo castello e costruendo con me una famiglia… ed io… io ci ho sempre creduto, ed ero felice di crederci, ma ora mi chiedo, padre, se io non riuscissi a portare a termine questa missione, vi deluderei? – disse tutto in un fiato, chiudendo gli occhi come in attesa della propria meritata punizione.
Burt lo fissò accigliato per qualche secondo, le labbra dischiuse, come non riuscisse bene a decidersi su cosa fosse opportuno dirgli.
- Kurt, - cominciò poi, con tono paziente, - qualunque cosa io ti abbia detto per indirizzarti verso una certa strada, l’ho fatta perché credevo fosse quella giusta per te, non certo per mio tornaconto personale.
- Lo so, padre! – si affrettò a precisare Kurt, sollevando repentinamente lo sguardo, ferito in prima persona dal fraintendimento, - Non ho mai pensato che voleste niente di meno che il mio bene!
- E dunque, - riprese Burt, - perché parli della tua vita come di una missione? Non ti ho mai chiesto di diventare un principe consorte perché quella doveva essere la tua missione. Sono solo convinto che tu sia tanto meraviglioso da meritare il meglio, e dunque cosa può esistere di meglio di un principe, della Capitale, della corona?
Già, si disse Kurt, tornando a guardare il pavimento e sentendo le lacrime pungere sotto le ciglia, cosa poteva esserci di meglio?
- Ma se io non riuscissi a sposare il principe Blaine, o comunque un principe… - insistette, la voce ridotta nuovamente a un rantolo prossimo a rompersi in singhiozzi, - voi sareste deluso da me, padre? Smettereste di amarmi?
Burt rise appena, quasi intenerito da quella domanda.
- Non ti ho mai sentito dire così tante sciocchezze tutte assieme, Kurt. – lo rassicurò, sporgendosi ad accarezzargli una guancia. I guanti che ancora indossava erano ruvidi ed unti, ma Kurt non se ne sentì infastidito mentre un minuscolo sorriso nasceva anche sulle sue labbra. – Sarò felice chiunque sia la persona che tu deciderai di sposare, tesoro mio. Sarò felice anche se deciderai di non sposare nessuno, anzi, forse allora sarò perfino più felice, perché vorrà dire che potrò tenerti per sempre con me. – rise appena, allungandosi a stringerlo per le spalle per tirarselo contro ed abbracciarlo con calore. – Ed ora basta cupi pensieri, figlio mio. – proseguì, allontanandosi abbastanza perché Kurt potesse vederlo sorridere incoraggiante, - Torna in camera tua e riposa. Nella serata di domani, i nostri ospiti saranno di ritorno, e si dovrà provvedere a sollevarli dalla loro stanchezza. Canterai per noi, vero, figliolo? Canterai per me?
Kurt annuì, sorridendo fiducioso.
- Sì, padre. – promise stringendogli una mano, prima di alzarsi in piedi. – Cercate di non farvi male mentre lavorate a questo… questo coso. – si raccomandò, indicando il macchinario con un vago cenno del capo. Suo padre rise divertito, tornando a stendersi sul proprio carrello per poi scomparire sotto la macchina subito dopo. Kurt inspirò a pieni polmoni l’aria pura della primavera, uscendo nuovamente in cortile. Col peso che l’aveva oppresso ormai sollevato dal petto, perfino respirare era più facile e piacevole.
Attraversò il piazzale con un sorriso sempre più grande sulle labbra, accennando perfino qualche passo di danza quando fu sicuro che nessuno avrebbe potuto vederlo, ma tutta l’ilarità e la leggerezza di spirito che aveva sentito si dissolsero in un baleno quando i suoi occhi, scivolando distrattamente sulla stalla, scorsero attraverso l’uscio aperto la figura di Dave, intento a strigliare i cavalli e prepararli per la notte.
Poteva ignorarlo quanto voleva, ma il problema sarebbe rimasto. E, se non fosse stato capace di affrontarlo di petto, si sarebbe ripresentato, e forse sarebbe addirittura peggiorato. Doveva parlare con quell’uomo, capire per quale motivo il suo comportamento fosse così lunatico, capire cosa gli fosse passato per la testa quando l’aveva baciato. Soprattutto, doveva capire se il lieve calore che sentiva al bassoventre ogni volta che ripensava alle sue mani, alle sue labbra, al petto forte al quale si era appoggiato tornando verso la villa a cavallo con lui, era davvero provocato dalla sua presenza, o se per caso era possibile imputarlo a qualche sciocco colpo di calore, o qualche altra irrilevante ragione.
Entrò cercando di non fare rumore, guardandosi intorno con aria circospetta. Dave, nonostante tutte le sue precauzioni, lo notò subito.
- Credevo che non voleste più vedermi. – disse, senza sollevare gli occhi da Sarpedonte, e Kurt si mosse a disagio, spostando il peso del corpo da un piede all’altro per non pesare troppo sulla caviglia che, adesso che si trovava di nuovo vicino a lui, aveva ripreso a dolere, come se quell’uomo avesse il potere di gestire non solo i suoi stati d’animo, ma perfino le sue sensazioni fisiche.
- Lo credevo anch’io. – ammise, deglutendo forzatamente, - Ero molto scosso.
- Vi ho già detto che mi dispiace. – replicò Dave, aggrottando le sopracciglia con un certo fastidio.
- Sì, lo so. – cercò di sorridere Kurt, stringendosi nelle spalle, - Non è per questo che sono qui.
Dave sospirò, mettendo via la pezza bagnata con la quale stava ripulendo Sarpedonte e avvicinandoglisi di qualche passo. L’espressione sul suo viso era addolorata, quasi contrita, ed al solo vederla a Kurt sembrò di sentire una tenaglia chiuderglisi di scatto sul cuore. Non aveva mai provato una sensazione simile.
- …la vostra vista mi è insopportabile. – gemette Dave, irrigidendo le braccia lungo i fianchi, quasi temesse di poterne perdere il controllo. Kurt si morse un labbro, ferito da quelle parole così aspre.
- Io non vi capisco, signore. – disse in un sussurro, gli occhi che si riempivano velocemente di lacrime, - Perché siete così crudele con me? Non vi capisco proprio.
- Non è necessario che voi capiate. – ribatté Dave, distogliendo lo sguardo, - Vi prego, ditemi perché siete venuto, e poi andate via.
- Non posso! – insistette Kurt, andandogli incontro e cercando i suoi occhi coi propri, - Se sono venuto qui è proprio per capire! Non posso andarmene finché non mi sarà tutto chiaro.
- Be’, allora temo di dovervi dare una delusione, - rispose Dave, - non posso chiarirvi niente, se non c’è niente che sia chiaro a me per primo.
- Voi state mentendo. – sbottò Kurt, continuando a inseguire i suoi occhi sfuggenti, - Perché mi avete baciato?
- Lasciatemi in pace! – strillò lo stalliere, voltandogli le spalle.
- No! – continuò Kurt, girandogli attorno ed afferrandogli i polsi con entrambe le mani, - Perché mi avete baciato, per zittirmi? Per umiliarmi? Per— non lo so, per macchiare il mio onore, di modo che non potessi più avvicinarmi a sua maestà, né tantomeno coltivare la speranza di poterlo un giorno sposare?
- Oh, buon Dio! – esalò Dave, cercando di liberarsi dalla stretta delle sue mani scrollando violentemente i polsi, senza però ottenere i risultati sperati, - Non mi interessa niente della vostra storia col principe Blaine! Per quel che mi riguarda, potete sposarlo e andare a vivere con lui dove vorrete!
- E allora perché?! – ripeté Kurt, spalancando gli occhi, - Perché avreste dovuto farlo, se vi disgusto così tanto?! Se neanche riuscite a tollerare la mia vista, tale è il ribrezzo che vi provoco?! Perché?!
Dave trattenne il respiro così a lungo da diventare rosso in viso, e Kurt ebbe la chiara impressione che stesse contando fino a dieci per provare ad impedirsi di fare qualcosa di cui si sarebbe certamente pentito.
Contare non dovette essere sufficiente, però, perché alla fine Dave si sporse in avanti e, dopo essersi liberato della prigione delle sue mani con un altro strattone, lo afferrò per le spalle, tenendolo fermo mentre si chinava su di lui e copriva nuovamente le sue labbra con le proprie, stavolta senza fermarsi al solo contatto delle labbra.
Kurt gemette, stupito dalla sensazione umida della lingua dello stalliere che s’insinuava fra le sue labbra alla ricerca della sua, e spalancò gli occhi, incapace di porre un freno a quanto stava accadendo e lasciandosi condurre da Dave quando lui lo sospinse verso la parete in legno della stalla, per allontanarsi dallo spicchio di luce che la porta aperta proiettava all’interno dell’edificio.
Il buio sembrò accoglierli in un abbraccio confortante, e solo quando gli parve di non riuscire più a riconoscere i contorni delle cose Kurt si concesse di rilassarsi, sciogliersi fra le braccia dell’uomo che lo stringeva e piegare appena il capo, schiudendo le labbra con più sicurezza mentre la lingua di Dave accarezzava la sua e le sue mani scivolavano lungo le sue braccia, fermandosi sui suoi fianchi e stringendoli con forza fra le dita.
Kurt gemette ancora, e quel flebile suono sembrò come dar fuoco ad una miccia. Dave si spinse repentinamente in avanti, schiacciando il proprio bacino contro il suo, e Kurt spalancò gli occhi nel percepire distintamente qualcosa di rigido premuto contro l’interno della coscia. Mugolò e si dibatté, cercando di allontanare lo stalliere, ma lui non gli diede tregua, serrando con più forza le labbra sulle sue e le mani attorno alla sua vita, ma rallentando il ritmo delle carezze della propria lingua e sfiorandogli a tratti i fianchi con i polpastrelli callosi dei pollici, approfittando dei centimetri di pelle lasciati scoperti dalla casacca il cui orlo, con tutto quel dimenarsi e quello strattonarsi, era uscito dalla fascia legata in vita.
Kurt smise di agitarsi, placato da quei gesti così dolci e lenti, e tornò a chiudere le palpebre, riprendendo a baciare Dave con dolcezza mentre le sue mani, quasi sospinte dal vento o da una forza soprannaturale, risalivano lungo le sue braccia forti, fermandosi sulle spalle ampie sotto la pelle delle quali Kurt, accennando una pressione appena percettibile con le punte delle dita, riusciva a sentire tutti i muscoli piegarsi e tendersi ad ogni movimento.
Si allontanò da lui per riprendere fiato solo quando Dave gliene concesse la possibilità, ed in realtà già un paio di secondi dopo avrebbe voluto che Dave tornasse a farsi avanti, tale era il bisogno che le sue labbra sentivano di provare di nuovo quel calore, e tale era il bisogno che la sua lingua sentiva di assaggiare di nuovo il suo sapore. Era lì lì per metter via gli imbarazzi e le esitazioni, aveva già stretto con più vigore le braccia attorno al collo dell’altro uomo e stava per sollevarsi sulle punte dei piedi per raggiungere agevolmente le sue labbra una seconda volta, quando la voce di Sam, affannata e carica di fretta, spezzò il silenzio del tramonto ormai quasi del tutto tramutatosi in sera.
- Il principe! – annunciò, correndo a perdifiato per tutto il cortile, mentre le galline chiocciavano e frullavano le ali spaventate attorno ai suoi piedi scalzi, spostandosi goffamente nel tentativo di sfuggire alla sua travolgente furia, - Il principe è di ritorno! E porta con sé due nuovi ospiti!
Quel trambusto fu sufficiente per rompere l’incantesimo. Dave si ritrasse con la fretta di una bestia ferita, e Kurt, spaventato da quei movimenti così repentini e imbarazzato oltre ogni limite, si rannicchiò il più possibile contro al muro, pregando di riuscire a sparire nel buio.
Il principe era di ritorno. E lui aveva appena baciato volontariamente un altro uomo.
- Principe Blaine! – lo salutò, vagamente inquieto, - Non vi aspettavamo prima di domani.
Blaine annuì, indicando la ragazza che Finn teneva stretta fra le braccia e si rifiutava di consegnare ai vari cavalieri che si offrivano di reggerla mentre lui scendeva da cavallo.
- Stavamo perlustrando il limitare della Foresta Nera, - raccontò, - quando ci siamo imbattuti in un villaggio indiano quasi interamente ridotto in cenere. Loro due, - disse, accennando nuovamente alla ragazza e poi allo splendido giovane che, fiero e dritto, era in piedi al suo fianco, - sono gli unici superstiti. Si chiamano Quinn e Jeremiah. So che disturbo già fin troppo fastidiosamente la vostra quiete anche da solo, - chiese con aria afflitta, - ma Burt, posso abusare ancora della vostra pazienza e chiedervi di ospitare anche questi due giovani, finché non si saranno rimessi e non sia stato possibile decidere del loro destino?
Burt lanciò un’occhiata perplessa ai due sconosciuti, ma non seppe resistere allo sguardo fiero ma provato del giovane, né all’espressione stanca e addolorata che la ragazza manteneva intatta nonostante fosse ancora svenuta, ed annuì.
- Se avete deciso di tenerli con voi, principe Blaine, io li tratterò con lo stesso riguardo con cui tratto la Vostra Maestà. – assicurò con un breve inchino. Blaine gli rivolse un sorriso colmo di gratitudine, stringendo le sue mani fra le proprie, incurante di quanto fossero sporche.
- Siete l’amico più caro che possiedo. – disse commosso, e si limitò ad un altro semplice cenno del capo in direzione di Kurt, passandogli davanti, quando Burt lo pregò di seguire Artie nel suo laboratorio, portando i due ospiti con sé, sperando che il medico potesse fare qualcosa per aiutarli.
In un qualsiasi altro momento, Kurt si sarebbe offeso per quella palese mancanza di attenzione, o si sarebbe preoccupato per ciò che un simile disinteresse avrebbe potuto implicare, ma in quel momento la distanza posta dal principe fra se stesso e lui non fece altro che rincuorarlo e farlo sentire protetto. Non gli interessava molto di tutto il trambusto che stava accadendo, e d’altronde era abbastanza certo che nessuna stupida strega si nascondesse nel folto di quella foresta talmente intricata e ricca di bestie feroci da rendere impossibile la vita per chiunque, e men che meno lo intrigava l’idea di avere altri nuovi ospiti alla villa, visto che quella di ospitare i viandanti era ormai una consuetudine, ma dopo quello che era successo nella stalla non sarebbe riuscito a reggere lo sguardo di sua maestà se fosse stato appassionato e ardente com’era stato prima della partenza, e perciò fu silenziosamente grato a quel cumulo di sciocchezze e leggende e casualità coinvolgenti villaggi indiani rasi al suolo da forze misteriose, perché permettevano alla mente ed al cuore del principe di intrattenersi abbastanza da non avere attenzione in più sufficiente da poterne dedicare anche a lui.
- Kurt? – lo chiamò suo padre, avvicinandosi a lui e guardandolo con una certa apprensione dopo aver osservato il proprio figlio maggiore scomparire assieme al seguito del principe alle spalle del medico della villa, - Figliolo, è tutto a posto? Sei incredibilmente pallido.
- Io… - mormorò lui in risposta, passandosi una mano sulla fronte e su una guancia, trovando la prima scottante e la seconda gelida in modo decisamente innaturale. Tutta la sua pelle era coperta da una sottile patina di sudore freddo, e si sentiva come stesse lì lì per svenire. - …no, credo di non sentirmi bene, padre. – deglutì, socchiudendo gli occhi.
Burt gli si avvicinò ulteriormente, sorreggendolo per le spalle.
- È successo forse qualcosa? – domandò con evidente preoccupazione, ma Kurt si affrettò a scuotere il capo, negando decisamente.
- Credo di essere solo un po’ stanco. – mentì, cercando di reggersi sulle proprie gambe, - Non vi offenderete, padre, se mi ritiro nelle mie stanze, per oggi, vero? – chiese con aria supplice, sollevando gli occhi umidi e arrossati nei suoi.
- Naturalmente no. – lo rassicurò Burt, abbracciandolo stretto per qualche secondo, - Vuoi che ti faccia portare la cena in camera, come al solito?
- No, vi prego. – scosse il capo Kurt, avviandosi verso il portico, - Date ordine di non disturbarmi. Preferisco riposare fino a domattina.
Non attese di vedere suo padre annuire a quella richiesta: sapeva già che la sua volontà sarebbe stata rispettata. Suo padre non lo aveva mai viziato troppo; anzi, se pure – potendosi permettere di trattarlo come una figlia – si era concesso di lasciargli passare qualche capriccio quando era ancora un bambino, non aveva mai perso di vista la sua vera natura, ed aveva pertanto sempre tenuto presente il fatto che, in quanto maschietto, necessitasse per essere educato di una dose di rigore molto maggiore di quella che si sarebbe riservata usualmente ad una femminuccia, per sua natura più incline ad obbedire agli ordini paterni. Ciononostante, pur essendo sempre stato un padre severo, era sempre stato anche un padre buono e giusto, premuroso e comprensivo quando non addirittura accondiscendente, e non aveva mai fatto mancare a Kurt niente di ciò di cui aveva bisogno, fosse del sostegno, del semplice affetto o anche la possibilità di mandare all’aria le etichette e quello che il suo ruolo avrebbe preteso da lui, per concedergli di prendersi un po’ di tempo per se stesso.
Entrando in camera propria ed abbandonandosi per qualche secondo di spalle contro la porta, Kurt inspirò ed espirò profondamente, ringraziando suo padre per essere com’era, dal momento che un altro padre probabilmente non gli avrebbe mai permesso di sparire prima di cena, senza neanche passare a salutare gli ospiti prima di andare a dormire, specialmente dal momento che si trattava di ospiti così importanti. Gli dispiaceva sapere perfettamente che suo padre avrebbe passato le prossime ore a scusarsi per la sua assenza inventando malori ben più gravi di un moto di stanchezza per giustificarla, e se gli fosse stato possibile l’avrebbe di certo sollevato da un’incombenza simile, ma la sola idea di vedere tutta quella gente ed incontrare anche solo per sbaglio lo sguardo del principe era per lui già troppo per poter essere tollerata.
Si scostò a fatica dalla porta, muovendosi verso il letto in un paio di passi zoppicanti. La caviglia faceva adesso perfino più male di quanto non avesse fatto quando era quasi caduto da cavallo – e solo il pensiero di quel momento bastò a riportare in superficie il calore delle braccia di Dave strette attorno al suo corpo, l’odore forte, così maschile e prepotente, che si emanava dal suo petto, e Kurt chiuse gli occhi, lasciandosi scivolare lentamente sul materasso.
