Fandom: Originali
Seguito di Closer To Where I Started, Chasing After You
Genere: Erotico, Romantico, Introspettivo.
Rating: NC-17.
AVVISI: Slash, Lemon, AU, Angst.
- Dopo la grande tragedia di qualche settimana fa, l'ennesimo fallimento del tentativo di instaurare un qualsiasi tipo di conversazione con Dimitri da parte di Miguel, le cose hanno preso una piega allarmante: Miguel è spento e depresso, nulla sembra in grado di risollevargli il morale, ed il fatto che Dimitri sembri sbattersene allegramente le palle di lui di certo non aiuta. Un incontro fortuito in bagno, però, cambierà le cose.
Note: La terza parte della Trilogia del Dimiguel al Liceo è qui \o\ E non vi stupirà sapere che probabilmente ce ne sarà anche una quarta (trilogie in quattro parti, fuck yeah) prima o poi, più prima che poi se il WRPG mi viene in aiuto. E' che boh, speravo di chiudere la vicenda di questi due imbecilli in questa storia e in effetti la vicenda è chiusa, ma non ho potuto fare a meno di introdurre vagamente la famiglia anaffettiva e spaventosa di Dimitri e ora ho voglia di parlarne, per cui ci sta che la quarta parte ci scappi XD Ma questo è solo relativamente importante perché questa terza parte, in sé, è conclusiva (contrariamente a quello che era stata la seconda). Questa storia è come la trilogia di Matrix, c'è la prima parte che sta in piedi da sola, la seconda che finisce tronca e la terza che conclude tutto in an epic of epicness. (Per cui suppongo che la quarta se ci sarà sarà l'Animatrix.)
Ma di cosa sto parlando? Non lo so, ho perso il filo.
Questa storia è stata scritta per la seconda settimana del succitato WRPG su prompt verità e autostima. Cia'.
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LA CASA DELLA LUMACA

È così strano stare seduti a tavola con Miguel senza sentirlo lamentarsi della roba che gli combina Dimitri assalendolo a giorni alterni negli angoli bui come i malviventi e gli ubriaconi per le strade, che Antonio e Jake non sanno nemmeno bene come gestirlo. Si guardano circospetti, Jake gioca coi suoi piselli in umido e Antonio sorseggia la sua spremuta d’arancia, e ogni tanto si voltano a guardare lui, Miguel, che fissa un punto a caso che riflette il vuoto del suo cervello, ed anche quello bovino dei suoi occhi, incapace perfino di fingere di avere fame.
Sono passate quasi tre settimane dal giorno in cui Miguel si è presentato da loro con un muso talmente lungo che pareva volesse cominciare a prenderselo in bocca da solo, e da allora non c’è stato nessun tipo di miglioramento nel suo umore. Inizialmente, Jake ed Antonio avevano pensato che questa uggiosità da quattordicenne post-rottura col primo fidanzato sarebbe stata una cosa passeggera. Sì, s’erano detti, ora ci sta male, certo che ci sta male, fino a ieri scopava e ora non scoperà più. Tutto regolare. Tempo di ricominciare a guardarsi intorno e scoprirà che il mare è pieno di pesci, che si chiude una porta e si apre un portone, che morto un papa te ne fai un altro (più o meno) e via così. Insomma, avevano cercato di rassicurarsi loro per primi. Anche perché Miguel di rassicurazioni sembrava non voler nemmeno sentire parlare. Li aveva ascoltati per qualche ora dire tutta la merda possibile riguardo Dimitri, poi aveva sospirato e aveva detto “ragazzi, okay. Grazie. Adesso basta.” E loro avevano smesso, confortati dal pensiero di aver fatto tutto il possibile.
Evidentemente, tutto il possibile non era stato sufficiente.
- Coso, - prova a chiamarlo Jake dopo essersi schiarito la gola, - Che, non hai fame?
Miguel scuote lentamente il capo, gli occhi sempre persi altrove. Somiglia a una triglia al banco del pesce. Ma non una di quelle graziosamente adagiate sul loro lettino di ghiaccio per tenerle fresche. Una di quelle che gli è morta una mosca in bocca e il pescivendolo l’ha dovuta tirare via dal bancone perché spaventava le massaie.
