Genere: Introspettivo, Romantico, Commedia, Triste.
Pairing: Chakuza/Fler.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, AU.
- Una sera, Fler torna a casa propria e trova un uomo sconosciuto e palesemente ubriaco steso sulle scale all'ingresso del proprio palazzo. L'uomo puzza e non sembra intenzionato a passare la notte restando in vita, se abbandonato a se stesso, e per tale motivo, dopo una discussione vagamente surreale, Fler decide di accoglierlo in casa propria, almeno per la notte. La cosa, però, avrà conseguenze di un certo spessore, conseguenze che cambieranno per sempre la vita di tutti i protagonisti di questa vicenda.
Note: Dunque, che questa storia esista, a partire da una foto in cui Chakuza era vestito come un pezzente, è già una cosa abbastanza allucinante XD Non contenta di aver dato il via ad una cosa simile partendo da un pretesto abbastanza ridicolo, ho scritto a lungo. Molto a lungo. Nel senso che la storia è lunga quasi trentamila parole ed ho perciò saggiamente deciso di dividerla in tre parti per evitare che chiunque voglia leggerla (se mai qualcuno vorrà o_ò) debba smazzarsi una roba infinita. Per cui niente, spero che vi piaccia e spero anche di ricordarmi di aggiornare con frequenza, visto che comunque è tutto già scritto XD (Tra l'altro, senza parole: ho cominciato a scrivere questa storia il giorno stesso in cui è scaduto il BBI... bastarda, potevi plottarti/scriverti tutta prima è.é Almeno avrei portato tre fic come avevo promesso ç.ç)
Pairing: Chakuza/Fler.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, AU.
- Una sera, Fler torna a casa propria e trova un uomo sconosciuto e palesemente ubriaco steso sulle scale all'ingresso del proprio palazzo. L'uomo puzza e non sembra intenzionato a passare la notte restando in vita, se abbandonato a se stesso, e per tale motivo, dopo una discussione vagamente surreale, Fler decide di accoglierlo in casa propria, almeno per la notte. La cosa, però, avrà conseguenze di un certo spessore, conseguenze che cambieranno per sempre la vita di tutti i protagonisti di questa vicenda.
Note: Dunque, che questa storia esista, a partire da una foto in cui Chakuza era vestito come un pezzente, è già una cosa abbastanza allucinante XD Non contenta di aver dato il via ad una cosa simile partendo da un pretesto abbastanza ridicolo, ho scritto a lungo. Molto a lungo. Nel senso che la storia è lunga quasi trentamila parole ed ho perciò saggiamente deciso di dividerla in tre parti per evitare che chiunque voglia leggerla (se mai qualcuno vorrà o_ò) debba smazzarsi una roba infinita. Per cui niente, spero che vi piaccia e spero anche di ricordarmi di aggiornare con frequenza, visto che comunque è tutto già scritto XD (Tra l'altro, senza parole: ho cominciato a scrivere questa storia il giorno stesso in cui è scaduto il BBI... bastarda, potevi plottarti/scriverti tutta prima è.é Almeno avrei portato tre fic come avevo promesso ç.ç)
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EVERYTHING I OWN
I would give everything I own
Give up my life, my heart, my home
I would give everything I own
Just to have you back again
Just to hold you once again
Give up my life, my heart, my home
I would give everything I own
Just to have you back again
Just to hold you once again
- No. – rispose seccamente, guardando Nyze con aria allucinata. Lui, ancora disteso sulla sdraio, sollevò il capo di qualche centimetro ed abbassò gli occhiali da sole sul naso, lanciandogli un’occhiata supponente ed inarcando un sopracciglio con l’aria di uno che si sia sentito decisamente dire un no di troppo. Attorno a loro si apriva la splendida terrazza dell’appartamento in cui Nyze e Kay abitavano da ormai quasi due mesi. A frapporsi fra i loro corpi e le loro sedie a sdraio, soltanto l’ombrellone sotto al quale Kay, seduto su un telo di un bel giallo acceso, giocava col Nintendo DS.
- Come sarebbe a dire no? – chiese Nyze, glaciale. Chakuza si tirò su sui gomiti, sistemandosi il berretto sulla testa.
- Sarebbe a dire no. – insistette, - Cosa dovresti fartene di uno yacht? Il mare neanche ti piace.
- Piace a me. – buttò lì Kay, restando perfettamente concentrato sul proprio giochino.
- Sta’ un po’ zitto. – disse Chakuza, burbero, tirandogli uno scappellotto sulla nuca prima di tornare a guardare Nyze, la domanda ancora palese negli occhi.
Per tutta risposta, lui scrollò le spalle, come fosse una cosa perfettamente naturale.
- Be’, Bushido ne ha uno, no? – chiese, e Chakuza gettò le gambe giù dalla sdraio, mettendosi seduto e girandosi per poter guardare Nyze senza doversi far venire il torcicollo.
- Certo, che s’è comprato da sé, coi soldi che ha guadagnato. – rispose, cercando di riportare della razionalità in quella conversazione ma ottenendo soltanto che il sopracciglio di Nyze si sollevasse fino ad altezze fino a quel momento soltanto immaginate dal glorioso popolo delle sopracciglia umane.
- I soldi che ha guadagnato come, ammazzando la gente? – obbiettò pacato. Chakuza s’imbronciò, incrociando le braccia sul petto.
- Il motivo del potere economico di Bushido non è il fulcro della discussione, adesso. – puntualizzò seriamente, - Nyze, avete voluto l’appartamento e l’avete avuto. Avete voluto una retta mensile per tirare avanti nel lusso, e l’avete avuta. Avete voluto i cellulari e le macchine nuove, e avete avuto anche quelle. Tutte queste richieste sono state più o meno ragionevoli, se si pensa che sono state fatte nell’ambito di un ricatto, ma— uno yacht? Sul serio?
Nyze scrollò nuovamente le spalle, sistemando gli occhiali da sole al loro posto e tornando a distendersi sulla sdraio.
- Ti ripeto, Bushido ne ha uno, no? Non vedo per quale motivo uno come Bushido dovrebbe avere più cose di quante ne ho io. Le merita di più, forse?
- Non ho detto questo, - borbottò Chakuza, - ma capisci che stai delirando. Bushido ha anche una villa in Austria ed un casinò a Las Vegas, vorrai anche quelli, fra un paio di mesi?
- Perché no? – ritorse lui, tornando a sfilare gli occhiali per guardarlo in viso, - Chakuza, io ho dato via il culo per quindici anni della mia vita.