Continuò a tenerli chiusi mentre il canto sottile e melodioso di Pavarotti si diffondeva nel silenzio perfetto della sua camera, e nonostante volesse con tutte le sue forze urlargli di stare zitto, di smetterla di ricordargli l’enormità del suo crimine annegando il suo cuore in un oceano di dolci rimpianti, non lo fece. Rimase immobile, e così com’era, in qualche minuto, si addormentò.
Mugolò insoddisfatto, cercando di capire cosa l’avesse svegliato. Aveva soltanto la sensazione di aver percepito qualcosa, un disturbo insistente e aritmico, che gli aveva impedito di continuare a dormire. Fu solo quando riuscì finalmente a mettere per bene a fuoco tutto l’ambiente che lo circondava che si rese conto che qualcuno stava bussando alla sua finestra. Il che era impossibile, a meno che chiunque stava bussando non fosse dotato di ali.
Si alzò lentamente, avvicinandosi al vetro un passo dopo l’altro, e gli saltò il cuore in gola quando vide che l’uomo in equilibrio sul suo davanzale altri non era che Dave.
- Oh, mio Dio! – esalò, portando entrambe le mani al viso in un gesto sconcertato, - Ma cosa ci fate lì?!
- Aprite! – disse Dave, la voce attutita dallo spessore del vetro, continuando a bussare piano.
- Oh, cielo! – continuò a sospirare lui, confuso e improvvisamente accaldato, - Oh, per carità, ma cosa vi è saltato in testa?! Avreste potuto cadere di sotto e morire! – sfilò il ferro e spalancò le imposte, allungandosi ad afferrare immediatamente l’uomo per le spalle perché non perdesse l’equilibrio, e premurandosi di trascinarlo all’interno della stanza il più in fretta possibile. – Voi siete pazzo! – aggiunse per sovrapprezzo quando Dave fu al sicuro, seduto sul pavimento di camera sua, col fiatone e lo sguardo perso di chi in prima persona non si capacita di cosa sia riuscito a fare.
- Voi… voi mi dovete una spiegazione. – disse quindi l’uomo, ritrovando una parvenza di compostezza ed alzandosi in piedi per fronteggiare Kurt da una posizione più favorevole. Gli puntò un dito contro, mentre Pavarotti, disturbato dal chiacchiericcio, sollevava il capino piumato, guardandosi intorno con aria smarrita. – Cosa è successo in quella stalla?
Kurt spalancò gli occhi, sconvolto.
- Cosa?! – quasi strillò, ricordando solo in ritardo di dover stare attento al volume della propria voce, - Voi mi avete baciato! – aggiunse in un sibilo astioso, piantandogli un indice nel mezzo del petto e spingendolo ad indietreggiare verso la porta, - Questo è successo!
- Nossignore. – ribatté Dave, afferrandogli la mano e togliendosela di dosso per ricominciare a incombere su di lui, costringendolo ad indietreggiare come Kurt aveva appena fatto nei suoi confronti, - Io vi ho baciato, d’accordo, ma non è quello il punto!
- Ah, davvero? – sbottò Kurt, cercando di liberarsi della sua stretta senza però riuscirci, mentre Pavarotti cinguettava incerto alle loro spalle, - E quale sarebbe il punto?
- Che voi avete ricambiato il bacio! – rispose Dave con ovvietà, lasciandolo andare, infastidito dal suo continuo dimenarsi, ed allargando le braccia ai lati del corpo in un gesto per metà rassegnato e per metà semplicemente sbigottito dalla sua ottusità.
- Un tragico errore. – esalò Kurt, cupo, portando una mano alla fronte e distogliendo lo sguardo, - Che mi premurerò di non ripetere mai più!
- Ah. – sibilò Dave, irritato, irrigidendo le braccia lungo i fianchi, - Non sembravate di quest’opinione, mentre gemevate fra le mie braccia.
- Io non gemevo affatto! – strillò il ragazzo, indietreggiando oltraggiato ed arrossendo vistosamente, - Sono tutte menzogne!
- Oh, no, non lo sono per niente! – insistette Dave, avanzando verso di lui. Kurt gli girò attorno, consapevole di essersi avvicinato troppo alla finestra, e Dave si voltò immediatamente a cercare i suoi occhi, le sopracciglia corrugate e tutti i lineamenti del volto tesi in uno spasmo nervoso. – Ebbene?
- Voi siete pazzo. – ribadì Kurt, serio e freddo, - Non ho idea di cosa vi siate messo in testa, ma quello che è successo è stato un errore, ve l’ho detto e ve lo ripeto. E non dovrà mai più verificarsi.
- Nient’affatto, signorina. – disse, calcando il tono sull’ultima parola, mentre Kurt inorridiva, le guance che si arrossavano ancora più violentemente per la vergogna e l’offesa, - Bisogna essere in due per stabilire queste cose, e se permettete io non ho ancora detto la mia.
- Voi siete… siete un individuo gretto e meschino! – sbottò Kurt, indicandolo sgomento.
- Oh, non ricominciate, adesso. – sospirò Dave, sollevando uno sguardo supplice al soffitto.
- Ma è la verità! – ribadì il ragazzo, gli occhi pieni di lacrime, - Siete orribile e maleducato, e come osate entrare qui in camera mia, di notte, e darmi della signorina, e trattarmi come se fossi— come se fossi una donna di malaffare?! Se anche ci fosse stata per voi una minima speranza, signore, adesso non avete che da dimenticarmi, perché mai i miei occhi incroceranno un’altra volta i vostri, se non per disprezzarvi!
- Non potete prendermi in giro. – disse Dave a bassa voce, per niente spaventato dai suoi rimproveri, riducendo al minimo le distanze fra loro e stringendogli i polsi fra le mani per impedirgli di spingerlo lontano da sé, - Io ero qui, in questa stanza, quando vi ho baciato la prima volta. E voi eravate lì con me. Come prima, nella stalla.
- Voi siete pazzo. – piagnucolò un’altra volta Kurt, agitandosi per cercare di farsi lasciare, - Andatevene! Io vi odio, non ero da nessuna parte, né prima, né dopo! Vi odio, voi mi disgustate!
- Kurt. – lo chiamò Dave a bassa voce, - Ascoltami—
- No! – strillò il ragazzo, spalancando improvvisamente gli occhi e recuperando abbastanza forze per piantargli entrambe le mani contro il petto e spingerlo ad allontanarsi, - Non osate! Non osate darmi del tu! Voi non siete niente! – lo spinse violentemente, - Non siete nessuno! – lo spinse ancora, - Siete solo una macchia che non posso cancellare, ma terrò ben nascosta, e mi vergogno di esservi stato vicino abbastanza da permettervi di immaginare chissà che, ma state ben certo, - concluse, riprendendo a spingerlo con violenza sempre maggiore verso la finestra, - che una tale occasione non vi sarà data una seconda volta! Lasciatemi in pace! – e così dicendo, lo spinse per l’ultima volta.
Le gambe di Dave urtarono contro il basso davanzale della finestra, e Kurt lo osservò inciampare e sporgersi pericolosamente verso l’esterno mentre l’espressione del suo volto si tramutava istantaneamente da rabbiosa a sconcertata, ed allungò entrambe le braccia verso di lui, strillando “no!” e afferrandolo per il bavero del gilet che indossava. Dave si aggrappò a lui con tutte le proprie forze, cercando di recuperare l’equilibrio per non cadere di sotto, ma nel farlo urtò inavvertitamente la gabbietta di Pavarotti, con una tale spaventata violenza che i sottili fili che la tenevano legata al davanzale si strapparono; priva del suo sostegno, la gabbia oscillò sulla propria base e in un battito di ciglia precipitò di sotto, mentre Pavarotti strillava per l’ultima volta, prima di schiantarsi al suolo.
Dopo che la sua voce sottile si fu estinta per sempre, la notte piombò nuovamente nel silenzio più oscuro e pesante, interrotto soltanto dall’ansimare convulso e spaventato di Dave e Kurt che, ancora aggrappati l’uno all’altro, si fissavano negli occhi. Fu Kurt il primo a muoversi, lanciando un grido inorridito talmente forte da far tremare i vetri.
- Pavarotti! – strillò, strattonandosi via di dosso Dave per correre al davanzale e guardare giù, - Oh, mio Dio, no! No!
Dave si alzò subito in piedi, avvicinandoglisi, gli occhi pieni di paura.
- Kurt, non urlate! – cercò di fermarlo, tappandogli la bocca, ma Kurt si divincolò velocemente, allontanandosi da lui e rintanandosi in un angolo della stanza.
- Andate via! Via! – strillò, il volto inondato di lacrime. Dave tese un braccio verso di lui e provò ad avvicinarsi, ma la casa si stava già riempiendo delle luci delle lampade ad olio, e lo scalpiccio di parecchi passi era già in avvicinamento verso la porta chiusa, perciò, pur se a malincuore, scavalcò il davanzale e ridiscese giù per la grondaia lungo la quale era salito fin lì, perdendosi presto nei cespugli oltre la siepe.
Se ne sentiva disturbata, e non riusciva a capire perché. Se non era per amore, né per gelosia, perché? Forse per gli occhi coi quali Finn guardava quella ragazza, per la luce abbagliante che sembrava brillargli nelle pupille. Aveva mai guardato lei in quel modo? Con tanto vivo e bruciante interesse? Qualcuno l’avrebbe mai guardata così?
Non era forse la gelosia in senso stretto ad urtarla, no, ma una specie di gelosia in senso più ampio, quello forse sì. In ogni caso, non si sentiva della disposizione d’animo adatta per star dietro alle stramberie del signorino Kurt: le sue dame di compagnia non avrebbero avuto alcun problema a gestirlo come sempre facevano, e lei sarebbe rimasta esattamente dove si trovava, seduta sulla panchina di legno appena fuori dalle mura della villa, dalla quale si poteva osservare l’enorme campagna che la circondava e la lunga via commerciale che, da ovest ad est, tagliava in due il paesaggio, passando a pochi metri dal cancello e perdendosi all’orizzonte, oltre le curve dolcissime delle colline.
Fu lì che il principe Jesse la raggiunse, sedendosi al suo fianco proprio mentre lei lasciava scivolare il pensiero lungo una china pericolosa, accarezzando con affetto l’idea di potere, un giorno, imboccare quella strada per andare via da lì.
- Dovreste essere a letto. – lo avvertì, - Sarete stanco, dopo il lungo viaggio.
Il principe le sorrise, anche se lei non mostrò di averlo visto o di essere in alcun modo intenzionata a voltarsi verso di lui.
- La stessa cosa si potrebbe voler dire di voi, Rachel. – commentò, e poi lasciò andare un verso frustrato e infastidito, - Dobbiamo proprio continuare con questa farsa del voi? È così irritante.
Rachel sorrise a propria volta, cercando anzi di trattenere le risate. I modi del principe erano così poco regali, e lei non ricordava abbastanza, di Carmel, per poter dire se fosse normale o se fosse lui ad essere particolarmente rozzo, nonostante il sangue blu.
- Vi sarei grata se continuaste, maestà, sì. – annuì, - Gli usi di questa terra, come vi ho detto, lo impongono.
- Gli usi di questa terra, come ho già provato a farvi capire, - sorrise lui, facendole il verso, - non mi riguardano. E non dovrebbero riguardare neanche voi. – Rachel non rispose, continuando a fissare l’orizzonte, e il principe prese il suo silenzio come un invito a proseguire. – Non intendo restare qui molto a lungo. – disse, - Questo luogo non mi piace. Non che abbia qualcosa di male in sé, s’intende, - ridacchiò, - ma tutti i luoghi smettono di piacermi, dopo un po’ di tempo. Mi è successo anche con la mia città natale, è naturale che mi succeda adesso con questo villaggio. Non esercita su di me alcuna attrattiva, se non quella della missione per uccidere la strega. Ed intendo partire subito dopo averla portata a termine.
- E per andare dove, maestà? – domandò alfine lei, prendendo in giro un po’ lui, e un po’ anche se stessa, per aver osato pensare quella stessa cosa solo pochi istanti prima, - Quale sarebbe il punto della partenza, se voi stesso avete detto che tutti i luoghi finiscono con l’annoiarvi, dopo un po’? Pensate davvero che possa esistere un luogo nel mondo così diverso da tutti gli altri da non annoiarvi anche se decidete di trascorrere lì tutta la vostra intera esistenza?
Il principe Jesse sorrise, contento di avere attirato la sua attenzione abbastanza da costringerla a rispondere.
- Il mondo è abbastanza grande da permettermi di evitare di pormi interrogativi simili. – disse, - La vita di un uomo è ben più breve del tempo che occorre per visitarlo tutto in ogni sua parte. Ma io intendo comunque provarci. – Rachel distolse lo sguardo, aggrottando le sopracciglia, sentendosi inspiegabilmente infastidita e sconfitta. Jesse sorrise ancora, chinandosi su di lei. – Mi piacerebbe potervi portare con me, quando tutto sarà finito. – le sussurrò teneramente, lasciandole un lieve bacio su una guancia. Rachel si allontanò immediatamente, voltandosi a fissarlo quasi con paura, sorpresa da quell’improvviso contatto.
Ciò che vide negli occhi di quell’uomo, un istante prima che lui si voltasse per allontanarsi, rientrando nella villa, la turbò.
Bruciava. Brillava.
La chiamava.
Ma lei non aveva alcuna intenzione di starlo a sentire.
Oltre il velo finemente ricamato che lo copriva fin sotto le labbra, il sole batteva impietoso, avvolgendolo interamente, attirato dai toni scuri della stoffa di cui il suo abito da lutto era composto. Era una veste accollata, abbottonata fino sotto al mento. Kurt soffriva incredibilmente il caldo, ma non si sarebbe sentito in grado di mostrare neanche un polso, in quel momento, tale era il cordoglio che provava. Indossava perfino i guanti, alti, fino a metà gomito, per evitare qualsiasi possibilità di mostrarsi meno che profondamente atterrito dalla propria perdita.
Pavarotti era stato un bravo canarino. Più di ogni altra cosa, però, era stato soprattutto una promessa. Non una promessa scritta, naturalmente, né una promessa di qualcosa di specifico, piuttosto la promessa di qualcosa che avrebbe potuto essere, un pensiero dolcissimo dal quale Kurt si era spesso lasciato accarezzare ascoltando il suo canto melodioso alla sera, prima di andare a dormire. Un pensiero che parlava di una vita futura felice, soddisfacente, ricca di amore, vissuta tra le eleganti stanze del palazzo reale, in compagnia del principe dei suoi sogni.
Per quanto sciocco potesse sembrare, aveva come l’impressione che, col canarino, fossero morte anche tutte le possibilità che aveva avuto di poter vivere felicemente per sempre col principe Blaine, a Westerville. Ed immaginava che questo brutto presagio fosse causato in parte anche dal fatto che, per quanto si ostinasse a cercare in giro fra tutti gli invitati che aveva in qualche modo costretto a presenziare al funerale, il principe non figurava.
- Sua maestà…? – domandò incerto, piegandosi appena verso Santana, immobile e stretta in un abito nero dalla foggia molto simile a quello che anche lui indossava, pur più spartano e privo di veletta. La ragazza mostrò qualche segno di insofferenza, sbuffando accaldata, prima di rispondergli.
- Vorrei non essere io a darvi questa notizia, - borbottò, - ma il principe non ha ritenuto fosse suo dovere presenziare al funerale. È a cavallo, signorino Kurt. Col giovane ospite che ha condotto con sé alla villa tornando dal suo breve viaggio ieri.
Kurt spalancò gli occhi, ritraendosi di scatto, come la donna avesse tentato di attaccarlo con un coltello. Una mano sul petto e l’altra rigida lungo il fianco, trattenne il respiro per un paio di secondi, prima di abbassare lo sguardo. Ecco che tutto si compiva, dunque, ecco che, morto Pavarotti, fin da subito il principe Blaine cominciava a disinteressarsi di lui. Doveva aver preso la morte del canarino come un’offesa personale, doveva aver creduto che l’uccello fosse morto perché lui non se n’era preso abbastanza cura, e questo doveva averlo convinto della sua assoluta inaffidabilità in quanto uomo, in quanto donna ed anche in quanto qualsiasi cosa stesse in mezzo alle due condizioni. Non avrebbe mai più voluto vederlo, e Kurt non avrebbe mai più avuto la possibilità di scrutare nelle profondità dei suoi occhi scuri e vedere brillare quella scintilla d’ammirazione, interesse e rispetto che sembrava già così lontana da assomigliare a un sogno.
Istintivamente, seguendo l’impulso inconscio che sempre l’aveva guidato verso suo fratello nei momenti di maggiore sconforto, allungò un braccio alla propria sinistra, cercando la mano di Finn da stringere. Non trovò niente, comunque. Non c’era nessuno, al suo fianco. Sospirando pesantemente, dopo aver ricordato che anche di suo fratello non aveva visto nemmeno l’ombra dalla sera precedente, si chinò un’altra volta verso Santana.
- E mio fratello? – bisbigliò fra i denti, irritato. Santana si inumidì le labbra, apparentemente molto innervosita dalla situazione in generale e dalle sue domande in particolare.
- A cavallo anche lui, signorino Kurt. – spiegò, - Con la giovane che lo accompagnava ieri.
Kurt aggrottò le sopracciglia, deluso e infastidito. Il sole era bollente, l’aria immobile, e la litania con la quale il prete del villaggio – coinvolto controvoglia in quella pantomima – stava accompagnando la sepoltura di Pavarotti suonava sempre più irritante, minuto dopo minuto.
Non poté che salutare con un sospiro sollevato la fine della funzione. Scivolò accanto alla montagnola di terriccio smosso che custodiva la piccola scatola di legno decorato all’interno della quale Pavarotti era stato sepolto, e vi lasciò cadere sopra il fiore bianco che teneva fra le dita, concedendosi un ultimo pensiero per la tragica fine incontro alla quale l’uccelletto era andato, prima di abbandonare il quadrato di terra circondato da cespugli all’interno del quale la funzione aveva avuto luogo.
Attraversò il cortile deserto, chiedendosi se sarebbe stato troppo sconveniente sbottonare almeno il colletto dell’abito, dal momento che più i secondi passavano più lui se ne sentiva soffocato, ma si risolse a mantenere la propria compostezza quando sentì risuonare una risata cristallina proveniente dai prati poco oltre il cancello della villa. Seguì quel suono, oltrepassando l’entrata e guardandosi intorno con circospezione, e si sentì quasi perso quando individuò il principe Blaine e suo fratello così presi a chiacchierare e cavalcare coi loro due ospiti da non accorgersi nemmeno di lui. Due uomini che, avrebbe potuto giurarlo, sarebbero riusciti ad individuarlo al primo colpo anche in una folla di migliaia di persone, due uomini che si erano sempre accorti della sua presenza anche solo dal suo profumo appena percettibile nell’aria, due uomini che avevano sempre messo da parte tutto il resto – Finn per tutta la propria vita, il principe da meno tempo, ma sicuramente non con meno intensità – per dedicarsi completamente a lui, ora sembravano averlo del tutto dimenticato.