- Ti va di fare cose, ‘sto pomeriggio? – prova Antonio, carico di buona volontà.
- Cose…? – esala Miguel, voltandosi a guardarlo per un secondo con un movimento lento e innaturale che lo fa sembrare Chucky la bambola assassina, - Cose tipo cosa?
- Tipo boh, - scrolla le spalle Antonio, - Venite a casa mia, giochiamo alla Play. Mio cugino mi ha prestato Final Fantasy XIV. Vi va?
- Sicuro. – annuisce Jake, entusiasta, - A te va, Miguel?
Miguel sospira drammaticamente, distogliendo lo sguardo. Antonio e Jake lo seguono e vedono come una scia luminosa di tetra depressione dirigersi dritta come la stella cometa non su Gesù Bambino appena nato ma su Dimitri, che mangia in silenzio qualche tavolo più in là, da solo come sempre perché non a caso sta in culo a tutti, e lì fermarsi, avvolgendolo in un’inquietante aura di amore represso e non corrisposto.
Antonio sospira, passandosi una mano sulla faccia.
Jake, invece, s’incazza.
- Cristo, coso, questa storia deve finire. – sbotta, battendo forte una mano contro il tavolo.
Miguel sussulta, voltandosi a guardarlo con gli occhi spalancati.
- Che…?
- Mi sembra che abbiamo avuto fin troppa pazienza! – prosegue lui, mentre Antonio sospira ancora e scuote il capo, appoggiandosi allo schienale della sedia, - Adesso basta, mi sono rotto ogni centimetro di minchia disponibile. Gesù! A guardarti pare che stai affrontando un divorzio con figli in mezzo! Ma ti rendi conto?! Tu con Dimitri, anzi col palo nel culo di Dimitri, perché con Dimitri non ci sei mai davvero stato, ci sei stato insieme meno di un mese! E guardati!
- Senti, - farfuglia Miguel, aggrottando le sopracciglia, - Non è colpa mia se sono depresso.
- Depresso! – Jake alza entrambe le braccia in un gesto di teatrale sconcerto, - Tu manco sai cosa vuol dire la parola depressione! Io avevo uno zio depresso! Viveva in casa da solo con trentacinque gatti e tre pappagalli nani o qualunque cosa siano quei pappagalli grassi che i vecchi tengono nelle gabbie, e l’abbiamo scoperto solo perché entrando in casa sua abbiamo trovato i gatti grassi, i pappagalli morti stecchiti e di lui restavano solo un femore e l’osso sacro! Questo vuol dire essere depressi! Tu sei solo un imbecille!
- Jake, - bisbiglia Antonio, posandogli una mano sul braccio, - Vacci piano.
- No, mi sono scartavetrato i coglioni di andarci piano, lui non merita che io ci vada piano! – insiste lui, tornando a guardarlo, - Ascoltami bene! Quello, – dice, puntando senza vergogna l’indice contro Dimitri, mentre metà della gente che affolla la mensa all’ora di pranzo si volta a guardarlo, attirata da tutto quel casino, - È solo un povero stronzo. Uno di quelli che ci godono a spezzare il cuore dei cretini che ce l’hanno troppo grande, in opposizione al cervello, proprio come te. Tu sei qui che ti piangi addosso, e lui… guardalo! Guardalo! – strilla, afferrando Miguel per il mento e costringendolo a voltarsi nella direzione di Dimitri, - Mangia le sue patate come non stesse succedendo niente! Ci sta guardando mezza scuola, in questo momento, tutti qui a guardarti essere un mentecatto piagnone, ma lui? Lui no, perché di quanto stai male e di quanto sei cretino non gliene sbatte un benemerito cazzo. È chiaro?!
Miguel non risponde. Resta in silenzio a guardare Dimitri, che in effetti continua a mangiare pacifico, unico in tutta la mensa a non essersi voltato verso il loro tavolo. È improbabile che non abbia sentito niente, per cui è evidente che quella di continuare ad ignorarlo è una scelta. Una scelta con la quale forse sarebbe il caso di cominciare a fare i conti, dopo tre settimane (e due giorni, e una manciata di ore, e troppi minuti e secondi per volerli contare).
