Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Blaine/Kurt/Dave.
Rating: R/NC-17
AVVISI: Slash, Lime, Threesome, Angst.
- Blaine, Kurt e Dave, che ormai vivono a Cleveland da circa una decina d'anni, tornano a Lima per trascorrere le vacanze di Natale in casa Hummel. Ma la loro relazione è fermamente intenzionata a non far passare a nessuno dei tre una felice e serena permanenza nella loro città natale.
Note: POTERE AL KLAINOFSKY \O/ Non capirò mai per quale oscuro motivo le fangirl si ostinino a litigare fra Klaine e Kurtofsky quando è evidente che la soluzione sta nel sandwich, come spesso, d'altronde, accade. Comunque, questa storia è-- non lo so, potrei dire OOC, ma sarebbe come dire che in Glee esista un IC, e sarebbe un po' azzardato, dal momento che neanche gli scrittori originali della serie lo rispettano. Uhm. Quindi diciamo che è solo una fic un po' fuori dai canoni. Per tutta una serie di motivi che sicuramente scoprirete se vi andrà di passare una mezz'oretta immersi nella lettura. *ride*
Ah, comunque. *stava per dimenticare* Scritta per la quinta settimana del COW-T, Missione 1, prompt: tre personaggi.
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CLOSER TO THE HEART

- Vi dico come faremo. – esordisce Dave dopo dieci minuti di intenso e corrucciato silenzio, - Kurt, se non ricordo male casa tua ha il garage.
- Dave, piantala! – strilla Kurt, al quale i dieci minuti di intenso e corrucciato silenzio di cui sopra non sono serviti a riordinare le idee e placarsi dopo la lite furibonda che ha coinvolto lui e una metà del resto della sua dolce metà, - Sono cinque anni che ti lasciamo a casa per tutte le feste comandate! Mi sono rotto! Abbiamo un bambino in arrivo e io non intendo continuare a tenere nascosta questa cosa a mio padre ed a Carole.
- Se posso intromettermi… - comincia Blaine, alla guida della macchina sportiva che, da Cleveland, li riporterà a casa, a Lima, Ohio, possibilmente in tempo per la cena.
- No. – strepita Kurt, saltellando sul sedile passeggero, isterico. Blaine sospira.
- Non importa, m’intrometto lo stesso. – continua con un sorriso, - Kurt, d’accordo avere un bambino in arrivo, sai che ne sono felice e lo urlerei ai quattro venti, e d’accordo anche che negli ultimi anni in materia di giustizia e adozioni anche per le coppie gay gli Stati Uniti hanno fatto passi da gigante, ma non sono proprio sicuro di cosa penserebbero i servizi sociali se sapessero che non siamo in due ma in tre, per cui—
- E io comunque col bambino non voglio avere niente a che fare. – grugnisce Dave, rintanandosi nell’angolo più lontano da Kurt sul sedile posteriore, incrociando le braccia sul petto e guardando fuori dal finestrino con stizza.
Blaine sospira, scuotendo il capo con evidente rassegnazione, mentre Kurt strilla come un’aquila agitando le braccia.
- David Jonathan Frederic Karofsky, ne abbiamo già parlato! – ruggisce, - Questo bambino sarà tuo quanto nostro, e non importa se geneticamente è solo mio e legalmente sarà solo mio e di Blaine!
- Io non mi chiamo David Jonathan Frederic! – sbotta Dave, agitando le braccia a propria volta, - Smettila di inventarti secondi o terzi nomi per me e per Blaine a seconda di come ti suonano meglio mentre ci rimproveri!
- È il minimo che possa fare, se conti che, quando ci siamo conosciuti, per mesi tu non hai avuto un nome e tu, - si volta, indicando Blaine, - non hai avuto cognome!
- Ora non mi sembra il caso di rivangare vicende antiche e che peraltro non sono mai state un problema per nessuno. – suggerisce Blaine, mantenendo contemporaneamente il controllo sulla strada, sulle proprie emozioni e sulle proprie facoltà intellettuali, - Piuttosto, Dave, sono addolorato, ma temo di dover concordare con Kurt: all’assistente sociale potrebbe non far piacere sapere che il bambino che adotteremo avrà in realtà tre padri…
- Due padri!
- Tre padri. – precisano in sincrono Kurt e Blaine, - Dicevo, - prosegue Blaine da solo, mentre Kurt torna a stropicciare nervosamente la mappa che tiene in grembo e sulla quale segue la strada per Lima senza che nessuno gli abbia mai chiesto di farlo, dal momento che Blaine è ormai pratico del tragitto e, anche se non lo fosse, avrebbe il navigatore satellitare ad aiutarlo, - i signori Hummel prima o poi dovranno pur sapere la verità su di noi. Io ai miei genitori l’ho detta.
- E allora sono fortunato, perché i miei sono morti. – sbotta Dave, lanciandogli un’occhiata infastidita attraverso lo specchietto retrovisore. – E comunque non intendo minimamente sottopormi a una cosa simile con Burt Hummel. Quell’uomo mi odia.
- Ti odiava, e con tutte le ragioni di farlo, dieci anni fa, Dave! – precisa Kurt, appallottolando la cartina e tirandogliela in faccia. – Mio padre è molto cambiato, molto aperto e molto felice della mia felicità, quindi, visto che, anche se la cosa sembra allucinante a me per primo, della mia felicità fai parte anche tu, ti dispiacerebbe smetterla di fare lo stronzo e dire sì, una buona volta?!
Sull’automobile calano altri dieci minuti di intenso e corrucciato silenzio, del tutto identico a quello che ha preceduto quest’ultimo scoppio d’ira, e perciò, quando Dave apre di nuovo bocca, sia Blaine che Kurt sanno esattamente cosa aspettarsi.
- Vi dico come faremo. – ripete, - Io ho ancora la proprietà della casa, era nell’eredità e non l’ho mai venduta. Potrei—
- Io ci rinuncio. – sospira Kurt, abbattendosi contro il proprio sedile e guardando fuori dal finestrino con aria un po’ malinconica. Blaine fa un paio di calcoli e decide che arrivare con mezz’ora di ritardo sarà comunque meglio di arrivare con un Kurt in meno perché durante il tragitto s’è disciolto nella disperazione del non riuscire a far quadrare i conti del triangolo amoroso in cui vive immerso da ormai un lustro, e quando adocchia una stazione di servizio si affretta ad imboccare la stradina sterrata che dall’autostrada devia verso il piazzale semivuoto.
- Vi dico io come faremo. – comincia con un sorriso conciliante, fermando la macchina al riparo di un grande albero frondoso che getta un’ombra lunghissima sull’asfalto, - Io adesso entro e vado a comprare un po’ di cioccolata, qualche panino ed un paio di bottigliette d’acqua. Abbiamo tutti bisogno di una pausa. – e io per primo, pensa uscendo dalla macchina e chiudendosi lo sportello alle spalle, ma questo non lo aggiunge ad alta voce.
Kurt si ostina a rimanere in silenzio, motivo per il quale è Dave che, dopo un paio di minuti passati a sperare che Blaine esca di corsa dalla stazione di servizio strillando “velociraptor!” per poi infilarsi in macchina e riprendere la strada per Cleveland a ritroso lasciando Lima e tutti i suoi problemi in balia di spietati dinosauri assassini estinti ormai da milioni di anni venuti fuori da chissà dove, si fa avanti e sospira pesantemente, aggrappandosi al sedile passeggero per scavalcarlo e lasciarsi ricadere con uno sbuffo contrariato al posto guida, dietro il volante.
- Kurt. – lo chiama a bassa voce, osservandolo richiudersi ancora di più su se stesso al solo sentire la sua voce, - Kurt, andiamo. – sospira, allungando una mano verso il suo viso. Kurt incassa la testa nelle spalle, strizzando gli occhi e gonfiando le guance. Dave sospira ancora, lanciando un’occhiata supplice al cielo terso del quale s’intuisce una fetta oltre il parabrezza. – Coraggio, fiorellino, non vorremo mica ricominciare dall’abc? – sbotta, senza però azzardarsi anche solo a provare a toccarlo senza il suo consenso.
- Ti ho già detto mille volte che odio quel soprannome. – sbuffa Kurt, lanciandogli un’occhiata infastidita.