Il principe Blaine sorrideva sereno e perso, guardando il giovane col quale era intento a cavalcare come non esistesse niente di altrettanto bello in tutto il mondo. Uno sguardo che Kurt poteva riconoscere con facilità, avendolo sentito addosso spesso prima che il principe partisse per la breve spedizione che l’aveva portato ai confini della Foresta Nera, e dalla quale era tornato con quel ragazzo. E Finn, Finn continuava a trattare quella ragazza bionda dai lineamenti angelici come fosse il tesoro più fragile e prezioso che avesse mai posseduto. Esattamente come usava trattare Kurt prima di incontrarla.
Li spiò a lungo, osservandoli ridere e scherzare in sella ai loro cavalli, e più i minuti passavano più percepiva qualcosa di oscuro e malvagio nascergli nel petto, e ingrandirsi fino ad inglobarlo tutto. Gelosia, tradimento, odio, fastidio. Digrignò i denti, distogliendo lo sguardo dallo spettacolo idilliaco che lo stava ormai nauseando, e voltò loro le spalle, ritornando verso il centro del cortile.
Non sapeva cosa fare. Per qualche motivo, in quel momento qualsiasi luogo sembrava inospitale, triste, doloroso. La propria camera, l’officina di suo padre, i giardini, le stalle, il lago poco oltre le mura, perfino quello stesso cortile in cui si trovava. Avrebbe voluto essere lontano da lì, a chilometri e chilometri di distanza. Solo e libero di continuare a sentirsi così disgustato da se stesso e da tutto il resto senza per questo dover sentire il pungiglione velenoso del senso di colpa conficcarsi dentro di lui con forza ogni volta che rivolgeva pensieri carichi d’odio al principe Blaine o a suo fratello.
Avrebbe preferito non dover vedere nessuno, ma se anche avesse voluto stilare una lista delle persone che, con molti sforzi, avrebbe potuto tollerare di incontrare in quel momento, lo stalliere di sua maestà sarebbe stato così in basso, in graduatoria, da non comparire nemmeno. Ed invece eccolo. Eccolo attraversare il cortile, riconducendo verso la stalla uno dei cavalli meno pregiati di sua maestà.
Kurt distolse lo sguardo, fissandolo in un punto imprecisato del pavimento ciottolato del cortile. Rimase immobile, incapace di muoversi, o di seguire la richiesta quasi disperata delle sue gambe, che lo imploravano di inghiottire la tristezza che provava al solo pensiero di tornare in camera propria, e correre immediatamente dentro casa.
Ascoltò il suono che gli zoccoli del cavallo producevano, sperando di sentirlo passare oltre entro pochi secondi, ma quando quel suono si interruppe all’improvviso seppe che non poteva più sfuggire al proprio destino, e che se non era scappato fino a quel momento non avrebbe più avuto occasione di farlo; perciò sollevò lo sguardo, cercando la figura di Dave e trattenendo il fiato con dolorosa difficoltà quando intravide l’espressione contrita che da un lato addolciva e dall’altro irrigidiva i tratti del suo viso.
- Cosa… - deglutì forzatamente, stringendo i pugni lungo i fianchi, quasi insopportabilmente teso. Dave era così vicino da togliergli quasi ogni barlume di lucidità, ed era imbarazzante sentirsi così solo per la sua vicinanza. – Cosa succede?
L’uomo si inumidì le labbra, guardando altrove per qualche secondo, prima di tornare a fissarlo negli occhi.
- Sono… sono molto dispiaciuto per quello che è successo. – bisbigliò, ed era evidente quanto pronunciare quelle poche parole lo affaticasse. – Per quello che ho fatto. – aggiunse, tornando ad abbassare lo sguardo, - Mi dispiace così tanto, Kurt.
Kurt spalancò gli occhi, nel sentirlo pronunciare ancora il suo nome. I ricordi della sera precedente in camera propria invasero la sua mente senza preavviso e senza permesso, riempiendolo di confusione. Tutta la paura, la rabbia, la tristezza, l’attrazione repressa che aveva provato nei suoi confronti tornarono a farsi sentire più vivide che mai, così travolgenti da renderlo quasi instabile sulle proprie stesse gambe, e nel momento in cui sentì la caviglia ancora dolorante pulsare violentemente, quasi volesse suggerirgli di accasciarsi su di lui e lasciarsi sorreggere dalle sue braccia, seppe in un istante che il suo corpo stava semplicemente cercando di avvertirlo.
Non c’era più alcuna ragione di combatterlo.
Abbassò lo sguardo, avvicinandosi a lui, e Dave si irrigidì pericolosamente quando percepì il suo dolce peso appoggiarsi sul suo petto, quelle mani così sottili e magre stringersi attorno al tessuto ruvido della casacca che indossava, e quel viso improvvisamente così spaurito e confuso che si sollevava appena, per cercare il suo sguardo.
- Portami via da qui. – sussurrò in un mezzo singhiozzo, mentre le mani di Dave si chiudevano con calore attorno alle sue, - Per favore.
Dave si concesse di restare a guardarlo solo per qualche secondo. Poi, lasciando scivolare le mani all’altezza della sua vita, lo issò sul cavallo già sellato. Meno di un minuto dopo, erano già in fuga, al galoppo, verso la foresta.
- Dave… - mugolò Kurt, allontanandosi da lui ed appoggiando sul suo petto le mani aperte – poteva sentire quanto forti fossero i suoi muscoli sotto la casacca che indossava, anche attraverso i pesanti guanti neri che ancora coprivano le sue dita – per invitarlo a fermarsi, - Non dovremmo…
- Dammi una buona ragione. – insistette l’uomo, chinandosi nuovamente su di lui e catturando le sue labbra con le proprie mentre il cavallo si fermava nei pressi di una radura, guardandosi intorno con aria stanca e impigrita dal caldo.
- Io non… - mugolò ancora il ragazzo, piegando il capo per evitare il bacio e finendo soltanto per esporre ai tocchi sempre più affamati delle labbra dello stalliere i pochi centimetri del proprio collo che spuntavano dal colletto abbottonato, mentre le sue mani calde provvedevano a sfilare dall’asola ogni bottone, liberandolo da quella stretta soffocante. – Io non dovrei, sono… sono promesso al principe.
- Non lo sei. – gli ricordò Dave, stringendo possessivo le mani attorno alla sua vita mentre tornava a coprire le sue labbra con le proprie, costringendolo ad un altro bacio affamato, umido e aperto.
- No, forse no… - ammise controvoglia Kurt, schiudendo gli occhi sulla radura. Il sole, filtrando attraverso le foglie sottili degli alberi, creava splendidi giochi di luce sul prato, il cui manto sembrava adesso così accogliente, così comodo. – Dave… - miagolò disperatamente, sentendo le mani dell’uomo scivolare lente sui suoi fianchi, dal basso verso l’alto, e poi soffermarsi appena sotto le curve dolci delle sue scapole, tirando alla cieca i fili che tenevano chiuso il corsetto. – Dave, no…
L’uomo lo baciò ancora, forzandolo a riportare l’attenzione su di lui. Si ritrasse quasi subito, pur rimanendogli abbastanza vicino da poter sfiorare le sue labbra con le proprie ad ogni respiro, ad ogni movimento, ad ogni parola.
- Voglio toccarti. – disse, mentre Kurt chiudeva gli occhi e tremava per la scarica di desiderio che la sua voce aveva scatenato dentro il suo corpo, - E so che lo vuoi anche tu. – aggiunse semplicemente, il tono appena più dolce, tornando ad annullare la distanza fra le loro bocche e coinvolgendolo in un altro bacio mentre smontava da cavallo, portandolo con sé. Kurt lo seguì, gemendo confusamente quando, scivolando lungo la sella per cercare di scendere senza dover smettere di baciarlo, cadde praticamente fra le sue braccia, stringendosi al suo petto e percependo il suo desiderio fra le cosce, così prepotente da tendere i pantaloni sull’inguine, così simile a quello che provava lui, che però, vergognosamente, teneva il proprio nascosto sotto l’ampia gonna a strati che indossava.
Era ancora vestito a lutto. E, per quanto inopportuno potesse sembrare, in realtà sembrava avere perfino senso. Aveva appena seppellito ogni possibilità di vivere il sogno della sua infanzia, d’altronde – sposare un principe, vivere in un castello, essere felice per sempre – per cui quale altro abito sarebbe stato più adatto di quello?
Lasciò che Dave lo adagiasse sull’erba, continuando a baciarlo come in un estremo tentativo di distrazione, anche se avrebbe voluto dirgli di non darsi pena, che non c’era niente che lui potesse fare per distrarlo da ciò che stava accadendo. Qualcosa di cui lui era estremamente, quasi dolorosamente consapevole. Qualcosa, dentro di lui, un pezzo di se stesso, un pezzo di ciò che era e che aveva resistito negli anni agli obblighi, ai cambiamenti, ad una delle condizioni più sfortunate che un ragazzo potesse ritrovarsi a vivere – quante volte s’era raccontato di essere perfettamente felice? Quante volte aveva sentito qualcosa pizzicare sotto le ciglia, e quante volte s’era ripetuto che quella tristezza immotivata e profonda sarebbe sicuramente sparita quando il suo sogno fosse diventato realtà? – morì in quel momento, quando le mani di Dave scivolarono sotto la sua gonna e, sollevandola centimetro dopo centimetro, percorsero le sue gambe in punta di dita, accarezzandolo lentamente. Quella parte infantile di lui che nonostante l’educazione e gli studi non aveva mai smesso di credere nelle favole, nel principe azzurro, nelle streghe e nei draghi, si frantumò e crollò in pezzi, sciogliendosi nel gemito libero ed estenuato che Kurt si lasciò sfuggire dalle labbra, gettando indietro il capo e schiudendo istintivamente le gambe quando la mano di Dave si chiuse ruvida e improvvisa attorno alla sua erezione, strofinandola con impazienza.
Non ci sarebbero stati principi, né castelli, e forse neanche un “e vissero per sempre felici e contenti”. Ed era magnifico che fosse così. Era magnifico sentirsi per la prima volta così libero di pensare, libero di sentire, libero di godere. Sollevò un braccio, appoggiando una mano alla nuca di Dave e tirandolo verso di sé per un bacio improvviso e affamato, gemendo ancora quando, nel movimento, Dave gli scivolò addosso, strofinando il proprio bacino contro il suo.
- Sì… - mormorò, esponendo il collo per invitare Dave a ricoprirlo di baci e piccoli morsi, - Sì, per favore.
Dave gemette a propria volta, tornando a baciarlo freneticamente sulle labbra mentre si sollevava, interrompendo il contatto fra i loro corpi per un tempo appena sufficiente a liberarsi dei propri pantaloni, tornando quasi subito a schiacciarsi contro di lui, muovendosi lentamente avanti e indietro, in cerca di un po’ di frizione, di un po’ di sollievo.
Kurt si morse le labbra, scivolando con la punta del naso lungo la curva del collo di Dave ed inspirando con forza quell’odore che l’aveva colpito fin dalle prime volte in cui si era ritrovato vicino a lui abbastanza da poterlo percepire. L’odore selvaggio della sua terra lontana, un aroma che sussurrava misteri alle sue orecchie, gli parlava di viaggi, avventure, nuove scoperte, e Kurt non aveva mai capito perché gli occhi di suo fratello Finn brillassero tanto alla sola idea di partire, ma adesso, fra le braccia di Dave, senza più nessun obbligo al quale adempiere che non quello di seguire il proprio istinto, sembrava tutto così emozionante, tutto così vivido.
- Ho paura che farà un po’ male. – sussurrò dolcemente Dave sulla pelle accaldata del suo collo, leccando via una gocciolina di sudore prima che si facesse troppo fastidiosa. Kurt annuì, chiudendo gli occhi e trattenendo il fiato, aspettandosi il peggio, e tornando a spalancarli e a lasciarsi libero di respirare quando si rese conto che Dave lo stava preparando con le proprie dita. Arrossì furiosamente, cercando le sue labbra per darsi qualcosa da fare, qualcosa a cui pensare per non dover prendere atto di quanto piacevoli fossero i suoi tocchi ruvidi ma attenti, e quando finalmente sentì premere la punta della sua erezione contro la propria apertura non poté evitare di concedersi un sospiro liquido e gonfio di desiderio e aspettativa.
- Non voglio più tornare a casa. – disse in un gemito, scivolando con entrambe le mani lungo la curva della schiena di Dave e soffermandosi lì dove quella stessa curva si faceva più stretta, invitandolo a muoversi più decisamente, - Non c’è più niente, lì, per me. Voglio fuggire via con te. – concluse con un mezzo sorriso un po’ perso, gli occhi semichiusi e brillanti di lacrime troppo piccole per poter sfuggire alla gabbia così fitta delle sue ciglia scure.
Dave gemette di gola, avanzando per un paio di centimetri dentro di lui ed affondando i denti nella carne tenera del suo collo quando Kurt lo espose, gettando indietro il capo in un urlo gonfio in egual misura di piacere e dolore.
- Quasi neanche mi conosci. – gli sussurrò addosso, accarezzando in punta di lingua la pelle resa arrossata e ipersensibile dalla pressione così famelica dei propri denti. Fra un gemito e un singhiozzo sorpreso, mentre Dave cominciava a muoversi più freneticamente dentro di lui, Kurt si concesse una risata senza fiato.
- Proprio per questo. – mugolò intenerito. E poi chiuse gli occhi, lasciando alle mani di Dave l’incombenza di guidarlo verso l’orgasmo.
- Quindi non hai mai conosciuto tua madre? – chiese Dave, quasi con timore. Kurt sorrise fra sé, in parte anche per rassicurarlo sulla sua stessa tranquillità, nonostante l’indiscrezione della domanda.
- Era una schiava nomade, proprio come la madre di mio fratello. In questa regione, i nomadi sono preferiti agli stanziali, soprattutto per prendere servizio nelle magioni come quella di mio padre. Arrivano per la semina e si trattengono solo fino al raccolto, che poi è il motivo per cui sia io che mio fratello siamo nati in estate. – sorrise teneramente. – I signori preferiscono gli schiavi nomadi perché non gravano sul bilancio della famiglia per altri mesi che non siano quelli in cui lavorano i campi, e perché… be’, - aggiunse con una scrollatina di spalle, - perché le madri non portano con sé i figli, dopo averli partoriti. Per un paese nella situazione in cui si trova il nostro, donne come loro sono necessarie, se si vuole garantire un futuro ai nostri nomi. Non avanzano pretese, e non portano problemi.
- E tu non ne hai mai sentito la mancanza? – domandò premuroso Dave, accarezzandogli dolcemente i capelli. Kurt scosse il capo, anche se con estrema lentezza, per non sottrarsi a quel tocco.
- E i tuoi genitori? – domandò, piegando lievemente il collo all’indietro, per guardare Dave da sotto in su. Lui sorrise distante, rigirandosi una ciocca dei suoi capelli fra le dita.
- Ho vissuto quasi tutta la mia vita solo con mio padre. – rispose lui, - Mia madre è morta quando ero ancora molto piccolo. Ma la ricordo. Ne ricordo la voce e la presenza. – annuì, sorridendo lievemente.
- Dev’essere un pensiero doloroso. – commentò Kurt, guardando altrove per qualche secondo, ma Dave scosse il capo, attirando nuovamente la sua attenzione su di sé.
- È confortante, invece. Sapere che c’è qualcosa di lei che resta dentro di me, anche se lei non c’è più. – sorrise con calore, appoggiandogli una mano sul petto, proprio all’altezza del cuore. – Tu non conservi niente del genere, di tua madre? – domandò, e Kurt si voltò sullo stomaco, appoggiandosi nuovamente su di lui e lasciando che la mano di Dave scivolasse lungo la sua spina dorsale, fermandosi lì dove la curva della sua schiena lasciava il posto alla rotondità delle sue natiche.
- Finn, sai, lui ha sempre voluto viaggiare. – annuì, - Ha sempre sentito questa spinta indomabile verso terre sconosciute, ma ha sempre detto anche che non aveva alcuna intenzione di partire finché io non mi fossi sposato. – arrossì appena, abbassando lo sguardo, - Credevo che sarebbe finalmente successo, e questo avrebbe liberato entrambi, capisci cosa intendo? Io avrei vissuto il sogno della mia infanzia, ed anche lui. Ma ormai non credo che succederà mai. – sospirò. Dave si morse un labbro, sollevando una mano per accarezzargli il viso, e Kurt lasciò che lo facesse, ma al contempo lo rassicurò con un piccolo sorriso. – Non importa più, comunque. E il punto della questione era un altro. Quello che intendevo dire è che probabilmente è questa spinta per l’avventura e per il viaggio quella parte di sua madre che Finn porta dentro di sé. Ed io credevo di non averla, credevo di aver sempre vissuto solo per sposare un principe e vivere con lui per l’eternità, e invece… - un altro piccolo sorriso gli piegò le labbra, mentre lui lasciava la frase sospesa nell’aria quieta del pomeriggio nella foresta.
- E invece? – incalzò Dave, sorridendo a propria volta, e Kurt si lasciò sfuggire una risatina, coprendosi la bocca con le mani.
- E invece tutto ciò che voglio adesso è che tu mi issi su quel cavallo e mi porti a vedere il mondo. – concluse, chinandosi sulle sue labbra per un bacio lento, umido e un po’ pigro. – E sarà… - sollevò nuovamente lo sguardo, cercando con gli occhi il destriero che li aveva condotti fin là, e dischiuse le labbra in una smorfia stupita e atterrita quando non lo trovò. - …impossibile.
- Eh? – domandò subito Dave, gli occhi ancora chiusi e i lineamenti rilassati dal torpore che li aveva avvinti fino a quel momento. – Cosa sarà impossibile?
- Partire! – strillò Kurt, saltando in piedi e vagando per la radura in cerca del proprio abito, i cui numerosi e variegati strati di stoffa giacevano inermi e sfatti per tutto il prato, - Il cavallo è scomparso!
- Che? – domandò Dave, ancora confuso dagli avvenimenti delle ultime ore, voltando lo sguardo in giro e saltando in piedi a propria volta dopo essersi accorto di ciò che le parole di Kurt implicavano: erano soli, senza una cavalcatura e persi in mezzo alla Foresta Nera, ad ore ed ore di viaggio rispetto al feudo degli Hummel, ore che si sarebbero inevitabilmente trasformate in giorni se avessero dovuto percorrere quello stesso tragitto a piedi; erano privi di abiti adatti per viaggiare, privi di viveri, privi di armi da usare eventualmente contro gli animali feroci che, si diceva, a centinaia si aggiravano per la foresta, e privi anche di una mappa che indicasse loro come uscire da quel groviglio di alberi improvvisamente molto meno ospitale di quanto non sembrasse quando erano ancora entrambi distesi sulla schiena nell’erba. – Dobbiamo ritrovare il cavallo. – disse Dave, recuperando i propri pantaloni e indossandoli sbrigativamente. Non c’era molto altro che potessero fare.