- Insomma. – Jake sbuffa ed abbassa la voce, lasciandolo andare, mentre Antonio comincia un generico giro di “che minchia guardi” rivolto a chiunque li stia ancora fissando ora che lo spettacolo è finito, - Miguel, trovati. Cerca di dare il giusto peso alle cose. Ti sei fatto prendere per il culo. Succede. Cazzo, a me dispiace, coso, ma ora anche basta. Hai dato. Capisco che volevi prenderti del tempo per rotolarti nella tristezza, è giusto così, ma anche basta.
Miguel guarda alla sua porzione di lasagne scotte nel vassoio, e sospira.
Non è che non lo sappia, che Jake ha ragione. Non è che non lo sappia, che Dimitri è uno stronzo. Non è che non lo sappia, di essere un emerito imbecille.
Il punto è che, ormai, non fa più nessuna differenza.
*
Suo padre bussa alla porta per la terza volta in tre minuti, e Miguel sospira, voltandosi su un fianco ed afferrando il cuscino per nascondercisi sotto.
- Sto dormendo. – dice, a voce alta abbastanza perché lui possa comunque sentirlo.
Suo padre sospira. Sa che sarebbe inutile fargli notare che, se sta parlando, di certo non può stare dormendo.
- Ma è ora di pranzo. – dice invece, - Ti ho preparato un cheeseburger. Non hai fame?
- Ho sonno. – ribatte lui, immobile.
Suo padre sospira ancora. Miguel lo sente esitare, restare quasi appiccicato alla porta chiedendosi se forse dovrebbe entrare comunque, sedersi accanto a lui, forzarlo a parlare. Miguel spera che non lo faccia, e dall’altro lato non c’è niente che vorrebbe di più al mondo. Se suo padre lo obbligasse, in qualche modo, a tirare fuori tutto, sarebbe molto più semplice parlarne. Trovare il coraggio e le parole da solo è troppo difficile. “Non sto bene, pa’. Non sto bene perché sono gay e innamorato di uno stronzo che non mi vuole, e non riesco a smettere di essere innamorato, e non so come gestire questa cosa”. Ecco, è così semplice parlargli quando non sta parlando con lui ma con un’immagine vaga di lui presente solo nella propria testa. Vorrebbe che suo padre fosse in grado di rendere i discorsi reali semplici come quelli immaginari, e invece ogni volta che si ritrovano faccia a faccia Miguel finisce sempre per pensare “dovrei dirglielo?”, e il solo pensiero lo riempie di terrore.
Le immagini vaghe sono prevedibili. Le persone vere no.
L’immagine vaga di Dimitri, quella che esiste solo nella sua testa, tutte le volte che Miguel gli diceva “ti amo, voglio essere il tuo ragazzo, le scopate di nascosto e i pompini nei bagni non mi bastano, voglio camminare mano nella mano con te per la scuola, voglio pranzare insieme, voglio portarti fuori a cena, al cinema a limonare in ultima fila, voglio andare al parco giochi, voglio comprarti lo zucchero filato, ti prego, mettiamoci insieme”, sorrideva e gli rispondeva di sì. Lo abbracciava, lo baciava, si spogliava e gli dava tutto, tutto. Dimitri, quello vero, è scappato via prima ancora di poterle sentire, queste cose. Come non gliene fregasse niente. (Perché davvero non gliene fregava niente.)
Suo padre si allontana mesto, un passo dopo l’altro scende al piano di sotto. Miguel ascolta il tonfo sordo dei suoi passi contro la moquette in corridoio finché non sbiadisce e scompare, e poi tira fuori la testa da sotto il cuscino, allungandosi a recuperare il cellulare dal comodino.
