Fandom: Originali
Genere: Generale.
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Gen.
- Vito è uno dei pochi fortunati (ma lui preferirebbe "intelligenti") ad essersi salvato dall'apocalisse zombie riuscendo non solo a sopravvivere, ma anche a costruire per se stesso una sistemazione tutto sommato agiata che è abbastanza sicuro di poter considerare anche a lungo termine.
Tornare in città per rifornirsi di benzina e viveri, però, lo costringerà ad un incontro destinato a stravolgere la sua vita per sempre.
Note: Scritta per la #zombiepocalypse, iniziativa estemporanea eterna sull'apocalisse zombie creata da me medesima perché sono pazza e gli zombie mi piacciono tantissimo (anche se in questa storia non se ne vede neanche uno X'DDD), ed anche per la challenge indetta da 500themes_ita, ispirandomi al prompt #33 (Appello disperato). Poi niente, in realtà ho sempre sognato di utilizzare Palermo e i suoi dintorni come ambientazione per una cosa simile, quindi niente, ho plottato un po' della storia e mi sa che a lungo andare ne verrà fuori una serie di shot di lunghezza varia ed eventuale, poi boh X'D Non prendetemi mai troppo in parola, ma sì, c'è questa possibilità.
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HOPELESS WANDERER

Quasi tutti quelli che avevano potuto prendere una barca, quando tutto il casino era scoppiato, erano morti poche settimane dopo come degli imbecilli. Vito li aveva lasciati fare – non era mai stato un brav'uomo di quelli comunemente intesi, non si era mai curato del prossimo proprio, specie quando una cura eccessiva nei confronti di qualcun altro avrebbe potuto tradursi in uno svantaggio per se stesso. In certe città cresci così per istinto di conservazione, e Palermo era una di quelle città, una di quelle in cui per cavartela dovevi essere capace di immergerti nel fango e nel lerciume anche fin sopra la testa, e poi ti toccava anche tirartene fuori da solo.
Quando il panico era scattato, la prima reazione della gente era stata di assoluta e disperata rassegnazione. C'era, nei palermitani e più in generale nei siciliani, una sorta di abitudine al lasciarsi andare ai pensieri peggiori con la certezza assoluta di non poter risolvere i problemi, che si era abbattuta su tutti quanti contemporaneamente, paralizzando interi quartieri. I più furbi, i più smaliziati, avevano approfittato di quel momento di stallo per abbandonare l'isola in qualsiasi modo; tutti gli altri erano semplicemente rimasti. E' una delle molte zavorre mentali che vivere su un'isola, per quanto grande, ti dà. Dovunque ti volti a guardare c'è mare. Qualsiasi strada prendi, sai che ad un certo punto dovrai fermarti ed arrenderti a qualcosa di più grande, profondo e arrabbiato di te.
La gente aveva cominciato a muoversi solo dopo, solo quando era diventato impossibile farlo. Quando "alcuni casi tenuti adeguatamente sotto controllo dalle autorità mediche nazionali e locali" erano diventati "centinaia, migliaia di casi in tutta la penisola, senza che nessuno riuscisse in alcun modo a porre un freno al contagio". Anche quella era una reazione tipica, da quelle parti. Si tendeva a restare immobili dove ci si trovava, sperando che la catastrofe non colpisse, finché non accadeva. Ed allora era troppo tardi.
La confusione più assoluta e totale era stata la reazione a quella consapevolezza, alla consapevolezza schiacciante di doversi muovere per forza, prima di perdere anche l'ultima cosa che fosse rimasta da perdere, vale a dire la propria vita.
Avevano cominciato a muoversi tutti in massa, intasando le autostrade. I risultati di questa pazzia erano ancora evidenti ovunque, se solo ci si azzardava ad avventurarsi nelle campagne appena fuori dalla città: lunghissime file di macchine si estendevano fino a perdita d'occhio, sfumandosi nell'aria pesante ed umida del mare all'orizzonte, adagiate su un letto di brandelli di corpi morti – braccia, gambe, teste, tutti quei pezzi che da soli non potevano muoversi.
Chi aveva potuto, si era imbarcato. Le navi ed i traghetti avevano fatto avanti e indietro dalla Sicilia alla penisola per un paio di settimane. Poi avevano semplicemente smesso di tornare, ed a questa tremenda consapevolezza – quella di essere appena rimasti soli, di essere stati abbandonati al proprio destino – era seguito l'assalto al porticciolo turistico.