- Ma potrebbe essere ovunque! – strillò Kurt, cercando invano di allacciarsi il corsetto, contorcendosi affannosamente, - Questa foresta è immensa, abbiamo perso il sentiero, e comunque dubito che il cavallo ne abbia seguito uno! Siamo condannati, moriremo qui e nessuno troverà mai i nostri corpi. – singhiozzò, coprendosi il volto con le mani.
- Cosa? – borbottò Dave, inarcando un sopracciglio, - No, nessuno di noi morirà. Che storia è questa?
- Certo che moriremo! – insistette Kurt, agitando le braccia sopra la testa mentre il nodo casuale con cui aveva stretto i lacci del corsetto si disfaceva inevitabilmente ad ogni suo movimento, - Senza cibo né acqua, senza un cavallo e persi in una foresta che pullula di bestie selvagge assetate si sangue? Quanto vuoi che si riesca a sopravvivere?! Oh, sventura! Non viaggerò mai oltre i confini del regno, non vedrò mai l’oceano, non visiterò mai l’antica ed elegante Europa! Meschina è la mia sorte, tragico il mio futuro! Mi si fa credere di avere una possibilità di vedere il mondo solo per poi uccidermi barbaramente lontano dai miei cari! Oh, me tapino! – gemette sconsolato, abbandonandosi per terra.
- Smettila! – strillò Dave, allucinato, avvicinandoglisi e tirandolo su di peso, scuotendolo violentemente per le spalle, - Stai delirando! Adesso ci addentreremo fra gli alberi e troveremo il cavallo. Non può essere andato troppo lontano, il terreno è pieno di radici e sporgenze, non è adatto al galoppo!
- E tu cosa ne sai?! – protestò Kurt, lasciandosi comunque maneggiare con disinvoltura e cercando di guardare Dave da sopra una spalla mentre lui gli riallacciava il corsetto con gesti rudi e piuttosto spicci, - E fa’ piano con questa roba, non è mica la sella di un cavallo!
- No, infatti sarebbe molto più facile se dovessi semplicemente sellarti e poi cavalcarti. – borbottò Dave, strattonando i lacci perché il corsetto aderisse bene al torso di Kurt.
- Non mi piace dove i doppi sensi di questa conversazione stanno andando a parare! – strillò oltraggiato, voltandosi immediatamente quando Dave ebbe finito di sistemarlo, - E non mi hai ancora detto in virtù di cosa dovresti essere tanto certo che il cavallo non si sia messo a galoppare fra le sterpaglie e le radici sporgenti!
- Perché sono uno stalliere! – tuonò a propria volta Dave, incapace di mantenere oltre la propria calma e cercando di afferrare Kurt per una mano, operazione resa impossibile dal fatto che il ragazzo continuava a gesticolare come si aspettasse di poter prendere il volo se vorticava le braccia abbastanza velocemente, - Il terreno è troppo accidentato per il galoppo, se davvero il cavallo si fosse messo a galoppare stai tranquillo che ne sentiremmo i nitriti di dolore da qui, perché si sarebbe anche spezzato una zampa per provarci!
- Occielo, magari è morto! – strillò terrorizzato Kurt, portando entrambe le mani ai lati del viso, mossa teatrale fino al fastidio quasi fisico, ma che Dave accettò di buon grado perché gli permise finalmente di poter visualizzare il proprio obiettivo da fermo, e lasciar scattare una mano ad afferrare la sua, centrando finalmente il bersaglio e stringendo le sue dita fra le proprie con forza mentre prendeva a trascinarlo verso il folto del bosco. – Magari è morto e troveremo il suo cadavere mentre lo cerchiamo! Non ho mai visto la carcassa di un animale! Non ho mai visto la carcassa di nessuno prima che tu uccidessi Pavarotti sotto il mio sguardo atterrito!
- Piantala di parlare come un libro stampato! – si lagnò Dave, strattonandolo violentemente e rischiando di spezzargli un braccio nel tentativo di farlo muovere più velocemente nonostante l’ampia gonna che gli impicciava i movimenti.
- Ahi! – si lamentò Kurt, tirando all’indietro come un cane ben deciso a rendere la vita impossibile al proprio padrone, - Sei sempre il solito bruto, non posso credere di essere qui con te, in questo momento! Voglio tornare a casa!
- E addio alla voglia di viaggiare in giro per il mondo. – sospirò teatralmente Dave, ricevendo in risposta da Kurt uno schiaffo in piena nuca.
- Non ti è permesso prendermi in giro! – lo rimproverò il ragazzo, - Anzi, ora che ci penso, questa è tutta colpa tua! Se tu non mi avessi sedotto—
- Io ti avrei cosa?! – sbottò Dave, voltandosi a guardarlo.
- Sedotto! – ribadì Kurt, allontanandosi da lui con uno strattone risentito, - E contro la mia volontà! Mi hai molestato ed è per questo che ora sono qui, perché mi hai confuso! Dovrei essere a casa a lavorare all’uncinetto aspettando devotamente che il principe si riprenda da questa cotta per quell’orribile ragazzo che ha portato con sé da quel villaggio devastato dalle fiamme!
- Io non ti ho sedotto, e se davvero preferiresti essere a casa a, che Dio mi perdoni, lavorare all’uncinetto!, piuttosto che essere qui con me, be’, allora dovresti semplicemente tornarci! – sbottò Dave, incrociando le braccia sul petto e guardandolo con astio.
- È esattamente quello che intendo fare! – concluse Kurt, risentito, - Non appena avremo ritrovato… il cavallo! – strillò quindi, il volto illuminato da un sorriso sorprendentemente improvviso, mentre scattava ad indicare un punto imprecisato dietro le spalle di Dave.
- Cosa? Dove? – chiese lo stalliere, voltandosi intorno ed identificando finalmente la placida figura del cavallo intento a brucare tenera erbetta nei pressi di un’alta siepe naturale di cespugli di more. – Ah! Eccolo. – disse con soddisfazione, avvicinandosi a grandi passi mentre Kurt, correndo come un bambino, lo superava, raggiungendo il cavallo ben prima di lui ed accarezzandogli il muso con calore, stringendolo fra le braccia. – L’avevo detto io che non poteva essere lontano.
- Hai visto, Dave? – cinguettò Kurt, deliziato, - Adesso possiamo andare dove vogliamo! Partiamo immediatamente!
- E dov’è finito il tuo brillante piano? – domandò Dave con un mezzo ghigno, inarcando un sopracciglio mentre incrociava le braccia sul petto.
- Piano? – chiese a propria volta Kurt, schiudendo gli occhi e guardandolo con sincera curiosità mentre continuava ad accarezzare devotamente il muso dell’animale, - Quale piano?
- Tornare a casa, fare la calza per il tuo principe aspettando che si innamori nuovamente di te… - gli ricordò Dave, il ghigno che si apriva ancora un po’, con palese divertimento. Kurt sbuffò, distogliendo lo sguardo.
- Ho cambiato idea. – concluse, - E poi… - si interruppe all’improvviso, aggrottando le sopracciglia ed aguzzando lo sguardo come se la sua attenzione fosse appena stata attirata da qualcosa di strano e particolare. – Ma cosa… - mormorò, appoggiandosi ad uno dei cespugli, stando bene attento a non ferirsi con le spine, e scostandone delicatamente le fronde per guardare oltre. – C’è una casa, qui.
- Come? – chiese Dave, aggrottando le sopracciglia ed abbassandosi per poter spiare attraverso lo spiraglio che Kurt aveva aperto nel fogliame. – È vero, e sembra anche abitata, guarda la finestra aperta, e guarda il comignolo, ne esce del fumo. Una casa di caccia, forse?
- Nessuno viene a caccia nella Foresta Nera, - rispose Kurt, scuotendo il capo, - hanno tutti troppa paura della strega. È ridicolo. – sbottò con disappunto, - Uno si aspetta che, avendo la scuola più rinomata di tutto il paese entro i confini del feudo, almeno la gente di queste parti sia colta abbastanza da— ssh, arriva qualcuno! – si interruppe all’improvviso, schiacciando una mano contro la bocca di Dave.
- Ma eri tu che stavi parlando! – protestò Dave, abbassando la voce per non fare troppo rumore e parlando contro il palmo della mano di Kurt, prima di notare anche lui con la coda dell’occhio il movimento che aveva insospettito il ragazzo al punto da schiacciargli quella mano sulla faccia.
La porta della casa si aprì con un cigolio sinistro, ed una donna avvolta in un lungo mantello di acetato rosso si soffermò sulla soglia, guardandosi intorno con estremo fastidio e disappunto.
- Becky! – strillò, - Dove diavolo sei?!
Non passarono che pochi secondi, prima che un folletto con una stramba divisa addosso, un corto caschetto biondo e un paio di occhiali tondi sul naso, si presentasse al suo cospetto, inchinandosi con sussiego.
- Non so come scusarmi. – disse contrita. Le labbra della donna si piegarono in una smorfia.
- Non sei riuscita a trovarli? – chiese, camminando nervosamente avanti e indietro, le braccia incrociate sul petto.
- No, mia signora. – confessò il folletto, - Ne ho perso le tracce nei pressi di una radura. Il loro cavallo è fuggito, comunque, non passerà molto tempo prima che i lupi li sbranino. La notte è vicina.
- Sciocca! – la rimproverò la donna, afferrando uno dei vasi da fiori vuoti che decoravano sinistramente il davanzale di una delle finestre, e scagliandolo a terra con improvvisa violenza, riducendolo in frantumi, - Non possiamo rischiare che il mio nascondiglio venga scoperto! Mai alcun essere umano si era addentrato all’interno della Foresta Nera, in più di cento anni, e tu ora mi dici che hai perso le tracce dei due intrusi?!
- Sono mortalmente dispiaciuta, mia signora. – piagnucolò il folletto, facendosi sempre più piccolo, accucciato com’era per terra, - Cercherò ancora!
- Sarebbe completamente inutile! – tuonò ancora la donna, afferrando un altro vaso e scagliando per terra anche quello, - Mai lasciar fare a un folletto il lavoro di una strega. – aggiunse astiosa. Da dietro i cespugli di more, Dave e Kurt trattennero il respiro, increduli. – Un incantesimo di localizzazione dovrebbe fare al caso mio. Ci metterò almeno tre ore, ma vista la tua incompetenza è necessario.
- Chiedo perdono, mia signora. – ripeté il folletto sempre più contrito, - Andrò a perlustrare dalle parti della cascata, forse lì…
- Ma dove vuoi andare, dove?! – la rimproverò la donna, afferrandola per un orecchio, - Vieni con me e dammi una mano con l’incantesimo! – sbottò, trascinandola dentro casa e chiudendosi la porta alle spalle.
Quando fu sparita, il silenzio tornò ad impadronirsi della foresta, e Kurt si sentì finalmente libero di abbassare la mano che ancora teneva premuta contro le labbra di Dave. Entrambi respiravano pesantemente, e fu Dave il primo ad allontanarsi, recuperando il cavallo per le redini e stringendo Kurt per un braccio, spostando entrambi verso un luogo più sicuro.
- Dobbiamo andarcene. – disse, - Scappare il più lontano possibile. La strega è reale. Esiste davvero.
- Io non posso crederci… - balbettò Kurt, scosso, - Sono solo fantasie da ragazzini, non… non è mai esistita nessuna strega!
- Mi pare evidente che le tue fantasie da ragazzino sono ben più reali di quello che pensavamo! – insistette Dave, continuando a trascinare sia lui che il cavallo per la strada che, dalla radura, li aveva condotti fin lì. – Kurt, - aggiunse più dolcemente, - dobbiamo lasciare la foresta, subito, prima che la strega ci trovi. E poi potremo abbandonare il paese. Viaggiare, come vuoi tu! Ti porterò dovunque tu voglia, ma adesso andiamo.
- No! – disse Kurt improvvisamente, puntando i piedi per terra, - Non capisci? Se la strega è reale, allora lo è anche la maledizione! Il motivo per cui non nascono più bambine in questo paese… - gemette appena, quasi sopraffatto da quanto aveva sentito negli ultimi minuti e da ciò che queste informazioni implicavano per lui e per tutti gli abitanti del feudo. – Non possiamo andare via senza dire niente a nessuno! – disse poco dopo, aggrappandosi alla camicia di Dave e strattonandolo appena, - Dobbiamo tornare da mio padre, parlare con quel cacciatore di streghe, rivelargli il luogo dove la strega è nascosta! E poi potremo partire.
- Kurt… - sospirò Dave, stringendo le proprie mani attorno alle sue e guardandolo con occhi tristi, - Se torniamo da tuo padre adesso, se la tua famiglia scopre quello che abbiamo fatto, perché eravamo nascosti nella foresta… partire sarà impossibile.
Kurt indietreggiò, preso alla sprovvista. Non aveva considerato la situazione da questa prospettiva, e doveva ammettere che l’idea di dover tornare a casa e raccontare tutto a suo padre, a suo fratello e al principe lo turbava non poco. Ma non poteva lasciare che le sorti della sua patria fossero decise dalla sua codardia.
Stringendo i pugni lungo i fianchi, si avvicinò a Dave un passo dopo l’altro, e poi si sollevò sulle punte, tenendogli dolcemente il viso fra le mani e baciandolo a fior di labbra.
- Ti prometto che troveremo un modo per risolvere la situazione. – disse piano, soffiando appena sulla sua pelle umida, - E partiremo insieme. Ma prima dobbiamo dire a tutti della strega… e anche di noi due. – aggiunse, annuendo timidamente.
Tutti i lineamenti del volto di Dave si tesero per un secondo, la preoccupazione e la paura così evidenti da danzare freneticamente nei suoi occhi scuri, obbligando il cuore di Kurt a battere con violenza nella gabbia fragilissima del suo petto, in attesa della sua risposta. Che giunse in un sospiro, in un bacio ricambiato ed in una breve carezza su una guancia, prima di saltare in sella al cavallo e dirigersi al galoppo verso la magione degli Hummel.
- Perdonatemi, maestà, ma non ho tempo di intrattenermi in chiacchiere con voi. – rispose Rachel, nervosa e dura, proseguendo nella sua marcia verso l’esterno della dimora degli Hummel, - L’atmosfera rilassata di cui parlate sta mandando il feudo in rovina. Vi siete guardato intorno, nelle ultime ore?! – insistette, fermandosi all’improvviso e voltandosi a guardarlo, sconvolta da quanto placidamente lui sorridesse, come se le ultime vicende non lo avessero minimamente sfiorato. Cosa che, d’altronde, sarebbe stata giustificabile per lui, ma non lo era altrettanto per tutti gli altri abitanti della casa, che versavano in condizioni più o meno simili, senza eccezioni. – La gente si aggira per la proprietà come se non avesse memoria delle proprie mansioni! Nessuno si occupa dei lavori manuali! Giungo adesso dalla cucina dove ho cercato per mezz’ora di convincere le cuoche a preparare la cena senza risultati! Il principe Blaine e il signor Finn non fanno che correre dietro quei due individui alla cui sola vista chiunque sembra cadere in una trance o chissà che altro maleficio, e il signorino Kurt è scomparso! – si interruppe per prendere fiato, scuotendo il capo, sconsolata. – Come fate a non accorgervene, proprio voi? È chiaramente l’opera di una strega.
- Oh, andiamo, Rachel. – ridacchiò il principe, allungando una mano e stringendo con forza le proprie dita attorno al braccio sottile della ragazza, trattenendola, - E voi sareste l’unica immune al sortilegio? E perché mai dovreste esserlo?
- Non ne ho idea, signore. – borbottò lei, tirando appena per costringerlo a lasciarla, senza però ottenere i risultasti sperati, - Ma mi sembra l’unica spiegazione plausibile.
- L’unica spiegazione che invece sembra plausibile a me, Rachel, - insistette il principe, rafforzando la stretta attorno al suo braccio, - è che voi non ne possiate più di vivere in questo luogo. – concluse con un sorrisetto soddisfatto, come avesse appena risolto chissà che intricato dilemma.
- …come, prego? – domandò Rachel, inarcando un sopracciglio. Lui sbuffò compiaciuto, lasciandola finalmente libera di muovere il braccio e scrollando altezzosamente le spalle.
- Ma sì, - annuì, - questo feudo è ormai troppo pacifico, per te. Una viaggiatrice, un’avventuriera come te, una guerriera, come tutte le donne del nostro popolo, non può davvero sopportare una vita così noiosa e abitudinaria. Io posso capirlo, Rachel, l’ho capito dal nostro ultimo incontro, quella notte. – aggiunse, avvicinandosi a lei e sorridendole fascinosamente, - Posso capirlo, perché io sono uguale. Perfino il trono di Carmel non è stato abbastanza per saziare la mia sete di imprese ed avventure. Vieni con me, Rachel! – la invitò, stringendole una mano fra le proprie, - Partiamo! Alla volta dell’ignoto! Alla ricerca di luoghi che ci offrano sfide, battaglie, magari un vero scontro con una vera strega!
- C’è una vera strega anche qui, maestà! – sbottò Rachel, ritirando la mano e riprendendo a marciare decisa verso il cortile, - Siete cieco, anche voi, come tutti gli altri! Reso sordo da un qualche stupido sortilegio! – sbuffò ancora, annoiata. – Perdonatemi, ma non ho davvero tempo di star dietro alle vostre fantasie, principe Jesse. Devo ancora approntare i tavoli per la cena e poi inseguire ogni singolo abitante di questa villa per convincerlo a nutrirsi. Se volete scusarmi… - concluse in un mezzo inchino, che non poté mai completarsi perché dal cortile cominciarono improvvisamente a giungere strani rumori, dapprima solo confusi e martellanti, e poi sempre più violenti, fino ad esplodere in un gran fracasso. – Ma che…? – si domandò, prima di aumentare il passo e dirigersi spedita verso l’esterno della casa. Il principe Jesse, nonostante si sentisse ancora abbastanza spensierato da pensare automaticamente che non potesse trattarsi di niente di così grave, la seguì, mantenendosi a pochi passi di distanza.
- Tutto ciò è inammissibile! – stava strillando il signorino Kurt, mandando all’aria enormi secchi pieni di granaglie con la sola forza delle proprie striminzite braccina, nel più totale disinteresse dei pochi presenti in cortile, - Perché nessuno mi ascolta?! Oh, ma quando riuscirò a convincere mio padre a darmi retta, la vedrete!
