Genere: Triste, Malinconico, Romantico.
Pairing: MatthewxBrian
Rating: PG-13
AVVISI: AU, Boy's Love, Incompleta.
- Brian ha sei anni, e gli piace giocare con la sabbia, al parco. Quando incontra Matt per la prima volta, non può fare a meno di trovarlo insopportabile: quel bambino non lo ascolta, e per di più ha rubato il suo posto preferito! Ma a volte basta un po' di pazienza e un minimo di comprensione per cambiare una vita intera...
Commento dell'autrice: Inserirò un commento quando avrò concluso la storia è_é
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SHIMMERING
Song #27. Listen to your heart
SECONDA PARTE
I’M NOT SCARED ‘CAUSE I KNOW I WILL SURVIVE


Il mondo fa schifo.
Ieri ho litigato con mio padre fino a qualcosa come le tre del mattino – e sono tornato a casa alle due! Dico, non è allucinante che, per farmi capire che devo andare a letto prima, lui mi tenga sveglio fino a quell’ora? Stamattina la dannatissima sveglia non ha suonato, io mi sono messo in piedi alle otto meno venti e chiaramente l’acqua calda nella doccia era finita, perché a quel cretino di Barry dev’essere sembrato allucinante e miracoloso entrare in bagno per primo, e avrà pensato di festeggiare facendo un bel bagno con schiuma e paperotti, l’idiota! Non sono riuscito a trovare la stupida maglietta che volevo mettere e ho dovuto ripiegare su una maglietta ancora più stupida, che non sarà mai altrettanto soddisfacente. La matita per gli occhi ha pensato bene di spuntarsi durante la notte, non ho trovato il temperino e ho dovuto usare quella di mia madre, che fa veramente schifo. I capelli non sono ancora al loro posto e sinceramente, conoscendoli, dubito che obbediranno da soli, il dannato motorino vecchio di cent’anni che mio padre si rifiuta di rottamare perché non intende comprarmene uno nuovo non è partito e io devo ancora arrivare a casa di Matt, recuperarlo, portarlo in stazione, convincerlo che prendere la metro, per quanto sporca, puzzolente e incasinata, una volta tanto non ci ucciderà, ed arrivare a scuola.
In tempo per le otto.
Ho già detto che il mondo fa schifo?
*

Matthew ha un grave problema.
O meglio, ha tutta una serie di gravi problemi, ma tutti fanno capo a quell’unico, enorme problema del quale non è mai riuscito a liberarsi, nonostante le lunghe guerre che sono state combattute per sconfiggerlo.
Matthew non comprende che le cinque del mattino non sono l’orario perfetto per andare e nanna, e non sa svegliarsi in orario.
Questo è il suo problema principale.
Il suo secondo, gigantesco problema è avere una madre che esce di casa alle sei del mattino per andare a lavorare, e che quindi lo lascia lì a poltrire nella speranza che io arrivi in tempo per svegliarlo. Perciò di solito lui continua tranquillamente a dormire e sognare fino a quando io non piombo il casa sua, lo afferro per le spalle e comincio a scuoterlo qua e là, buttandolo giù dal letto.
L’altro enorme problema di Matthew è che, per ragioni assolutamente comprensibili, odia la scuola. Odia infilarsi nella classe speciale, odia seguire le lezioni particolari, odia furiosamente tutti i professori di sostegno e odia perdere in quel posto tutte le ore che effettivamente spreca, invece di passare il proprio tempo scrivendo, disegnando e facendo lunghe passeggiate, come di gran lunga preferirebbe.
Posso capirlo.
Anche io preferirei di gran lunga stare a guardarlo mentre scrive, disegna o fa lunghe passeggiate, invece di stare a scuola a contrastare le merde che mi sfottono per il trucco, o che sfottono lui – e tutti gli altri della classe, ma di loro non mi interessa – perché è sordomuto.
No, io non sono il tipo altruista. O difensore dei deboli.
…non sono neanche il tipo di falso modesto che dice di non essere altruista e difensore dei deboli per farsi figo.
Ma Matthew è sempre stato un’altra cosa. Fin dal momento in cui l’ho incontrato, è sempre stato… be’, è sempre stato, tanto per cominciare. Ovviamente, quando è cominciata io non ne avevo la più pallida idea, e neanche mia madre, che continuava a sorridere felice, vantandosi in giro di quanto fosse mentalmente aperto il suo bellissimo Bri. Non pensava minimamente che da quel momento in poi quel piccolo sordomuto sarebbe rimasto aggrappato alle spalle del suo adorato secondogenito perfetto come un enorme pupazzo di peluche in velcro. Di quelli che si staccano solo se li tiri via di prepotenza.
Io invece l’ho sempre saputo.
Ho sempre saputo che Matt sarebbe rimasto. E ho sempre saputo che nessuno – tantomeno io – avrebbe avuto il coraggio di usare la forza su di lui per convincerlo ad andarsene.
