Genere: Introspettivo, Drammatico, Romantico, Triste.
Pairing: Bushido/Bill, Bill/Tom.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Hurt/Comfort, Incest, Language, Lemon, Rape, Slash, Violence.
- Primo settembre 2009. E' il compleanno di Bill e Tom. Il minore dei gemelli Kaulitz, comunque, si ritroverà a ricevere un regalo inaspettato e decisamente poco piacevole. A raccogliere ciò che resta, però, un aiuto ugualmente insperato. E da qui, come sempre accade, niente sarà più come prima.
Note: WIP.
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L’asfalto ha un sapore amaro e polveroso. Ti si appiccica alla lingua e lo senti più forte perfino del gusto ferroso del sangue.
Quando, oltre al sapore del sangue, hai in bocca anche quello dell’asfalto, sai che è la fine. Hai toccato il fondo. D’istinto, anche se non hai mai provato prima una sensazione del genere e quindi non puoi esserne sicuro al cento per cento, sai che sta per avvicinarsi il momento in cui ti lasceranno andare.
Lo sai, o ci speri, comunque.
Ti lasciano davvero, fortunatamente.
- No, ma… è anche venuto! Ma che schifo!
- Lo volevi proprio, eh? Ti è piaciuto sentirtelo su per il culo, è vero?
- Ma lo sapevate che la troia oggi faceva vent’anni?
- Ma dai?
- Allora è perfetto! Tanti auguri, Kaulitz!
- Piaciuto il regalo?
Il regalo sa di sangue e d’asfalto.
È anche salato come una lacrima.
Ed amaro come la vergogna.
No, non ti è piaciuto. Avresti preferito continuare a goderti la nuova versione del Monopoli che t’ha regalato Tomi.

CRASH AND BURN
love is the light scaring darkness away

1. BLOODSTAINED
La BMW aveva esattamente una settimana e tre giorni. Le ore non avrebbe saputo indicarle. Probabilmente, se avesse saputo come si sarebbe evoluta quella serata, ne avrebbe preso nota.
Come uomo era assolutamente convinto le macchine fossero una netta affermazione di potere. Lui non era l’ultimo arrivato nell’industria musicale. Aveva alle spalle anni di gavetta e sacrifici difficilmente immaginabili. S’era meritato la fama che aveva. L’amore dei fedelissimi e l’odio delle masse di idioti.
La macchina andava cambiata, di tanto in tanto. Quando perdeva smalto. Quando diventava troppo nota. Quando diventava troppo pubblicizzata. Quando Bill Kaulitz se la faceva uguale, per dire.
La BMW aveva esattamente una settimana e tre giorni. Una settimana e tre giorni avevano anche gli interni in pelle bianco panna.
Le gomme tagliavano la strada con flemmatica calma. Il movimento della vettura era sicuro ed elegante, silenziosissimo. Oltre i finestrini c’era solo la notte, con la sua aria pesante carica di segreti. Per strada non c’era nessuno.
Quando Bushido accostò ed aggrottò le sopracciglia, cercando di distinguere la sagoma scura che arrancava strisciando sul marciapiedi, non capì subito di chi si trattava. A giudicare dalla magrezza spaventosa e dalla morbida onda dei capelli lungo le spalle e davanti al volto, ipotizzò potesse trattarsi di una prostituta. Da quelle parti succedeva spesso: un ladro o un cliente fuori di testa o le minacce di un protettore insoddisfatto, e le ragazze morivano sull’asfalto polveroso macchiato di sangue, con un coltello ficcato in profondità fra le viscere.
Spense il motore ed uscì velocemente dall’auto, attraversando in pochi passi il paio di metri che lo separava dalla figura ormai immobile, rannicchiata sul marciapiedi così strettamente da somigliare più che altro ad un mucchio di cenci, e si chinò, poggiando una mano sulla spalla della ragazza, sibilando un “ehi” un po’ incerto che sperò ricevesse risposta il più presto possibile.