- Kurt! – strillava… era lo stalliere del principe Blaine, quell’uomo che continuava ad inseguire Kurt ovunque, cercando di placarlo, mettendogli inappropriatamente le mani addosso e dandogli del tu senza che ce ne fosse un apparente motivo? – Kurt, per l’amor del cielo, calmati! Ma cosa diavolo stai combinando?!
- Nessuno mi ascolta! – strillò Kurt per tutta risposta, rovesciando un ripiano in legno ricoperto di pannocchie, - Mio padre vegeta sorridendo beatamente ad un garofano e millanta di stare osservando la di lui crescita istante dopo istante! Mio fratello giace nella paglia della stalla in compagnia di quella stupida gallina bionda che ha portato con sé dal sopralluogo di quello stupido villaggio indiano, e il principe Blaine! – la sua voce di sollevò di un paio di ottave, oltraggiata e sconcertata, - Il principe Blaine nuota placidamente nel lago abbozzando coreografie casuali per far contento quell’orrendo giovanotto che lo guarda divertito dalla riva! Tutto ciò è assurdo! Ed io che vado in giro parlando della strega e recando notizie di sventura che potevo anche risparmiarmi di riportare, vengo ostentatamente ignorato!
- Signorino Kurt! – urlò Rachel per richiamare la sua attenzione, correndogli incontro, - Siete tornato!
- Rachel! – la chiamò a propria volta il ragazzo, ancora ansante, voltandosi verso di lei, il volto istantaneamente illuminato da un barlume di sollievo, - Vi prego di ascoltarmi e di non impegnarvi in qualche insulsa attività come se fosse la cosa più importante che abbiate mai fatto nella vostra vita!
- Signorino Kurt, non dite sciocchezze. – lo rimbrottò lei, sbuffando appena e piantando entrambe le mani sui fianchi, - Piuttosto, dove eravate finito? Qui sta succedendo qualcosa di molto, molto strano, ed io vi sto cercando da ore!
- Me ne rendo conto. – annuì il ragazzo, - Sembrano tutti sotto ipnosi, vagano come sonnambuli sorridendo per sciocchezze e agendo come dissennati! Perché?
- La vostra dama è convinta che si tratti del sortilegio di una strega. – ridacchiò Jesse, apparendo alle loro spalle, - Non è ridicolo?
- Sentir dire qualcosa di simile proprio da voi, principe Jesse, proverebbe che si tratta di un maleficio anche se non sapessi, come invece so, che è proprio ciò di cui si tratta. – annuì compitamente Kurt, degnando il principe appena di un’occhiata, prima di tornare a concentrare tutta la propria attenzione su Rachel. – Avete ragione, è opera della strega, ne sono sicuro! Ella vive proprio nel folto della Foresta Nera, come il principe Blaine e il principe Jesse sospettavano prima di essere ammaliati da chissà che malvagio incantesimo! Io e Dave l’abbiamo vista con i nostri occhi!
- Oh mio Dio! – strillò Rachel, coprendosi la bocca con entrambe le mani, - Cosa ci facevate voi e lo stalliere del principe nella Foresta Nera da soli? E perché lo chiamate per nome? E, ora che ci penso, per quale motivo egli può fare lo stesso con voi e—
- Non mi pare il caso di intrattenerci in stupidi pettegolezzi, Rachel! – sbottò Kurt, arrossendo improvvisamente e stringendo i pugni contro i fianchi, - Una strega si sta prendendo gioco di noi, e tutti gli abitanti di questo palazzo devono esserne informati! Avete capito?! – insistette, voltandosi intorno e cercando di attrarre nuovamente l’attenzione di tutti i presenti, mentre anche Finn (uscito dalla stalla con la propria dama al braccio), il principe Blaine (di ritorno dal lago con un braccio attorno alle spalle del proprio accompagnatore) e suo padre (affiacciatosi sul piazzale col proprio vaso di garofani sottobraccio), si degnavano finalmente di offrirgli un po’ della loro attenzione. – Voi tutti siete vittime di un incantesimo! La strega della Foresta Nera vi rende stupidi e imbelli, in modo da poter continuare a vivere la propria vita in pace senza che noi si muova guerra contro di lei! Svegliatevi!
- Nessuno di loro si sveglierà. – tuonò una voce sconosciuta, che tutti i presenti seguirono immediatamente, per cercare di capire a chi appartenesse. Dinanzi all’enorme portone di legno, adesso spalancato, che si apriva sulle mura che delimitavano la villa degli Hummel, un uomo di media statura si stagliava implacabile contro la luce del tramonto. Il suo volto era quasi interamente coperto da un cappello a tesa larga, di cuoio marrone, ed un lungo cappotto della stessa foggia avvolgeva l’interezza del suo corpo, svolazzando nel vento ai suoi piedi. Una giovane dall’aria allegra e dall’aspetto vagamente chiassoso lo seguiva a pochi passi di distanza, stringendosi nelle spalle. – Nessuno si sveglierà, a meno che non li obblighiamo a farlo. – precisò l’uomo con un ghigno sottile, prima di voltarsi in direzione della propria compagna. – Emma. – la chiamò semplicemente, e lei annuì, sorridendo placida e portandosi silenziosamente fino al centro del cortile, sollevando entrambe le braccia sopra la testa. Il coloratissimo vestitino che indossava le lasciò scoperte le gambe per un paio di secondi, prima che lei si decidesse ad abbassare repentinamente le braccia.
- Dissolvo! – strillò, la voce rombante nell’aria placida della sera. I suoi occhi, per un istante, si accesero dello stesso fuoco che accendeva il cielo in quel momento.
- Ugh… - si lamentò la ragazza stretta al braccio di Finn, portandosi una mano al collo. Suo fratello la seguì quasi subito.
- Che succede? – domandò il principe Blaine, stringendosi al proprio accompagnatore e cercando di sostenerlo mentre questi si afflosciava inesorabilmente per terra, indebolito.
- Quinn! – gridò Finn, nell’osservare la ragazza al suo fianco spalancare gli occhi e gettare indietro il capo, schiudendo le labbra in un urlo animalesco mentre il suo corpo si riempiva di una luce anomala e dall’aspetto pericoloso, calda come se bruciasse. Istintivamente, Finn mosse un paio di passi indietro, e la stessa cosa si ritrovò costretto a fare Blaine quando la mano di Jeremiah, che stava ancora stringendo convulsamente, si fece troppo calda per poter essere sopportata ancora.
- Che cosa state facendo?! – gridò Dave, rivolgendosi allo straniero e alla donna, che nel frattempo gli era tornata accanto, quando nell’orrore degli astanti Quinn e Jeremiah presero a bruciare, avvolti in una fiamma biancastra che sembrava incapace di appiccare il fuoco a qualunque cosa non fossero i loro corpi, - Sono esseri umani!
- È questo l’errore. – ghignò l’uomo, e nell’istante successivo le urla di Quinn e Jeremiah si trasformarono in lamenti striduli, poco prima che i loro corpi, invece di carbonizzarsi, cominciassero a tramutarsi velocemente in polvere. Ne rimasero solo due mucchietti, sopra ai quali aleggiò per un singolo istante un’ombra scura con uno spaventoso ghigno e due occhi di brace, prima di sparire, lasciando solo cenere.
- Cosa… - mormorò il principe Blaine, lanciando uno sguardo confuso attorno a sé e spalancando gli occhi subito dopo, come se improvvisamente i suoi ricordi fossero stati lasciati liberi di fluire al suo cervello. – Kurt… - gemette, i lineamenti del volto contratti in un’espressione addolorata, avvicinandosi lievemente a lui, una mano protesa verso la sua figura. Kurt si strinse nelle spalle, schiacciandosi immediatamente contro il fianco di Dave, che prima ancora di capire perché il ragazzo si stesse comportando così lo cinse protettivo con un braccio. Blaine si fermò all’istante, abbassando la mano e serrando le labbra, le sopracciglia ancora inarcate verso il basso. – Ne… ne riparleremo. – mormorò con palese vergogna, abbassando lo sguardo, per poi sollevarlo verso lo straniero. – Chi siete voi? – domandò imperioso, mentre attorno a lui anche tutti gli altri abitanti della villa riprendevano possesso delle proprie facoltà, e il vaso che Burt aveva portato con sé come un figlio nelle ultime ore finiva infranto contro il pavimento acciottolato del cortile.
- È… è William Van Schuester. – deglutì il principe Jesse, - Il più grande cacciatore di streghe al mondo.
L’uomo sollevò finalmente il viso, abbastanza perché i presenti potessero vedere i suoi occhi. Profondi e scuri, nascondevano segreti inconfessabili.
- Voi tutti… - spiegò, muovendo qualche passo intorno, come stesse prendendo confidenza con l’ambiente, - Siete stati vittime di un incantesimo. La strega che infesta questo paese con la sua presenza, la stessa che ha gettato sul vostro popolo la maledizione che vi impedisce di generare figlie femmine, sentendosi evidentemente minacciata da qualcosa che avete fatto ha spedito in mezzo a voi due creature. – indicò il mucchietto di ceneri, che la sua assistente stava già provvedendo a spazzare e conservare in due ampolline, ed annuì. – Quelle due creature. Non erano che diversivi, e il loro compito era distrarvi e attutire i vostri sensi, di modo che i vostri propositi bellicosi si smorzassero.
- Ah! – strillò Kurt, battendosi un pugno contro il palmo di una mano, - Visto? L’avevo detto io.
Van Schuester si voltò a guardarlo, infastidito dall’interruzione.
- E voi chi sareste? – domandò. Burt si fece avanti, frapponendosi fra lui e l’uomo.
- Mio figlio, messere. – rispose a muso duro, - E nel caso vi chiedeste chi sono io, ebbene sono il signore di questa casa e di questo feudo.
- Bene. – annuì il cacciatore, per nulla intimidito né tantomeno impressionato dalla durezza dell’uomo, - Allora è con voi che devo parlare, perché di sicuro siete voi ad avermi obbligato a fare tutta questa strada per venire fin qui.
- Che cosa?! – ringhiò Burt, aggrottando le sopracciglia, - Ma di cosa diamine state parlando? Nessuno vi ha chiamato!
- Se posso intromettermi… - cinguettò la donna, avvicinandosi con un sorriso timido, - Il mio nome è Emma, è un piacere fare la vostra conoscenza, signor… - allungò una mano verso di lui, ma quando si accorse che era sporca di terra si affrettò a ritirarla, prima che Burt potesse stringerla, - …signor signore della casa e del feudo. – annuì compitamente. – Io e il mio signore siamo giunti in visita perché il nostro incantesimo di localizzazione ha chiaramente mostrato uno squilibrio dell’energia magica in questa zona del principato. – spiegò sorridendo, - Tale squilibrio poteva essere motivato solo da un’importante combinazione di sortilegi, e ci è bastato fare un paio di ricerche per capire che qualcosa di losco stava avendo luogo da queste parti. Vorremmo, se ce lo permetterete, aiutarvi a liberare il paese dal maleficio che questa strega ha gettato su tutti voi.
- Se permettete, - iniziò il principe Blaine, facendosi avanti, le sopracciglia aggrottate e i lineamenti tesi, - io e il principe Jesse, qui, abbiamo il pieno controllo della situazione. Siamo già giunti alle porte della Foresta Nera e siamo sicuri di essere vicini a scoprire dove si trova la strega.
- Principe… - richiamò la sua attenzione Jesse, schiarendosi la voce, - Lasciate perdere. Van Schuester è di un altro livello. Io stesso, che pure di streghe ne ho ammazzate parecchie, non sono che un principiante, al suo confronto.
- E, in ogni caso, - soggiunse Kurt, tornando a farsi avanti pur rimanendo al fianco di Dave, - non avete il pieno controllo su niente. Signor Van Schuester, tutto quello che il principe e il suo seguito sono stati in grado di fare è stato spingersi fino ai confini della foresta e poi tornare a casa recando con sé due malefici. Io e Dave, invece, siamo rimasti all’interno della foresta solo poche ore, ma siamo comunque riusciti a fare di meglio, scovando il nascondiglio della strega e tornando qui di corsa per comunicarlo a tutti, anche se nessuno voleva ascoltarci.
Van Schuester lo guardò con severità per una manciata di secondi.
- Dilettanti! – proruppe quindi, scrutandoli tutti con malcelato disgusto, - Organizzare spedizioni nei pressi di un rinomato luogo saturo di magia, e portare con sé persone mai viste prima e palesemente sospette? Inoltrarsi da soli all’interno di una foresta di quel tipo e spingersi fino al cuore della stessa, disarmati e inermi, alla ricerca del covo di una strega potente al punto da lanciare una maledizione centenaria su un intero paese?! Sciocchi! Dissennati! Ridicoli dilettanti!
- Non siamo disarmati, Van Schuester! – interloquì il principe Jesse, sentendosi in questo punto nel vivo, - I miei alchimisti—
- I vostri alchimisti sono degli incapaci. – tagliò corto il cacciatore, agitando una mano a mezz’aria, - Quel ridicolo liquido che utilizzate per ucciderle… l’acido, è questo il suo nome, vero? Che sciocchezza. Come se fosse possibile combattere una strega portandosi dietro un calderone in cui immergerla.
- Ho sconfitto parecchie streghe, col mio calderone d’acido, signore. – insistette Jesse, rigido, stringendo i pugni lungo i fianchi.
- Siete stato solo molto fortunato, stupido ragazzino presuntuoso! – lo rimproverò Van Schuester, lanciandogli un’occhiata di fuoco, - Le streghe sono creature magiche. Non è possibile sconfiggerle senza magia! L’unico modo per renderle deboli senza usare incantesimi contro di loro, consiste nel conquistarle come donne, e non c’è neanche bisogno di dire quanto questa pratica sia disgustosa. – concluse con una smorfia a metà fra il saccente e l’inorridito. Rosso di rabbia e vergogna, Jesse rimase in silenzio.
- Adesso smettetela. – si fece avanti Rachel, scrutando l’uomo con piglio severo, - Il principe Jesse ha fatto ciò che ha ritenuto opportuno fare per proteggere il proprio paese, offrendosi poi di aiutare anche il nostro. – Van Schuester la fissò con un certo interesse, aggrottando le sopracciglia. – È ovvio che, non potendo egli disporre di poteri magici, abbia scelto di provvedere al meglio delle sue capacità, con ciò che poteva fare. Voi non avete alcun diritto di—
- Non è esatto dire che non può disporre di poteri magici. – la interruppe il cacciatore, avvicinandosi un passo dopo l’altro e girandole intorno con aria pensosa, - Voi, che vi fate avanti per difenderlo… siete sempre stata al suo fianco?
Rachel rimase immobile nella propria posizione, senza seguire l’uomo neanche con lo sguardo.
- No, signore. – rispose freddamente, - Io ho sempre vissuto qui.
Van Schuester si voltò verso il principe Jesse, indicando Rachel con un cenno del capo e concedendosi un sorriso sghembo, di scherno.
- Che razza di cacciatore sareste, voi, se non siete in grado di riconoscere una strega neanche quando ce l’avete di fronte?
- Che cosa?! – strillò immediatamente Rachel, perdendo tutta la propria compostezza e voltandosi repentinamente a guardarlo.
- Adesso basta con queste stramberie! – tuonò Burt, muovendosi a grandi passi verso lo straniero per poi frapporsi fra lui e la ragazza, - Rachel è parte di questa famiglia ormai da anni, ed è comunque troppo giovane per essere la strega della foresta!
- Non ho mai pensato che la strega della foresta potesse essere lei. – inarcò un sopracciglio Van Schuester, incrociando le braccia sul petto senza però indietreggiare di un singolo passo, per nulla intimorito, - Ho solo detto che lei è comunque una strega. Ne ha l’odore, ne ha l’energia, ne ha l’aura magica. È sicuramente figlia di una strega, e strega anch’ella. E… Emma? – chiamò la propria compagna, e lei, immediatamente, si voltò verso di lui. – Risvegliala. Potrebbe esserci utile. La strega che andiamo a combattere potrebbe costringerci a chiedere aiuto.
La donna annuì compitamente e, sorridendo serena, si avvicino alla ragazza.
- Cos’avete in mente? – domandò Blaine, facendosi avanti.
- Oh, assolutamente niente di pericoloso. – sorrise rassicurante lei, tirando fuori un sottile guanto di seta da uno dei graziosi sacchetti ricamati che portava appesi alla cintura stretta in vita, ed indossandolo con attenzione, - Ma state indietro, per favore. Anche voi, signor signore della casa e del feudo.
- È Hummel, per tutti i cieli e gli inferni. – sbottò lui, infastidito, - Hummel.
- Signor Hummel, dunque. – sorrise ancora Emma, affatto turbata, - Indietreggiate, prego. Sto per risvegliarla e potrebbe esserci uno scoppio d’energia.
- Cosa… ma di cosa state parlando?! – sbottò Rachel, stringendosi nelle spalle, sulla difensiva, - Io non sono una strega! Non… che cosa state facendo?! – ebbe appena il tempo di strillare, prima che Emma, sorridendo serenamente, coprisse in pochissimi istanti la distanza che ancora le separava, appoggiando la mano guantata sulla sua spalla.
I presenti lanciarono un grido di sorpresa quando videro entrambe le figure femminili essere avvolte da una luce splendente, all’interno della quale scomparvero per qualche secondo. Nel momento in cui la luce si diradò, Emma si allontanò da Rachel, sfilando il guanto che aveva indossato e riponendolo in una delle sporte. Rachel rimase immobile nel mezzo del cortile, gli occhi spalancati e vuoti, la pelle crepitante di scintille bluastre. Le tremavano le labbra.
- Mia madre… - bisbigliò, - La strega Shelby. Io… io l’ho vista.
- Dannato mostro! – strillò Finn, scagliandosi contro Emma, - Cosa le avete fatto?!
- Fermo! – lo bloccò Rachel, sollevando una mano. Finn si ritrovò sbalzato all’indietro, seduto per terra sul ciottolato del cortile, prima di riuscire a colpire Emma, prima ancora che Van Schuester potesse muoversi per proteggerla. – Io ho visto mia madre. – proseguì, cercando con lo sguardo il principe Jesse, - La strega Shelby. Di Carmel. – gli occhi le si riempirono di lacrime, quando individuò la figura del principe, che quando sentì le sue parole serrò le labbra, i lineamenti del viso tesi in una maschera di sconcerto. – La prima strega che avete ucciso. Era mia madre.
- Bene. – tagliò corto Van Schuester, spezzando la tensione che rendeva l’aria del cortile irrespirabile, - Ora ditemi, qual è il vostro compagno?
Rachel si voltò a guardarlo, gli occhi persi.
- Come…? – balbettò, incerta, e Van Schuester sospirò sgarbatamente, sollevando gli occhi al cielo come fosse già stufo di dover fornire spiegazioni su spiegazioni a un gruppo di palesi ignoranti.