L’ho sempre saputo, anche se a dirlo così può sembrare melenso.
Dio, è melenso.
Ma andiamo, a sette anni ho capito che era l’unico bambino col quale tollerassi di dividere i giocattoli, a dieci ho accettato di guardare i cartoni animati coi sottotitoli malgrado li trovassi visivamente fastidiosissimi, a dodici mi sono accorto che, pur di passare ogni pomeriggio della settimana stravaccato sul suo letto mentre lui giocava al computer, avrei anche venduto un braccio o qualcosa di simile, e…
E poi a quattordici ho smesso di cantare perché detestavo il pensiero che lui non potesse sentirmi, e a quindici ho smesso di recitare perché trovavo orribile che lui potesse guardarmi gesticolare su un palco senza capire un accidenti di ciò che stavo dicendo.
Dopo tutto questo, a sedici anni compiuti, non trovo più tanto melenso il pensiero di aver sempre percepito Matthew come una costante fondamentale nella mia vita.
Ormai è una cosa naturale.
Un’ovvietà.
Le ovvietà non possono essere melense, semmai sono sciocche e fastidiose – Matthew probabilmente lo è – ma è tutto qui quello che possono essere.
- Poltrone… - bisbiglio, mentre lo afferro per un orecchio e comincio a strattonarlo senza delicatezza.
Lui spalanca immediatamente gli occhi e si aggrappa al mio braccio, terrorizzato. Io faccio una linguaccia e aspetto che si renda conto di cosa sta succedendo, e nel frattempo ne approfitto per fissare quegli enormi specchi di un celeste impossibile, e riempirmene la vista fin quando posso.
Lo faccio perché il colore dei suoi occhi mette pace nell’universo, davvero. Soprattutto quando sono così, annacquati di sonno e offuscati dalla stanchezza della notte che ha passato in piedi. È adorabile, davvero, se tutti si mettessero da bravi a fissare gli occhi di Matt appena svegli, non ci sarebbero più guerre.
E questo era il pensiero romantico della mattina, offerto dalla Molko Inc.
Il momento di smarrimento di Matthew dura poco, giusto il tempo di un paio di battiti di ciglia. Poi lo vedo sorridere e ammorbidire la stretta sul mio braccio, per quanto non sembra che sia intenzionato a lasciarmi andare – almeno non in breve tempo.
Faccio segno con una mano per dirgli che dovrebbe alzarsi, e poi indico il quadrante dell’orologio sul comodino, accorgendomi nello stesso momento di quanto tutto questo sia inutile: sono già le otto e cinque. Ovviamente.
Matthew ridacchia in quel modo tutto suo, quello che ti fa pensare che non abbia mai imparato a farlo, ma che la sua voglia di ridere sia tanta che le risate nascono spontanee, anche quando non è naturale che lo facciano.
Non so perché, ho sempre trovato innaturale che potesse ridere in maniera così cristallina.
Ho sempre trovato strano che potesse esistere qualcosa di così bello e squillante come la sua risata, o meglio, ho sempre trovato strano che una cosa così potesse esistere indipendentemente dal resto del mondo.
Matthew, insomma, lui non ha mai sentito una risata… la sua risata non è la replica di quelle che, quand’era in fasce, sentiva dai suoi genitori. La sua è una risata originale. Una risata che non somiglia a niente che esista in natura.
È allucinante pensare a quanto talento debba esserci dentro di lui, per permettergli di essere così perfetto anche in attività per le quali a rigor di logica non dovrebbe avere alcuna esperienza.
…ed è allucinante che io stia veramente paragonando la risata di Matthew a una prova del suo talento.
Scrollo le spalle e sospiro, mentre lui utilizza il mio braccio come sostegno per mettersi seduto.
Mi lancia uno sguardo come a chiedermi “e ora che si fa?”.
Io scuoto il capo. Non lo so.
Lui spalanca gli occhioni e accende il sorriso, e io so che mi sta chiedendo una giornata di svago. Possibilmente in un parco.
Guardo ancora l’orologio. La lancetta lunga sfiora pericolosamente le dieci, e io so che non arriveremmo mai a scuola in tempo.
Ma insomma.
Dopo averlo visto sorridere così, anche se pensassi di avere una qualche possibilità di varcare il cancello dell’istituto in orario, non penso che ci proverei.
*

Indico i capelli dell’omino che sta disegnando, e quando lui solleva gli occhi su di me gli dico che non trovo assolutamente possibile l’acconciatura con la quale li ha disegnati. Lui lancia un’occhiata ai miei, squadra con diffidenza l’acconciatura fresca di taglio che ho costretto Barry a scolpirmi sulla testa – la fontanella in cima, spelacchiata come i capelli di Ziggy, i ciuffetti ai lati che scendono lungo le guance, arricciati alla fine come quelli di Valentina, le punte in fuori come quelle delle scolarette – e poi scrolla le spalle e mi dice che non gli importa, che è esattamente così che vuole i capelli, la prossima volta che li taglia.