- Esatto, il culo. – lo interruppe Chakuza, reggendo il suo sguardo, - La testa si suppone tu l’abbia tenuta ancorata al collo per tutto il tempo. Stai dicendo idiozie, Nyze, e io non posso—
- Ero un bambino quando mio padre è morto e mio zio mi ha messo per strada e mi ha detto di rendermi utile. – proseguì lui, disinteressandosi delle sue proteste, - Mia madre ha pianto giorno e notte per mesi e sono scappato di casa perché mi pesava più quello che dovere lasciare che dei luridi vecchi mi mettessero le mani addosso per tutta la notte per un po’ di soldi. Ed anche andandomene ho dovuto continuare a subire quelle stesse umiliazioni per anni, perché sennò come facevo a tirare a campare? E Bushido, invece? Ha sempre avuto una gang sulla quale fare affidamento, fin da quando è entrato nel giro. Non s’è mai sporcato le mani, o se l’ha fatto non l’ha mai fatto da solo. Mi chiedi se voglio spremere da Bushido tutto quello che riuscirò a spremerne? Certo che sì, Chakuza. Certo che sì. È il minimo.
Chakuza trattenne il respiro per qualche secondo, stringendo i pugni lungo i fianchi.
- D’accordo, - disse quindi, alzandosi in piedi, - ma da qui in poi te la sbrighi da solo, Nyze. Io non ho niente contro Bushido, sto bene come sto.
- Devo ricordarti che se stai come stai lo devi anche a una menzogna che io ti ho spinto a raccontare?! – scattò Nyze, mettendosi seduto all’improvviso e scaraventando gli occhiali da sole firmati contro il pavimento, - Cristo, ma ce l’hai un po’ di riconoscenza dentro quella testa di cazzo? No, figurarsi, lui ormai è una persona migliore, sta col suo bel ragazzo nella sua bella casa e fottesega di tutto il resto! – si alzò in piedi, muovendosi nervosamente attorno alla sdraio prima di tornare a fronteggiarlo. – Cosa ne diresti, Chaku, se dicessi tutta la verità a quella cretina della tua fidanzata?
Chakuza aggrottò le sopracciglia, muovendosi verso di lui e sfidandolo con lo sguardo.
- Attento a come parli, Nyze. – lo minacciò cupamente.
- Perché, se no? – rise lui, ad alta voce, - Pensi che ti resterebbe accanto, Chaku? Pensi che ti perdonerebbe? Neanche uno idiota come lui ti resterebbe vicino dopo aver scoperto una cosa del genere! Noi siamo gli unici amici che hai.
- Per favore, non litigate… - sospirò Kay, continuando a fissare solo ed esclusivamente il proprio videogioco. La sua voce, nel clima surreale che li avvolgeva tutti, risuonò stucchevole e falsa, come quella di qualcuno che si sforza di mantenere il proprio ruolo in una commedia tragica, pur non sentendoselo più addosso da un pezzo.
Chakuza si allontanò di un passo, poi di un altro, poi di un altro ancora.
- Non ho più amici, allora. – disse a bassa voce, prima di voltare a Nyze le spalle per rientrare in casa e recuperare le proprie cose.
- Chakuza. – lo richiamò Nyze, senza però rincorrerlo, - Chakuza!
Chakuza non rispose. Era già per strada meno di cinque minuti dopo.
Aveva bisogno di riprendere contatto con quelle parti di lui, perché puoi nascondere qualcosa solo quando sai bene cos’è, ne vedi bene la sagoma, sai riconoscerla. Non puoi tenere segreto qualcosa che non ti appartiene più, è come indossare un cappotto chiuso fino al collo ma senza calze ne scarpe. Ad una prima occhiata, tutti sapranno che sotto sei nudo.
Si lasciò guidare dai propri piedi, camminando lentamente fino al baraccone che era stato casa sua per tanti anni. Era incredibile quanto l’avesse sentito lontano in quel mese in cui non l’aveva mai visto e non ci era mai tornato. Per tutto il tempo in cui ci aveva abitato, si era sempre ripetuto che quello non era il suo posto, che erano state solo una serie di situazioni a trascinarlo fino a lì. Che lui avrebbe dovuto essere qualcosa di molto migliore di quello, perché non era stupido, era bravo in molte cose che non c’entravano niente col sesso, ed era tristissimo che invece vivesse proprio lì e facesse proprio quello per tirare avanti. Ora che lo rivedeva, però, gli bastava un niente per sentirlo improvvisamente molto più suo di quanto non fosse mai stato quando ci viveva dentro. Era la parte di sé da cui si era sempre forzatamente tenuto lontano, la parte che si svegliava di notte e che uccideva dormendo per tutto il resto della sua giornata. Eppure era lì, ingombrante e fatiscente, sempre sul punto di crollare ma con un qualcosa di eterno a venare le pareti di lamiera sporca, qualcosa che ti dava la certezza che quell’edificio apparentemente tenuto su con lo sputo in realtà non sarebbe mai caduto. Sarebbe rimasto in piedi per sempre. Così come la parte di sé che per dieci anni s’era venduta per le strade di Berlino. Poteva allontanarsene, metterla da parte, nasconderla agli occhi di Fler, ma sarebbe comunque rimasta lì. Ed era un qualcosa che doveva accettare, prima di tornare a casa.
Si prese il proprio tempo, restando in silenzio mentre girava attorno al baraccone e poi sporgendosi attraverso una delle finestre per verificare che fosse ancora vuoto. Non lo era, naturalmente. Per quanto potesse far schifo, era comunque un tetto più o meno solido e più o meno asciutto sopra la testa, ed il barbone che stava accucciato sul letto di Nyze aveva dovuto impiegare meno di dieci minuti per insediarsi lì con le sue poche cose. Si chiese brevemente quale sarebbe stata la posizione di Nyze se avesse visto quest’uomo infreddolito, vecchio, stanco e sporco nel letto che fino a un mese fa occupava lui. Cos’aveva fatto quel barbone per meritare questo? Non avrebbe anche lui, come Bushido, avuto diritto ad uno yacht, una villa in campagna, una bella casa e una piscina? Eppure era lì, e non stava ricattando nessuno. Stava stretto nei propri stracci e tremava e provava a dormire e non dava fastidio ad anima viva, non causava dolore ad anima viva, meno che a se stesso.
Si allontanò dalla finestra con un sospiro, infilando le mani nelle tasche dei jeans e stringendosi nel giubbotto. Odiò per un attimo i propri vestiti nuovi, e poi imboccò la via del ritorno.