- Sì, e tutte e mille le volte era una bugia. – sorride Dave, inclinando appena il capo. – Andiamo. – Kurt lo guarda ancora, emettendo una sorta di ringhio di gola, basso e lamentoso, - Andiaaaamo. – insiste Dave, schiudendo le braccia. Il mugolio di Kurt si fa più alto e lagnoso, mentre lui cede, rotea gli occhi e si sposta, scavalcando la leva del cambio per planare spensieratamente fra le sue braccia, sistemandoglisi in grembo mentre Dave si assicura di non lasciarlo scivolare e di stringerlo a sé, dondolandolo piano, non appena le operazioni di trasloco da un sedile all’altro sono completate.
- Non capisco perché sei così ostinato. – borbotta, appoggiando il capo contro la sua spalla.
- I bambini non sono la mia cosa. – ribatte Dave, accarezzandogli lentamente i capelli.
- E io e Blaine? – insiste Kurt, lanciandogli un’occhiata risentita, - Neanche io e Blaine siamo la tua cosa?
- Direi che sono cinque anni che scopiamo. – sospira Dave, - Mi sa che siete la mia cosa eccome, tutti e due.
- E allora perché non vuoi dirlo in giro? – sbuffa Kurt, allontanandosi appena per guardarlo meglio ed incrociando le braccia sul petto mentre le labbra gli si arricciano in una smorfia contrariata.
- Perché la poligamia è ancora vietata negli Stati Uniti d’America? – tenta Dave, ricambiando il suo sguardo con un’occhiata tonda e un po’ persa, ma Kurt sbuffa, inarcando le sopracciglia, e Dave capisce che questo, per lui, non è ancora sufficiente. – Perché non è una cosa normale, Kurt. – sbotta, - T’insegnano che quando ti innamori è di una persona sola, no? Quella giusta, con la quale passi il resto della tua vita.
- Be’, mi pare che a te avessero insegnato che questa persona giusta potesse essere solo una femmina, e invece… - sbuffa Kurt, con l’aria severa di chi sta difendendo una questione di principio ed è fermamente intenzionato a non retrocedere di un passo finché non avrà visto le proprie ragioni trionfare.
- No, adesso non confondiamo. – sospira Dave, mettendo le mani avanti, - Non voglio risalire fino alla creazione del mondo con questi giochini mentali. Sai benissimo che stiamo parlando di due cose diverse.
- Invece magari non lo so! – esplode Kurt, tornando sul proprio sedile e guardandolo con astio. Al solo sentirlo allontanarsi Dave ha la chiara percezione del punto verso il quale questa conversazione sta andando. E sa anche di non poterlo evitare. – Spiegamelo! Magari ti capisco meglio, magari ti do perfino ragione!
- Sto solo dicendo – sospira pesantemente Dave, massaggiandosi le tempie, - che l’amore dovrebbe essere una questione fra due persone, quelle giuste l’una per l’altra. Non è normale che di persone giuste ce ne siano due. – si interrompe per un secondo, trattenendo il fiato. Vorrebbe riuscire a trattenere anche il resto del proprio pensiero, ma per qualche motivo non ci riesce. – E forse non è nemmeno vero.
Kurt sembra pietrificarsi sul posto.
- È così che la pensi? – chiede, retorico e teatrale come diventa sempre quando si sente vittima di un’ingiustizia troppo enorme per poter essere tollerata, cosa che capita molto più spesso di quanto uno non possa pensare, visto che perfino la marmellata d’arancia al posto di quella alla ciliegia sulle fette biscottate al mattino è per lui una gravissima ingiustizia, quando aveva pensato di fare colazione con l’una e si ritrova sotto il naso l’altra.
Dave sospira, sedendosi più compostamente ed appoggiandosi al volante. È già così stanco. Ma l’aveva previsto, che sarebbe finita così. Per questo voleva restare a Cleveland, come l’anno scorso, e l’anno prima, e tutti gli anni precedenti. Ma Kurt no, Kurt ha insistito, e Blaine mai che riesca a porgli un freno davanti, neanche quando è indispensabile, e ora eccoli lì, persi nel niente a metà strada fra Lima e il resto del mondo, sul punto di mandare a puttane la storia della loro vita per incompatibilità di base che chissà da che anfratto oscuro delle loro menti scombinate sono venute fuori del tutto a caso.
Certe volte Dave pensa a Blaine e si chiede perché non si sia trovato un ragazzo normale con cui stare. Uno che non lo costringesse a stare per ore chiuso in una cazzo di stazione di servizio a comprare cibo inutile solo per concedergli tempo per risistemarsi la testa prima di diventare nevrotico, ad esempio. Blaine è un bel ragazzo, non solo nel senso specifico, anche nel senso generale del termine. È simpatico, moderatamente spigliato, divertente e intelligente. ‘Cazzo sta a fare con due casi persi come loro?
- Kurt… - prova a stemperare la tensione poco dopo, massaggiandosi la fronte, - Non lo so come la penso, dico solo che—
- No, perché ti sei svegliato un po’ tardi per capire tutto all’improvviso che una storia a tre non funzionava, per te. – esplode Kurt, senza lasciargli il tempo di finire la frase, come ha sempre fatto e come probabilmente sempre farà finché continueranno a stare insieme, periodo di tempo che, rispetto a mezz’ora fa, sembra essersi tragicamente ridotto, - Dico, dopo cinque fottuti anni di cui tre di convivenza e con un bambino in arrivo, non ti pare di essere un attimino fuori tempo massimo per tirarti indietro?
- Non ho firmato nessun contratto. – ribatte lui, aggrottando le sopracciglia con fastidio. Kurt solleva entrambe le mani, chiudendo gli occhi. Trema un po’. Dave lo osserva rimettersi a sedere composto e incrociare nuovamente le braccia sul petto.
- Lasciamo perdere. – dice quindi, - Facciamo come dici tu. Vai pure a stare nella tua vecchia casa. Non ne parliamo più.
- Ho portato il gelato! – esulta Blaine, spalancando lo sportello posteriore automaticamente quando vede che Dave è passato davanti, - Non c’era nient’altro di buono. – aggiunge in un lamento che diventa un mormorio quando scorge le facce scure dei due compagni. - …e forse dovrei tornare dentro e cercare meglio, chissà! – si propone, fingendo entusiasmo, ma Kurt lo ferma con uno sbuffo rassegnato.
- Lascia stare, Blaine. Il gelato andrà benissimo. – dice cupo, tendendo la mano all’indietro senza neanche guardarlo. Blaine sospira e gli passa la vaschetta e uno dei cucchiaini di plastica che ha comprato, osservandolo mentre sfila il tappo e affonda il cucchiaio nel gelato alla crema. – Metti in moto. – dice a Dave, prima di cominciare a mangiare.
Il resto del tragitto lo passano in silenzio.
*
- Sicuro che starai bene? – chiede Blaine a Dave, accompagnandolo fino alla porta. La casa è enorme, Dave non ci mette piede dentro da anni ma la ricorda ancora alla perfezione. La guarda da fuori, rovistando all’interno dello zaino che porta appeso al braccio per cercare l’enorme anello attaccate al quale tintinnano le chiavi della porta d’ingresso, di quella in cantina, della soffitta e del garage, per non parlare del recinto dei cani nel giardino sul retro, ormai vuoto da tempo immemore.
- Certo che starò bene. – sbuffa scorbutico, - È casa mia, no?
- No. – ribatte Blaine con un sorriso. – Ti verremo a trovare presto.
- Dio mio, non sto mica partendo per la guerra! – sbotta Dave, esasperato, - Sono qui a Lima, a pochi chilometri da voi! Basterà uscire per incontrarsi! Non farne un dramma!
Blaine ride cristallino, sporgendosi verso di lui e baciandolo lievemente sulle labbra.
- Mi occuperò di Kurt, mentre non ci sei. – lo rassicura pacifico. Le braccia di Dave scivolano inerti lungo i suoi fianchi, mentre fissa Blaine con aria allucinata. Poi sospira e scuote il capo, lanciando un’occhiata alla figurina corrucciata di Kurt ancora in macchina. Non è neanche sceso a salutarlo.