Guardo meglio il disegno.
L’omino che ha disegnato è vestito da clown, e la sua testa è circondata da un’aureola di capelli blu sparati in aria come fossero esplosi.
Generalmente lui i capelli se li taglia da solo. Si mette lì, davanti allo specchio, la lingua penzoloni e i lineamenti tesi per lo sforzo di concentrazione, e pretende di essere lasciato in pace fino a quando non ha finito.
- Questo taglio – dico, indicando lo schizzo, - ha bisogno di essere regolato, Matt. Non puoi tagliare a casaccio come fai di solito.
Scrolla le spalle e mi comunica orgogliosamente che per mia informazione l’acconciatura che sta portando adesso è tutta opera sua. Io annuisco e dico che, dal momento che la sua frangetta ha un buco nel mezzo, non avevo dubbi in proposito. Lui mi dà dell’idiota e, indicandosi l’occhio ancora violaceo dall’ultima rissa – che ha avuto luogo qualcosa come un paio di giorni fa perché qualche idiota di cui non ricordo il nome aveva detto una frase di cui non ricordo il contenuto a non mi ricordo chi di noi due – mi dice che non mi difenderà mai più la prossima volta che mi danno della puttana.
Mistero risolto.
Ribatto indicando il kilt che indosso, e dicendo che se vado in giro con una gonna è perché mi piace che mi diano della puttana.
Sorrido malizioso, mentre parlo, e so che lui ama imitare questa mia espressione. Infatti lo fa. Sul suo viso fa un effetto strano, è una cosa troppo tenera, somiglia tragicamente a Betty Boop. Ma non sarò certo io a dirglielo.
Sia come sia, risponde che la verità è che io indosso le gonne perché mi piace mostrare le gambe, perché sono una puttana.
- E ti pareva – borbotto, - figurati se perdevi l’occasione di darmi della puttana.
Mi fa segno di non aver capito e mi chiede per favore di muovere le labbra in maniera più normale, se proprio devo parlare.
- Tesoro. – affermo, scandendo bene ogni lettera, - Se faccio così è perché non voglio farti capire quello che sto dicendo.
Lui mette su un broncio carino, chiude l’album da disegno e si rotola sul plaid a scacchi, distendendosi sulla schiena e fissando le cime dei pini sopra di noi. Io rimango a pancia sotto. Voglio guardarlo ancora un po’.
*

Non capisco perché la gente abbia quest’idea così angelicata dei sordomuti.
Credo che in parte derivi dalla pietà che provano nei loro confronti, anche se potrebbe pure venire dalla convinzione che lunghe e gravi sofferenze rendano gli animi sensibili – che è una balla, si sa, ma alla gente piace sognare.
Comunque.
Io adoro Matt perché è l’anti-stereotipo.
Lui non è il tipo che quando camminiamo insieme per strada, e qualche stronzetto della scuola ci chiama “il frocio e l’handicappato”, china il capo e lascia che quegli occhioni immensamente celesti che si ritrova si riempiano di lacrime. No, affatto. Lui è il tipo che mi prende per un braccio e – senza neanche troppe difficoltà, devo ammetterlo – mi tira in mezzo alla rissa.
Lui è un egoista, non gli interessa praticamente niente del mondo che lo circonda, non gli interessa della fatica che fanno i professori per stargli dietro, non gli interessa delle persone che provano ad essere sue amiche, non gli interessa degli sforzi della donna delle pulizie per costringersi a non lamentarsi quando trova l’ennesimo paio di calzini usati nel cassetto invece che nella cesta della roba sporca. Niente. Gli basta essere felice con le cose che ha. Con le persone che ha. Lui non sta con le persone, lui le possiede. Se le appiccica addosso in ogni modo, sia esso uno sbattimento di ciglia, un sorriso affascinante, un’idea totalmente strampalata, un disegno particolarmente riuscito o un racconto strappacuore.
Lui è testardo, ed è anche abissalmente stupido, per quanto spiccato sia il suo talento artistico e quella strana forma di genialità con la quale fa funzionare il cervello. Suppongo che la gente gli darebbe dello stravagante – se lo conoscesse abbastanza bene. Ma Matthew è anche cocciutamente riservato, e se dopo sedici anni posso dire di conoscerlo è solo perché mi sono ostinato al punto che lui non ha potuto resistere e mi ha lasciato entrare.
In ogni caso, è talmente pieno di difetti che ad elencarli tutti uno si sconvolge, e non fa assolutamente nulla per nasconderli, non fa niente nemmeno per mitigarli, non fa niente per dare al mondo l’idea di essere anche solo un millimetro diverso da ciò che semplicemente è, ed è talmente orgoglioso di sé stesso che non si nasconderebbe neanche dopo aver commesso la peggiore delle nefandezze – per quanto io sia poco convinto del fatto lui abbia la capacità di compierne, per dire la verità.