A casa, Fler lo aspettava con impazienza talmente bruciante che, quando aprì là porta, Chakuza se lo ritrovò addosso prima ancora di poter muovere un passo all’interno dell’appartamento.
- Ma dove cazzo sei stato? – gli chiese, la voce piena di sollievo ma allo stesso tempo ancora venata da una punta di preoccupazione, - Potevi almeno avvertire che avresti fatto tardi. – borbottò pigiandogli la fronte.
Chakuza sorrise, intenerito, restituendogli il tocco e ridendo della sua risata infantile.
- Potevi chiamare. – rispose, - Avrei risposto.
- Non ci ho pensato. – ammise Fler, vagamente stupito, per un secondo, dalla consapevolezza della propria stupidità. Una consapevolezza che lasciò celermente scivolare dietro le spalle quando Chakuza riuscì ad avanzare di due passi all’interno dell’appartamento, sfilando la giacca e stiracchiandosi un po’. – È venuto a trovarti Nyze! – disse quindi, entusiasta, - Speravo che avresti preparato tu qualcosa per cena, ma visto che si faceva tardi ho chiamato Bushido e gli ho chiesto di portarmi delle pizze. Così in pratica credo che si fermerà qui a mangiare pure lui. E io sto pensando adesso che forse avrei fatto meglio a chiederti prima se potevo invitare tutta questa gente a cena, mh? – chiese quindi, osservando la sua espressione improvvisamente cupa e tesa, - Sei molto stanco?
- No, non— hai detto Nyze? – balbettò lui, cercando di sciogliere un po’ i muscoli prima che iniziassero a dolere. – È qui?
- Sì, sono qui. – rispose Nyze apparendo dal corridoio dietro di lui. La sua espressione era contrita, sinceramente dispiaciuta, e Chakuza si sentì stringere il cuore in una morsa nel rendersene conto. In fondo, sia lui che Nyze che Fler che Bushido che il barbone nel baraccone non erano che uomini che cercavano di farcela, chi in un modo, chi in un altro, secondo le proprie possibilità. Forse, si disse, non avrebbe dovuto voltargli le spalle così nettamente, quel pomeriggio. Si parlava comunque di un uomo che aveva conosciuto per metà della sua vita, un uomo che gli era stato vicino, che si era perfino sacrificato per lui, per quanto aveva potuto. Un uomo che magari aveva un po’ perso di vista il senso della misura, ma che stava solo cercando di riappropriarsi di ciò che credeva di meritare, di ciò che pensava la vita gli avesse tolto ingiustamente. Possibilità, ricchezze, felicità. Era così diverso da lui? Lui che mentiva continuamente a Fler pur di tenerselo stretto contro?
- È successo qualcosa? – chiese un po’ a caso. Non poteva essere successo niente, d’altronde, l’ipotesi più probabile era che Kay fosse stato risucchiato all’interno del suo stupido videogioco e non riuscisse più a venirne fuori, il che la diceva lunga sul grado di probabilità di tutte le altre cose che avrebbero potuto essere successe nelle ore in cui lui era stato via, ma non sapeva in che altro modo riuscire a far percepire a Nyze che aveva capito come si sentiva, e se ne dispiaceva.
- No, - rispose lui, scuotendo il capo, - è che… volevo parlare un po’ con te. Si può? – chiese, guardandolo negli occhi.
Fler, che dopotutto, vivendo a stretto contatto con Bushido, per quanto l’uomo cercasse di proteggerlo, di scene simili doveva averne viste a bizzeffe, fece immediatamente un passo indietro, stringendosi nelle spalle.
- Ragazzi, se avete bisogno di un po’ di tempo per discutere potete andare in camera da letto. – propose, - Io me ne starò buono a giocare in salotto, ok? – aggiunse con un sorriso, chinandosi a lasciare un bacio lievissimo sulle labbra di Chakuza prima di sparire in corridoio.
Nyze rimase immobile in attesa fino a quando Chakuza non annuì e gli passò accanto, facendogli segno di seguirlo in camera. Ed anche una volta che si furono chiusi la porta alle spalle, Chakuza lo osservò a lungo rimanere perfettamente in silenzio ed evidentemente a disagio, gli occhi bassi e il peso del corpo che finiva spostato di frequente da un piede all’altro, portandolo a dondolare di continuo.
- Allora… - cominciò quindi Chakuza, passandosi stancamente una mano sulla nuca, - Cosa…?
- Mi è dispiaciuto che sia finita a quel modo, oggi. – disse Nyze, avvicinandosi di un passo e guardandolo dritto negli occhi, - Non volevo farti arrabbiare. E non perché sei il mio tramite con Bushido, ma perché sei un compagno e un amico. E una persona di cui m’importa.
Chakuza sorrise, annuendo appena.
- Grazie. – rispose, - Vale lo stesso per me. Ho riflettuto molto, oggi, e mi sono sentito molto in colpa anch’io. Non avrei dovuto mollarti in quel modo. Non— non avrei dovuto farlo e basta.
Nyze sorrise a propria volta, palesemente sollevato, porgendogli una mano.
- Siamo a posto, Atze? – chiese con un po’ d’incertezza. Chakuza strinse la mano con sicurezza, invece, e il suo sorriso divenne più convinto.
- Siamo a posto. – rispose, e Nyze lasciò andare un sospiro liberatorio.
- Bene! – annuì, scuotendogli la mano e stringendola per qualche secondo anche con l’altra, prima di lasciarla andare, - Perché ti devo annunciare che io e Kay abbiamo rinunciato all’idea dello yacht.
- Mi sembra un’ottima cosa. – rise Chakuza, riuscendo finalmente a sciogliere tutti i muscoli tutti assieme, così repentinamente da sentirsi quasi cedere le gambe, - Uno yacht, Dio mio. – aggiunse, come a rafforzare l’assurdità del pensiero stesso.
- Sì, infatti. – rise anche Nyze, - E poi è vero, a me il mare non piace. Sai cosa mi piace, invece? – disse con aria sognante, e Chakuza percepì il pericolo direttamente nelle ossa, e desiderò avere il potere di fermare il tempo in quell’istante e scappare via, per non dove sentire la conclusione di quella frase. Disgraziatamente, però, questa capacità non rientrava nei suoi poteri, come moltissime altre capacità, d’altronde, e quindi rimase immobile ad ascoltare, pur non volendo, quando Nyze diede il colpo di grazia all’equilibrio fragilissimo che era appena riuscito a ricreare. – La campagna mi piace. Mi piace molto. Abbiamo pensato che una bella villa in campagna sarebbe l’ideale, e visto che Bushido già ne possiede una… che ti prende? – chiese interrompendosi, quando vide i suoi occhi farsi gelidi e i lineamenti del suo volto tendersi ancora una volta.