- Va bene, va bene. – concede con un altro sospiro, - Andate.
Blaine sorride ancora e lo saluta con un altro bacio, al quale stavolta Dave risponde, prima di voltargli le spalle e tornare alla macchina. Dave riesce appena a scorgere l’occhiata triste e risentita che Kurt gli lancia attraverso il finestrino, prima che l’automobile parta sfrecciando lungo la strada vuota verso casa Hummel.
Sospirando per l’ennesima volta – e chiedendosi se sarà questa la sua occupazione principale, assieme a immaginare cosa possa succedere a Blaine e Kurt mentre lui non c’è, per le prossime ore fino a quando quei due non si faranno risentire dopo essersi sistemati – entra in casa, richiudendosi immediatamente la porta alle spalle e guardandosi intorno. Le stanze sono tenute bene, sicuramente molto meglio di quanto non si aspettasse. È ormai sfitta da più di un anno, ma l’ultima famiglia che l’ha abitata sembra averla trattata con riguardo. Dave ne è contento, nonostante non tutti i ricordi che ha di quelle stanze siano piacevoli. La maggior parte, per la verità, coincide con una cupa sensazione di inadeguatezza e paura che, durante gli anni della sua adolescenza, l’ha accompagnato a lungo, dovunque andasse. Immagina che proverebbe esattamente la stessa sensazione se adesso facesse un giro alla McKinley, o da Breadstix, o in qualunque altro posto. E trova abbastanza fastidioso il pensare che una sensazione simile possa essere identica se si parla della sua vecchia casa o di posti che in teoria dovrebbero essere decisamente meno importanti. Gli dà l’idea di quanto poco si sentisse a casa fra queste mura. E la situazione non sembra essere cambiata granché.
Sale le scale verso quella che un tempo era camera propria, passando attraverso stanze piene di mobili coperti da lunghi e polverosi teli bianchi. Giunto davanti alla porta, si intrattiene per qualche attimo ad osservare le venature del legno, cercando in esse un qualche cambiamento, ma la verità è che quando era ragazzino e viveva qui non si è mai soffermato ad osservare niente con una tale attenzione – niente che non fosse il viso di Kurt, o i vestiti che indossava, o il modo in cui i suoi pantaloni sempre aderentissimi fasciavano le sue gambe e il suo sedere rendendolo appetibile come il frutto proibito del suo personalissimo paradiso terrestre – perciò se anche il legno fosse cambiato, se fosse invecchiato, se si fosse spaccato, lui non avrebbe mai modo di accorgersene.
Scacciando via questi inutili pensieri, si decide a spalancare la porta ed entrare in camera. Qualche cambiamento è stato fatto, il letto ha cambiato posizione, non c’è più il computer sulla scrivania e con lui, ovviamente, neanche tutti i chili di porno gay che stipava nelle cartelle nascoste dando loro finti nomi di finti programmi che naturalmente non esistevano e delle quali nessuno avrebbe mai chiesto niente perché suo padre di informatica non si intendeva minimamente, e sua madre meno che mai, ma il solo camuffarle in quel modo bastava a farlo sentire tranquillo, assieme alla scorta di playboy che teneva nascosti-ma-non-troppo nell’armadio per fornire una scappatoia e un alibi alla sua coscienza, anche se poi nemmeno li apriva, e che immagina siano spariti anche loro, buttati via dai suoi genitori dopo la sua partenza per il college o da uno degli inquilini della casa quando l’ha messa in affitto dopo la loro morte.
Per prima cosa, comunque, apre la finestra. Poi appoggia le valigie sul letto e le apre. Sistema la roba nei cassetti vuoti, nell’armadio e sul comodino, e infine fa il conto degli spicci che ha nel portafoglio.
Con un lieve sorriso, esce di casa e passeggia pigramente fino al mini-market in fondo alla strada. Ne viene fuori con delle lenzuola nuove, un paio di birre, un po’ di prodotti per le pulizie e un’ottima idea per far passare il tempo.
*
Blaine non dice niente a Kurt, se non altro perché non avrebbe la minima idea di cosa dirgli, in realtà. Comprende le sue ragioni e, in parte, le condivide, ma pur non condividendole affatto comprende anche le ragioni di Dave, e non può negare che per lui sia sempre stato un po’ diverso, rispetto a com’era per loro. Soprattutto perché sostanzialmente è stato Dave ad inserirsi in un rapporto pre-esistente, che loro avevano e che era già rodato da un buon paio d’anni.
Blaine e Kurt non avevano mai avuto bisogno di Dave per ravvivare un rapporto che s’era fatto noioso, sebbene Dave stesso inizialmente avesse creduto qualcosa di simile. L’avevano semplicemente voluto, entrambi e contemporaneamente e con una tale intensità che inizialmente li aveva spaventati.
Quando l’avevano incontrato, al college, avevano stentato a riconoscerlo. Dave non si era mai scusato nel senso proprio del termine, ma il suo pentimento era stato evidente fin da subito, e quando avevano cominciato ad uscire tutti e tre insieme per la prima volta Blaine e Kurt si erano sentiti in competizione l’uno con l’altro per attirare la sua attenzione. Un qualcosa che aveva del surreale, una situazione che si era protratta per settimane fino a quando Kurt non era esploso, trascinandoli Blaine e se stesso nella prima vera litigata che la loro storia ricordasse, e che s’era conclusa con un’ammissione di interesse nei confronti di Dave da parte di entrambi.
Kurt aveva delirato su una sorta di stravagante diritto di mettergli le mani addosso per primo che si arrogava travestendolo come una specie di risarcimento di tutte le umiliazioni subite in passato, e Blaine aveva risposto in malo modo dandogli del pazzo, se credeva che essere stato spinto contro degli armadietti lo rendesse in qualche modo “primo nella lista degli eventuali aspiranti a portarsi a letto Dave Karofsky”. Ma l’implicazione più importante di quella litigata non era stata tanto quella di cercare di stabilire chi dei due avesse più diritto a provarci col ragazzo – che per parte propria lanciava sguardi di fuoco ad entrambi, apparentemente incapace di decidere in prima persona verso chi pendessero maggiormente i suoi interessi in quel momento – quanto più il fatto che per la prima volta dopo anni Blaine e Kurt avevano messo in dubbio la possibilità di essere ancora interessati l’uno all’altro.
Forse era semplicemente passata, avevano pensato tutti e due. Forse Dave è solo l’allarme che ce lo fa notare.
Avevano deciso di prendersi una pausa l’uno dall’altro. Non da Dave, però, e questo aveva portato il continuare a girarsi intorno. In qualche modo, continuare a vedersi quando non tornavano più a casa insieme la sera, non andavano più a dormire nello stesso letto e non si risvegliavano più l’uno fra le braccia dell’altro, li aveva avvolti in una sorta di patina opaca e nostalgica che li costringeva a sorridersi con una tristezza infinita ogni volta che si incrociavano, ed aveva dato modo ad entrambi di comprendere che Dave non era un allarme, perché loro si amavano ancora.
No, evidentemente Dave era qualcosa di diverso. Qualcosa che sono stati in grado di scoprire solo quando si sono finalmente decisi a sotterrare l’ascia di guerra per riesumare quella complicità perfetta che li aveva sempre tenuti legati, per muoversi come un unico corpo verso l’obiettivo finale. Averlo.
Blaine non ha nessun dubbio che Kurt voglia ancora Dave. Così come non ha alcun dubbio di volerlo a propria volta. E men che mai è in dubbio la questione di chi o cosa Dave voglia, solo che è improvvisamente tutto diventato molto più complicato, ultimamente.
Il bambino può esserne la causa, ma Blaine è quasi sicuro che non sia per quello, o comunque non solo per quello, che tutte le inquietudini di Dave – roba che tutti e tre consideravano morta e sepolta ormai da secoli – sono tornate a galla così all’improvviso, in massa, rendendo la loro stramba relazione più tesa di quanto non fosse mai stata – e per la prima volta in senso tutt’altro che piacevole.
Fermando la macchina di fronte a casa Hummel, mentre il sole gioca a nascondino fra le nubi pesanti che coprono il cielo fino alla linea dell’orizzonte, Blaine sospira profondamente e si volta a guardare Kurt, schiudendo le labbra per parlare.