Matthew mi piace perché Matthew non te l’aspetti. Guardi il visino pulito, il sorriso sincero e radioso, gli occhi limpidi in cui ti pare di poter leggere, e poi lui è un altro.
Lo so che è scontato.
Lo so che è la frase tipica dell’innamorato cronico.
Ma lui è diverso. Lo è davvero.
*

Mi tira per la gonna, interrompendo il flusso di pensieri francamente troppo melenso per poter essere tollerato ancora – grazie Matt, sei sempre puntuale quando si tratta di attirare la mia attenzione – e quando abbasso lo sguardo su di lui, dopo averlo fatto vagare sul prato e sugli alberi e sul disegno del plaid, lo trovo con un sacchettino di plastica trasparente tenuto fra l’indice e il pollice e un sorriso a dir poco criminale sul volto.
- Ancora?! – strillo esasperato.
Lui ridacchia.
Dal sacchettino si affacciano due o tre funghetti allucinogeni, di quelli che lui chiama amorevolmente “funghetti magici”, e che mi costringe ad accompagnarlo a comprare almeno una volta al mese. Lui senza questi cosi avrebbe difficoltà a sopravvivere, secondo me. Ne è palesemente dipendente. Resto convinto di questo, anche se in milioni ormai mi hanno detto che i funghetti non danno dipendenza. Non mi interessa. La dipendenza di Matt potrà non essere fisiologica, ma di sicuro è psicologica.
- Pensavo fossero finiti.
Lui scuote il capo e anche il sacchetto, come a dire “ci sono solo questi due, che si fa?”.
- D’accordo… - borbotto, a lui mi tocca le labbra e le stringe fra due dita.
È quello che fa sempre quando è infastidito dal mio borbottio. Quando borbotto parlo praticamente senza aprire bocca, e questo gli impedisce di leggere il movimento delle mie labbra. È una cosa che lo manda su tutte le furie.
Mi libero dalla stretta con uno scatto falsamente infastidito.
- Ho detto d’ac-cor-do! – scandisco bene, facendogli una linguaccia e girandomi di schiena, allargando braccia e gambe sulla coperta.
Lui si mette seduto e afferra la mia testa fra le mani. Dopodiché, rischiando di spaccarmi il collo, mi sistema col capo sulle sue ginocchia, e poi mi fissa compiaciuto.
Apre il pacchetto, tira fuori un fungo, me lo agita sopra la faccia.
Io volto il capo.
Non ho granché voglia di mangiarlo.
Troppo spesso, quando mangiamo questa roba, poi lo perdo di vista. Lui si alza in piedi e comincia a vagare per il parco con aria da folle, spaventando i bambini, totalmente ignaro delle urla delle madri che cercano di scacciarlo e richiamano il sorvegliante di turno. È capitato più volte che il guardiano più anziano – che ormai ci conosce – me lo riportasse per la collottola, con un rimprovero fisso pietrificato sui lineamenti duri del volto e nelle rughe vecchie come quelle dei tronchi delle querce. È capitato davvero troppo spesso che quell’uomo mi guardasse senza parlare, come volesse dirmi “ragazzino, dovresti stare più attento alle tue cose”. Ed è capitato davvero troppo, troppo spesso che dentro di me io continuassi quella ramanzina. E mi dicessi da solo “soprattutto se sono cose a cui tieni davvero”.
In realtà né il guardiano né il mio cervello hanno ancora capito una cosa semplicissima, che invece il mio corpo sa ormai di anni.
Matthew non è cosa mia.
Io sono cosa sua.
Mi sto preparando a diventare l’uomo che vivrà in sua funzione.
E anche se Matthew non vuole questo da me…
…sono io che lo voglio da lui.
*

Quando mi risveglio, lui è miracolosamente addormentato al mio fianco.
Non è un miracolo che si sia addormentato, eh. Va addormentandosi ovunque. Col fatto che preferisce passare la notte a fare altro piuttosto che dormire, come tutti i pazzi suoi simili, in genere vado ritrovandolo addormentato nei luoghi più disparati. Quando siamo fortunati è una panchina, ma è capitato anche che lo ritrovassi seduto in braccio a una qualche statua dentro una fontana in disuso. Per dire.
Oggi doveva essere particolarmente esausto, perché non mi ha mollato neanche per andare a fare la sua stupida passeggiatina allucinata fra i cespugli, mentre era sotto l’effetto dei funghetti, e ha preferito abbandonarsi lì dove stava, accanto a me, e fissare il cielo, immaginando di vedere le nuvole diventare consistenti e scendere per prenderlo in braccio e portarlo in volo dove preferisse.
Immaginando di crederci.
Lo scuoto per una spalla. Sono le dannatissime quattro e mezza del pomeriggio, e dobbiamo darci una mossa se vogliamo essere a casa sua a un orario decente. Sua madre potrà essere ancora a lavoro, ma la mia di sicuro sta già implorando tutti i santi del suo personalissimo santuario perché mi riportino a casa sano e salvo e preferibilmente illeso.