Lei rispose con un mugolio incomprensibile, accucciandosi ancora di più e scostandosi neanche l’avesse minacciata con una torcia.
- Stai male? – le chiese, alzando un po’ il tono di voce, cercando di afferrarla più saldamente per le spalle senza scuoterla troppo, - Senti, se vuoi ti do un passaggio in ospedale, ho la macchina qui. – suggerì subito dopo, stupendosi della consistenza ossuta e forte delle braccia della ragazza sotto i palmi.
Lei si voltò impercettibilmente. I capelli le coprivano quasi tutto il viso. Erano scompigliati, sporchi ed appiccicati alle guance a causa del sangue, delle lacrime e della maschera pastosa di trucco ormai disciolto attorno agli occhi.
- Cosa è successo? – continuò a parlare lui, più nel tentativo di mantenerla sveglia mentre cercava di capire come trascinarla in macchina senza frantumarla, che per fare conversazione. – Ti hanno ferita? Picchiata? Dimmi qualcosa…
La ragazza rilasciò un altro lamento sofferente, portando una mano al braccio sinistro, che ancora Bushido stringeva saldamente fra le dita. Si accorse solo in quel momento che probabilmente dovevano averglielo fratturato.
La lasciò immediatamente andare.
Nel movimento, però, una scarica di dolore la scosse dal braccio al collo, costringendola a gettare indietro il capo in un urlo lancinante.
Non era una prostituta.
Non era una ragazza.
Bushido lasciò istantaneamente la presa e Bill ricadde a terra, battendo una spalla contro l’asfalto e riprendendo a mugolare dolorosamente, contorcendosi su se stesso.
- Cazzo… - biascicò in segno di scusa, chinandosi nuovamente su di lui e tirandolo su, facendogli passare un braccio dietro al collo, - Ma chi cazzo ti ha ridotto così? – chiese, consapevole che Bill non avrebbe risposto, impegnato com’era a mordersi un labbro per non piangere ancora, - Ma cazzo… - ripeté in una lamentela confusa, lanciando sguardi allarmati dal corpo tremante che teneva fra le braccia alla macchina malamente parcheggiata qualche metro più in là. – Okay, senti. – disse infine, - Ti tiro su e ti porto in macchina. D’accordo? – Bill mugolò ancora e dischiuse appena gli occhi, rilassandosi faticosamente contro di lui, - D’accordo. – annuì Bushido stringendolo a sé e rimettendosi in piedi.
Gli interni in pelle bianco panna avevano una settimana e tre giorni.
Le macchie sul sedile posteriore, dove l’aveva adagiato sulla colonna sonora dei suoi lamenti disfatti, non sarebbero più andate via.
*
- Lei è un parente?
Bushido guardò Bill abbandonato su una sedia in sala d’aspetto, avvolto in una coperta che lo faceva sembrare ancora più sottile di quanto non fosse. Gli occhi chiusi ed i capelli davanti al viso, era immobile come una statua di cera. Sembrava che neanche respirasse. Aveva voglia di avvicinarsi e mettergli una mano davanti al naso, giusto per verificare fosse ancora vivo.
- Se non è un parente, può restare qui fuori ma non entrare con lui. – disse l’infermiere dalla voce tremendamente nasale che lo fronteggiava al di là del banco dell’accettazione.
- Sono suo fratello. – rispose, senza staccare gli occhi di dosso dalla figurina apparentemente addormentata sulla poltrona.
L’infermiere sollevò un sopracciglio.
- Fratello? – chiese, palesemente divertito.
Bushido fece strisciare una banconota da cento euro sul banco e socchiuse gli occhi.
- Fratello. – concluse l’altro, annuendo. – Sarete ricevuti in pochi minuti.
Annuì a propria volta e tornò alle poltrone, sedendosi al fianco di Bill, ancora immobile sulla propria.
- Sei ancora vivo? – chiese spiccio, chinandosi su di lui.