A rientrarci adesso – cosa che Vito faceva puntualmente una volta ogni due mesi – non lo si sarebbe mai detto, ma un tempo quel porto era stato così pieno di barche che, quando una doveva uscire, bisognava sempre farle spazio spostando le altre. Era stato bonificato pochi mesi prima dell'outbreak. Fino al mese precedente era stato talmente affollato da rendere impossibile perfino il recupero dei relitti dei pescherecci affondati nel corso degli anni, ed a contraddistinguerlo, più che l'ordine e l'aspetto gradevole, era l'insopportabile puzzo delle sue acque stagnanti.
Era stato il vanto e l'orgoglio della città per qualche mese. Poi, nessuno aveva più avuto il tempo, il modo e la voglia di curarsene. Vito aveva osservato il suo decadimento nei mesi con un certo compiaciuto interesse. Prima della bonifica, il porto era il suo luogo preferito in tutta la città. Adorava osservare l'umanità viva e frenetica che lo affollava, specie nelle prime ore della notte e del giorno. I pescherecci con le lampare che scomparivano nel buio fitto ed uniforme della notte – quel momento meraviglioso in cui all'improvviso il mare era più luminoso del cielo –, i volti stanchi dei pescatori quando tornavano indietro all'alba, le reti cariche di pesci metà dei quali sarebbero andati buttati entro sera.
Quando il porto era stato ripulito, nessuna di quelle scene si era più verificata da quelle parti. Il molo per la partenza dei pescherecci era stato chiuso, ed i pescatori erano stati costretti a spostarsi più ad est, oltre il fiume. Intorno al porticciolo turistico, lungo le aiuole che costeggiavano la curvatura del golfo, erano state installate delle graziose panchine di pietra, che non erano mai servite a nessuno, perché ormai in quel punto non c'era più niente da vedere.
Le panchine erano sopravvissute ai non-morti. Le barche no. Chiunque ne possedesse una – e spesso anche molti di quelli che non ne possedevano una ma erano disposti a passar sopra al dettaglio pur di salvarsi la pelle – aveva fatto presto ad imbarcarsi ed allontanarsi il più possibile. Idioti, ovviamente, guidati dall'avventatezza e dalla paura. Si erano quasi tutti ritrovati presto in mare aperto, senza carburante né viveri con cui sopportare la traversata. I più fortunati erano morti. Molti altri erano impazziti, e la loro sorte era stata anche peggiore.
Altri, ancora più idioti, s'erano fermati al largo, ed avevano gettato lì l'ancora, convinti che smettere di vedere la città, anche solo in lontananza, avrebbe risolto il problema. Per Vito, erano questi, i peggiori. Puntualmente erano costretti a tornare indietro, sprecando quantità indecorose di benzina fra l'andata ed il ritorno. Avevano fatto in fretta a prosciugare tutti i distributori di benzina nelle vicinanze del porticciolo, cosa che aveva provocato non pochi disagi a Vito, che invece aveva avuto il buonsenso di imbarcarsi, sì, ma fermarsi vicino alla costa. I non-morti non avrebbero potuto raggiungerlo comunque, i bastardi non nuotavano. Era assolutamente inutile fermarsi più lontano di così. Bastava che ci fosse dell'acqua in mezzo.
Inspirando ed espirando lentamente per scacciare via il nervosismo, Vito saltò giù dal bordo della Serenella, la barca che aveva rubato per prendere il mare quando aveva ritenuto opportuno farlo, atterrando con sicurezza sul pavimento coperto di cemento del molo. Si chinò per ormeggiarla e, quando fu sicuro di aver stretto abbastanza il nodo, s'incamminò lungo la strada, lo zaino vuoto sulle spalle, il bastone di legno che usava per difendersi legato dietro la schiena e le taniche di benzina vuote attaccate alla cintura. Aveva una lunga strada da percorrere, di fronte a sé.