Matthew apre gli occhi, mi guarda, sorride, io gli leggo addosso il ritratto della felicità e mi dico che sono stato bravo. Anche oggi.
Torniamo a casa sua di gran corsa, e davanti alla porta lui mi chiede se mi va di salire. Ovviamente accetto – accetto sempre – e faccio per mandare un messaggio a mia madre per avvertirla. Lui mi lancia un sorrisetto piccolo e malandrino che vuol dire “che l’avverti a fare? Tanto già lo sa…”. Ed è vero, mia madre lo sa, ma io il messaggio gliel’ho sempre mandato, e non vedo perché dovrei fermarmi adesso.
Saliamo su, attacchiamo la cucina, divoriamo cinque o sei panini in due. Non restiamo neanche il tempo per… non so, magari digerire. Matthew si chiude in bagno, ne esce travestito da pagliaccio – con quella sua ridicola camicia bianca e gialla col panciotto e uno stupido cappello a cilindro come quello di Slash – e dopo avermi afferrato per i capelli mi trascina per strada.
Questo ragazzo non conosce il riposo.
Io invece sono notoriamente un pigrone, e questa simbiosi in cui viviamo mi sfianca.
…non c’è neanche bisogno che io dica che non mi sottrarrei a questa tortura per nulla al mondo…
*

Dopo la scrittura e il disegno, la giocoleria è la più grande passione di Matthew. Adora vestirsi da idiota e andare ai semafori a intrattenere gli automobilisti facendo volare le clavette in cerchio sulla testa.
Questa ennesima follia è cominciata per caso. Un giorno camminavamo per strada e lui aveva queste tre palline in mano… e ha pensato bene di mettersi sulle strisce pedonali a farle ruotare in aria sfidando gli automobilisti isterici a investirlo quando fosse scattato il verde. Quello che non si aspettava era che non solo non lo investissero, ma che alcuni lo chiamassero al finestrino per dargli in mano qualche spicciolo.
Quel giorno abbiamo scoperto che, se si vogliono guadagnare i soldi per strada, non ha senso cercare di fare un lavoro utile tipo lavare i vetri sporchi di pioggia fangosa delle macchine. È molto meglio fare qualcosa di totalmente inutile, che non servirà a nessuno, ma in compenso permetterà a chi sta fermo ad annoiarsi di passare il tempo in maniera totalmente spensierata, perdendosi nelle coreografie acrobatiche di tre o quattro clave, o di qualsiasi altro oggetto che possa servire allo scopo.
Matt ha il talento. Sta lì in mezzo e fa il suo mestiere.
Io sto attento al semaforo, e quando scatta il giallo vado a recuperarlo in mezzo alla strada, aiutandolo a recuperare al passaggio anche tutti gli spiccioli che guadagna.
È un hobby molto divertente e remunerativo, ma ovviamente è anche un hobby massacrante. Ogni sera Matthew torna a casa completamente disfatto.
Stasera non fa eccezione. Porta sul viso una tale quantità di stanchezza che ho quasi paura possa disgregarmisi fra le mani e sfaldarsi come terracotta secca.
Fortunatamente riusciamo a salire le scale e arrivare fino in camera sua. Si stende sul letto per un paio di minuti, poi si risolleva, recupera dei vestiti puliti raccogliendoli un po’ ovunque in giro per la camera, e scompare in corridoio.
Tempo per una doccia.
Mi seggo alla sua scrivania e accendo il computer. Matthew è vanitoso come una ragazza, passerà ore sotto il getto dell’acqua, e quanto ne uscirà sarà fresco e pulito come una rosa, e sembrerà più truccato di me. Sarà inquietante, io lo prenderò in giro, rideremo fino a sfinirci e probabilmente finirò per restare a dormire qui fino alle due anche oggi. Quando tornerò a casa mio padre vorrà la mia testa, ma non oserà toccare l’argomento Matthew, non oserà dirmi che dovrei smettere di vederlo perché è ovvio che mi incasina la vita.
È davvero ovvio, che mi incasina la vita.
Ma nessuno osa mai toccare Matt.
Io non ho mai permesso a nessuno di provarci.
Mentre aspetto che il computer carichi windows, l’antivirus, emule e tutto il resto, vago con lo sguardo sul panorama della stanza di Matthew, e mi compiaccio nel vedere che quello stupido e incasinatissimo altarino alla nostra relazione è ancora lì, nonostante gli anni e nonostante né io né Matthew gli prestiamo più tanta attenzione ultimamente. C’è quest’angolo, nella sua stanza, proprio fra l’armadio e la porta. È un luogo riparato, un luogo che quando entri in camera non vedi subito. Devi metterti sul letto, per poterlo guardare, o qui sulla poltroncina davanti alla scrivania.