- …Nyze, io non chiederò nient’altro a Bushido. – rispose lui, la voce bassissima. – Io ho chiuso con questa storia.
Nyze inarcò un sopracciglio, perplesso.
- Atze, ho capito che la richiesta dello yacht ti sia sembrata esagerata, - disse con tono calmo e pacato, - ma ricordati che dentro questa cosa ci stiamo tutti. Tu non puoi tirarti indietro. Se smetti di chiedere roba a Bushido, ne perderai il controllo, lui tornerà a sentire di avere il coltello dalla parte del manico e noi saremo in guai molto seri. E nel caso che al tuo fidanzato passi la cotta all’improvviso, finirebbe davvero male. Proprio per questo, visto che sullo yacht avevi espresso le tue perplessità, io e Kay abbiamo pensato di ridimensionare un po’ la richiesta, ma il fatto che ti abbiamo accontentato non toglie che—
- Mi avete accontentato?! – strillò Chakuza, allontanandosi di un passo, - Avete ridimensionato la richiesta?! Una villa in campagna per voi è una richiesta ridimensionata?!
- Be’, non possiamo certo ricattare Bushido per una tazza di tè con tre zollette di zucchero, Chaku! – insistette lui, allucinato, come se proprio faticasse a cogliere il punto della questione, - Avanti, cazzo, non hai mai fatto drammi fino ad ora e adesso ti risvegli puro di cuore? Ma fammi il piacere!
- Ma non c’entra un cazzo la purezza di cuore, Nyze! – ribatté lui, gesticolando furiosamente, - Cazzo, io sono un pezzo di merda esattamente quanto te, ho accettato di far parte di questa stronzata, sto mentendo a Fler e lo sto facendo con piacere, ok?, perché questa cosa interessa anche a me, ma tu hai perso il senso del limite! Quando cazzo ti fermerai, eh? Ci sarà un momento in cui sarai soddisfatto? Magari quando avrai un sottomarino tutto tuo, un ranch in Arizona e sarai presidente della Deutsche Bank?!
- Chakuza, vaffanculo! – lo spintonò Nyze, furibondo, - Ti ho già spiegato che il ricatto non è una questione che si risolve semplicemente! Non puoi semplicemente smettere da un giorno all’altro e tutti amici come prima, e non puoi abbassare la posta o diventi debole! Cazzo, quanto ti ci vuole a capire che, finché vorrai continuare a spassartela con Occhi Blu, dovrai continuare anche a ricattare il suo signore e padrone?!
- Adesso piantala! – gridò lui, restituendogli la spinta e avanzando minaccioso verso di lui, - Mi sono rotto i coglioni di questa storia! Cavatela da solo, io ho chiuso!
- Tu non hai chiuso un cazzo! – rispose Nyze, e il secondo dopo gli fu addosso. Chakuza riuscì a parare con qualche difficoltà il cazzotto che lui gli sferrò all’altezza dello zigomo, ma non fece in tempo a proteggere lo stomaco quando il secondo pugno lo raggiunse proprio lì.
Sputò tutta l’aria che aveva nei polmoni in un colpo solo, piegandosi in due e mugolando di dolore. Nyze si alzò in piedi, ansimando appena, e lo osservò dall’alto con un ghigno irrazionalmente soddisfatto. Non passarono che pochi secondi prima che Chakuza scattasse in piedi a propria volta, saltandogli al collo e pensando distrattamente che sperava che Fler avesse infilato per bene gli auricolari nelle orecchie, perché quella questione non sembrava destinata a risolversi tanto in fretta.
Lentamente, si allontanò dalla parete, attraversando il corridoio in passi piccoli e silenziosi. In salotto, seduto sul divano di fronte alla tv accesa, i piedi sul tavolino basso e le scarpe abbandonate scompostamente appena più in là, Eko trangugiava rumorosamente la pizza che aveva preso per sé.
- Ohi, - disse, notando il suo riflesso sullo schermo del televisore, - non hanno ancora finito? Ma sei sicuro che non stiano scopando?
- No, non stanno… - accennò senza il minimo trasporto, la voce che andava smorzandosi di parola in parola, come avesse cominciato a parlare per inerzia ma la forza che lo spingeva si fosse esaurita all’improvviso. – Eko, - disse quindi, - devo andare da Bushido.
- No, io penso proprio che tu non debba. – considerò pacatamente lui, posando la fetta di pizza smangiucchiata sul cartone e pulendosi sommariamente le mani su un foglio strappato da un rotolo di scottex posato proprio lì accanto, - Forse vuoi, per qualche motivo che mi è sinceramente oscuro, ma sul fatto che tu debba io ho dei dubbi molto seri che sarò lieto di esporti se vorrai lasciarmene il tempo. – concluse annuendo pacifico.
Fler si limitò a sollevare gli occhi nei suoi. Eko li vide brillare di qualcosa che non era la sua usuale allegria, ed il suo sguardo si rabbuiò.
- Eko, - ripeté Fler, tirando un po’ su col naso, - portami da Bushido.
E quello era un ordine. Per cui, Eko si alzò in piedi ed obbedì.
Era seguendo questo principio che aveva sempre lavorato, e non aveva mai avuto problemi con la giustizia. Non era una persona alla quale fosse facile giungere, non era qualcuno che avesse collegamenti chiari, netti e palesi con gli alti vertici economici o politici della nazione o della città, lui era solo un criminale, un onesto lavoratore che non agognava a niente di più che possedere la città, stringerla nel palmo della mano senza che nessuno se ne accorgesse, com’era sempre stato da quando era arrivato al vertice della propria carriera fino a quel momento.
Per Fler, naturalmente, tutta la questione dell’impossibilità di entrare in casa sua e frugare fra le sue cose era molto più delicata, nel senso che, sostanzialmente, all’interno del vasto parco di possedimenti di Bushido, Fler aveva la possibilità di muoversi più o meno come voleva senza aver bisogno di chiedere il permesso a nessuno. In quel momento e a quell’ora di notte, però, Bushido stava ricontrollando certe carte relative alla cessione a titolo gratuito a suo nome di alcuni locali in centro, per bontà e filantropia dei precedenti proprietari, ovviamente, e dovendo assicurarsi che fosse tutto a posto prima di depositare gli atti con sulle labbra il sorriso dell’uomo sereno, felice e soddisfatto di sé, aveva bisogno della massima tranquillità, e soprattutto del massimo silenzio.