Bill dischiuse gli occhi. Il suo sguardo era adesso molto più lucido e consapevole di quanto non fosse quando l’aveva trovato. Stringeva il braccio sinistro così vicino al corpo da dare l’impressione che quel braccio neanche ci fosse.
Non disse una parola.
- Senti, mi rendo conto che io devo essere più o meno l’ultima persona al mondo tu abbia voglia di avere intorno in un momento come questo… - commentò imbarazzato, guardando altrove, - Magari se mi dai il numero del tuo manager o di tuo fratello, li chiamo. O li chiami tu, se te la senti.
Bill scosse il capo. Bushido si ritrovò a pensare con una certa rabbia che se Bill Kaulitz s’era messo in testa di costringerlo a fargli da balia per tutto il tempo, era proprio fuori strada: un conto era la facciata da spasimante che propinava alle fangirl; un altro conto era la naturale cortesia che gli riservava nei backstage; cosa completamente diversa era definirsi un suo amico o chissà che altra follia.
- Va bene. – disse, sforzandosi comunque di non mostrarsi irritato, - Allora… be’, non posso lasciarti solo.
Bill scrollò le spalle.
- Non fare il grand’uomo. – lo riprese lui, aggrottando le sopracciglia. Odiava quando i ragazzini non si comportavano da ragazzini. Se c’era una cosa che la strada gli aveva insegnato, era che devi imparare in fretta qual è il tuo posto ed adattarti il prima possibile a comportarti nel pieno rispetto delle gerarchie. Poi puoi anche provare a mutare la tua posizione, ma non puoi comportarti da boss quando sei uno sgherro, così come non puoi comportarti da sgherro quando sei il boss.
Bill sorrise amaramente – una risata sofferta che si mischiò ad un lamento difficilmente equivocabile – e si morse un labbro.
- Certo che… - ringhiò, e furono le sue prime parole, - il tuo atteggiamento è cambiato parecchio, quando ti sei accorto che ero Bill Kaulitz.
Bushido strinse i pugni.
Quel ragazzino voleva costringerlo a completare l’opera già iniziata da altri, evidentemente. Stupidi mocciosi in vena di suicidio.
- Chi credevi che fossi? – continuò Bill, senza mai guardarlo negli occhi.
Si strinse nelle spalle.
- Una prostituta.
E Bill rise forte. Così amaramente che Bushido non riuscì a risparmiarsi l’imbarazzo ed il senso di colpa.
- Considerando come mi hai fatto cadere a terra prima, una puttana vale più di me, evidentemente. – prese nota Bill, annuendo compitamente, - Bene.
- Potresti per favore non essere intollerabile? – sbottò lui, tremendamente infastidito, - Fino a prova contraria, ti sto aiutando. E non mi hai ancora detto cosa ti è successo!
Bill ghignò e guardò altrove, trincerandosi nuovamente fra le maglie di un silenzio che Bushido non era affatto sicuro di volere dipanare. In fondo, lui non aveva proprio niente a che fare con quel ragazzino palesemente fuori di testa. Il lavoro è lavoro, la vita privata è un’altra cosa e lui avrebbe tranquillamente potuto lasciarlo dove l’aveva trovato senza sentirsi minimamente in colpa. D’altronde, quante centinaia di volte era successo a lui? Pestato a sangue e lasciato a lamentarsi in un angolo di strada – ed aveva solo sedici anni, cazzo – e se non ci fosse stato Fler a recuperarlo non sarebbe mai sopravvissuto abbastanza da raccontarlo.
Ognuno dovrebbe avere una persona che vada a raccoglierlo per strada, ecco.
Non era scritto da nessuna parte che quella persona, per Bill Kaulitz, dovesse essere lui. Aveva un dannato fratello che era tutta la sua vita e così via blaterando cazzate, no? Ed allora perché non si comportava come tale?! Perché non voleva chiamarlo?! Perché cazzo stava tirando proprio lui in mezzo a-
- Il dottore vi sta aspettando.