Comunque, in quest’angolo c’è una di quelle stupide casette-bauli che contengono le sorpresine pasquali. Sono quei regali tristissimi che fanno gli zii e i nonni quando, scioccamente, credono che ai bambini interessino più i giocattoli del cioccolato. Sul momento potrà anche essere vero, ma non so più quante volte io stesso, dopo aver passato una mezz’oretta a rigirarmi un Action Man fra le mani, sono corso dalla mamma a chiedere “è l’uovo dov’è?”, per sentirmi rispondere “ma amore, non ti bastano tutti i giochini che hai ricevuto?”.
Come se i giochini si potessero mangiare!
Comunque, la casetta gialla e azzurra è lì. E Matthew ci ficca dentro tutto quello che io gli regalo. Da qualche parte dev’esserci perfino il rastrello con cui tutto è cominciato.
L’ultimo regalo che gli ho fatto è stato… ah. Sì. Lo stupidissimo CD di foto della Spagna, testimone dell’orribile viaggio estivo con mami, papi e fratellone. Non potevo non farglielo avere per due motivi fondamentali: il primo era che quelle foto sono praticamente il mio primo Servizio Fotografico. Ho costretto Barry a fotografarmi in pose assurde, riempiendo la digitale di primi piani e “foto artistiche”. Senza nudi, perché Barry avrebbe anche potuto uccidermi. E non che non ci abbia provato, quando ho comunque deciso di fare un tentativo e chiederglielo, eh.
Comunque è stato dopo quel viaggio che sono andato correndo da Matt a dirgli “ho capito cosa voglio fare dopo la scuola! Voglio diventare un modello!”. Per sentirmi dire che “per fare i modelli non basta essere belli, bisogna anche essere fighi. Tu invece hai scritto sfigato in fronte!”. Cioè, detto da lui, che è l’essere più sfigato dell’intero universo, è vagamente offensivo. Ma comunque.
Il secondo motivo è che – lancio uno sguardo al desktop… appunto. Matthew è fissato con la grafica e la manipolazione delle foto. Toglietegli tutto, ma non il suo photoshop. Adora prendere le mie foto e farne wallpaper stupendi, che poi spaccia in rete su quel folle forum che frequenta e nel quale io non ho mai avuto il coraggio di mettere piede.
Dal momento che non si premura di censurare la mia bellissima faccia, è ovvio che su quel forum sono pieno di ammiratori. Il topic “Brian negli esperimenti grafici di Matthew” – non si chiama veramente così, ma dal momento che non l’ho mai aperto se non una volta, per capire se dovessi cominciare a temere per la mia persona o meno, naturalmente non ricordo il vero titolo – insomma, quel topic pullula di gente che continua ad implorare Matthew perché organizzi incontri romantici fra loro e me.
Questa cosa manda Matt su tutte le furie.
Hehe.
Non so quante volte ha minacciato di mollare tutto, mentre io fingevo di fare il vergognoso imbarazzato e mi rigiravo sul suo letto gridacchiando “ma lui/lei è carino/a? Perché se lo è, allora…”. Adoro prenderlo in giro.
Fisso compiaciuto il nuovo desktop. Sì, sono bellino. Dai, avanti, sono proprio adorabile. Faccino pulito, sbiancato e lisciato ad arte dai filtri del programma di grafica, i capelli neri, lisci e lucenti, vestiti particolari, sguardo espressivo…
…sguardo espressivo…
Una volta ho chiesto a Matthew perché continuasse ad usarmi come modello per le sue manipolazioni, se gli dava tanto fastidio poi dovermi “dividere” col resto del mondo.
Lui ha messo su uno sguardo sognante e luminoso e mi ha risposto che avevo degli occhi troppo espressivi per poterli tenere imprigionati dentro una stanza, o dietro le palpebre tinte di nero. Mi ha detto “guardati”. Mi ha detto “sei bello”. Mi ha detto “non potrei mai perdonarmi, se decidessi di tenerti tutto per me”.
Mi ha praticamente ucciso.
E sono rimasto lì a fissarlo, seduto sul letto, mentre abbracciavo il peluche a forma di panda che tiene sul cuscino. L’ho guardato mentre sorrideva appena e poi tornava a concentrarsi sulla partita di tetris che scorreva tranquilla sullo schermo. L’ho osservato mordicchiarsi le labbra ed aggrottare le sopracciglia, mentre muoveva velocemente le dita sulle frecce direzionali della tastiera, per mettere i mattoncini colorati al loro giusto posto.
L’ho guardato e ho capito…
…cosa ho capito, quel pomeriggio?
Cosa ho capito in quel pomeriggio uguale a centinaia di altri?
Cosa? Che provavo qualcosa per lui? Che lui lo provava per me? Che avevamo una “storia”? Che quello che c’era fra noi non era più considerabile amicizia? Che non lo era mai stato, per quanto entrambi ci fossimo illusi per anni fosse così?
Per anni… per una vita… io non ho pensato ad altri che a Matthew, e anche quando lui sembrava star rivolgendo la propria attenzione a tutt’altro… probabilmente anche lui non ha fatto altro che pensare a me.