- Non dire niente. – lo interrompe lui, sollevando una mano e spalancando lo sportello per scivolare giù dall’autovettura in un gesto fluido, aggraziato ma, soprattutto, incredibilmente frettoloso, come di qualcuno terribilmente ansioso di cavarsi d’impaccio in una situazione poco piacevole.
- Kurt… - sospira lui, uscendo a propria volta e raggiungendolo dietro il portabagagli, - Dovremo pur parlarne, prima o poi.
- Prima o poi è una bellissima espressione. – annuisce Kurt, chinandosi a recuperare due delle sue quattro valigie quando Blaine apre il portabagagli per lui, - Sai perché è una bellissima espressione? Perché è così meravigliosamente vaga. – risponde con aria fintamente sognante. – In pratica, - conclude tornando ad aggrottare seriamente le sopracciglia, - non vuol dire niente.
- Il mio “prima o poi” era tremendamente circostanziato, Kurt. – sospira Blaine, imbracciando il borsone a tracolla e facendosi carico delle restanti valigie stipate nel portapacchi, - Dove il prima indicava un momento genericamente identificabile con adesso, mentre il poi si riferiva a un più vago, te lo concedo, ma ugualmente pressante fra una ventina di minuti.
- Blaine, senti, non fare così con me, d’accordo?! – scatta Kurt, infastidito dal suo tono, solcando a grandi passi il vialetto verso la porta di casa, - Non sono stupido e non sono un bambino, se ti dico che prima o poi mi piace perché è un’espressione vaga, lo so che il tuo prima o poi non coincide col magari mai che sto pensando io, ma sempre un magari mai resta quello che sto pensando, ti pare?
- Molto maturo, da parte tua. – commenta Blaine con un mezzo sorriso ironico.
- Be’, non ho mai detto di essere una persona matura. – sbuffa Kurt, e Blaine gli si para davanti, tagliandogli la strada fino a costringerlo a piantare le scarpe con forza nella ghiaia del vialetto, rovinandone la vernice nera e lucida, per impedirsi di franargli addosso con tutti i bagagli.
- Sì, l’hai detto. – dice Blaine, guardandolo dritto negli occhi, - Forse non esplicitamente, ma quando hai perdonato Dave, quando hai deciso che senza di lui la nostra relazione era incompleta e soprattutto… - si interrompe, posando le valigie per terra per stringere il suo volto fra le mani, costringendolo a continuare a guardarlo negli occhi anche se tutto ciò che Kurt vorrebbe fare in questo momento è fissare la ghiaia come se i sassolini che si accavallano l’uno sull’altro sotto le loro scarpe fossero lo spettacolo più interessante di tutto l’intero universo, - …soprattutto, quando hai deciso che eri pronto per diventare padre, l’hai detto. Hai fatto una scommessa, hai scommesso sul tuo essere maturo abbastanza. E ora?
Kurt si allontana da lui con un gesto secco, guardandolo con rabbia.
- Forse l’ho persa. – risponde tagliente, girandogli attorno e proseguendo il proprio cammino senza più degnarlo di uno sguardo.
Con Burt e Carole, quando li accolgono sulla porta pochi istanti dopo, Kurt si comporta in modo perfettamente normale. È felice di rivederli, li stringe in un abbraccio particolarmente dolce – d’altronde, fra una cosa e l’altra, non si vedono da Natale scorso – e si dimostra dispiaciuto quando Carole gli dice che Finn non potrà essere dei loro, quest’anno, che lui e Quinn hanno programmato un viaggio all’estero o qualcosa di simile, e che Finn gli manda i suoi saluti.
Sul suo volto non resta traccia di quanto gli pesi dover mentire a suo padre. Eppure Blaine sa che quel peso Kurt lo sente, lo sente moltissimo, così tanto che ha passato non solo tutto il viaggio, ma tutte e due le settimane precedenti allo stesso a cercare di convincere Dave riguardo alla possibilità di dire tutto a Burt e Carole, per alleggerirsi la coscienza.
Quando scendono al piano di sotto, in camera di Kurt – che è rimasta camera di Kurt nonostante tutto il tempo che è passato e nonostante quelle pareti ritornino ad essere sue solo un paio di volte all’anno, ormai – Blaine sospira pesantemente quando lo vede abbattersi a pancia in sotto sul letto, affondando il viso nel cuscino.
- Lo chiami? – gli chiede, senza premurarsi di sollevare il viso per rendere la propria voce più comprensibile. Non ne ha bisogno, d’altronde. Blaine sorride, sedendosi al suo fianco sul letto e tirando fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, perché sapeva esattamente che questo momento sarebbe arrivato.
- Perché non lo chiami tu? – domanda, porgendogli il telefono col nome di Dave già pronto per essere selezionato dalla rubrica.
- No. – mugugna Kurt, affondando più profondamente nel cuscino, - Chiamalo tu.
Blaine scuote il capo, incapace di trattenere un sorriso ed uno sbuffo fra il divertito e il rassegnato, e poi, obbediente, chiama Dave.
*
Quando riceve la telefonata, Dave è fermo in mezzo al salotto, guarda il pavimento e la mobilia che risplendono alla luce del lampadario che pende alto dal soffitto e cerca di convincersi che non esista niente di più bello al mondo che stare in quella casa con le maniche tirate su fino ai gomiti, accaldato nonostante il freddo, a rimirare il frutto del suo lavoro pomeridiano mentre culla la sola prospettiva che si apre per la serata, cioè quella di lasciarsi cadere a peso morto sul divano con una lattina di birra in una mano e il telecomando nell’altra per sfondarsi di tv spazzatura fino al sopraggiungimento del sonno, della morte cerebrale o di entrambi.
La suoneria spezza la monotonia del silenzio che avvolge la casa, e Dave recupera il cellulare dalla colonnetta sulla quale l’ha lasciato con occhi che si riempiono di gratitudine e si fanno, se possibile, ancora più grati quando scorgono chi è che lo sta chiamando.
- Oh, mio Dio, grazie. – geme rispondendo, - Credevo di morire.
Blaine si mette a ridere, e Dave accoglie nelle orecchie e sotto la pelle il suono della sua risata come la benedizione che usualmente è. Una risata di Kurt è un miracolo che va conservato e gustato nel tempo, perché non la si sente così spesso, soprattutto nella sua sfumatura più infantile e sincera, ma Blaine, oh, Blaine ride abbastanza per tutti e tre insieme, e suona sempre così naturale, quando lo fa. Così dolce e giusto.
- Ti annoi? – chiede intenerito, e Dave si appoggia alla parete, passandosi una mano sulla nuca per sciogliere i muscoli tesi e affaticati del collo.
- Questo sarebbe un bel modo per dirlo, sì. – annuisce, - Sai come sarebbe anche meglio? Dire “mi annoio così tanto che ho pensato di suicidarmi solo per vedere se almeno così il tempo passava più in fretta”. – borbotta, e Blaine ride ancora. – Usciamo? – gli chiede con un mezzo sorriso, quando sente la sua risata affievolirsi e poi spegnersi in un sospiro divertito.
Blaine confabula per qualche secondo col borbottio avvolto in cachemire targato D&G che entrambi hanno per ragazzo, e poi torna a rispondergli.
- Temo di no. – ride, - Sua maestà non vuole uscire. È depresso.
- Non prendermi in giro! – strilla la voce sottile e un po’ lontana di Kurt, mentre qualcosa di morbido e piumoso si abbatte su Blaine e sul suo cellulare, riempiendo le orecchie di Dave di un thump che gli fa bruciare nello stomaco la voglia di essere lì con loro. – Dammi qua. – borbotta quindi, e pochi secondi dopo, in seguito ad una serie di scricchiolii e fastidiosi rumori metallici, la voce di Kurt prende il posto di quella di Blaine. – Vieni. – dice seccamente. È ancora arrabbiato.
- Vuoi che venga? – ribatte Dave, astioso, - E dove mi nasconderai? Sotto il tappeto? Magari la cabina armadio è abbastanza spaziosa da ospitare un sacco a pelo.