Bill si alzò prima di lui e gli crollò rovinosamente addosso meno di un secondo dopo, regalandogli anche una gomitata in pieno stomaco che si sarebbe volentieri risparmiato.
- Ma Cristo… - borbottò, afferrandolo per la vita un attimo prima che rotolasse sul pavimento senza nemmeno un lamento di dolore, - Si può capire che cazzo hai?!
Bill digrignò i denti e cercò di recuperare un equilibrio, senza riuscirci.
- …non riesco a camminare bene. – scollò alla fine, guardando altrove.
Bushido cercò di scrutare a fondo nei suoi occhi, alla ricerca di una motivazione. Una motivazione qualsiasi per rispondere a tutte le domande che aveva in testa. Perché eri fuori da solo? Che ti è successo? Perché vuoi che resti? Perché fai così?
Non trovò nulla.
Lo afferrò più saldamente dietro le spalle e sotto le ginocchia e si tirò in piedi, sollevandolo fra le braccia.
Bill rispose con un ringhio di stupore e fastidio.
- ‘Cazzo fai?!
Bushido non lo degnò di uno sguardo.
- Se non sei in grado di fare un passo, figurarsi cinque metri da qui alla porta. Ti aiuto.
- Non ho bisogno di nessun cazzo di aiuto.
- Certo. È evidente. Avrei dovuto lasciarti sul marciapiedi.
- Sarebbe stato molto meglio!
Non riuscì a resistere e lo pizzicò con una certa forza sul fianco.
- Taci, o ti faccio cadere a terra da qua, sai?
Bill, ancora mugolante per il dolore al fianco – nonché a tutto il resto – decise saggiamente di restare in silenzio mentre Bushido lo portava in sala visite – stupendosi davvero coscientemente di quanto fosse leggero, dato che, quando l’aveva portato in macchina, nella confusione del momento, non se n’era quasi neanche accorto – e lo adagiava con una certa cura sul lettino.
Il dottore arrivò in pochi secondi. Indossava già i guanti di lattice e la cosa lo fece sentire strano. Come rendersi conto in un attimo di cosa stesse effettivamente succedendo.
L’uomo – basso e dall’aspetto ordinario, piuttosto rassicurante, coi suoi lineamenti tondi e la pancia prominente che s’intravedeva sotto il camice e la camicia a righine gialle – li squadrò stranito. Prima Bill, sul quale lasciò scivolare un’occhiata incerta e piuttosto consapevole. Poi lui, alla vista del quale le sopracciglia si inarcarono fin quasi a sfiorare l’attaccatura dei capelli.
- Dunque… - cominciò incerto. Lanciò un’altra occhiata a Bill, ma lui non disse niente, perciò tornò a voltarsi verso Bushido. - …cos’è successo?
Lui si ritrovò a scrollare le spalle.
- Non me l’ha detto. Credo che l’abbiano picchiato. Il braccio… forse è fratturato.
Bill provò a muovere il braccio sinistro, ma non ci riuscì – almeno, non senza ringhiare di dolore.
Il medico gli si avvicinò e lo toccò con una certa competenza, sistemando gli occhiali sul naso.
- Lei è qui perché…? – chiese, mentre lo esaminava, rivolgendosi palesemente a Bushido.
- …l’ho trovato. – rispose lui, in mancanza di qualcosa di meglio.
- Dovrò informare la famiglia.
- No. – rispose nettamente Bill.
Il medico lo guardò con una certa curiosità. Anche Bushido.
- Lui va bene. – precisò Bill, senza abbassare lo sguardo.
- Lui va…? – cominciò il medico. Poi si lasciò andare ad una mezza risata. – Non esiste. – disse poi, - Deve darmi il numero di un parente.
Bill sospirò e si voltò a guardare Bushido.
- Fallo di nuovo. – ordinò secco.
Bushido spalancò gli occhi.
- Fare cosa?