Per questo, quando Eko fece irruzione nel suo studio seguito da un Fler talmente singhiozzante da essere pericolosamente vicino all’asfissia, strillando “ha fatto così per tutto il tempo in macchina, io non so che gli è preso ma non riesco a calmarlo, coccolalo tu, che ne so, dagli il biberon, cantagli una ninna e mettilo a letto, perché io me ne lavo le mani”, Bushido inarcò un sopracciglio, disapprovando il tutto con estrema decisione.
- Che cos’è questo baccano? – borbottò, abbassando gli occhiali da lettura sul naso. Avrebbe potuto farne tranquillamente a meno, ma per qualche motivo immaginava che un paio di occhiali da lettura addosso gli dessero una certa aria competente, perciò li teneva.
Fler piombò sulla sedia di fronte a lui, gli occhi gonfi di lacrime e il labbro tremulo. Eko buttò lì un’imprecazione a caso e li lasciò soli, ma Fler non riuscì a resistere seduto compostamente per più di due secondi, dopo i quali scattò in piedi, girò attorno alla scrivania e s’inginocchiò di fronte alla cassettiera, aprendo il primo cassetto e cominciando a rovistare al suo interno con aria invasata.
Bushido inarcò un sopracciglio, piegando ordinatamente gli atti e riponendoli al sicuro dall’altro lato della scrivania, mentre la sedia girava sul proprio cardine per permettergli di guardare Fler dall’alto più comodamente, pur senza muovere un dito per fermarlo.
- Pat? – lo richiamò con tono paterno, - Che cosa ti prende?
Fler, evidentemente incapace di trovare ciò che cercava, chiuse repentinamente il primo cassetto e partì all’attacco del secondo. Atti e incartamenti di ogni genere e tipo ne volarono fuori, planando dolcemente nell’aria come foglie in autunno per poi accasciarsi al suolo, privi di vita. Bushido ne seguì i movimenti pensando a quanto ci avrebbe messo, poi, a risistemarli tutti per come era giusto stessero sistemati. Poi sospirò, ed allungò una mano a stringere il polso di Fler. Lui non si sottrasse, ma non smise di rovistare, chiudendo il secondo cassetto e passando al terzo.
Si fermò qualche secondo dopo, liberando il polso dalla stretta di Bushido con uno strattone deciso e tirando fuori una cartellina grigia in cartone morbido. Sull’etichetta che campeggiava nel mezzo della copertina c’erano scritte solo tre lettere, C, N e K. La tirò fuori, stringendola fra le mani e facendo nuovamente il giro della scrivania, tornando a sedersi, prima di aprirla e sfogliarne il contenuto.
Bushido non provò nemmeno a fermarlo.
Fler lesse con attenzione tutti i documenti contenuti in quella cartella, sia quelli più brevi, come i contratti telefonici, sia quelli più corposi, come l’atto di vendita della casa ed il prospetto per la ristrutturazione dell’appartamento. Ci mise almeno mezz’ora, mezz’ora in cui rimase in perfetto silenzio, e Bushido non fece che guardarlo per tutto il tempo, aspettando l’inevitabile.
Alla fine, sollevò gli occhi dai documenti, chiuse la cartella e la ripose sulla scrivania. Dopodiché, guardò Bushido dritto in faccia e dischiuse le labbra.
- Dimmi la verità. – ordinò pacatamente.
Bushido espose i fatti il più asetticamente possibile, tralasciando quasi del tutto il risentimento che aveva accumulato nel corso dell’ultimo mese, ben conscio che sentirsi dire “io sapevo tutto” fosse una delle tante cose di cui Fler, in quel preciso istante, non aveva il minimo bisogno.
Fler pianse in silenzio. Per tutto il tempo.
In bagno, Chakuza stava in piedi di fronte a Nyze e tamponava un vistoso taglio sul suo sopracciglio destro con un batuffolo di cotone imbevuto d’alcool. Nyze continuava a lamentarsi fra i denti e ogni tanto gli tirava un colpo all’altezza del fianco, dandogli del coglione e ricordandogli di stare attento, e Chakuza rispondeva mandandolo puntualmente a fanculo.
Fler notificò la propria presenza con un breve colpetto di tosse, e Chakuza si voltò all’istante, illuminandosi in volto non appena lo vide.
- Eccoti! – disse, sporgendosi a lasciargli sulle labbra un bacio che Fler accettò freddamente, senza ricambiare, - Ma dov’eri finito? Io e Nyze abbiamo avuto un piccolo scontro, ma ci siamo fermati prima di macchiare la tappezzeria in camera. – rise un po’, tirando un colpetto contro la nuca dell’uomo ancora seduto di fronte a lui sullo sgabello, il quale rispose con un lamento irritato. – Comunque stiamo bene, entrambi. Allora? Dove sei stato tu?
Fler aprì la bocca e poi la richiuse. Prese un enorme respiro dal naso, gonfiò il petto e poi lo rilasciò andare, e quando cominciò a parlare lo fece con un tono di voce che Chakuza non gli aveva mai sentito usare prima.
- So tutto. – disse pacatamente, - La verità, intendo. Vi ho sentiti che ne parlavate da dietro la porta, sono andato da Bushido ed ho trovato i documenti che vi riguardano. Ho parlato con lui a lungo, ed abbiamo deciso che potrete tenere tutto ciò che vi è stato dato fino ad ora, appartamento compreso, purché spariate dalla mia vita. Naturalmente, eventuali future richieste da parte vostra non saranno prese in considerazione. Non sentitevi in colpa nei miei confronti, tutto ciò che avete fatto io ve l’ho lasciato fare perché sono molto stupido. Bushido mi ha rimproverato e io ho capito che è vero. – inspirò ancora, prima di voltarsi verso Chakuza e guardarlo negli occhi per qualche secondo. – Tu non puoi restare qui, e io non posso più vederti. Mi dispiace. Adesso io torno in camera mia e mi metto a dormire, e quando mi sarò svegliato voi non ci sarete più. Bushido ti farà avere le tue cose quanto prima, quando ti stabilirai da qualche parte. – li salutò entrambi con un educato cenno del capo, così freddo che a Chakuza riuscì a fare più male di tutto il resto. – Arrivederci. – concluse, prima di sparire lungo il corridoio.
Quando fu andato via, Nyze si sollevò silenziosamente in piedi, vagamente inquieto. Osservò Chakuza per qualche secondo e, vedendolo ancora immobile nella stessa posizione, gli diede un colpetto contro una spalla.