Kurt ringhia basso, Dave riesce a vederlo mentre stringe convulsamente i pugni lungo i fianchi per cercare di trattenere la risposta acida che gli cola fra le labbra.
Ci riesce.
- Vieni. – ripete in un sibilo, - Troveremo un modo per farti entrare. – conclude.
Dave lo odia. Odia questa situazione e odia l’essere stato strappato a forza da una segretezza all’interno della quale si sentiva al sicuro, per finire catapultato in una segretezza completamente diversa che invece non fa altro che disturbarlo profondamente.
Ma non riesce a costringersi a dirgli di no.
*
Dopo dieci minuti passati a considerare seriamente la possibilità di passare attraverso il condotto d’areazione smontando la ventola che sbuca nel bagno privato di Kurt, Blaine sbuffa esasperato ed ordina a Kurt di andare da suo padre e da Carole ad intrattenerli parlando del suo argomento preferito – se stesso – mentre lui fa passare Dave dalla porta sul retro. Kurt si lagna un po’ per una serie svariata di motivi completamente randomici, utilizzando peraltro anche la scusa del tutto folle e delirante che “non gli piace accentrare troppo l’attenzione su di sé”, ma Blaine sa che l’unico motivo per cui non vuole andare di là a distrarre Burt e Carole è che lo infastidisce il pensiero di non poter rivedere subito Dave quando entra in casa.
Lo bacia, stringendoselo contro per zittirlo, e poi gli accarezza una guancia.
- Kurt, - dice quindi, sorridendo serafico, - non te lo stavo chiedendo per favore.
Kurt avvampa, oltraggiato, ma pur sbuffando come una teiera si piega ad obbedire. Blaine lo osserva risalire sculettando le scale e sbuffa una mezza risata mentre tende l’orecchio per percepire l’esatto momento in cui irrompe in cucina, dove Carole sta preparando da mangiare e Burt le sta dando una mano sperando di non mozzarsi un dito mentre taglia le carote à la julienne, strillando “indovinate chi ha avuto la parte di Puck nell’adattamento in musical del Sogno di Una Notte di Mezza Estate che dovrebbe uscire l’anno prossimo?”, e solo dopo che li sente entrambi gioire e congratularsi con lui si azzarda a venire fuori da quel lussuoso sotterraneo, per raggiungere la porticina sul retro.
- Ehi. – lo saluta Dave, già lì in attesa da chissà quanto tempo, stretto nel giaccone imbottito e nella sciarpa e nel cappello che gli avvolgono quasi completamente la testa, lasciando spazio solo per gli occhi che, per compensare la mancanza di un riparo, sono semichiusi e sottili fin quasi a non riuscire a distinguerne il colore, - Mentre venivo qui pensavo, non è ironico? Sono uscito da un armadio dieci anni fa apposta per rientrarci adesso. Ti sembra una cosa corretta? La vita si sta prendendo gioco di me.
- Piantala. – ride Blaine, scostandosi dall’uscio per lasciarlo entrare, - Non abbiamo intenzione di chiuderti in nessun armadio. La semplice attuazione fisica della metafora potrebbe essere devastante per te, a livello psicologico. E fa’ silenzio, o ti sentiranno.
Dave annuisce, lanciandogli un’occhiataccia, ma non può fare a meno di concedersi un commento acidulo quando gli fa notare che quello che blatera di contraccolpi psicologici e armadi è lui.
Quando riesce finalmente ad essere ammesso alla corte sotterranea di sua maestà, comunque, non può fare a meno di mettere da parte il fastidio per qualche secondo, mentre si guarda intorno trattenendo il respiro: non è mai stato in quella stanza, non l’ha mai vista. Non ne ha naturalmente mai avuto l’occasione quando ancora vivevano entrambi a Lima e frequentavano la McKinley, e dopo essersi trasferito a Cleveland è tornato qui solo un paio di volte all’anno, mai con Kurt e solo per vedere i suoi genitori. A casa Hummel non si è mai nemmeno avvicinato – i ricordi più freschi che ha sono di un se stesso vagamente più grasso e decisamente più arrabbiato che scruta le finestre di quella casa sperando di riuscire a spiare all’interno mentre passa per quella strada sfrecciando sulla propria macchina nel tentativo di sparire il più in fretta possibile – e la camera da letto all’interno della quale Kurt viveva e studiava e dormiva non è mai stata niente più di un’idea, un qualcosa che doveva esistere per forza ma della quale lui non possedeva nessuna immagine. Una specie di leggenda.
Quante volte si era chiesto come fosse il suo letto? Quante volte aveva immaginato come avrebbe potuto essere spingerlo lentamente su quel materasso, insinuare un ginocchio fra le sue cosce per obbligarlo a dischiuderle e baciarlo affamato mentre lui si aggrappava alle lenzuola tirandole fino a strapparle dagli angoli?
- Bella, mh? – commenta Blaine, accompagnandolo fino a quando Dave si siede sul letto, saltellando un po’ sul posto per saggiare la consistenza del materasso.
- Tu ricordi com’era prima? – chiede dal nulla, sfiorando le lenzuola con le mani bene aperte senza osare sollevargli addosso lo sguardo.
- Prima? – domanda Blaine, un po’ stupito, - Prima quando?
- Prima del coming out. – risponde Dave, e Blaine inarca un sopracciglio.
- Pensavo che la storia dell’armadio fosse una provocazione, non un desiderio. – commenta. Dave sospira profondamente.
- No… - biascica, - O forse sì. Non lo so. È solo che… - si prende un secondo per riordinare le idee, gesticolando come se questo potesse aiutarlo a mettere insieme le parole adatte, - Non smette mai di essere difficile, ecco.
- Se proprio dobbiamo dirla tutta, - ridacchia Blaine, sedendosi al suo fianco e piegandosi fino ad appoggiare i gomiti sulle ginocchia, per poter incrociare il suo sguardo, - la tua vicenda umana è stata parecchio più complicata della media, d’accordo, ma davvero pensi che sarebbe stato meglio se non avessi mai fatto outing? – gli domanda, inarcando un sopracciglio.
- Non lo so. – ripete Dave, scrollando le spalle, - Ma so che me lo chiederò per sempre. Ogni tanto immagino la mia vita e faccio delle associazioni mentali alla Sliding Doors, e—
- Il solo fatto che tu abbia citato questo film ti rende già molto più gay di quanto non si possa pensare. – ride Blaine, spintonandolo appena con una spalla, - Gran donna, la Paltrow.
- Piatta come una tavola. Almeno prima del chirurgo estetico. – annuisce comprensivo Dave.
- E con quei capelli corti… - aggiunge Blaine. Entrambi fissano il vuoto per un paio di secondi, condividendo il momento. – In ogni caso! – riprende Blaine, mentre Dave si concede una risata divertita, - Prima di fare outing io non mi sentivo tanto meglio di come mi sono sentito dopo. Neanche tanto peggio, a voler essere onesti. Insomma, in qualche modo il silenzio mi proteggeva. Ma mi limitava, anche. Non avrei mai potuto imbarcarmi in una relazione con Kurt, e poi con te e Kurt, se fossi rimasto in silenzio. Non avrei questo bambino in arrivo.
Dave abbassa lo sguardo, annuendo lentamente.
- In ogni caso, - sospira, - quello che è fatto è fatto. – commenta rassegnato. Blaine si appoggia nuovamente contro di lui, strusciando il naso contro il suo collo e costringendolo a un mugolio compiaciuto quando posa il più lieve dei baci sulla curva della sua mascella.
- Non proprio. – gli sussurra, - Se stai male, puoi sempre tornare indietro. Sai quello che hai e sai ciò che ti aspetta. Nessuno può tenerti imprigionato in qualcosa che non vuoi.
- E questo me lo dici mentre mi infili una mano dentro i pantaloni esattamente perché…? – geme Dave, e Blaine ritrae la mano, ridendo divertito.
- Tecniche di dissuasione. – risponde con un’alzata di spalle, - Puoi dirmi che vuoi lasciarci, ma non impedirmi di fare tutto ciò che è in mio potere per cercare di trattenerti.