- Quello che hai fatto all’accettazione, fratellone. – spiegò con un mezzo sbuffo esasperato.
Bushido sospirò a propria volta e mise mano al portafogli, chiedendosi quanto avesse intenzione di fargli sborsare quel ragazzino prima dell’alba.
- Capisco, lei è il fratello. – lo prese in giro il medico, accettando senza un commento la banconota, - Bene, signor Kaulitz. – proseguì poi, mettendo in chiaro ciò che Bushido aveva già subodorato, cioè che sapesse perfettamente con chi stava parlando. – Si stenda. Quanto a lei… - continuò, rivolgendosi a Bushido, - aspetti fuori.
Anis annuì ed abbandonò nervosamente la stanza, senza riuscire a scrollarsi di dosso la sensazione di terrore che gli avevano trasmesso gli occhi di Bill un attimo prima che uscisse.
Il medico lo raggiunse mezz’ora dopo. Abbastanza da concedergli il giro dell’edificio in cerca di una finestra, una sigaretta di rito ed un caffè dal sapore semplicemente osceno che gli aveva messo addosso una nausea talmente forte da costringerlo a cercare un bagno per poi chinarsi sulla tazza e scoprire che non ne sarebbe mai venuto fuori niente, perché non era nello stomaco, il problema.
Era nervoso.
Non riusciva a capire perché.
O meglio, sì, ma non poteva crederci.
- Il braccio non è fratturato, si tratta solo di una lieve contusione. Comunque, il ragazzo è stato violentato.
Per un attimo, credette di aver sentito male.
Aprì la bocca come per chiedere delle spiegazioni, ma la richiuse subito dopo.
- Non se n’era accorto?
Scosse il capo.
- E lui non gliel’ha detto.
Annuì.
Il medico sospirò.
- Senta, non so in che rapporti siate, ma-
- Ci siamo incontrati stasera. – si affrettò a spiegare, improvvisamente agitato. - …non penserà che io-
- No, no. – lo tranquillizzò il dottore, infilando le mani nelle ampie tasche del camice, - Intendevo solo dire che farebbe meglio a riportarlo immediatamente dai suoi familiari. Sperando che loro riescano a fargliene parlare. A me l’ha detto a bassissima voce, e se non l’avessi capito al volo non l’avrei mai saputo, perché subito dopo ha cominciato a negare insistentemente e non c’era verso di esaminarlo. – sospirò ancora, - Ho dovuto sedarlo. Sono intervenuto come ho potuto e dobbiamo ringraziare che gli effetti della violenza non siano stati particolarmente devastanti. – un mezzo sorriso stanco, - Una fortuna nella sfortuna.
Bushido si trattenne a stento dallo stringere i pugni e presentare agli occhiali del dottore le nocche della sua mano destra. Non c’era un’espressione che detestasse più di “una fortuna nella sfortuna”. Non è “una fortuna nella sfortuna” la magra consolazione che il cazzo dello stronzo che ti ha violentato non ti abbia perforato il colon o chissà che altro. Non è “una fortuna nella sfortuna” il fatto che un povero stronzo – quale lui, cazzo, era per non essersene accorto prima – ti trovi per strada e ti trascini in macchina per portarti all’ospedale. E non è “una fortuna nella sfortuna” essere ancora fottutamente vivi e dover fronteggiare una visita e delle domande dopo una cosa del genere.
È un bene che tu non abbia subito un’emorragia, è un bene che ti abbiano trovato ed è un bene essere ancora abbastanza presenti a se stessi da sostenere una conversazione. Ma non è una cazzo di fortuna.
- Capisco. – si limitò ad annuire, perplesso e un po’ scosso.
- Comunque, può portarlo a casa. Dal momento che è maggiorenne, ho già consegnato a lui tutto ciò che dovevo consegnargli, comprese le ricette. Per l’analisi del DNA che dovrà presentare alla polizia per la denuncia ci sarà da aspettare un po’, e… signor Bushido?