- Ehi, Atze. – lo richiamò. Chakuza si riscosse appena, voltandosi a guardarlo. I suoi occhi erano vuoti. – Sarà meglio toglierci dalle palle. Non vorrei che Bushido mettesse in pratica qualcuna delle sue minacce proprio adesso che… - lo guardò attentamente, dall’alto in basso, - …se ti si avvicinasse a mitra spianato, probabilmente spalancheresti le braccia e lo accoglieresti piangendo di gioia. Coraggio. – lo scosse ancora, spingendolo fuori dal bagno e fino alla porta d’ingresso. Lo aiutò a indossare la propria giacca e poi lo condusse in ascensore, premendo per entrambi il bottone del piano terra. Quando furono in strada, gli chiese se volesse trasferirsi con lui e Kay all’appartamento, per qualche tempo, magari finché avesse trovato un posto per lui più confortevole.
Chakuza rifletté per qualche secondo, inspirando ed espirando profondamente nell’aria fresca della sera.
- No, penso che tornerò a casa. – rispose quindi. Nyze inarcò un sopracciglio, senza capire a cosa si stesse riferendo, e quando ci arrivò le sue labbra si piegarono in una smorfia di sincero disgusto.
- Ma— Atze, santo Dio, sarà ancora più sporca e pulciosa di quando l’abbiamo lasciata. – gli fece presente, nell’evidente tentativo di dissuaderlo.
Chakuza scrollò le spalle.
- Mi sta bene, davvero. Starò lì per un po’. Poi si vedrà.
Nyze sospirò pesantemente, battendogli una pacca sulla spalla.
- La nostra porta è sempre aperta, per te. – gli ricordò, osservandolo annuire e poi prendere a piedi la direzione per il baraccone.
La porta del baraccone, ovviamente, era aperta, dal momento che non la si poteva chiudere. Chakuza la scostò lentamente, come negli anni aveva imparato a fare per non far saltare i cardini che già si tenevano su per miracolo. All’interno, sempre steso sul letto di Nyze, anche se ovviamente in una posizione diversa rispetto all’ultima volta che l’aveva visto, c’era ancora lo stesso vagabondo, il quale, non appena lo sentì entrare, aprì prima un occhio, poi un altro e poi saltò in piedi, sorridendo radioso e porgendogli una mano. Indossava guanti di lana consunti e tagliati a metà delle dita, un giubbotto marrone macchiato in più punti col pellicciotto lungo l’orlo del cappuccio e portava sulla testa un cappello di lana di quelli imbottiti, coi paraorecchi.
- Salve, fratello! – lo salutò gioviale, mentre Chakuza ricambiava la stretta di mano più per cortesia che perché avesse davvero voglia di fare amicizia, - Finalmente un po’ di compagnia. Bel posto, eh? – disse, lanciando un’occhiata tutta attorno a sé con aria palesemente innamorata.
- Ci abitavo fino a qualche tempo fa. – rispose Chakuza, atono, - Non mi ero mai accorto che fosse una bellezza.
- Oh, scusa, fratello. – rispose quello, - Non volevo rubarti la casa. Solo che, ok, non sarà uno splendore, ma è meglio degli scatoloni in cui stavo prima. Sai, quando trovi un posto così non te lo fai sfuggire, soprattutto se è vuoto.
Chakuza annuì comprensivo, sfilando la giacca e stendendola ordinatamente sul letto.
- Nessun problema. – disse quindi, - Non pensavo che ci sarei più tornato.
- Alle volte succedono cose strane. – annuì l’uomo, con l’aria di uno che ne sapeva molto. – Io mi chiamo Stickle, comunque.
- Chakuza. – rispose lui, - Oh, senti, ho un po’ di soldi appresso. Magari vado al minimarket e compro qualcosa di buono da mangiare, che ne dici? Il fornellino funziona? – chiese, indicando il minuscolo piano cottura mezzo arrugginito in un angolo.
- Sì, mi ci sono riscaldato spesso, di recente. La sera comincia a fare freschetto.
- Ottimo. – sorrise Chakuza, - Un buon piatto di pasta ti va?
Gli occhi di Stickle si illuminarono di commozione vera.
- Non mangio un pasto caldo da… - rifletté per qualche secondo, perdendosi nei propri ricordi, - Non lo so. Mi farebbe molto piacere mangiare qualcosa preparato da te. – concluse con un sorriso allegro.
Chakuza annuì, e quando uscì di casa lo fece col sorriso sulle labbra. Il cuore, però, continuava a battere all’impazzata, minacciando di sfondargli il petto. Quella era una questione che lui non sapeva proprio come risolvere, perciò quella sera, così come le sere successive, semplicemente la ignorò, sperando che scomparisse da sé.
Fu dopo una spossante notte di lavoro che Bushido venne a fargli visita. Non erano nemmeno le sette, Chakuza era appena tornato dopo aver passato la notte con un vecchio bavoso che aveva trascorso metà della serata a cercare di scoparselo in tutti i modi e la restante metà a piangere e lamentarsi della propria impotenza contro la quale, a quanto pareva, nemmeno il viagra poteva nulla. Chakuza odiava questo tipo di clienti, quelli in cerca di conversazione. Preferiva quelli che lo piegavano sul retro della macchina e se lo scopavano lì, anche senza lubrificante. Erano comunque meglio di tutti gli sfigati che cercavano compagnia solo per parlare. È normale, se sei un cesso e nessuno vuole venire a letto con te, pagare per una scopata. Ma essere talmente povero e piccolo e meschino da non avere nemmeno qualcuno disposto ad ascoltarti era davvero troppo. Perfino lui aveva qualcuno con cui parlare, il che era tutto dire.
Era pertanto molto stanco, e terribilmente di malumore. Riverso a pancia in giù sul letto, osservava Stickle sbadigliare e svegliarsi lentamente sul letto dall’altro lato dello stanzone ed aspettava che il sonno venisse a salvarlo dalla realtà come aveva sempre fatto per tutti gli anni precedenti all’unico mese in cui era stato un uomo, ed era stato felice, e proprio in quel momento la porta si dischiuse con un cigolio sinistro, ed attraverso la fessura che si aprì Bushido fece il proprio ingresso, un borsone in pelle lucida in una mano ed un cappotto incredibilmente elegante ripiegato sul braccio dall’altro lato.
Mosse qualche passo all’interno della stanza, mentre Chakuza si sollevava sui gomiti e lo guardava con terrore crescente, convinto che il proprio momento fosse giunto. Bushido l’avrebbe ammazzato sporcando il suo bel completo grigio Armani e macchiando le splendide scarpe nere e lucide di marca non meglio identificata, che scricchiolavano e ticchettavano contro le assi di legno malferme del pavimento ad ogni passo.