- Vedo che vi divertite un sacco anche senza di me. – li interrompe tetra la voce di Kurt. Blaine continua a sorridere, voltandosi a guardarlo. Dave non sorride, ma si volta a guardarlo lo stesso. Sta scendendo le scale, in pochi passi sarà davanti al letto. Non riesce a non temere il momento in cui sarà abbastanza vicino da mollargli uno schiaffo, perché è sicuro al novanta percento che sarà questo ciò che Kurt farà, prenderlo a schiaffi. La parte più protettiva ed egocentrica di lui è molto in disaccordo con questo, non pensa di meritarsi niente del genere. Tutto il resto del suo cervello cerca di ricordargli che, dopo quello che ha detto in macchina, Kurt ha tutti i diritti di avercela con lui, magari perfino di odiarlo, di sentirsi preso in giro, deluso e pieno di desiderio di prenderlo a calci, ma l’opinione della sua parte più razionale al momento non gli interessa granché. Vorrebbe soltanto che fosse tutto più semplice, vorrebbe essere capace di sentirsi meno inadeguato, meno fuori posto, vorrebbe che Kurt e Blaine fossero una persona sola perché così sarebbe più facile, ma allo stesso tempo è consapevole del fatto che se non fossero due persone diverse sarebbe tutto diverso, probabilmente gli piacerebbe di meno, probabilmente nemmeno riuscirebbe ad amare il loro fantomatico mash-up come ama loro due, ma in questo momento non riesce a pensare a tutta questa situazione come a qualcosa di risolvibile. Tutto quello che vede è una grande macchia indistinta di enormi problemi che gli ingombra il cervello, impedendogli di pensare.
Kurt si ferma esattamente di fronte a lui. Dave abbassa gli occhi perché non riesce a guardarlo. Blaine gli stringe una mano sul ginocchio e lui inspira profondamente, giungendo le mani in un gesto nervoso e schiudendo le labbra per scusarsi.
Ma Kurt si inginocchia ai suoi piedi in un movimento lento, aggraziato, quasi regale, e poi gli accarezza una guancia mentre si sporge verso di lui, baciandolo lievemente sulle labbra, e Dave dimentica qualsiasi cosa abbia voluto dirgli, qualsiasi cosa abbia potuto pensare in queste ultime settimane ed ogni tipo di problema si sia mai presentato alle porte del suo pensiero lucido quando, negli ultimi giorni, ha riflettuto sulla condizione in cui vive chiedendosi se fosse quella giusta.
Semplicemente non importa, perché non può esserci niente di più giusto della sensazione di quelle labbra premute contro le proprie mentre le dita di Blaine disegnano ghirigori irregolari sulla sua nuca. Non può esserci niente di più giusto che allungare le mani ed incontrare la resistenza di entrambi i loro corpi, quello più solido di Blaine, quello più morbido di Kurt. Niente di più giusto del sapore dei loro respiri mescolato sulla sua lingua, niente di più giusto della sensazione fisica di entrambi i loro corpi pressati contro il proprio. Qualsiasi altra condizione sarebbe quella sbagliata, non sarebbe sufficientemente bella.
Dave si chiede se questo potrà mai essere abbastanza per smettere di avere paura. Ma l’idea di darsi una risposta in quel momento non gli va proprio giù, perciò si annega nel corpo di Kurt mentre Blaine lo bacia così profondamente da stordirlo, e decide di non pensarci.
*
L’incapacità di accettare quello che sta vedendo dev’essere tanto forte da impedirgli perfino di mettere a fuoco l’imbarazzo che normalmente lo porterebbe a girare sui tacchi e fuggire in un’altra stanza – o in un altro stato, magari. È questo che Kurt pensa, tremando di paura mentre il peso che sentiva sulle spalle vola via in un soffio, quando apre gli occhi sullo sguardo sconcertato e vuoto di suo padre che, da metà della rampa di scale, con addosso ancora il suo grembiule a righine gialle e rosse, li fissa senza emettere un fiato.
- …papà. – lo chiama a bassa voce, ma Burt non sembra neanche sentirlo, contrariamente a Dave, che schiude gli occhi, lo vede seduto e poi, voltandosi verso le scale, sbianca. Blaine si prende qualche secondo in più per svegliarsi, ma quando finalmente ci riesce ha bisogno di stropicciarsi gli occhi almeno due volte prima di rassegnarsi.
- Signor Hummel. – dice piano, e Burt si volta a guardarlo in un movimento lento, meccanico, spaventoso. Non ha ancora sbattuto le palpebre neanche una volta. È inquietante e fa paura. Dave sta tremando dalla testa ai piedi ed è pallido come non è mai stato in vita sua.
Kurt vorrebbe riuscire a prendere in mano la situazione come tante volte ha sognato di fare. Vorrebbe alzarsi in piedi e, ben dritto davanti a suo padre, spiegargli tutto. Ma non riesce. Ha la lingua incollata al palato, i suoi occhi saettano da Dave che sembra sul punto di farsi venire un infarto a Blaine che non ha la minima idea di cosa dovrebbe dire o fare a suo padre che resta lì immobile come una statua di cera con quel ridicolo grembiule addosso, e sente il profumo della cena che vien giù dal piano di sopra e il calore delle coperte che ancora avvolge i loro corpi, e ha le mani sudate, e vorrebbe fuggire in un altro mondo – in un'altra vita, magari? – e per la prima volta gli sembra di capire di cosa Dave avesse così paura, della vertigine spaventosa che sembra volerti ribaltare per terra anche quando sei seduto, e che adesso lui sta provando sulla sua pelle così intensamente da volersi mettere a urlare.
Non avrebbero dovuto mettersi a dormire, dopo aver finito di fare l’amore. Non avrebbero dovuto, ma erano stanchi per il viaggio e tutti e tre sentivano così forte il bisogno di ritagliarsi un paio d’ore semplicemente per sentirsi l’uno fra le braccia dell’altro, che non sono stati capaci di rifiutarsi quella piccola parentesi di serenità in una giornata che la serenità non l’ha vista neanche arrivare da lontano.
E lui avrebbe dovuto essere più attento, avrebbe dovuto pensare che suo padre sarebbe sceso a chiamarlo per la cena. Avrebbe dovuto pensare ad un posto in cui nascondere Dave. Avrebbe dovuto pensare a chiudere a chiave la porta.
Avrebbe dovuto, ma nonostante la paura il senso di libertà che lo avvolge in questo momento è talmente forte da fargli pensare le cose più assurde.
Come, ad esempio, la possibilità di averlo fatto apposta.
- Vestitevi. – dice Burt all’improvviso. La sua voce è gelida e raggelante. – La cena è pronta. – conclude, prima di voltarsi e risalire le scale, chiudendosi la porta alle spalle.
Blaine e Dave restano in silenzio mentre scivolano fuori dal letto e cominciano a cercare i loro vestiti. Kurt li ringrazia mentalmente. Nemmeno lui ha tanta voglia di fare conversazione.
*
In salotto non si sente altro che il tintinnare delle posate sui piatti fino a quando Carole non decide di essere la prima a parlare, per dire che le dispiace se le porzioni delle pietanze che ha preparato sono state un po’ ridimensionate, ma erano state pensate solo per quattro persone e l’aggiunta di un eventuale quinto ospite non era mai stata contemplata, per cui l’unico modo che aveva per tappare il buco era cercare di ricalibrare le quantità di cibo perché tutti potessero avere qualcosa, ma così facendo naturalmente le quantità dei piatti di ognuno sono diminuite. Ci mette dieci minuti a dirlo, fra un’esitazione e l’altra. Insiste tanto, nello spiegare i dettagli del suo ragionamento, che se si fingesse di poter ignorare il contenuto del suo discorso si potrebbe supporre che stesse parlando di una qualche questione di principio, o esponendo un ragionamento di interesse politico, o un parere su qualche controverso film visto al cinema di recente. E invece no, parla delle porzioni di cibo. Di quanti maccheroni sono finiti nel piatto di ognuno, di quanto pollo spetti a ciascuno dei presenti, di quanto sia triste di non potere offrire a tutti un’altra bottiglia di vino, perfino di quanto la imbarazzi il fatto che ora anche il dolce dovrà essere tagliato in fette più piccole di quelle che aveva preventivato.