Fortunatamente, quella parte della città sembrava deserta. Era anche ora che i bastardi cominciassero ad allontanarsi da quella zona, finalmente. Era uno dei motivi per cui, posto di fronte alla scelta fra imbarcarsi e trasferirsi sulle montagne nell'interno, aveva preferito la prima opzione. Le montagne potevano regalare un po' di tempo in più, era palese che, prima di spostarsi all'esterno della città, i non-morti avrebbero fatto piazza pulita di quello che avevano più a portata di mano, ma prima o poi la città non avrebbe avuto altro da offrire loro, ed a quel punto era evidente che anche le montagne avrebbero smesso di essere un luogo sicuro. Il mare, invece, non avrebbe smesso mai. Era quel qualcosa di fronte alla quale i non-morti dovevano fermarsi per forza.
Guardandosi con circospezione intorno, camminò velocemente verso quella zona, dopo il porto commerciale, in cui negli anni si erano andati accalcando benzinai di cinque o sei compagnie petrolifere differenti. Era stato lì che aveva fatto l'ultimo rifornimento di benzina per la Serenella, due mesi prima. Sperava di trovare ancora qualcosa – il benzinaio successivo non era a meno di sei chilometri da lì... probabilmente, la prossima volta avrebbe fatto meglio a portare con sé il necessario per passare la notte in città e tornare sulla barca alle prime luci dell'alba. Come un pescatore al contrario.
Fortunatamente, non dovette spingersi oltre, quella volta. Uno dei cinque distributori aveva ancora qualcosa da offrirgli. Riempì le due taniche azionando la pompa manualmente, muovendosi lento e con cautela, per non fare rumore. Dopodiché, non potendo più riagganciarle alla cintura, prese una tanica per mano e cominciò ad incamminarsi verso il porto.
Fu allora, nel silenzio irreale ed ostile della città, che sentì il bambino piangere.
Era un suono talmente assurdo, quasi surreale, inserito nel contesto, che Vito non riuscì ad impedirsi di seguirlo, introducendosi all'interno di uno dei numerosi edifici residenziali della zona ed imboccando le scale, seguendo la traccia di quell'eco a rimbombare fra le pareti. Si trattava probabilmente dell'atto più sconsiderato e stupido della sua intera esistenza, un atto che, lo sapeva, avrebbe potuto facilmente costargli la vita. Ma l'idea di ignorare il pianto di un bambino in fasce, magari perfino abbandonato a se stesso in uno di quegli appartamenti una volta così lussuosi, lo opprimeva terribilmente.
La porta dell'appartamento dal quale sembrava provenire la voce era socchiusa. Niente di strano, considerando che le razzie seguenti alla crisi di panico più irrazionale avevano a stento risparmiato qualche edificio in periferia. Il tramonto era passato da un pezzo, ma c'era ancora abbastanza luce da potersi permettere di non usare la torcia. Se così non fosse stato, probabilmente Vito avrebbe trovato più pressante la necessità di non sprecare inutilmente batterie che solo con estrema difficoltà avrebbero potuto essere sostituite, ed avrebbe rinunciato, tornando alla Serenella senza ripensamenti.
Fu la luce fioca della sera che filtrava dalla serranda spalancata di una delle stanze dell'appartamento a guidarlo verso il bambino, nonostante il pianto si fosse infine placato. Non poteva avere più di tre, quattro mesi. Era perfino ancora un po' grinzoso. Nonostante non piangesse più, il viso era ancora arrossato ed i lineamenti tesi per lo sforzo. Sembrava addormentato. Non aveva alcun senso che si trovasse lì.
Almeno in apparenza.
- Minchia. – Vito sollevò entrambe le mani, lasciando scivolare le taniche a terra, nel sentire il click del caricatore della semiautomatica, ed il freddo della sua bocca di metallo premuto contro la nuca.
- Non ti muovere. – disse la donna, girandogli attorno – la bocca della pistola che scivolava dalla sua nuca al suo collo – per permettergli di vederla. Era magra. Sciupata. Bionda. Un tempo, prima della fame e del bambino, doveva essere stata molto bella.
- Me ne vado. – provò Vito, cercando di suonare rassicurante. D'altronde, non aveva mai avuto la minima intenzione di fare del male al bambino. Così come non aveva la minima intenzione di morire lì, in quel cazzo di appartamento, lasciando magari ogni libertà a quella stronza di fottergli le chiavi della Serenella e prendere il largo con quel moccioso sul groppone.