Dopo aver compiuto un breve tour del baraccone, si fermò davanti al letto di Kay, esattamente a metà strada fra quello di Chakuza e quello che un tempo era stato di Nyze ma che ormai Stickle aveva fatto proprio. Poggiò in terra il borsone, ripiegò il cappotto ai piedi del materasso e poi si sedette, appoggiando i gomiti alle ginocchia e sporgendosi a guardare Chakuza con un’intensità stranamente accomodante, quasi bonaria.
Chakuza fece forza sulle braccia, mettendosi in ginocchio e poi seduto, sospirando pesantemente e fronteggiando il suo sguardo con reverenza.
- Lungo la strada fino a qui, - cominciò Bushido con un mezzo sorriso, - ho fantasticato per tutto il tempo sulle torture che avrei potuto infliggerti prima di farti fuori come ti avevo promesso. – disse, come se l’idea di non mantenere quella promessa rappresentasse una mancanza di rispetto in primo luogo nei confronti di Chakuza stesso, - Ma poi entro e ti vedo su questo letto di sterpaglie in questa casa di legno e lamiere, e come faccio ad infierire?
Stickle aprì gli occhi, verificò che la situazione non sembrava tanto rosea o pronta a diventarlo nei successivi minuti e si alzò in piedi, annunciando che era sua intenzione andare a fare una passeggiata tonificante prima di colazione, e che anzi sarebbe tornato portandola lui, la colazione. Raccolse quindi un po’ di spiccioli dal vasetto nel quale conservava ciò che restava a fine giornata della sua elemosina, ed uscì di gran carriera.
Chakuza deglutì, abbassando lo sguardo.
- Ti ringrazio per aver deciso di non farmi fuori. – disse quindi, congiungendo le mani nello spazio fra le proprie ginocchia.
Bushido sbuffò un mezzo sorriso, e Chakuza sentì chiaramente i suoi vestiti frusciare mentre si muoveva. Quando tornò a sollevare lo sguardo, lo trovò steso sul letto di Kay, le braccia incrociate dietro la testa e lo sguardo perso sul soffitto ricoperto di muffa e macchie di umido. La sua figura contrastava così tanto col materasso lercio e sbrindellato che per un secondo, guardandolo, Chakuza si chiese se non se lo stesse sognando.
- Quand’ero ragazzino, ho passato qualche mese in un posto come questo. – cominciò a raccontare, apparentemente senza degnarlo della minima attenzione, - Mi ero messo nei guai con una persona con la quale non era proprio il caso di mettersi nei guai, e dovetti passare un po’ di tempo lontano da casa per evitare che mia madre fosse coinvolta nelle mie stronzate. Era un posto più piccolo di questo, ma ugualmente squallido. Ricordo che, quando cinque o sei mesi dopo essermici trasferito, potei tornare a casa, ne fui così felice da mettermi a piangere. Avevo diciott’anni, più o meno. – si voltò a guardarlo, sorridendo sereno. – Quanto tempo hai passato vivendo in questo postaccio, Chakuza? – chiese quindi
Chakuza sospirò, stendendosi sul proprio letto allo stesso modo.
- Decisamente più di cinque o sei mesi. – rispose cupamente, - Ma ci si abitua a tutto.
- Io no. – ribatté Bushido, - Io non mi sono mai abituato a niente. Avevo le idee molto chiare su ciò che volevo, ed ho fatto di tutto per prendermelo. Avrei potuto fermarmi quando ero sufficientemente ricco da poter vivere nel lusso per tutto il resto della mia vita, ma non l’ho fatto, perché non era quello che volevo. Io volevo tutto. Capisci cosa intendo? Tutto. Non posso giudicare te, o Nyze, per quello che avete fatto. Io sono uguale a voi. Con più classe, - aggiunse con una risatina, - ma in fondo uguale. – si prese una pausa, prima di tornare a guardarlo. – Tu volevi Fler, Chakuza?
Chakuza trattenne il respiro per un paio di secondi, il cuore impazzito nonostante si sentisse tutto sommato bene.
- Sì. – rispose.
- Più di ogni altra cosa? – insistette Bushido, - Più di un appartamento caldo, dei soldi, del potere che avere lui ti dava su di me?
Chakuza abbassò le palpebre, restando in silenzio per qualche secondo, ma non aveva davvero bisogno di riflettere per conoscere la risposta a quella domanda.
- Tutto quello che ho fatto, - rispose, - l’ho fatto per poter restare con lui il più a lungo possibile.
Bushido sospirò, mettendosi seduto con uno scatto dei fianchi e costringendo Chakuza a fare lo stesso, allarmato dal movimento improvviso. Rise divertito per qualche secondo, prima di battergli una pacca amichevole su una spalla, giusto per rassicurarlo sul fatto che non avesse ancora cambiato idea sulla possibilità di lasciarlo in vita.
- Ho conosciuto Fler quando aveva quattordici anni. – disse quindi, - Era uno scemo già allora, quando l’ho incontrato stava per litigare con gente che, se non fossi intervenuto io, l’avrebbe lasciato sventrato in un angolo di strada senza starci nemmeno a pensare. Lo ricondussi a casa e lui mi invitò a cena. Passai la serata con lui e sua madre e lei, alla fine, quando la salutai prima di andarmene, mi disse di prendermi cura di suo figlio, perché lei da sola non era stata in grado di prepararlo per il mondo in cui era nato. Sapevamo entrambi cosa era Tempelhof, lei forse sapeva perfino chi ero io, a quei tempi il mio nome già cominciava a circolare con una certa ciclicità. Comunque, le promisi che ci avrei pensato io. Ed è sempre stato così, mi sono sempre occupato io di lui, fino ad adesso. – abbassò un po’ lo sguardo, - Avrei dovuto prepararlo, forse, ma nono sono certo suo padre e non ho avuto un grande esempio di paternità, nella mia vita. Non avrei saputo da che parte iniziare. Per cui mi sono limitato a fare quello che sapevo di poter fare bene, cioè proteggerlo. Non potevo fare in modo che andasse in giro per il mondo sapendo come affrontarlo, ma potevo evitare che il mondo arrivasse fino a lui e lo ferisse. E, prima che arrivassi tu, c’ero sempre riuscito.
Chakuza si mordicchiò un labbro, incerto.
- Mi dispiace di— avere rovinato tutto. – sospirò, - Mi dispiace di avergli fatto male.