È così da tanto di quel tempo che fatico a ricordare altro prima di lui.
…questo è il grande problema della storia fra me e Matthew. Per quanto guardi indietro, non riesco a ricordare quando è cominciata, se mai l’ha fatto. E perciò, per quanto guardi avanti, non riesco a capire quando finirà. Se mai lo farà.
*

Dopo tre quarti d’ora di tetris, ho già battuto due volte l’ultimo record di Matthew. E sinceramente non sento il bisogno di batterlo una terza, anche perché poi Matthew potrebbe interpretare questo mio gesto come una sfida diretta nei suoi confronti, e non voglio che poi passi il resto della serata a lamentarsi di quanto io sia antipatico e provocatorio.
Chiudo il programma e vago con lo sguardo sul desktop.
Come sempre, vengo attratto dalla cartella in cui Matt tiene tutti i racconti che scrive.
Comincio a ripetere a me stesso “tu non entrerai, tu non aprirai quella cartella, tu sei più forte della tua curiosità, tu puoi mantenere il controllo”, come un mantra. L’acqua ha smesso di scrosciare in bagno, e so che a secondi sentirò i passi di Matt muoversi lungo il corridoio, lenti e strascicati, e che poi lo vedrò apparire dalla porta, e la sua presenza salverà me e lui dal disastro che combinerei se mi mettessi a spulciare la cartella… in cerca di qualcosa che parli di me.
Sì, lo so. Lo so che è ridicolo.
La freccetta del mouse indugia sulla cartella, io mi mordo l’interno della guancia a lancio un’occhiata preoccupata alla porta.
Nessun passo, nessun Matt.
Niente di niente.
Tu non entrerai, tu non aprirai quella cartella, tu sei…
Oh, al diavolo.
Dentro ci sono tre documenti.
Uno si intitola Bananas.
Apro, scorro.
È una storia su un bambino piccolo che vaga per casa sua e cerca qualcosa di carino con cui passare il tempo.
Chiudo.
Un altro si intitola Got Something.
Apro, scorro.
Un barbone. Riflessioni sulla vita. Abbastanza noioso.
Chiudo.
Il terzo si intitola Special.
…magari…
…no, niente, è una stupida lista delle canzoni che deve scaricare per me, visto che mio padre si rifiuta di mettere internet in casa, sa Dio per quale oscuro motivo, e si intitola “special” solo perché la prima in lista è Special K dei Placebo, e lui non s’è premurato di cambiare nome al documento rispetto a quello che word dà in automatico.
C’è anche un file di bloc notes.
Insomma.
Tanto, se non ho ancora trovato niente su di me… di sicuro non ci sarà niente di speciale neanche là dentro…
Apro.
“Brian, sei un cretino :D”

“Bananas Got Something Special”.
Mi accascio contro lo schienale della poltroncina e mi sento esausto come avessi corso per miglia.
Matthew ridacchia dietro di me e, nel tempo in cui io mi faccio venire un infarto e mi volto a guardarlo, lui sta già saltellando verso il letto, fresco di doccia, coi capelli ancora umidi, e si lascia alle spalle un buon profumo di shampoo alle mele.
- Vaffanculo! – scandisco bene, mostrandogli il medio e facendo per chiudere la cartella con un gesto stizzito.
Lui ridacchia ancora un po’ e poi si alza in piedi, camminando lentamente fino al mio fianco.
Lo fisso mentre si china, prende il mouse e, con un paio di doppi click un po’ qua e un po’ là, rende visibili i file nascosti della cartella.
Ce n’è solo uno.
Untitled.
Mi guarda, sereno, tranquillo. Non dice niente. Sorride e basta, incitandomi con un cenno del capo ad aprire il documento.
Deglutisco, obbedisco.
Scorro.
“So che lo leggerai prima che sia finito. Ricordati che è incompleto. Di una banalità sconcertante. Infantile. E che non l’ho riletto neanche una volta.”
Lo sento ridacchiare al mio fianco, ma non lo guardo. Non rispondo. Leggo.
E sospiro di sollievo.
Eccomi qui…
*

Non so se sentirmi più stupido o più felice.
Ho letto tutta d’un fiato questa storia effettivamente ridicola e melensa fra due ragazzi che s’incontrano da bambini e si innamorano e poi ne passano praticamente di tutti i colori fino al momento in cui boh, perché Matt s’è interrotto prima di scrivere il finale – comprensibilmente – e ci ho rivisto me. Ci ho rivisto noi. Senza nessun motivo reale, quei due personaggi non siamo noi, neanche assomigliano a noi, e solo alcune circostanze della nostra vita si rispecchiano nella loro. Anche loro si sono incontrati in un parco, tanto per cominciare. Ed anche loro vanno a scuola insieme. Ed anche loro amano passare i pomeriggi nel parco, e fine.
