Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Mario/Davide.
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Slash, Flashfic.
- "Non avrebbe mai potuto pensare di trovarsi in una situazione simile, ma adesso che ci si trova è abbastanza sicuro che l’unica cosa sensata da fare per provare a cavarne le gambe, ad uscirne intero, sia chiamare Dade.
Solo che non può."

Note: Scritta su istigazione criminale del Def in occasione della VI Notte Bianca, su prompt RPF Calcio, Davide Santon/Mario Balotelli, "Sulla strada troppe stelle spente / la tua mano ora servirebbe / troppa gente alza il dito e poi lo punta su di me. / Nessuno mi crede davvero innocente, / ma non per questo io non vivo più." (Lontano dal tuo sole, Neffa). A proposito del titolo: le supergiganti blu sono stelle misteriose ed enigmatiche, rarissime. Sono le stelle più brillanti e calde dell'universo, ma proprio a causa dell'incredibile energia che sprigionano sono destinate ad un ciclo vitale relativamente breve. Mi sembrava si adattasse XD
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
SUPERGIGANTE BLU

- Senti, vaffanculo. – sbotta, interrompendo bruscamente la chiamata e lasciando cadere il cellulare fra i cuscini del divano in un gesto distratto. Gli prende malissimo a pensare che, fino ad un paio d’anni prima, in un momento come questo non avrebbe avuto altra scelta che chiamare Davide. No, non Davide. Dade. Era la cosa più logica, l’unica, in realtà, che avesse senso fare. Quando tutto, nella sua vita, cominciava a confondersi al punto da impedirgli di capire più dove cazzo si stesse dirigendo e contro cosa cazzo stesse andando a sbattere, bastava chiamare Dade per rimettere tutto a posto. Fosse un litigio coi suoi fratelli, con la ragazza di turno, coi suoi genitori, con l’allenatore, con chiunque cazzo gli paresse, fosse anche solo una delle innumerevoli sfighe giornaliere contro le quali era costretto a combattere, Davide c’era, e c’era la consapevolezza che ci sarebbe stato sempre, perciò chiamarlo non era un’opzione, non era una possibilità, era una fottuta routine, la fottuta normalità.
Due anni, si dice alzandosi in piedi e dirigendosi spedito in cucina per bere qualcosa – una cosa qualsiasi purché lo distragga del numero di Davide che ha già cominciato ad autocomporsi nella sua testa come se ci fosse una tastiera numerica proprio nel centro del suo stupido cervello –, sono una cazzo di enormità di tempo. Non è neanche che lui e Davide non si siano più visti né sentiti, nel corso dei due anni trascorsi in Inghilterra. No, non è questo il punto, non è che siano scomparsi l’uno dal raggio visivo dell’altro o chissà che (Mario è abbastanza convinto che Davide non riuscirà mai davvero a scomparire dal suo raggio visivo, perché i suoi occhi lo cercano, lo cercano sempre, nei luoghi più impensati, fra mucchi di sconosciuti in un bar, sulle pagine patinate delle riviste, nell’oscurità accogliente e rassicurante di un tunnel che si spalanca all’improvviso su un campo di calcio; e, per qualche motivo, si sente egocentrico abbastanza da credere che anche per Davide valga lo stesso principio), ma perché quello che c’era fra loro un tempo, inevitabilmente, si è perso.
C’è un determinato grado di intimità che puoi raggiungere con qualcuno col quale condividi ogni singolo spazio vitale. È un grado di intimità elevatissimo, ma non per questo meno fragile. L’intimità è il primo vetro a spaccarsi, quando entra in gioco la distanza. L’ultimo è l’amore, ed infatti l’amore è l’unico vetro sul quale Mario possa ancora camminare senza preoccuparsi dei tagli alle piante dei piedi. Ma l’intimità, l’intimità è un’altra cosa. È lo strato più esterno, l’ultimo a solidificarsi, il primo a perdere spessore quando due corpi si allontanano, quando si smette di respirarsi addosso.
Non avrebbe mai pensato di potersi ritrovare in una situazione simile, con una stronza che dice di essere la madre di suo figlio e gli impedisce di avere una qualsiasi conversazione sensata facendosi cogliere da raptus isterici ogni volta che Mario cerca di grattarle via di dosso la sottile patina di gloss e brillantina che le avvolge il corpo come uno scudo, per cercare di capire cosa ci sia sotto, se di lei si possa fidare, se davvero può sostenere di tenerla ancora nella sua vita, pur come una semplice conoscenza, per il bene di un bambino che potrebbe essere suo. Non avrebbe mai potuto pensare di trovarsi in una situazione simile, ma adesso che ci si trova è abbastanza sicuro che l’unica cosa sensata da fare per provare a cavarne le gambe, ad uscirne intero, sia chiamare Dade.
Solo che non può.
E naturalmente, è a quel punto che Dade chiama lui.
Stupito dalla suoneria – un vecchio successo della Pausini; lui la odia, la Pausini, ma a Dade piace, per cui gliel’ha associata come suoneria dedicata – si avvicina al divano, scava fra i cuscini ed estrae il cellulare, che luccica fra le sue dita come una gemma. C’è il nome di Davide sul display. Mario trattiene il respiro, e fatica a riprendere a respirare normalmente.
- Pronto? – risponde con voce tremula.
- Senti, vaffanculo. – sbotta Davide. È nervoso e imbarazzato e probabilmente si sta chiedendo cosa cazzo sta facendo e come cazzo gli sia venuto in mente di chiamare. A Mario scappa da ridere. – Adesso noi ci vediamo e tu mi dici tutto.
- Dade… - ride Mario, passandosi una mano sul volto, - Ma sei impazzito?
- No. – ribatte lui, sicuro, - E tu sta’ zitto, stronzo. E la prossima volta che lasci che ci accada una cosa del genere, giuro che mi intrufolo in casa tua a notte fonda e ti sego via le palle.
Mario ride ancora, scuotendo il capo.
- Quindi è colpa mia, se ci siamo allontanati così? – dice con aria fintamente risentita.
- Naturalmente sì. – ringhia Davide, e poi la sua voce si fa più dolce, - No, naturalmente no, sono uno stronzo anch’io. – dice in una mezza risata, - Ma in ogni caso non me ne frega niente. Ti toccherà offrirmi trenta cene almeno, anche perché solo per raccontarmi nei dettagli di tutta la merda che hai combinato in questi ultimi mesi ti servirà un mese. D’accordo?
Mario sorride, annuisce, gli viene da piangere.
- D’accordo.
back to poly
  1. Che bello!!! Una nuova Santonelli! Erano tipo secoli che desideravo leggere qualcosa su di loro. E quando ho letto di questa cavolata che ha combinato Mario ho subito pensato che dovevo scriverci qualcosa. Ovviamente non ne sono stata capace, quindi non mi resta che adorarti per averlo fatto tu! Che belli che sono! I miei piccoli! <3 E Davide alla fine! E’ troppo meraviglioso!

    Xenia90
    23/08/2012 18:54

Vuoi commentare? »

your_ip_is_blacklisted_by sbl.spamhaus.org