Non lo fa con l’intenzione di mettere in imbarazzo nessuno, anzi, il suo è palesemente un modo per cercare di riempire il silenzio che sta rendendo soffocante l’aria nella stanza da pranzo, ma l’unico effetto delle sue parole è quello di caricare Dave di ulteriori sensi di colpa, Kurt di ulteriore imbarazzo e Blaine di ulteriore preoccupazione.
Se Finn fosse qui, le direbbe sicuramente di tacere. Odia quando sua madre straparla, perché lo fa solo quando è nervosa, e lui odia vederla nervosa. Ma Finn non c’è, e Kurt vuole bene a Carole, è in confidenza con lei, ma non si sente in diritto di intimarle di stare zitta, e perciò lascia che lei continui a parlare, cercando di ignorare la sua voce per concentrarsi sul silenzio duro e ruvido di suo padre, che non alza gli occhi dal piatto nemmeno per bere e cerca di muoversi il più lentamente possibile per non produrre il minimo rumore, come se questo potesse bastare a illudere se stesso per primo e tutti gli altri poi di non essere davvero presente a quel tavolo. Di non avere davvero visto quello che ha visto quando è sceso in camera di Kurt mezz’ora fa.
- Non si preoccupi, - cerca di rassicurarla Blaine, sorridendo in una perfetta imitazione di serenità, quando lei decide finalmente di darsi pace e smettere di parlare per ricominciare a respirare, - è tutto abbondante e buonissimo, come al solito.
Carole risponde con un piccolo sorriso imbarazzato, annuendo in segno di ringraziamento. Dave non ha toccato cibo, sono ormai dieci minuti che rimesta le polpette senza azzardarsi a portarne alle labbra nemmeno una, ed è al centoventesimo tintinnio della sua forchetta contro la ceramica del piatto che Kurt sente distintamente che se non parla adesso esploderà.
- Adesso basta. – dice, cercando di mantenersi calmo, ma la voce gli esce dalla gola in un mugolio strozzato che denota quanto invece sia impaurito, e non c’è proprio nulla che lui possa fare per nasconderlo. – Papà. – chiama piano, - di’ qualcosa.
Burt smette di mangiare, posando la forchetta in bilico sul bordo del piatto e pulendosi celermente la bocca prima di appoggiare i gomiti sul tavolo e giungere le mani davanti al naso, prendendosi un paio di secondi per riflettere. Poi guarda Kurt negli occhi ed inspira profondamente.
- Che cosa dovrei dire? – chiede. La sua voce è calma, ma sostenuta da una corrente sotterranea di rabbia che la riempie di un certo tremore impossibile da percepire se la si ascolta solo distrattamente. Ma Kurt non è distratto, per cui se ne accorge.
- Non lo so. – risponde, - Quello che ne pensi.
- E ti interessa quello che ne penso? – incalza Burt, aggrottando le sopracciglia, - Io non credo, perché se ti fosse interessato me l’avresti detto, invece di fare entrare quel tizio in casa mia senza neanche informarmi.
Dave accusa il colpo, e non solleva gli occhi dal piatto. Carole gli lancia un’occhiata preoccupata, ma non riesce davvero a dispiacersi per lui. Blaine vorrebbe poter fare qualcosa, ma per la prima volta in vita sua si rende conto che semplicemente non può, perciò resta in silenzio.
- Papà, è della mia vita che stiamo parlando. – gli ricorda Kurt, - E dei miei ragazzi, per cui—
- I tuoi ragazzi! – scatta Burt, alzandosi in piedi e rovesciando la sedia sul pavimento. Carole fa quasi un salto indietro.
- Burt… - prova a chiamarlo, - Non ti agitare troppo.
- Ma lo senti?! – strilla lui, voltandosi verso di lei, i lineamenti stravolti dalla rabbia, - I suoi ragazzi! Come se fosse normale organizzare le orge in casa dei tuoi genitori quando torni a casa per Natale!
- Io non organizzo orge! – strilla a propria volta Kurt, alzandosi in piedi e seguendolo quando Burt gira attorno al tavolo per allontanarsi il più possibile da lui, - Io sto con due persone che amo e dalle quali aspetto un figlio! – insiste. Quando Burt si ferma ancora e si volta a guardarlo negli occhi con una tale confusione da sembrare addirittura comico, Kurt si ferma. – Intendo, - precisa, - il figlio ovviamente lo aspetto dalla donna che ha messo a disposizione il suo utero per noi, ma lo crescerò con loro. Con entrambi. Quindi loro saranno i padri, tanto quanto me.
Burt boccheggia, lanciando un’occhiata a Carole come volesse conferma di aver sentito proprio bene. Lei è così sconvolta che lui non può che dedurre di aver capito perfettamente.
- Tu sei pazzo. – esala cupo, tornando a rivolgersi a suo figlio, - Tu sei pazzo e hai un problema Kurt.
- Ah, sì? Ho un problema? – grida Kurt, avvicinandoglisi minaccioso, - E ce l’ho perché aspetto un figlio, perché siamo in tre o perché uno dei tre è Dave Karofsky?
- Per tutte e tre le fottute cose! – ritorce Burt, gridandogli in faccia ed agitandogli un dito di fronte al viso, - Tutte e tre! È normale, secondo te? Questa è una cosa normale?!
- Non me ne frega un fottuto accidenti di niente se è normale o no! – strilla Kurt, e si spinge talmente in avanti da impattare contro suo padre, petto contro petto, costringendolo a indietreggiare. – Hai capito?! Non me ne frega un cazzo! Non è normale? Non m’importa! È quello che voglio! È quello che avrò. – conclude in un mezzo ringhio, indietreggiando di un passo di fronte allo sguardo confuso, impaurito e ferito di Burt. – Che ti piaccia o no.
Burt rimane in silenzio per qualche secondo, fissandolo come se si aspettasse di vederlo scomparire da un momento all’altro.
- Io non so nemmeno che dire. – soffia alla fine, sollevando entrambe le braccia in un gesto di resa e lasciandole poi ricadere inerti lungo i fianchi, - Non so che dire, davvero. – borbotta confusamente, dando loro le spalle ed avviandosi lungo il corridoio.
- Burt! – lo chiama Carole, correndogli dietro. Quando giunge all’ingresso, seguita da Kurt, Blaine e Dave, lo trova già con addosso la giacca e due dita sulla maniglia della porta. – Non uscire, c’è freddo fuori. – lo implora preoccupata.
- No. – dice lui, voltandosi a guardarla e lasciando poi scorrere un’occhiata allucinata sul suo impossibile seguito. – No, senti, devo uscire. Non riesco più a stare qua dentro. Tornerò presto. – dice soltanto, spalancando la porta ed uscendo di corsa.
Quando la porta si richiude alle sue spalle, ripiombando la casa nel silenzio, Kurt tira all’attaccapanni un calcio talmente forte da mandarlo lungo disteso per terra, sparpagliando cappotti, cappelli e sciarpe per tutto il pavimento. Dopodiché, volta a tutti le spalle e fugge in camera propria.
Blaine e Dave si lanciano uno sguardo in seguito al quale Blaine imbocca immediatamente il corridoio dietro di lui, per seguirlo e stargli accanto, e Dave stringe i pugni lungo i fianchi, inspirando ed espirando faticosamente per darsi coraggio prima di voltarsi verso Carole e rivolgerle un piccolo cenno del capo in segno di scuse.
- Mi dispiace molto per aver rovinato la vostra cena. – dice piano, - Vorrei seguire suo marito per parlare un po’ con lui. – aggiunge. Carole annuisce lentamente, ma il suo è un gesto vago, dettato più dall’educazione che dall’effettiva comprensione di ciò che sta accadendo.
- Dave! – lo chiama, quando lui è già per metà fuori dalla porta, - Ti chiami Dave, vero? – domanda. Lui si volta appena per annuire. – Che cosa intendi dirgli? – gli chiede. Dave si inumidisce le labbra, lanciando uno sguardo pensoso al pavimento.
- Non lo so con certezza. – risponde quindi, - Ma qualcosa dovrò pur dirgli.
Carole annuisce ancora, e Dave ricambia il cenno, prima di uscire. Rimasta sola, lei non può fare altro che tornare in cucina e mettersi a tagliare il dolce, sperando che quando si siederanno nuovamente a tavola per mangiarlo saranno ancora in cinque.