Tornò a guardare il medico solo perché mai – mai in tutta la propria vita – gli era capitato che qualcuno lo chiamasse “signor Bushido”.
- Sì?
- È molto scosso. – disse l’uomo con una certa gravità.
“Grazie mille”, pensò lui, annuendo compitamente, “non l’avrei mai immaginato”.
La sala visite era identica a come l’aveva lasciata, ed in effetti non c’era alcun motivo per il quale avrebbe dovuto trovarla differente. Tranne, forse, che ora sapeva qualcosa in più sul ragazzino che l’aveva quasi preso a parolacce come ringraziamento per averlo salvato.
Anche Bill era identico: lo aspettava – per motivi incomprensibili, visto che non aveva detto che sarebbe tornato – seduto sul lettino e con un’espressione rabbiosa a stravolgere i tratti del viso.
- Bill… - lo chiamò piano, avvicinandosi a lui.
Il ragazzo sollevò gli occhi nei suoi ed inarcò le sopracciglia.
- …te l’ha detto. – constatò, stringendo la presa delle dita attorno al lenzuolo di carta sul lettino, - Non aveva alcun diritto di farlo. Non dovevi saperlo. – si fermò un attimo, mordicchiandosi il labbro inferiore, - Guai a te se ti azzardi a dirlo a qualcuno. Nessuno-
- Tuo fratello, tanto per cominciare. – cominciò ad elencare Bushido con calma, appoggiandosi sulla branda accanto a lui, - Poi i tuoi genitori, i tuoi amici ed il tuo manager. Queste sono tutte le persone che devono saperlo. Se contavi di dirlo a meno persone rispetto a quelle in questa lista, stavi sbagliando.
- Non hai nessun diritto di-
- Lascia perdere. – lo interruppe con un mezzo sorriso, - Sono in vena di farmi dire che non ho diritti quanto tu di sentirti rimproverare.
Bill intrecciò le dita in grembo, abbassando lo sguardo.
- Allora non farlo. Non rimproverarmi.
- Non lo stavo facendo. – rispose Bushido con una scrollata di spalle, - Dai, vieni. Ti riporto a casa.
Bill non rispose. Ridiscese faticosamente giù dal lettino e si mise al suo fianco, seguendolo verso l’uscita.
- Certo che… - disse poi, quando furono nei pressi della macchina, - è ironico che a trovarmi sia stato proprio tu. Fra tutte le persone che avrebbero potuto… tu.
“È ironico sì”, pensò amaramente Bushido, “ma non per i motivi che immagini”.
Gli aprì la portiera e Bill scivolò silenziosamente sul sedile del passeggero, lanciando sguardi allarmati alla fodera del sedile posteriore, attraverso lo specchietto retrovisore.
- Te la ripagherò. – disse ansioso, mordicchiandosi l’interno di una guancia.
Bushido scrollò le spalle, accomodandosi alla guida.
- Non ho esattamente bisogno della tua carità, Bill. – precisò inarcando le sopracciglia e mettendo in moto.
- Certo. – ghignò lui a propria volta, - L’uomo musicalmente più influente di tutta la Germania, no? Era questo che diceva Vanity Fair. Dal secondo al primo posto in meno di due anni. A cosa ti servono i soldi di uno che sta ancora fermo al terzo?
Bushido gli lanciò un’occhiata risentita, sospirando e tornando immediatamente a guardare solo la strada.
- Intendevo dire che va bene così. – precisò, - Non devi sentirti in colpa per il sangue.
Bill scrollò le spalle.
- M’infastidisce pensare che non andrà più via. – spiegò, e Bushido ebbe chiaramente la sensazione che non stesse affatto parlando della tappezzeria della sua automobile, ma di qualcosa di profondamente diverso e ben più importante.
- È successo anche a me. – disse quindi, stringendo la presa delle dita attorno al volante.
Bill non capì. Gli sollevò addosso uno sguardo incerto e non disse nulla.