- Il vostro compagno umano. – precisò, - Come io sono il compagno umano di Emma. Una strega può scegliere di condividere il proprio potere o parte di esso con il proprio compagno, rendendolo più forte, adatto al combattimento. La strega di cui stiamo parlando è molto potente, e potrebbe servirci aiuto. Dunque, ditemi chi è il vostro compagno, e vi spiegherò come condividere parte del vostro potere con lui.
Rachel boccheggiò, guardandosi intorno con paura. I suoi occhi si posarono per un secondo anche su Finn, ancora seduto per terra e sbigottito, ma nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono, lui distolse il proprio, e lei si sentì costretta a fare lo stesso, piegando le labbra in una smorfia addolorata.
- Non ne ho uno, signore. – rispose, abbassando il capo.
Del tutto disinteressato a quale potesse essere il suo dolore, Van Schuester scrollò le spalle.
- Be’, trovatene uno, e in fretta, anche. Non possiamo rischiare che—
- Che cosa, cacciatore? – disse una voce profonda ma indiscutibilmente femminile alle loro spalle. Tutti i presenti si voltarono, individuando immediatamente la figura di una donna alta e magra, avvolta in uno strano mantello rosso, le gambe divaricate e le mani poggiate sui fianchi in una posa presuntuosa e arrogante. La donna ghignò cattiva, piegando appena la testa. – Che la strega possa arrivare prima che voi possiate aver concluso i vostri preparativi per difendersi? – scoppiò a ridere, gettando indietro il capo. – Ops. – concluse, prima di sollevare le braccia verso il cielo. – Tempesta! – strillò, ed immediatamente il cielo ancora rossastro del tramonto si tinse di una sfumatura più scura, quasi sanguigna, mentre nuvole enormi e cupe si addensavano minacciose sopra le loro teste, gonfie di pioggia.
- Dannazione. – ringhiò fra i denti Van Schuester, stringendo i pugni ed indietreggiando di qualche passo, mentre tutti i presenti si stringevano inconsciamente l’uno all’altro e dietro di lui.
- Rachel… - disse piano il principe Jesse, quando le fu vicino, - Io…
- Tacete. – lo zittì lei, distogliendo lo sguardo, - Non adesso. Forse mai. Ma sicuramente non adesso.
Jesse distolse lo sguardo a propria volta, mordendosi un labbro.
La strega avanzò di un passo.
- Guardatevi, dunque. – disse con cattiveria, - Siete tutti qui? Così pochi? E pensate di avere anche solo una misera possibilità di sconfiggere me e la mia armata? – rise, allargando le braccia e, con esse, anche il mantello, che svolazzò furiosamente nel vento che adesso spazzava il cortile con violenza, e poi tornò ad afflosciarsi lungo i suoi fianchi. Mostrando all’improvviso decine e decine di donne – amazzoni, si sarebbe detto – dai lunghi capelli blu, abbigliate negli stessi toni rossastri del mantello della strega – gli stessi toni rossastri del cielo e dell’aria e di tutto ciò che li circondava in quel momento – in attesa di un solo ordine, le labbra già piegate in un ghigno ferino e spaventoso, le lingue che ogni tanto saettavano ad inumidirle, come non vedessero l’ora di avventarsi su tutti loro per divorarli senza pietà. – È tanto di quel tempo che le mie creature non mangiano. – soggiunse la strega con un altro spaventoso ghigno, - Dovrei lasciarle attaccare?
- Dannata! – ringhiò a quel punto Burt, avanzando di un paio di passi e ponendosi coraggiosamente in testa al drappello di persone, - Perché fai tutto ciò?! Cosa mai ti ha fatto il nostro popolo di tanto malvagio, perché tu abbia tanto rancore da serbare nei nostri confronti?!
Nel momento in cui gli occhi della strega di posarono su di lui, le pupille della donna si fecero ardenti come braci, e le sue labbra si piegarono in una smorfia di disgusto. Le amazzoni schierate dietro di lei ringhiarono con maggior forza, probabilmente percependo la tensione nella loro padrona, e snudarono le zanne, mostrando denti appuntiti e scintillanti degli stessi bagliori rossastri che agitavano il cielo della tempesta sanguigna evocata dalla fattucchiera.
- Nonostante la mia magia… - disse la strega, fissando l’uomo con disgusto, - sei invecchiato, Burt.
- Cosa…? – sussurrò il principe Blaine, indietreggiando appena e lanciando un’occhiata preoccupata a messer Hummel, - Voi la… la conoscete?
- Non l’ho mai vista in vita mia! – si difese Burt, voltandosi verso gli altri e guardandoli tutti con ansietà sempre crescente. Cercò gli occhi di Kurt, e vi trovò dentro solo paura e smarrimento. – Giuro che non ho la più pallida idea di chi questa donna sia e cosa voglia da noi. – disse più dolcemente, parlando ad alta voce perché tutti potessero sentirlo ma allo stesso tempo fissando il proprio sguardo colmo di paterna tristezza solo su Kurt, e su suo fratello Finn, di fianco a lui, così che fosse chiaro che a ciò che gli altri avrebbero potuto pensare era interessato solo parzialmente, e l’unica cosa che contava davvero, per lui, era che i suoi due figli gli credessero. Entrambi annuirono, senza mai distogliere gli occhi dalla sua austera figura.
- Il fatto che tu non ricordi rende la mia rabbia solo più profonda e devastante! – ringhiò la strega, mentre fiamme apparentemente incandescenti la avvolgevano interamente, senza ferirla in alcun modo, e le sue amazzoni si scatenavano, abbaiando e ruggendo e torcendosi le dita artigliate, - Tu avevi promesso, Burt Hummel! In riva al lago, centoquindici anni fa, tu hai promesso!
- Cento… centoquindici…? – Kurt spalancò gli occhi, guardando il proprio padre con sconcerto. – Padre, cosa… - provò a chiedere, ma fu costretto a interrompersi quando vide gli occhi di Burt spalancarsi, come se un’improvvisa consapevolezza li illuminasse. Trattenne il fiato, e Finn accanto a sé fece lo stesso, e così si ritrovarono costretti a fare anche tutti gli altri quando una voce tonante dal cielo cominciò a raccontare.
La notte era placida e silenziosa, calda e umida sulla riva del lago. Burt giunse da Ovest, come sempre faceva, e Sue lo attendeva, seduta su uno dei grandi sassi che, come sedute naturali, si affiancavano nei pressi della piccola cascatella che, rotolando giù dalla montagna, faceva sì che la temperatura di quelle acque restasse sempre gelida. Abbigliata di rosso, come al solito, sedeva compostamente, le mani poggiate in grembo ed un ampio cappuccio a coprirle il capo e scivolare lungo i contorni eleganti e fieri del viso. Le sue labbra sottili erano increspate in un sorriso appena distinguibile, e Burt, come ogni notte, la trovò bellissima.
«Sei in ritardo» lo ammonì scherzosamente lei, e lui ridacchiò imbarazzato, grattandosi la nuca e prendendo posto al suo fianco, su una pietra ampia ma più bassa rispetto a quella sulla quale sedeva lei.
«I preparativi, sai…» borbottò, stringendosi nelle spalle, «Mia madre ha passato l’intera giornata a piangere» aggiunse con aria un po’ triste, «Mi ha detto che avrebbe preferito avere una figlia femmina, in modo da poterla tenere sempre con sé. Con me non può farlo, se dico che voglio viaggiare non può impedirmelo.»
«Deve infastidirti parecchio» commentò Sue con un mezzo sorriso, avvicinandoglisi di un paio di centimetri. Burt rise divertito, scuotendo il capo.
«In realtà la comprendo» confessò imbarazzato, «È questo il motivo per cui anch’io vorrei avere solo figlie femmine. In modo da non dovermene separare.»
Nel sentire quelle parole, Sue arrossì immediatamente, ma riuscì a distogliere lo sguardo abbastanza in fretta da fare in modo che Burt non lo notasse. Si schiarì la voce, fissando insistentemente gli ampi cerchi che l’acqua della cascatella generava infrangendosi sulla superficie del lago. «Parti domani, dunque» commentò, provando a celare la tristezza così evidente nella propria voce. Burt si voltò a guardarla, allungando una mano ad accarezzarle una spalla.
«Tornerò» cercò di rassicurarla con un mezzo sorriso. Lei lo ricambiò, ma senza crederci.
«Però non è questo ciò che ti preoccupa» gli disse, sorridendo con aria più furba, gli occhi chiari stretti come due fessure, eppure ancora così brillanti. «Qualcosa ti angoscia, ma non è tua madre, né la tua imminente partenza, né, ahimè, doverti separare dalla sottoscritta per intraprendere questo lungo viaggio» aggiunse in una risatina, dissimulando l’imbarazzo che provava per avere appena detto qualcosa di simile ad alta voce. Burt volle ribattere, ma non ne ebbe il tempo. «So che qualcosa c’è» disse lei, interrompendolo prima che potesse dirle alcunché a proposito di quella battuta, «Ti va di dirmi cos’è?»
Burt sospirò, abbassando lo sguardo e torcendosi le mani in grembo. «Oggi…» cominciò incerto, «Risistemavo i miei progetti e le mie carte, e… improvvisamente mi è stato tutto molto chiaro.»
«Cosa?» domandò Sue, lanciandogli un’occhiata incuriosita. Lui si strinse nelle spalle, concedendosi un mezzo sorriso.
«Io non ce la farò» rispose con rassegnazione. «I miei studi sono all’avanguardia. Troppo all’avanguardia. So già che fine faranno. Le mie macchine non saranno mai, mai comprese prima di centinaia d’anni. I miei progetti subiranno lo stesso destino di quelli del grande Da Vinci. Nessuno dei miei prototipi funziona, nessuno li comprende, i miei genitori e tutti gli accademici del paese mi trattano come fossi un pazzo visionario. Intraprendo questo viaggio sperando di trovare qualcuno, da qualche parte in questo paese, che sia disposto a credere in me e in quello che sono capace di fare, ma la realtà è che so già che questo viaggio sarà inutile. Non troverò nessuno. Semplicemente perché è impossibile che io lo trovi.»
«Via, via, adesso» lo prese in giro lei, con una risatina divertita, «Non stiamo volando un po’ troppo alti, paragonandoci a Da Vinci?»
«Volare…» quasi mugolò Burt, un debole sorriso sognante a farsi strada sulle sue labbra, «Quello sarebbe davvero il massimo. E la mia non è presunzione!» si difese, sentendosi però quasi moralmente obbligato ad abbassare lo sguardo subito dopo, «Intendo… forse sì. Forse un po’ lo è. Ma è solo perché so dove tutto ciò mi sta portando, e so che si parla di un luogo molto lontano. Un luogo che potrebbe non essere qui nemmeno in cinquecento, seicento anni! Io ho… ho solo bisogno di più tempo. Più tempo, capisci? Per vedere dove mi porteranno i miei studi.»
Sue sorrise, stringendosi nelle spalle. «Sei ancora giovane» rispose, «Hai tutto il tempo che ti serve.»
«No, non è così» scosse il capo lui, avvicinandosi a lei e stringendo le sue mani pallide e sottili fra le proprie, «La mia scienza è già parecchio avanti rispetto a quella degli altri scienziati di questo paese, ma— non è sufficiente. Non mi serve solo qualche anno in più, non sto parlando di un paio di decenni, sto parlando di… tempo. Tempo vero. Quel tempo che quando lo guardi sembra infinito, quel tempo che ce n’è sempre abbastanza. Quel tempo lì serve a me.»
Rossa in viso, la ragazza deglutì, senza allontanarsi di un passo, ed anzi, ricambiando la stretta delle sue mani con le proprie. «Cent’anni? Duecento?» deglutì ancora. I suoi occhi scintillavano. Dalle sue dita partivano tenui raggi di luce che illuminavano la radura come stelle. La superficie del lago, resa nera come la pece dalla notte inoltrata, sembrava un cielo d’estate. «Io posso darteli» annuì, «Ma tu devi promettere.»
Lui non si allontanò. Avrebbe promesso la luna a chiunque, se solo gli avessero dato abbastanza anni per imparare a raggiungerla e catturarla in una gabbia. «Dimmi cosa devo promettere, e lo prometterò.»
«Prometti…» sussurrò la ragazza, avvicinandosi a lui e bisbigliando al suo orecchio. «Prometti di sposarmi. Rimanda il viaggio di qualche giorno, sposiamoci in fretta, non ho bisogno di grandi cerimonie, non ho famiglia, non ho legami. Sposiamoci, e poi partiamo insieme. Voglio… voglio rimanerti accanto, e fare di te il mio compagno.»
Lui spalancò gli occhi e, nell’ascoltare la sua voce gentile e ciò che diceva, si lasciò sfuggire una risatina divertita. Non poteva essere che uno sciocco gioco, lei non poteva aiutarlo. Era solo una ragazzina innamorata, che per lui avrebbe fatto di tutto, ma che non poteva a conti fatti fare niente. Ma lui le avrebbe comunque promesso ciò che voleva, per ringraziarla di averlo ascoltato ed aver provato ad illuderlo che un modo per sconfiggere il tempo esistesse davvero.
Chinandosi sulle sue labbra e sfiorandole in un bacio lievissimo, promise. Rispondendo al bacio, lei suggellò la promessa, e quando si separò da lui bisbigliò poche parole. «Possa la clessidra per duecento volte girare, prima che il tuo corpo cominci ad invecchiare. Con quest’incantesimo, tempo, ti comando: al giovane che amo…» arrossì appena, «Concedi più vita, e meno affanno.»
Dovettero salutarsi celermente quando furono passati solo pochi istanti: la madre di Burt doveva essersi svegliata ed aver creduto che lui avesse deciso di partire nottetempo senza salutare nessuno, perché ovunque intorno alla villa uomini armati di lanterne stavano invocando il suo nome a gran voce. Lui pensò non fosse il caso di spaventare e rattristare ancora la sua povera madre, e baciò Sue sulle labbra in fretta e furia prima di imboccare di corsa il sentiero del ritorno.
Partì l’indomani. Non la rivide più. Nel corso del suo lungo viaggio intorno a tutto il continente ebbe modo di imparare molto, ma niente di ciò che vide sembrò aiutarlo a progredire nei suoi studi in maniera sostanziale. Venti volte le stagioni si avvicendarono, venti volte venne l’autunno con le sue piogge, e venti volte l’inverno con le sue nevi e le pelli di animali che Burt cacciava per ripararsi dal freddo; venti volte la primavera, col profumo intenso dei fiori, e venti volte l’estate, col sapore zuccherino dei suoi frutti maturi. All’alba del ventunesimo anno, Burt guardò il sole sorgere, e si sentì triste.
Recuperò i propri bagagli e si accodò alla prima carovana diretta verso Nord-Est. L’odore di casa, dei campi coltivati, della cucina di famiglia, dell’aia, del cortile, della stalla, del lago, delle colline ricoperte di fiori, si faceva più forte giorno dopo giorno, e Burt sentì per la prima volta da quando era partito il bisogno di piangere quando vide finalmente apparire all’orizzonte i contorni della grande villa che era appartenuta agli Hummel per generazioni. Avrebbe continuato a lavorare sui suoi macchinari a tempo perso, era ora di prendere il suo giusto posto nel mondo. Probabilmente, non era quello il suo destino. Doveva accettarlo, per quanto doloroso fosse.
Sua madre lo attendeva seduta sulla poltrona che era stata di suo padre, in salotto. Le mani in grembo, il viso bianco e pallido ricoperto di dolci rughe, i capelli candidi a scivolare in ciocche ordinate fuori dalla cuffietta da notte. Sorrideva come se sapesse esattamente che lui sarebbe tornato proprio quella sera.
Si alzò, e Burt le corse incontro perché dovesse fare meno strada. «Figlio» lo salutò lei, accarezzandogli una guancia, «Non sei cambiato affatto.»
Morì pochi giorni dopo. Ancora frastornato, dopo il funerale, Burt convocò gli abitanti della villa, ed assicurò loro che né lì né nel feudo sarebbe cambiato qualcosa.
«Qualcosa, però, è cambiato, mentre voi non c’eravate, signore» disse qualcuno. Non nascevano più bambine. Non era nata una sola femmina negli ultimi vent’anni, e gli abitanti avevano escluso che dovesse trattarsi di un problema di fertilità, perché di maschi continuavano a nascerne a iosa.
Burt non avrebbe mai avuto una figlia.
Non pensò mai a prendere moglie. Chiese solo una volta se qualcuno avesse notizie della donzella sempre vestita di rosso con la quale soleva accompagnarsi negli anni della sua gioventù. Ma nessuno seppe rispondergli, e dopo un po’ Burt smise perfino di pensarci.
- Ma io non ho mai smesso. – disse la strega quando la voce rombante smise di raccontare. I suoi occhi erano gelidi e immobili, fissi sulla figura di Burt, attorno alla quale s’era formato uno spazio via via sempre più grande, man mano che tutti gli abitanti della villa si andavano allontanando da lui, ascoltando il racconto dipanarsi una battuta dopo l’altra. – Dopo la tua partenza, avendo capito quanto poco fosse valsa la tua promessa, sono tornata nel folto della foresta, al luogo al quale appartenevo. E ho lanciato la mia maledizione sul tuo paese. Nel caso tu fossi mai tornato a casa, tutte le belle figlie che volevi non le avresti mai avute. Nessuno le avrebbe mai avute. E sarebbe stata solo tua la colpa!
- Sue… - provò Burt, avvicinandosi di un passo, la mano tesa verso di lei mentre le amazzoni ringhiavano e strepitavano sul posto, come fossero trattenute da catene invisibili, - Io pensavo che fossero solo le fantasie di una ragazzina! Sono uno scienziato, non ho mai creduto nella magia! Come potevo sapere che—
- Non era importante che tu sapessi! – lo interruppe lei, ringhiando tanto forte da far tremare la terra, mentre le amazzoni si avventavano su di lui e poi tornavano ad indietreggiare e ruggire frustrate, come se lo scoppio d’ira di Sue le avesse liberate dalle invisibili catene che le tenevano bloccate, e poi, una volta placatosi, le avesse obbligate a fermarsi ancora. – Era una promessa! Che io fossi una strega o meno, che la mia magia funzionasse rendendoti più longevo o meno, avresti dovuto mantenerla! E invece non ti è mai importato, mi hai dimenticata! – inspirò ed espirò a fatica, calmandosi mentre le nubi in cielo si scurivano sempre di più, come fossero pronte a esplodere in una pioggia di sangue. – Ma ormai non importa più. – concluse in un breve sorriso cattivo, - Ora tu morirai, e con te tutta la tua famiglia e tutta la tua gente. Io e le mie bestie metteremo a ferro e fuoco il feudo e niente resterà più anche solo a ricordare la tua esistenza e il tuo passaggio su questo mondo! Preparati, Burt Hu—
- Abbiamo finito? – la interruppe Van Schuester, frapponendosi fra lei e l’uomo, - Possiamo passare oltre, al momento in cui ti sconfiggo e brucio il tuo corpo di modo che tu possa fare la stessa fine di tutte quelle della tua razza?