- Che minchia dici? – quasi lo rimproverò lei, aggrottando le sopracciglia sottili e tanto bionde da sembrare trasparenti. Non era la tipica siciliana, ma d'altronde bastava vivere a Palermo per qualche mese per rendersi conto che "la tipica siciliana" non era mai esistita, e nella popolazione palermitana anche al giorno d'oggi esistevano ancora tutte le tracce delle decine di popolazioni più svariate che nel corso della storia l'avevano conquistata, e poi se l'erano lasciata sfuggire fra le dita. - Prendi il bambino.
- No, ma guarda che non voglio—
- Prendi il bambino, ho detto! – insisté la donna, conficcandogli la pistola sotto il mento con una violenza inaudita. Nell'osservarlo ancora immobile, gli occhi spalancati e le mani tremanti sollevate a mezz'aria, scosse il braccio per sollevare la manica della larga blusa bianca che indossava, mostrando un morso già in cancrena poco sotto il gomito. - Sono stata morsa quasi un mese fa. Non mi resta più di qualche giorno. Prendi il mio bambino e portalo con te.
- Senti, - cercò di ragionare lui, inspirando ed espirando lentamente, - io vivo da solo. Non ho idea di come occuparmi di un bambino, con me è tanto spacciato quanto lo è con te.
La donna aggrottò le sopracciglia, l'espressione severa, scrutandolo in silenzio per qualche secondo, prima di piantargli la pistola ancora più in profondità nella gola.
- Se non lo prendi, non mi servi. – disse. E fu qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che parlava di freddezza, crudeltà e sopravvivenza, lo stesso qualcosa che Vito aveva riconosciuto guardandosi allo specchio quando aveva deciso che avrebbe trovato una barca e l'avrebbe presa anche a costo di uccidere un uomo, a fargli capire che diceva sul serio.
- Va bene. – disse quindi, chiedendosi quanto tempo quella donna avesse passato lì da sola a prendersi cura del suo bambino senza mai abbandonare un appartamento tanto centrale, - Lo prenderò con me.
La donna annuì, allontanando la pistola dalla sua gola ma tenendogliela sempre puntata contro. Le sue mani non tremavano nemmeno, nonostante la febbre che doveva bruciarle dentro a causa dell'infezione.
Vito assicurò con qualche difficoltà le taniche di benzina alla cintura e si chinò sulla culla, prendendo in braccio il bambino, che gemette appena, ma non protestò, né sembrò svegliarsi.
- Lì c'è una borsa con tutte le sue cose. – disse la donna, indicandogli una vecchia tracolla imbottita dalla quale faceva capolino una confezione mezza vuota di pannolini, - Si chiama Michele. Non azzardarti a cambiargli nome.
- Non lo farò. – promise lui, deglutendo a fatica. Doveva solo uscire da quella casa. Allontanarsi da quell'appartamento e da quel palazzo. Al resto avrebbe pensato in seguito.
La donna annuì ancora, facendogli un cenno verso la porta.
- Levati dal cazzo. – disse.
Vito indietreggiò lentamente, la tracolla a pesargli su una spalla, il bambino stretto fra le braccia. Solo quando fu lontano dalla sua portata si azzardò a voltarsi e fuggire giù per le scale.
Era a metà strada quando sentì lo sparo.
- Merda... – sibilò, guardando istintivamente al bambino fra le sue braccia. Aveva aperto gli occhi e lo fissava con sgomento, ma senza paura. Sua madre aveva certamente cominciato a crescerlo bene. Ed era stata molto intelligente ad affibbiarglielo quando era ancora nel pieno delle proprie facoltà mentali e poteva ancora decidere cosa sarebbe stato della sua vita.
Non era stata altrettanto intelligente a spararsi in fronte, però, e questo fu evidente quando, una volta uscito di nuovo all'aperto, Vito sentì i familiari gemiti dei non-morti annunciare la loro imminente comparsa all'orizzonte. Tutto quel rumore doveva averli attirati, e lui doveva ancora trovare un supermercato per trovare qualcosa da mangiare per sé e per il suo nuovo ospite.
Fortunatamente, pensò stringendo il bastone di metallo in una mano e il bambino al petto con l'altra, assieme a non saper nuotare quei bastardi non avevano ancora nemmeno imparato a correre.
back to poly
  1. Tu la ami così tanto che soffrirai da bestia nell’andartene, se dovesse succedere.

    *si prende un momento per applaudire*

    defe
    15/10/2012 15:13

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