- Sono stato violentato anche io. – specificò quindi, senza ricambiare l’occhiata.
Era la prima volta che ne parlava. In… quasi quindici anni. Non era doloroso come aveva sempre pensato sarebbe stato. Suonava strano, questo sì, ma più che altro perché a rivedersi com’era adesso in quella situazione sentiva come una sorta di senso d’impossibilità che, ad un certo punto, gli bloccava perfino i ricordi. Ma niente di più, ecco. Era strano e basta.
Forse pizzicava un po’ sotto le ciglia.
Forse.
- …non voglio parlare di questa cosa. – deglutì Bill, incerto, - Cioè, mi dispiace, ma-
- Non sei molto gentile, ti pare? – ribatté lui, atono, concentrato sull’asfalto in rapido scorrimento sotto le ruote, - Ti parlo di una cosa così intima e tu mi rispondi che non te ne frega niente?
Le labbra di Bill divennero sottili come due linee, e Bushido lo scorse con la coda dell’occhio chinare il capo e socchiudere le palpebre. Aveva un occhio gonfissimo.
- Non intendevo… non l’ho detto in quel senso. – disse a bassa voce, - Non volevo offenderti.
Bushido sospirò.
- È successo mentre ero in prigione. Avevo sedici anni. – raccontò senza inflessioni particolari, - Per la verità quella volta non passai molto tempo dietro le sbarre. Un paio di giorni, al massimo. Nel 2005 ci sono stato per molto più tempo, ma per una faccenda completamente differente. – scrollò le spalle, - In ogni caso, una notte basta. Stavo in cella con questo tipo che avrà avuto il doppio degli anni che avevo io allora… - una breve occhiata, - …più o meno come me e te adesso, suppongo. Era stato gentile con me, tutto il giorno. Mi aveva detto che mi avrebbe protetto lui. Così, quella notte, mi spiegò cosa avrei dovuto fare io per garantirmela, quella protezione.
Bill rilasciò un sospiro talmente sofferto che per un secondo Bushido si sentì perfino in colpa.
- Mi… dispiace.
Un’altra scrollata di spalle.
- Quando il giudice mi ha posto la scelta fra la detenzione ed i lavori forzati, non ci ho pensato due volte. – ghignò, - Quel tizio mi offriva una protezione che non potevo permettermi.
Bill si fece minuscolo sul sedile e Bushido fermò la macchina.
- Lo capisci cosa sto cercando di dirti?
Il moro si strinse nelle spalle, concedendogli un sorriso amarissimo.
- Sinceramente? No.
- Sto cercando di dirti, Kaulitz… e sinceramente mi stupisco di dover mettere i sottotitoli proprio con te, che passi per uno intelligente… sto cercando di dirti che passa. – si interruppe un attimo ed osservò una mezza risata sfiduciata ed assassina nascere sul volto del ragazzo. L’assassino divenne lui. Lo afferrò saldamente per il mento e gli tenne stretta la mandibola fra due dita, per impedirgli di ridere davvero. – Ora fa male. Ed è uno schifo. E brucia. E ti stai chiedendo perché. Ma fra qualche tempo tutto questo non significherà più niente. Ti resterà per sempre una traccia dentro, ma tu non smetti di vivere perché uno stronzo ti ha fatto del male, okay?
Bill non rispose. Si limitò a guardarlo con aria contrita e supplichevole finché non ebbe finito. Non si mosse neanche per chiedergli di lasciarlo, e Bushido dovette farlo dando per scontato lui desiderasse essere lasciato. Cosa della quale in realtà non era sicuro, perché era abituato ad avere a che fare con persone che chiedevano esplicitamente ciò che volevano. Il ragazzino, però, non chiedeva niente. Addirittura, ti chiedeva di fare il contrario rispetto a ciò che gli sarebbe servito.
Non avrebbe dovuto lasciarsi travolgere in quel modo. Avrebbe dovuto fare il suo dovere da onesto cittadino – tralasciando il piccolo particolare della sua fedina penale tutt’altro che indicativa in quel senso – e poi sparire. Sarebbe stata la cosa migliore da fare.