- Ma guarda un po’… - sorrise la strega, imperturbabile, incrociando le braccia sul petto e picchiettandosi con due dita sull’interno del gomito, - Un altro ficcanaso. Credevo che le mie due altre creature sarebbero state sufficienti a distrarre la compagnia a sufficienza perché nessuno mi scoprisse… a questo proposito, principe Blaine, giovane Finn, avete gradito i miei doni? – ridacchiò, disegnando un cerchio nell’aria con entrambe le mani ed evocando due evanescenti figure in tutto e per tutto somiglianti a Quinn e Jeremiah, - Sono così dispiaciuta che il mio perfetto incantesimo di ipnosi abbia funzionato al punto da distruggere la relazione che avevate con le due persone di cui eravate davvero innamorati. – disse, fingendo contrizione, - Oh, ma cosa dico. – rise quindi, scrollando le spalle, - Non mi dispiace per niente. Ma fossi in voi, giovani signori, - aggiunse in un ghigno, - non mi sentirei troppo in colpa. Mentre voi vi dibattevate inconsapevolmente in balia del mio incantesimo, i vostri innamorati… - sghignazzò, disegnando figure invisibili nell’aria mentre due fili di magia evanescente apparivano in mezzo alla folla, - erano bene impegnati a dimenticarsi di voi il più in fretta possibile. – concluse, mentre uno dei due nastri avvolgeva per un istante Kurt e Dave per poi dileguarsi, ed il secondo faceva lo stesso con Rachel e col principe Jesse, scomparendo subito nel crepitio delle gocce di pioggia rossastra che aveva cominciato finalmente a cadere dal cielo. – È questo che succede con l’amore. – riprese cupa, allargando entrambe le braccia ai lati del corpo, - Ti strappa il cuore, e poi lo porta via con sé, solo per gettarlo in un fosso e perderne ogni ricordo. – i suoi occhi divennero neri come la pece, mentre chiudeva un’altra volta le braccia, prima di urlare, - Andate, bambine! – liberando una volta per tutte le amazzoni dalle loro catene invisibili, e lasciandole finalmente libere di piombare sulla folla con ruggiti terrificanti ed urla raccapriccianti.
- Dannazione. – ringhiò a propria volta Van Schuester, - Emma!
La donna annuì, sollevando le braccia.
- Escudo! – urlò, battendo le mani in aria e poi allargandole progressivamente ai lati del proprio corpo, mentre, quasi seguendo il movimento delle sue braccia, sopra di loro si creava una barriera magica protettiva contro la quale le amazzoni andarono a schiantarsi una dopo l’altra, finendo sbalzate all’indietro e stordite per qualche secondo, prima di riprendere ad attaccarla con pugni, calci, morsi e unghiate. – Will… - mormorò la giovane strega, concentrando tutti i propri sforzi nel tentativo di fortificare la barriera, - Non reggerà a lungo…
Van Schuester annuì, voltandosi verso gli altri. Si trattava di poco più di un mucchietto sparuto di persone, nessuna delle quali aveva la più pallida idea dell’enorme disastro che si profilava davanti ai loro occhi. La strega stava modificando lo spazio attorno a loro, manipolando anche il clima di quella campagna, e naturalmente attentando a tutte le loro vite. Dovevano fare qualcosa, e dovevano farla al più presto.
- D’accordo. Tu. – disse risoluto, indicando il principe Blaine, - Tu. – proseguì, indicando anche Finn, - E… tu. – concluse, indicando Dave, - Ascoltatemi attentamente. Quelle bestie là fuori, - spiegò, accennando alle amazzoni ancora intente a lanciarsi ripetutamente contro la barriera, nel tentativo di aprirla, - non sono magiche. Sono demoni, la strega li ha evocati, ma non posseggono energia magica, sono solo animali affamati di sangue. Per questo motivo, appena la barriera crollerà, perché crollerà, questo è certo, voi dovrete prendere tutti gli inermi e condurli in un luogo sicuro, e combattere per proteggerli.
- Possiamo farlo. – annuì Blaine, - Siamo armati.
- No! – interloquì Kurt, aggrappandosi al braccio di Dave, - Lui non lo è!
- Posso combattere, Kurt. – ribatté l’uomo, scostandosi da lui con gentilezza, ma anche con decisione, - Ho solo bisogno di una spada. – continuò, voltandosi a guardare Blaine. Il principe scrutò prima lui e poi le mani di Kurt, ancora poggiate sul suo avambraccio, e deglutì.
- D’accordo. – rispose, - Ci serve una spada.
- Prendete quella del signor Hummel. – risolse per loro Van Schuester, e Burt portò istantaneamente una mano all’elsa della propria arma.
- Cosa? No! – protestò, sulla difensiva, - Voglio combattere. Tutto questo è successo per causa mia, e—
- Oh, combatterete, signore, non preoccupatevi. – tagliò corto Van Schuester, avvicinandoglisi in un paio di passi e privandolo della propria spada con tutta la fodera, per poi consegnarla a Dave, - Solo, non con quest’arma. Avete qualcosa di ben più potente ed efficace da usare contro quella strega. Voi, - disse, - e voi, anche, - continuò, accennando a Rachel e Jesse, - Non andrete con gli altri. Avrò bisogno del vostro aiuto contro la strega, non contro i demoni.
- Signore, non c’è niente che io possa fare per aiutarvi. – abbassò lo sguardo Rachel, torcendosi le mani, - Non so nemmeno se sono in grado di utilizzare i miei… poteri. Li sento agitarsi dentro di me, ma è come se provenissero da qualcun altro. Non li sento miei.
Van Schuester la fissò, senza neanche cercare di nascondere il proprio disappunto.
- Questo è semplicemente logico e normale. – sbottò, infastidito da una tale palese ignoranza, - Generalmente, le giovani streghe vengono risvegliate da una scintilla di potere delle loro madri quando raggiungono l’età della maturazione completa, intorno ai quattordici anni. Voi, signorina, avete superato quell’età da un pezzo, e per di più a risvegliarvi non è stata vostra madre, dal momento che evidentemente non ne ha avuto il tempo, per cui è perfettamente ovvio che voi non sentiate il potere che vi scorre in corpo come qualcosa di vostro. Ciononostante, - aggiunse, - quel potere c’è, e ci è necessario, se vogliamo sconfiggere quella strega. L’alternativa è non fare niente e lasciarci ammazzare, e se permettete non sono disposto a considerarla come valida.
- Non mi sembra il caso di parlarle a questo modo, signore. – si intromise Jesse, aggrottando le sopracciglia. Van Schuester si voltò a guardarlo con aria profondamente disgustata.
- Non so se qualcuno di voi l’ha notato, - cominciò con piglio severo, - ma qui siamo tutti in pericolo di vita. La mia compagna – disse, indicando Emma, - sta tenendo in piedi una barriera da sola contro un’orda di demoni inferociti, e quando quella barriera sarà crollata non ci sarà più niente a proteggerci. La nostra unica speranza è unire le nostre forze, proteggere i più deboli e cercare di sconfiggere la strega. Per questo motivo… - tornò a guardare Rachel, - ho bisogno che voi scegliate il vostro compagno, giovane strega. Dovete condividere i vostri poteri con lui. La condivisione rende la strega più forte, e arma il compagno a sufficienza per renderlo pericoloso in battaglia. Usualmente, non si tratta di una scelta che possa essere forzata, ma capite bene che…
- Un attimo, un attimo soltanto! – protestò Finn, pinzandosi la radice del naso, - Volete forse dire che… intendo, non vorrete mica obbligarla a prendere una decisione simile nel giro di così pochi minuti?! Tutta la sua vita potrebbe dipenderne!
- La sua vita ne dipenderà sicuramente, se non la prende! – insistette Van Schuester, gesticolando animatamente, - Io ed Emma non possiamo contrastare la potenza di quella strega da soli! Credete forse che tutte le streghe siano in grado di evocare demoni dall’inferno o cambiare la pioggia in sangue?! Siamo di fronte ad un esemplare di una potenza inaudita, reso ancora più potente dal risentimento covato nel corso dell’ultimo secolo! Abbiamo bisogno di lei!
- Ma non potete costringerla a—
- Basta! – li interruppe Rachel, alzando la voce al punto che tutti la sentirono rombare all’interno della bolla formata dalla barriera protettiva. La ragazza si voltò verso Finn, scrutandolo con occhi privi di emozione. – Signore, qualunque sia la mia scelta, state pure sicuro che voi non ne sarete coinvolto. – si sforzò di sorridere, avvicinandosi a lui e sollevando un braccio per accarezzargli una guancia, - Finn, noi non eravamo niente. – disse piano, - Eravamo solo convenienti. Semplici. Voi non volete nemmeno rimanere in questo luogo, ed io non vi appartengo. Non vi sono mai appartenuta, e non apparterrò mai a nessuno. Il principe Jesse ha ragione, quando dice che io non sono fatta per questi luoghi, per questa terra, o per essere una maestra di canto. Non sono mai stata quel tipo di donna, ed ora so anche perché.
- Finalmente sento qualcuno parlare con un po’ di senno. – sbottò Van Schuester, - Dunque è quest’uomo, la vostra scelta? – chiese, indicando Jesse con un cenno del capo. Rachel lo guardò, e poi tornò a fissare Van Schuester.
- Combatterò da sola, signore. – disse con fierezza, - Lasciate che il principe aiuti a proteggere i più deboli.
- Questa è una sciocchezza. – quasi ringhiò il cacciatore, stringendo i pugni lungo i fianchi.
- È la mia ultima parola. – ribadì lei con un mezzo sorriso, e Van Schuester sospirò.
- Sta bene. – cedette, - Voi, unitevi agli altri. Prendete con voi le donne e i ragazzi, ed allontanatevi il più possibile. Trovate un riparo, e presidiatene gli ingressi. Noi cercheremo di fare in modo che la battaglia possa durare meno a lungo possibile. – aspettò un cenno d’intesa da parte dei due principi e di Finn e Dave, prima di voltarsi a cercare la sua compagna. – Emma, - la chiamò, - lasciala andare!
La strega annuì, e con un gemito di sollievo e dolore abbassò finalmente le braccia, lasciando la barriera infrangersi sotto i colpi delle amazzoni affamate, che si lanciarono immediatamente su di loro.
- Andiamo! – gridò il principe Blaine, stringendo la propria spada fra le mani e parando l’attacco di un demone, - Raggruppate gli altri, scappate verso la stalla!
- Principe Blaine! – gridò Kurt, - Alla vostra sinistra!
- Cosa? – ringhiò lui, a stento in grado di controbattere ai furiosi attacchi dell’amazzone che aveva di fronte, - Dannazione!
- Dave! – chiamò Kurt, ma quando si voltò a cercare lo stalliere al proprio fianco non lo trovò. Si era già lanciato al fianco del principe Blaine, brandendo la spada appena in tempo per parare l’attacco della seconda amazzone.
- Voi avete salvato la mia vita. – disse, combattendo col principe spalla contro spalla, - Adesso siamo pari.
Il principe Blaine lo guardò incerto per qualche secondo, e poi un breve sorriso gli affiorò alle labbra, e lui annuì.
- Coraggio, - incitò Kurt, rivolgendosi a Finn ed al principe Jesse, - andiamo verso la stalla!
I due uomini annuirono, e mentre Jesse si lanciava in avanti, attirando parecchi demoni e trafiggendoli uno dopo l’altro, Finn raccolse il gruppo, si assicurò che fossero tutti presenti e poi li guidò tutti assieme verso l’entrata della stalla.
- Kurt, una volta dentro, controllate le finestre e le aperture, e cercate di chiuderle. – disse. Suo fratello annuì, restando in disparte per far sì che tutti gli abitanti della villa potessero rifugiarsi all’interno dell’edificio, per ripararsi dagli attacchi dei demoni e da quelle gocce di pioggia rosse come sangue che continuavano a piovere dal cielo. Fece per entrare quando si accorse che erano tutti già passati, ma Finn lo fermò, arpionandolo per un braccio, e Kurt si voltò nuovamente a guardarlo. – Mi… mi dispiace che le cose siano andate così. – sospirò, - Forse, se vi fossi stato maggiormente vicino…
Kurt sorrise dolcemente, allungando una mano ad accarezzargli il viso.
- Non è stata colpa vostra. – lo rassicurò in un sospiro, - È accaduto ciò che doveva accadere. Non datevi pena, sarebbe accaduto anche se mi foste rimasto accanto per tutto il tempo. – concluse, prima di correre dentro la stalla ad aiutare gli altri nella fortificazione dell’edificio.
Finn abbassò lo sguardo e sospirò profondamente. Non aveva mai pensato ad una carezza come ad un addio, eppure, nel giro di pochi minuti, era già successo due volte che dovesse prendere atto di quel secondo significato nascosto di un gesto tanto semplice e dolce.
- Finn! Arriviamo! – lo avvisò il principe Blaine dalla distanza, e lui non poté fare altro che riscuotersi dai suoi pensieri.
- Sono pronto! – rispose, impugnando saldamente la spada e parandosi di fronte all’entrata della stalla mentre Blaine e Dave si sistemavano al suo fianco, da un lato e dall’altro, e Jesse continuava ad attirare l’attenzione di alcuni demoni lontano da quel punto, - Da qui non passerà nessuno. – sentenziò cupamente, lanciandosi all’attacco di una delle amazzoni.
Dave e Blaine rimasero a presidiare l’ingresso, respingendo gli attacchi uno dopo l’altro e pregando che la strega venisse sconfitta il più in fretta possibile. Erano già stremati, mentre le amazzoni continuavano ad attaccare come non sentissero alcuna fatica, e – cosa ancora più preoccupante – il loro numero continuava ad aumentare indipendentemente da quante loro riuscissero a sconfiggerne. Continuando di questo passo, non avrebbero resistito ancora a lungo.
- Maledetta… - ringhiò fra i denti, scagliando lontano due amazzoni con la forza delle proprie braccia, e chinandosi appena in tempo per evitare le due stalattiti di ghiaccio che Emma aveva creato con la propria magia e poi lanciato contro di loro. Le trafissero nel mezzo del petto, ed entrambi i demoni crollarono a terra dopo un urlo disumano, apparentemente senza vita, solo per rialzarsi subito dopo, quando entrambe le stalattiti si furono disciolte a causa del calore insopportabile che ormai avvinceva l’intera zona in un soffocante abbraccio di morte.
- Sembra che non possiate niente, contro le mie creature. – rise malvagia la strega, appiccando un incendio ad un boschetto nelle vicinanze, - E naturalmente non potete nulla contro di me. Arrendetevi al vostro destino! Consegnatevi nelle mie mani e ai più forti di voi sarà concesso di vivere come miei servi, mentre sarò tanto magnanima da infliggere una morte solo moderatamente dolorosa a tutti gli altri!
- Mai! – urlò Van Schuester, giungendo le mani per creare un’enorme palla di fuoco da scagliarle contro. La strega non ebbe neanche bisogno di evitarla: le bastò sollevare un braccio per estinguerla ben prima che arrivasse anche solo a bruciacchiarle l’orlo del mantello.
- Non stiamo progredendo. – commentò Emma, affaticata, lanciando un fulmine di luce contro un’amazzone pronta a saltare addosso a Rachel.
- Grazie, Emma, senza di te non me ne sarei mai accorto. – borbottò Van Schuester, inarcando un sopracciglio e finendo a rotolare lateralmente quando un demone gli si lanciò contro da dietro un mucchio di fieno. – Maledetto mostro— - ringhiò, cercando di trattenere le fauci e gli artigli della creatura lontani dal suo corpo, resistendo appena a sufficienza da permettere a Rachel di strillare terrorizzata e generare con la propria voce un’onda sonora che sbalzò via la creatura, stordendola per qualche minuto. – Dannazione. Moriremo tutti. Come se la cava la linea difensiva davanti alle stalle? – gridò, voltandosi e cercando il principe Blaine con lo sguardo.
- Teniamo! – rispose lui, tranciando con la propria spada il braccio di un demone dopo una mezza piroetta, - Ma non potremo farcela a lungo! Bisogna fermare la strega!
- Certo! – grugnì Van Schuester, afferrando un’amazzone per un polso e rigirandoglielo dietro la schiena, in modo da bloccarla abbastanza a lungo da poterle afferrare la testa con un braccio e torcergliela di netto, spezzandole il collo, - Continuate tutti a ricordarmi ovvietà di cui sono già perfettamente a conoscenza! È proprio quello che mi serve, in una situazione come questa! – soffiò imbestialito. L’amazzone cadde a terra senza vita, e pochi minuti dopo si risollevò in piedi, senza neanche darsi pena di rimettere a posto il collo, prima di avventarsi contro Rachel, che la tenne lontana con un altro strillo dei suoi. Sembrava che quella fosse la sua peculiarità, il suo potere speciale, ma per tutti gli dei del creato e per tutte le forze mistiche dell’universo, andava perfezionata. – Rachel, piantatela una buona volta di strillare a caso ed ascoltatemi. – cominciò con piglio severo, scaricando fulmini crepitanti di elettricità sulle amazzoni che lo circondavano ogni paio di minuti, - Ho capito che non avete la benché minima intenzione di seguire i miei consigli e condividere i vostri poteri con qualcuno, ma qui stiamo solo perdendo tempo prezioso, e se non ci sbrighiamo a fare qualcosa quella donna e le sue maledette arpie faranno strage di noi tutti. – Rachel gli lanciò un’occhiata colma di terror panico, e Van Schuester annuì. – Bene, adesso che ho la vostra attenzione, ho bisogno che voi vi… - si interruppe per scansare l’attacco di un’amazzone ed utilizzare la forza con la quale essa gli si era avventata addosso per mandarla a sbattere contro un carretto pieno di cereali dietro di sé, - …vi avviciniate ad Emma, e vi concentriate. Lei vi spiegherà cosa fare. – concluse, per poi rivolgersi alla propria compagna ed indirizzarle un cenno d’intesa, al quale lei rispose annuendo determinata, liberandosi delle due amazzoni che l’assillavano per portarsi più vicina a Rachel, e poggiare le proprie mani sulle sue spalle.
- So che al momento percepisci l’energia dentro di te come una massa confusa e indomabile, - le sussurrò, sorridendo comprensiva, - ma chiudi gli occhi e prova a focalizzarla. Immaginala come una cosa fisica, se pensi che possa aiutarti. Tu canti, vero? – Rachel annuì incerta, mordicchiandosi il labbro inferiore. – Bene. – sorrise Emma, più convinta, - Allora pensala come se fosse una voce. Una voce interiore. Chiudi gli occhi e prova ad ascoltarla.