*
- Oh, no. – lo ferma Burt, mettendo le mani avanti quando se lo vede apparire di fronte sul porticato, - No, davvero, non ho la minima voglia di parlare con te, per cui abbi almeno la decenza di lasciarmi in pace.
- Signor Hummel, - sospira Dave, ignorando il suo invito ed avvicinandosi un passo dopo l’altro, per non intimidirlo, - volevo scusarmi per aver rovinato la serata.
- La serata?! – strilla Burt, guardandolo con rabbia, - Tu non hai rovinato la serata, Karofsky, tu hai rovinato la vita di mio figlio. Due volte.
Dave si stringe nelle spalle, mordendosi l’interno di una guancia.
- Signor Hummel, io capisco la sua rabbia. – dice conciliante, - E mi creda, capisco anche il suo sconcerto. In realtà non credo che esista qualcuno in questa casa che possa comprenderla meglio di me.
Burt inarca un sopracciglio, guardandolo con diffidenza.
- Cosa vorresti dire? – domanda scettico. Dave si appoggia alla parete accanto a lui, fissandosi ostinatamente la punta delle scarpe mentre tutto attorno a loro la temperatura si abbassa e comincia silenziosamente a nevicare.
- Anche io spesso ho dei dubbi sulla normalità di questa relazione. – sospira, - A Kurt non piace la parola, la inquadra soltanto in un’ottica di giusto o sbagliato per la società, ma normale può significare tante altre cose.
- Esatto. Come per esempio sana. – suggerisce Burt. Dave annuisce.
- Infatti. – dice, stringendosi nelle spalle. – Sa, il più delle volte io sono convinto al cento percento che questa relazione sia tutto meno che sana. Perché siamo in tre ed è sempre difficile incastrarci… - si ferma un secondo, notando l’ombra di raccapriccio che cala sul viso di Burt, - Non in quel senso! – si affretta a precisare, anche se l’ombra permane, - In senso generale. Nella vita. Tre caratteri sono difficili da conciliare. Tre stili di vita, trentamila abitudini diverse… è tutto molto complicato.
- Sì, e allora perché non te ne tiri fuori e sparisci?! – sputa astioso Burt, e Dave si concede un sorriso minuscolo, piegando appena il capo per distogliere lo sguardo da lui.
- Io li amo. – risponde semplicemente.
Burt fatica a digerire l’affermazione, è evidente dal modo in cui lo guarda.
- Tutti e due? – chiede incredulo. Dave annuisce. – Come è possibile?
- Non lo so. – risponde lui, scrollando le spalle, - D’altronde, io gioco a football, non sono un cazzo di psichiatra. – aggiunge, guardandolo con aria un po’ stupita. Burt gli ricambia l’occhiata e poi, controvoglia, si lascia sfuggire una risata dalle labbra.
- Questa cosa mi sembra… così assurda. – commenta, grattandosi confusamente la sommità della testa, - E questa storia del bambino?
- Io ero contrario. – borbotta Dave, - Non sono proprio convinto che sia il caso di mettersi ad allevare parchi di infanti estesi fin dove batte la luce del giorno, nella situazione in cui siamo. – Burt lo guarda atterrito per qualche secondo, e Dave si concede un risolino imbarazzato. – Sto scherzando. – lo rassicura, - Però comunque Mercedes è incinta e—
- Mercedes? – sbotta Burt, le braccia che cascano nuovamente lungo i fianchi, - Mercedes?!
- È stata un’idea di Kurt! – ribatte immediatamente Dave, stringendosi nelle spalle e scuotendo il capo, - Io e Blaine abbiamo a malapena avuto modo di prendere atto della cosa, che lui in pratica aveva già concluso.
- Mio nipote sarà mulatto e figlio di tre padri. – esala Burt, fissando il vuoto con aria persa, - Spero che almeno non abbia le antenne. – sbuffa, ridendo un po’. Ride anche Dave, ed anche se quasi neanche riescono a guardarsi negli occhi, la temperatura attorno a loro sembra farsi lievemente meno fredda, anche se entrambi sanno che è solo un’illusione. – Senti, rientriamo. – suggerisce infatti Burt poco dopo. – Questo discorso possiamo farlo anche mentre riprendiamo a mangiare, suppongo.
- È sicuro? – domanda Dave, - Perché io non vorrei mai ritrovarmi a parlare con mio figlio dei suoi altri due fidanzati e del bambino mulatto che sta per avere con la sua migliore amica, mentre sono seduto a tavola per la cena di Natale.
Burt ride ancora, scuotendo il capo.
- Andrà bene. – annuisce, e poi si ferma sulla soglia, un attimo prima di aprire la porta. – Posso chiederti com’è successo? – domanda con una punta di imbarazzo, voltandosi a guardarlo.
Dave si inumidisce le labbra, riflettendo qualche secondo.
- È successo che ci siamo voluti. – risponde quindi. – Capita troppo spesso di sentirsi rifiutati, per non prendere al volo l’occasione quando qualcuno che ami ti ricambia.
- E questo vale anche quando ad amarti sono in due? – domanda Burt con un’altra mezza risata, alla quale Dave fa eco con una propria, incredibilmente simile.
- A maggior ragione.
*
In realtà, Kurt non vuole essere toccato né consolato, al momento. È in quella fase ciclica dopo ogni litigio per la quale ha bisogno di avere qualcuno accanto nel caso gli vada di sfogarsi, ma non gli piace che quel qualcuno lo forzi a farlo. Blaine l’ha ormai imparato alla perfezione, perciò si limita a stare seduto sul letto accanto a lui mentre Kurt continua a guardare fisso il pavimento con gli occhi che ardono di rabbia, ed accoglie con una certa gioia l’arrivo di Burt in camera, perché vuol dire che, quantomeno, le cose si stanno muovendo.
Accoglie con gioia perfino maggiore la figura di David che appare dietro le spalle dell’uomo, e che lo invita con un cenno del pollice a seguirlo al piano di sopra.
- Kurt. – dice Blaine, schiarendosi la voce, ed aspetta che lui gli abbia sollevato gli occhi addosso per proseguire, - ti lascio solo con tuo padre.
Kurt scatta in piedi, sulla difensiva, veloce come un gatto. Quasi Blaine lo sente soffiare e tirare fuori gli artigli, mentre si appiattisce contro la scrivania con gli occhi di uno che non ha proprio la benché minima voglia di riprendere a litigare, e che, piuttosto che rimettersi a discutere delle proprie preferenze nella propria vita e nel proprio letto, preferirebbe finire in galera per parricidio.
- Kurt, calmati. – dice piano Burt, sollevando le mani ed avvicinandosi a lui quando Blaine è sparito al piano di sopra al seguito di Dave, chiudendosi la porta alle spalle, - Voglio solo parlare.
- Per dirmi cosa? – lo attacca subito lui, sprezzante, - Quanti problemi ho e quanto fa schifo il modo in cui conduco la mia vita?!
- No! – lo interrompe Burt, appoggiando entrambe le mani sulle sue spalle e stringendolo con una certa forza, come volesse tenerlo ancorato al terreno per impedirgli di perdersi nei suoi stessi pensieri e prendere il volo. – No… - ripete più dolcemente, - Per dirti che sono felice per te.
Kurt sgrana gli occhi, fissandolo incredulo.
- Non credo di aver capito. – mormora, e Burt sorride, traendolo a sé per un abbraccio un po’ impacciato, ma caldo e dolce.
- Sono felice per te, Kurt. – ripete, cullandolo un po’.
Non ha nemmeno bisogno di spiegargli perché.
*
Il dolce, diviso in cinque parti, riempie forse un po’ di meno. Ma è ugualmente buono.
back to poly
  1. oh my..oh my…adesso partirò anche per la threesome *sviene* ti odio molto, sai? comunque adoro Dave (ormai sono diventata noiosa) e mi piace tantissimo vederlo parlare con Burt *ride* sarà perchè lui nella mia testa è il solo uomo della threesome? XD e anche Blaine è così TANTO più sopportabile insieme a Dave…diventa addirittura piacevole *O* me è felice, e questa storia è un amore O/

    Haru
    24/06/2011 13:48

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