Rimise in moto, diretto verso la via che Bill gli aveva indicato prima di partire, e non fece una piega quando, naturalmente, Bill cominciò a parlare.
- Erano in tre. – raccontò, senza singhiozzare né lamentarsi, - Conoscevano… mi conoscevano.
- Tutti ti conoscono, Bill.
- No. – scosse il capo lui, risoluto, - Questi mi conoscevano davvero. Sapevano anche la mia data di nascita. Mi hanno fatto gli auguri per il compleanno, e… - Bill s’interruppe e gli lanciò un’occhiata. Dovette accorgersi del suo disagio. Sorrise brevemente: - Non importa se tu non mi fai gli auguri. – lo rassicurò conciliante, - Mi hai già fatto il regalo, almeno.
Bushido ridacchiò, scuotendo il capo.
- Scusa, Bill. – sentì il bisogno fisico di dire, - Ho fatto casino, stasera.
- Mi sembra che l’abbiamo fatto entrambi. – rispose seccamente lui, - Perciò possiamo saltare i convenevoli? Io… sono contento che tu non mi abbia lasciato su quel marciapiede.
- Ed io sono contento di essere rimasto con te per tutto il tempo. – rispose con naturalezza, rendendosi conto solo a frase ultimata che sì, era vero.
Bill rimase un po’ in silenzio, giocando con la punta dei piedi sul tappetino di fronte al sedile.
- A me non sembrava di conoscerli, sai? – continuò poco dopo, quasi soprapensiero, - A te non dà fastidio? Sapere che c’è gente che conosce tutto di te… quando tu non sai niente di loro.
Bushido scrollò le spalle.
- È una controindicazione della fama. – spiegò seccamente.
- Sì. – annuì Bill con un mezzo sorriso, - E, come tutte le controindicazioni, fa schifo.
Bushido rise. Bill con lui.
L’atmosfera in macchina era surreale, ma in qualche modo era come se la carrozzeria li trattenesse in una dimensione parallela dove una scena simile non sembrava per nulla assurda. Perciò ridacchiarono per un po’, consolandosi a vicenda col suono di quella risata.
- È qui. – disse a un certo punto Bill, indicando un ampio portone in legno scuro che Bushido suppose fosse casa sua, - E mentirei se ti dicessi che mi va di tornare.
- Avanti. – borbottò l’uomo, fermando la macchina accanto al marciapiedi, - Prima o poi dovrai comunque andare a dormire. Ed io non intendo certo portarti a casa mia!
Bill rise ancora, coprendosi la bocca con una mano.
- Non avevo intenzione di chiedertelo. E poi devo… assolutamente parlare con mio fratello.
Bushido annuì.
- Devi proprio. – concordò con un sicuro cenno del capo. – Quanto alla tappezzeria… - commentò poi, mentre Bill scendeva faticosamente dalla vettura, - Ogni tanto fa bene ricordarsi dell’esistenza delle macchie. – annuì, lanciando un’occhiata ai sedili posteriori, - Le macchine sono più belle, quando sono vissute.
Bill sorrise amaramente e fece per muoversi verso il portone, ma si fermò dopo qualche passo, stringendosi incerto nelle spalle e voltandosi a guardarlo.
- Bushido. – lo richiamò seriamente. Lui si sporse dal finestrino, osservandolo dal basso verso l’alto, le sopracciglia inarcate in segno di curiosità, - Io sono… - cominciò con evidente difficoltà, - mentre loro… intendo, mentre lo facevano, io… - si fermò ancora, stringendo le dita attorno all’orlo della maglia con una forza tale che le nocche divennero pallidissime. - …non importa. – concluse quindi, scuotendo il capo, - Grazie di tutto.
Ed in un battito di ciglia era scomparso.
Quella avrebbe potuto essere la fine della storia.
Ma non fu così.

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