Ma l’ho sentito. L’ho sentito chiaramente, che quei due siamo noi. Che tutte le tenerezze che si scambiano, loro che sono di carta, e che quindi hanno potuto vivere tutti i momenti che noi, per paura e per difficoltà, ci siamo negati, sono le tenerezze che Matthew avrebbe voluto scambiare con me, che io avrei voluto scambiare con lui, che non hanno mai visto la luce se non nella nostra fantasia, e che tali sono rimaste per me, mentre lui le sfogava picchiando sulla tastiera.
Ho letto tutto, mentre Matthew saltellava nervosamente da un piede all’altro, dietro la mia schiena. Poi mi sono voltato. L’ho guardato. Mi sono alzato in piedi.
Ho dischiuso le labbra, fissandolo negli occhi, e poi le ho richiuse e ho preso a mordermele, inarcando le sopracciglia.
Lui mi ha guardato, interrogativo.
Io sapevo esattamente cosa volevo dirgli.
Semplicemente detestavo che lui non potesse sentirlo.
Perciò mi sono chinato su di lui e l’ho baciato.
È stato un bacio piccolo e stupido, ho appena sfiorato le sue labbra, e non è servito a nulla che lui invece si sia sporto in avanti, cercando di catturare il bacio e non lasciarlo più andare fin quando non fosse stato soddisfatto.
Come primo passo, è stato più che sufficiente.
Ho preso le sue mani tra le mie e sono rimasto lì a giocare, in piedi, fissando le punte delle sue dita, incapace di tornare a guardarlo negli occhi. Lui ha riso, e dopo qualche minuto di pazienza mi ha abbracciato.
Siamo rimasti abbracciati.
E io ho temuto che non ci saremmo più staccati. Che saremmo rimasti lì, incollati dall’imbarazzo e dal disagio, e che non avremmo più avuto il coraggio di tornare normali, quelli di sempre.
…poi fuori ha cominciato a piovere, Matt se n’è accorto prima di me e ha lanciato un gridolino di felicità e stupore, appiccicandosi col naso alla finestra per guardare meglio il giardinetto sul retro che veniva tempestato di enormi goccioloni pesantissimi, che costringevano l’erba a inarcarsi e schiacciarsi al suolo sotto di loro.
Mi ha guardato ed ha agitato le braccia, indicando i nostri vestiti, me, il giardinetto, di nuovo i vestiti, e improvvisando una sciocca danza saltellante.
- Nella maniera più assoluta, Matthew! – protesto io, indignato.
So esattamente cosa vuole fare, e non intendo andargli dietro, non stavolta!
Lo osservo sbuffare e scrollare le spalle, mentre sfila la maglietta da sopra la testa e sbottona i pantaloni, correndo allegramente fuori dalla stanza e giù per le scale, in direzione della porta sul retro. Neanche tre minuti dopo lo vedo rotolarsi nell’erba completamente nudo, felice come una pasqua. Come se quello che sta facendo fosse assolutamente normale, come stesse, chessò, giocando a nascondino o disegnando un paesaggio campestre.
Sospiro.
- Lo vedo male, il mio futuro. – mi rimprovero, sbottonando la camicia e preparandomi a seguirlo fuori di casa.
back to poly
  1. mi hai fatto commuovere, veramente. è la storia più triste e dolce che abbia mai letto. ç_ç
    sicuramente la mia preferita di quelle che hai scritto su questa coppia così assurda ma così bella che potrebbe anche essere vera…io ci spero almeno XD
    Seriamente, mai pensato di pubblicarla?è bellissima, e l’argomento è tra i più toccanti che ci possano essere. si commuove dinuovo
    Altra cosa….Ma incompleta vuol dire che non la finirai mai??? ç.ç domanda idiota
    Non potevi scriverci completa e via così mi mettevo l’anima in pace? XD
    Scusa il delirio ma mi ha veramente colpita!E secondo me meriterebbe di essere continuata….ci prova XD
    Un enorme applauso alla scrittrice è il saluto migliore :)

    Lilla
    06/10/2010 17:29

  2. Prima recensione anche se ti ho scovata da un pò.Inutile dire che scrivi benissimo;in maniera fluida, convincente, piacevole come una bevanda fresca!Questa storia è tenera,delicata e affronta una tematica difficile in maniera rispettosa.La descrizione del loro incontro da bimbi al parco mi ha fatto davvero piangere e me ne sono stupita..io piango raramente!Continuando a leggere la storia mi ha presa, e mi sono domandata come sarebbe potuta andare avanti.
    Cosa sarebbe successo ai Brian e Matt adulti nel confronto con il mondo vero e crudele del lavoro o dell’amore fuori dai confini protetti dell’adolescenza?Forse non lo scoprirò mai perchè vedo che la storia è datata e forse l’ispirazione ti ha abbandonata..però who knows magari la Musa ritorna a farti visita in quel caso sarò felice di leggerti ancora!
    Un abbraccio
    En.

    tappolina
    02/09/2011 03:00

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