- A me no. – rispose Bushido, sorridendo calorosamente, - Prima o poi doveva succedere, ero come quei padri che cercano di ritardare in tutti i modi l’arrivo dell’adolescenza nelle figlie femmine. – rise di gusto, e Chakuza non poté fare a meno di andargli dietro, - In ogni caso, è successo. Non possiamo farci niente, io ho numerosi poteri ma di sicuro non possiedo quello di plasmare la memoria delle persone. Vorrei che fosse possibile fargli dimenticare quanto è stato male, quanto continua a stare male, ma non si può. – sollevò gli occhi nei suoi, guardandolo con aria complice. – Capisci cosa intendo?
- …no. – ammise Chakuza, fissandolo di rimando con sincero stupore, - O almeno, credo di no, perché non è davvero possibile che tu sia venuto qui per chiedermi di tornare con Fler.
- Ma sei scemo? – sbottò lui, allungandosi a tirargli uno schiaffo contro la nuca, - Non sono venuto qui a chiederti un bel niente, anche perché io non ho mai bisogno di chiedere niente a nessuno. Al più, ordino, ma non è quello che voglio fare adesso. – sospirò profondamente, assumendo all’improvviso un tono molto serio. – Sono venuto a sondare il terreno. Non a chiederti se vuoi tornare con Fler, ma a verificare che fosse così per davvero. – sorrise ancora, condiscendente. – A me pare che tu voglia, Chakuza. Tu che dici?
Chakuza scattò in piedi, recuperando al passaggio il borsone all’interno del quale immaginava ci fosse la propria roba e sorridendo sereno.
- Dico che è una domanda che non merita nemmeno una risposta. – disse, e Bushido sorrise con lui, alzandosi in piedi a propria volta.
- La colazione! – annunciò festoso Stickle, spalancando la porta di malagrazia ed abbattendola nel movimento. – Ops. – commentò osservando il disastro e scrollando le spalle, - Vedrò di sistemarla più tardi. Comunque! Ho portato i croissant! – gioì, agitando un sacchettino di carta come fosse stato una campanella.
Chakuza si voltò a guardare Bushido con aria supplice, e quest’ultimo roteò gli occhi, esasperato.
- E va bene. – disse quindi, - Può venire con noi.
Chakuza si lasciò sfuggire una risata compiaciuta, e disse a Stickle di preparare la sua roba.
- Perché? – chiese lui, inarcando un sopracciglio, - Dove si va?
Bushido si frappose fra loro due, avvicinandosi a Stickle e sorridendogli fascinoso, impedendo a Chakuza di rispondere.
- A casa. – disse teatrale, sorridendo divertito. Chakuza scrollò le spalle e non se la prese troppo per essere strato zittito così bruscamente. Lui stesso non avrebbe saputo dirlo meglio.
Quando bussò alla porta, non lo stupì che ad aprire fosse Eko. Era ovvio che Bushido non avrebbe mai lasciato Fler da solo in quella situazione, ed essendo lui impegnato era normale che avrebbe mandato il suo uomo di fiducia. Ciononostante, la sola vista di Eko sommata al ricordo della loro ultima conversazione fu abbastanza per dargli i brividi.
- Mi ha mandato Bushido. – disse, mettendo le mani avanti. Eko inarcò un sopracciglio.
- Lo so. – rispose, - Guarda che non sono un serial killer specializzato in nani pelati. Ammazzo solo su commissione, io, e se Bushido mi avesse dato l’ordine di farti fuori, sta’ tranquillo, saresti già crepato da un pezzo. Rilassati un po’.
Chakuza annuì ed entrò in casa quando Eko lo invitò a farlo, guardandosi intorno e realizzando quanto strano fosse l’appartamento quando era così silenzioso e Fler non stava da qualche parte a canticchiare Like A Virgin, o Alejandro, o qualsiasi altra canzoncina perdutamente gay gli fosse venuta in mente mentre stava sotto la doccia, o quando non era attaccato alla Wii a giocare ascoltando la musica.
- Dov’è? – chiese a bassa voce.
- In camera da letto. – rispose Eko, - Ovvero dove è rimasto per tutta l’ultima settimana per non uscirne quasi mai, tranne quando doveva andare al cesso.
Chakuza annuì.
- Conosco la strada. – disse, avviandosi per il corridoio.
- Ah, non ne dubito. – roteò gli occhi Eko, entrando in salotto ed accendendo la tv a volume spropositatamente alto. Chakuza sorrise ancora, fermandosi di fronte alla porta chiusa della camera di Fler e chiedendosi se fosse il caso di bussare o meno. Decise di non farlo, alla fine, e si limitò ad aprire la porta e sbirciare un po’ all’interno. Fler era disteso sul proprio letto, gli auricolari piantati a fondo nelle orecchie e lo sguardo perso sul Nintendo. – Ehi. – lo chiamò con voce dolce. Fler si voltò a guardarlo e i suoi occhi si spalancarono all’improvviso, mentre lui scattava a sedere, il respiro mozzo e il petto che si sollevava e si abbassava velocemente. Non si era solo spaventato, era proprio la sua vista ad agitarlo in questo modo. Chakuza si fece avanti, sedendosi sul letto accanto a lui. Fler indietreggiò di qualche centimetro, ma niente di più, e quando Chakuza capì che non intendeva fare altro si allungò a sfilargli gli auricolari di dosso, continuando semplicemente a guardarlo.
- Che ci fai qui? – chiese alla fine Fler, fissandolo spaventato.
- Mi mancavi. – sorrise Chakuza, e poi si morse l’interno di una guancia. – Fler, ti ho mentito su un mucchio di cose, ma non su quello che provavo per te. Non sul modo in cui mi facevi sentire, e nemmeno su quello che volevo per noi due. Quelle erano tutte cose vere.
Fler abbassò lo sguardo, inumidendosi le labbra, incerto.
- Bushido dice che quelle erano le uniche cose che contavano. – azzardò confuso.
Chakuza gli appoggiò due dita sotto il mento, costringendolo a sollevare lo sguardo.
- Non mi interessa cosa dice Bushido, adesso. – disse piano, - Mi interessa cosa dici tu.
Fler si morse un labbro, e nel giro di un paio di secondi gli si riempirono gli occhi di lacrime. Chakuza, però, non riuscì a vederle rotolare lungo le sue guance piene, perché lui gli si premette contro istantaneamente, aggrappandosi alla sua maglietta e nascondendo il viso contro il suo petto.
- Prometti che non lo farai mai più. – gli disse fra i singhiozzi, - Che non mi farai mai più sentire così… usato e stupido. Promettilo.
Chakuza sorrise, accarezzandogli il capo e traendolo a sé in un gesto protettivo. E glielo promise.
fine