- Ma… - provò Rachel, - Non posso chiudere gli occhi, in mezzo alla battaglia…
- Siamo protette. – le sorrise Emma, rassicurante, - Ho creato una barriera, e Will ci sta proteggendo da fuori. Non preoccuparti. Ora, chiudi gli occhi. – sussurrò, sorridendo compiaciuta quando vide Rachel obbedire. – Senti come ti chiama dalle profondità della tua mente? Da luoghi della tua coscienza ancora inesplorati, che non credevi neanche di contenere dentro di te? Ti sta chiamando perché è tua, vuole che tu la riconosca.
- Non c’è… - aggrottò le sopracciglia Rachel, scuotendo il capo, - Non vedo niente…
- Non devi vedere. – sorrise ancora Emma, stringendo le sue spalle con più calore ed aiutandola con un’altra scintilla della propria magia, - Devi sentire. – sussurrò, e nel momento in cui lo disse Rachel spalancò gli occhi e sollevò il capo, e un gemito piccolissimo le si dischiuse sulle labbra mentre la sua pelle si illuminava appena, come bagnata dalla luce fioca e tremula di una candela.
- La sento… - mormorò confusamente, - Batte nelle mie vene col ritmo di un tamburo di guerra.
Emma sorrise soddisfatta, allontanandosi di un passo.
- Adesso abbasserò la barriera, Rachel, e nel momento in cui sentirai la mia energia smettere di proteggerci tu dovrai concentrarti al massimo delle tue forze e raccogliere tutta la magia di cui sei capace focalizzandola in un unico punto, ed indirizzandola contro la strega. L’incantesimo è un incantesimo basilare di prigionia, non avrai problemi a portarlo a termine. – sorrise con maggiore convinzione, cercando di spazzare via i dubbi che si agitavano sul fondo scuro degli occhi di Rachel. – Non è necessario che tu pronunci una formula, la tua magia sa ciò che vuoi da lei. – concluse, facendole l’occhiolino. – Adesso, mi raccomando. Abbasso la barriera e corro dal signor Hummel a spiegargli cosa deve fare. Tu fai subito come ti ho detto, niente esitazioni, eh! – precisò per l’ultima volta, mentre Rachel, più confusa che persuasa, annuiva freneticamente.
Non perse tempo a fare ciò che aveva detto: dissolse la barriera con un rapido cenno della mano e si precipitò al fianco del signore del feudo, ergendone immediatamente un’altra attorno a loro e prendendosi qualche secondo per osservare con evidente soddisfazione Rachel strizzare gli occhi e poi lanciare un grido quasi disperato, mentre un fascio di luce abbagliante si sprigionava dal centro del suo petto, diretto verso la strega. Le sarebbe piaciuto poter portare con sé quella ragazza. Istruirla secondo la sua vera natura, aiutarla nel lungo cammino che avrebbe fatto di lei una vera strega. Ma non era quello il suo destino. E, in ogni caso, in quel momento aveva un compito ben più urgente da svolgere.
- Signor signore del feudo, - sorrise amabile, - adesso mi ascolti attentamente.
La loro negatività di base era però anche il loro limite. Una strega puramente malvagia non sarebbe mai stata forte quanto una strega che, invece, aveva conosciuto la luce. In sostanza, una strega che si fosse, almeno una volta nella propria vita, innamorata. E che avesse deciso di condividere il proprio potere con un compagno. Quello era il passo che rendeva le streghe forti al massimo del loro potenziale, lasciare entrare un po’ di luce nella loro anima permetteva loro di esplodere come stelle.
Ironicamente, era anche ciò che le rendeva vulnerabili.
Van Schuester sorrise. La strega che avevano di fronte era fortissima, ma aveva conosciuto l’amore. E sarebbe stato quell’insignificante dettaglio a distruggerla.
- Rachel! – gridò, - Tutta la vostra energia! Concentratela sulla strega!
Rachel non parve nemmeno sentirlo, ma il grido che nacque sulle sue labbra e il fascio di luce che si generò dal suo petto furono risposte sufficienti. Van Schuester osservò quella luce raggiungere la strega trapassando con violenza ogni sua difesa, ed osservò la strega strabuzzare gli occhi quando quella stessa luce assunse forma fisica, girando attorno a lei due volte e poi stringendosi attorno alle sue spalle e alle sue braccia come una corda.
- Cosa… cosa diamine sta succedendo?! – strillò, e Van Schuester sorrise ancora.
- Bene. Bene! – esultò entusiasta, generando a propria volta un fascio di luce, giungendo le mani all’altezza del petto, - Ci siamo.
Il suo fascio di luce, più ampio e veloce di quello generato da Rachel, si affrettò ad allacciarsi anch’esso attorno al corpo della strega, la quale rispose con un ringhio furioso, provocando nelle amazzoni una furia anche maggiore. Quando anche il raggio di luce generato da Emma – che nel mentre doveva aver spiegato al signor Hummel cosa fare – fu avvolto attorno a lei, Van Schuester si concesse di sperare che quella battaglia sarebbe finita presto.
Fu un errore.
Lanciando un grido di dolore e frustrazione, la strega si rannicchiò per un secondo come in posizione fetale, e quando tornò a raddrizzarsi spalancò entrambe le braccia, spezzando i fasci di luce che la tenevano prigioniera e che scomparvero il secondo successivo. Ansimante, bruciacchiata, provata, ma ancora indubitabilmente forte, lanciò uno sguardo di trionfo ed un sorriso cattivo in direzione di Van Schuester.
- Non siete forti abbastanza. – gracchiò, - La streghetta non è forte abbastanza. – precisò con una mezza risata, indicando Rachel, la quale, ritornata in sé e tremendamente indebolita dall’uso massiccio che aveva fatto della propria energia senza sapere bene come controllarla, indietreggiò terrorizzata. – Faccio fuori lei, - considerò la strega, - e non avrete più speranze.
Attorno all’estremità del suo dito indice, quello puntato contro Rachel, andò formandosi un cerchio di fuoco, che si fece via via sempre più grande, sempre più grande e minaccioso.
- No! – urlò Van Schuester, capendo ciò che la strega aveva intenzione di fare. Debole com’era, Rachel non avrebbe saputo come difendersi, ed in ogni caso non era istruita abbastanza da sapere come lanciare un incantesimo di protezione, e sia lui che Emma erano troppo lontani per provare a frapporsi fra lei e l’incantesimo di fuoco che la strega lanciò subito dopo.
Van Schuester ebbe appena modo di muovere un passo, prima che l’incantesimo giungesse a destinazione, schiantandosi a terra e appiccando un incendio al covone di paglia poco distante.
Quando riaprì gli occhi, aggrottò le sopracciglia.
Il cadavere. Non c’era.
- È viva! – gridò Van Schuester, individuando i due giovani avvinghiati per terra poco lontano. Il principe, decisamente più vicino rispetto a loro, doveva essersi liberato del demone contro il quale stava combattendo, e doveva anche essersi lanciato sulla ragazza, allontanandola dal luogo dell’impatto. La sua camicia era bruciata in più punti, specie nel centro esatto della schiena. Non doveva essere uscito completamente illeso dallo scontro.
- Principe Jesse. – boccheggiò Rachel, spalancando gli occhi e rendendosi conto di quanto era successo, - Siete ferito!
- Ma voi siete viva. – sorrise lui, rotolando giù dal suo corpo ed accasciandosi a terra con un gemito gonfio di dolore, - È ciò che importa. Ora abbiamo ancora una speranza.
Emma gli si precipitò accanto, stringendogli una mano e chiudendo gli occhi.
- È stato colpito gravemente. – disse poi, rivolgendosi alla ragazza, - La sua energia vitale è stata compromessa.
- Che sciocchezza… - ansimò il principe, agitando la mano libera, - È solo una ferita superficiale.
- La ferita lo è, - annuì Emma, aggrottando le sopracciglia, - ma la forza degli incantesimi non risiede nel dolore fisico che procurano, ma nell’uso che fanno dell’energia di chi li scaglia e di chi li assorbe. È una questione di bilanciamento, ed un alchimista come voi dovrebbe saperlo. – concluse severamente, voltandosi a guardare Rachel. – L’energia del principe non è più bilanciata. Il suo corpo è invaso dalla magia nera, e non può reggere ancora a lungo.
Rachel le ricambiò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore.
- Cosa posso fare? – domandò quindi, la voce tremula.
- Cosa puoi fare, già lo sai. – rispose Emma, sorridendo debolmente.
Rachel si irrigidì per qualche secondo, fissandola con paura e incertezza per un tempo che sembrò lunghissimo, prima di abbassare nuovamente lo sguardo sul principe Jesse. Ansimava pericolosamente, il petto che si sollevava e si abbassava con fatica sempre maggiore sotto la camicia bruciacchiata, i capelli scomposti appiccicati alla fronte dal sudore e dal sangue. Ne scacciò via una ciocca, accarezzandogli una tempia. E poi gli sorrise.
- È finita, strega. – ruggì Van Schuester, - Adesso siamo forti abbastanza. Preparati.
- No! – gridò ancora lei, sollevando le braccia per evocare un altro incantesimo di fuoco, mentre tutte le sue amazzoni lanciavano un devastante urlo di guerra e si avventavano sulle loro vittime con maggior foga.
Il principe Blaine e i suoi cavalieri ne circondarono un gruppo, trapassandole da parte a parte con le loro spade. Finn si lanciò con tutto il proprio corpo contro un’amazzone ormai pronta a irrompere all’interno della stalla, caricandola con forza fino a rispedirla indietro di un paio di metri. Dave ruggì con forza, afferrando per le caviglie un demone che stava già arrampicandosi lungo la parete della stalla per entrare dal tetto, e le spezzò le ginocchia con le proprie mani, prima di calciarla lontano.
- Non possiamo farcela. – ansimò, appoggiandosi alla parete per non cadere a terra in ginocchio, - Non abbiamo più forze. Van Schuester! – urlò, cercando con gli occhi il cacciatore, - Se la strega non muore… - ma dovette interrompersi, schiudendo le labbra in un’espressione di pura meraviglia quando vide quattro fasci identici di luce bianca sprigionarsi dal centro dei petti dei quattro impegnati a fronteggiare la strega. Come fulmini, attraversarono lo spazio fino al corpo della donna, chiudendosi attorno a lei con la violenza rabbiosa di una tenaglia e imprigionandola. La strega si dibatté, ringhiando e urlando, mentre gli attacchi delle amazzoni si facevano sempre più confusi e furiosi, ora che l’esercito di demoni stava perdendo la lucidità di chi li aveva evocati.
- Hummel! – gridò Van Schuester, - È il vostro momento!
Il signor Hummel, rimasto fino a quell’istante nascosto all’interno di una bolla generata da Emma, si fece avanti, mentre l’incantesimo di protezione attorno a lui si dissolveva. Inspirò ed espirò profondamente, irrigidendo le braccia lungo i fianchi e stringendo convulsamente i pugni.
- La tua magia, strega… - pronunciò a bassa voce, in un ringhio sommesso, - Io la rifiuto! – aggiunse in un grido più forte, ed il tempo sembrò fermarsi per un istante mentre la sua rabbia diventava magia, prendeva forma in una sfera di energia rosso sangue, e poi si lanciava contro la strega, colpendola all’improvviso.
La donna lanciò un grido straziante, gettando indietro il capo, il corpo squassato dalle fitte di dolore.
- Maledetti! – gridò, mentre le sue amazzoni si accasciavano per terra una dopo l’altra, in preda a convulsioni violentissime, per poi sparire senza lasciare la minima traccia. – Maledetti! Io vi maledico! – e mentre il suo corpo prendeva fuoco dall’interno, mentre gli occhi all’interno delle sue orbite si scioglievano e colavano via, mentre i suoi capelli si riducevano in polvere ed ogni fibra del suo corpo si anneriva, devastata dalla potenza della propria magia rifiutata che tornava indietro per distruggerla, trovò la forza di pronunciare un ultimo, tremendo incantesimo. – Giunone, Giunone, siimi vicina, mentre di Madre Natura inverto il ciclo, meschina. Ciò che un tempo aveste, e tolto vi fu, torni adesso ove al maschio fa male di più!
Quando tutto fu finito, restò solo l’eco della sua voce, ed un mucchietto di ceneri dove un tempo era stato il suo corpo. Il vento furioso della notte, tornata scura dopo la sua morte, portò via entrambe le cose nel giro di pochi istanti.
- Chi dovrebbe essere nato? – domandò Brittany, e Finn, massaggiandosi il viso, la fissò con aria incerta.
- Ma come chi? Il bambino! – rispose con ovvietà, allargando le braccia ai lati del corpo.
- Quale bambino? – insistette Brittany, e Finn lasciò andare un suono frustrato, mentre Santana interveniva in sua difesa, pinzandosi la radice del naso.
- Il signor Finn usa la parola “bambino” per intendere “neonato”, Britt. Parla della bambina del signorino Kurt. – rispose. Finn spalancò gli occhi, e poi le sue labbra si dischiusero in un sorriso ebete.
- È davvero femmina! – esclamò estasiato. Quando aveva sentito dell’assurda spiegazione fornita da Rachel e da quell’altra strega, mesi prima, non aveva potuto crederci; aveva deciso di prendere il tutto con le pinze, ed era tutto sommato contento di averlo fatto, dal momento che ora poteva dire di provare una gioia sorprendente che nessuno di coloro che avevano creduto a quella versione fin da subito poteva affermare di aver provato. – La prima femmina in tutto il villaggio dopo centoquindici anni, ed è mia nipote! – quasi cinguettò, muovendosi verso la porta più interna, attraverso la quale sentiva provenire i placidi vagiti di un neonato indiscutibilmente felice di essere venuto al mondo. – Fratello! – lo chiamò, spalancando anche quella porta e precipitandosi al fianco del giovane, ancora steso a letto, prima che Santana potesse anche solo provare a fermarlo, - State bene? – chiese premuroso, inginocchiandosi sul pavimento e sporgendosi per sbirciare la bambina avvolta in un morbido panno bianco ricamato. – Oh, cielo, è deliziosa. – ridacchiò nell’osservarne le gote chiazzate di rosso e la piccola bocca di rosa, - Dunque Rachel aveva ragione.
Kurt annuì, stringendo al petto la bambina mentre Dave, seduto sul letto al suo fianco, stringeva al petto lui. Quando, qualche mese dopo la dipartita della strega, il ventre di Kurt aveva cominciato a gonfiarsi, inizialmente tutti avevano pensato con terrore ad una qualche malattia. Il signor Hummel, che pure dalla morte della strega aveva preso ad invecchiare molto velocemente, e che ora si ritrovava bianchissimo e quasi privo di forze ma tutto sommato in salute per contare quasi centoventicinque anni d’età, aveva temuto di poter perdere il minore dei propri figli prima che fosse giunta la propria ora, e il pensiero si era fatto insopportabile al punto che, dopo aver consultato tutti i medici ed essersi sentito ripetere decine e decine di volte che la causa di quel gonfiore sembrava introvabile, aveva supposto che dovesse trattarsi di qualcosa di relativo all’ultima maledizione lanciata da quella donna prima di bruciare, e pertanto aveva chiesto a sua maestà Blaine – ritornato a palazzo dopo aver appreso dalla viva voce di Kurt che, pur lusingato dal suo affetto, non intendeva più sposarlo – di inviare messi in tutti gli angoli del continente, per rintracciare gli unici che forse avrebbero potuto salvare Kurt, e che si trovavano in quel momento da qualche parte senza che nessuno sapesse dove, in viaggio alla ricerca di nuove streghe da sconfiggere.
Rachel, il principe Jesse, il cacciatore Van Schuester e la sua giovane compagna Emma erano stati ritrovati nei pressi della Foresta dei Salici Piangenti, a Ovest rispetto a Lima, intenti a cercare di portare a termine una nuova missione, ed erano stati ricondotti alla villa di gran fretta. Lì, dopo un’accurata visita ed un consulto, Rachel ed Emma avevano fornito la spiegazione che ritenevano più plausibile: entrambe ricordavano bene le ultime parole della strega, e poggiando le mani sul ventre gonfio di Kurt potevano ancora sentirne l’eco; la donna aveva ridato la fertilità al villaggio, che ora era nuovamente in grado di dare alla luce bambine, ma solo tramite gli esponenti maschi della specie. Da quel momento in poi, solo gli uomini avrebbero potuto partorire femmine, mentre le donne avrebbero continuato a partorire solo maschi.
Le due streghe avevano rassicurato Kurt sulla salute della sua bimba, spiegandogli che per quanto l’eco della maledizione della strega risuonasse forte dentro di lui, l’energia spirituale della bambina sembrava intatta e pura come quella di tutti i bambini prima di nascere, e che pertanto non correva alcun rischio.
Il ventre aveva continuato a crescere. Tutti avevano preso atto dell’incredibile verità come più cento anni prima avevano preso atto dell’altrettanto incredibile verità di non poter più dare alla luce bambine, e poco a poco anche l’idea di un uomo che potesse partorire una bimba era diventata naturale, come anni addietro era diventato naturale che nessuna donna potesse più farlo. Era stato per certi versi perfino obbligatorio accettarlo, dal momento che, come Van Schuester aveva professionalmente spiegato quando era stato interpellato, l’ultima maledizione che una strega lancia prima di morire non ha alcuna possibilità di essere annullata in alcun modo.
- Eccola qui. – disse dolcemente Kurt, mostrando al proprio fratello la bambina appena nata, - È bella, vero?
Finn annuì, commosso. Aveva viaggiato in lungo e in largo, da quando, dopo la morte della strega, era riuscito a confessare che non esistesse niente al mondo che desiderasse di più di spingersi oltre i confini del continente, ed esplorare il mondo; aveva viaggiato in lungo e in largo, sì, ma non aveva mai visto niente di più bello di quella creatura.
- Come la chiamerete? – domandò. Kurt chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, ascoltando la musica dentro di sé, quella che l’aveva accompagnato per tutta la gravidanza, e di cui non aveva mai parlato a nessuno.
- Sue. – rispose, - La chiamerò Sue.
La bambina, stretta contro il suo petto, persa nei propri sogni, piegò il capo e sorrise.
Beh, non posso negare che averci trovato qui in mezzo il mio puzzolo mi ha fatto uno strano effetto: bellissimo, ma innegabilmente strano! In effetti quando ha paura s’impenna (e non è bello), ergo, l’ho rivisto molto in queste pagine XD E poi… LOL XD Voglio dire, l’immagine di Kurt e Dave su Sarpe non mi abbandonerà più XD
Per il resto… wow! Che cosa assurda e complicata ma immensamente dotata di trama in un AU dove tutto e tutti trovano il loro posto… fantastica Liz <3
LaTuM
30/11/2011 01:08