Nel gruppo con Jake e Antonio ci sono trentacinque messaggi e chiedono più o meno tutti la stessa cosa. Cosa fai, sei libero, studi, ti va di venire da me, giochiamo, rubiamo la birra di mio padre, ci divertiamo. Cristo quanto non gliene frega niente. Vorrebbe essere in grado di spiegarlo ai suoi amici senza sembrare una testa di cazzo ingrata, non è che non gli importi niente di loro, non gli importa niente di distrarsi. Non vuole farlo. Ha la chiara sensazione che il momento in cui lascerà andare tutta questa tristezza, esagerata per quanto possa essere, sarà anche il momento in cui lascerà andare l’ultima cosa che ancora lo lega al pensiero di Dimitri. “Andare avanti” non sarà più un vago progetto futuro, una cosa che prima o poi farà, quando si sentirà pronto a rinunciare. Sarà una cosa concreta, e lui non ci vuole nemmeno pensare.
Distrattamente si chiede se sia così per tutti i primi amori. Se, una volta che accetti di essere innamorato, e quindi passi attraverso tutto l’imbarazzo e la vergogna e il senso di ridicolo che ti piovono addosso senza pietà quando ammetti un pensiero tanto melenso anche se sei cresciuto sotto l’insegnamento di base che i maschi sono forti, i maschi non s’innamorano, semmai prendono sotto la propria ala protettiva, entrano in possesso, acquistano un bene, ecco, se una volta passato in mezzo a tutto questo ed essere uscito dall’altro lato del tunnel tutto intero e ancora convinto di essere davvero innamorato, se forse esserlo non diventi l’unica cosa veramente importante. Più ancora della persona di cui sei innamorato in sé. Per cui il pensiero di non averla più, o di non averla nemmeno mai avuta, è in qualche modo più accettabile dell’idea di lasciare andare il sentimento che resta come un livido anche dopo averla perduta.
Sono passato attraverso così tanto, ti dici; ho deciso: me ne frego della mia educazione, me ne frego dell’idea che lui è maschio e non dovrei essere innamorato di un maschio, me ne frego anche dell’idea che non dovrei essere innamorato, punto, e non puoi rassegnarti al fatto che tutti questi sforzi non siano serviti a un cazzo. Che alla fine della giornata sei qui sdraiato su un letto a sentirti vuoto e spento mentre tutti i tuoi amici ti prendono per un coglione, e non puoi farci niente.
L’ultimo messaggio che ha mandato a Dimitri risale a ieri. Non ha ricevuto risposta, come tutti i precedenti. Solo la cazzo di doppia spunta blu. Gli darebbe fuoco, a quella cazzo di doppia spunta blu.
“Sto cominciando a pensare che non me ne frega più un cazzo se mi rispondi o no, continuerò a mandarti messaggi solo per romperti i coglioni. Spero che in questo momento in casa tua ci sia un assassino e tu ti stia nascondendo dietro un divano sperando di non essere visto mentre chiami la polizia, e che tu abbia dimenticato di impostare la vibrazione, e che il cellulare squilli mentre questo messaggio arriva, e che lo stronzo ti trovi e ti ammazzi.”
Manda il messaggio senza pensarci, poi se ne pente, si sente un idiota e si vergogna, ma quando fa per cancellarlo, la cazzo di spunta blu. A questo punto cancellarlo non serve più a niente. Sospira e riprende a scrivere.
“Scherzavo,” dice. Poi aggiunge, “Cioè… quello che era. Non ero serio. Non spero nessuna di quelle cose. E soprattutto non è vero che non me ne frega niente se non mi rispondi.”
Resta in attesa qualche istante. Può quasi immaginarlo, magari steso sul letto in camera sua, come lui adesso, mentre guarda il cellulare e a rispondere non ci pensa neanche.
“Mi manchi,” gli dice. “Mi manca tutto quello che mi facevi. Anche se mi facevi una paura fottuta. Mi manca tutto. Se potessi tornare indietro, non lo so se insisterei tanto come ho fatto. Forse no. Forse non me ne fregherebbe niente di parlare e vorrei solo restare con te. Ti prego, rispondimi. Smettila di lasciarmi qui a sentirmi un cretino. Dimmi solo se posso chiamarti, ti chiamo. Non dobbiamo parlare di niente, voglio solo sentire la tua voce e poi chiederti come sei vestito e poi implorarti di farti una sega mentre mi lasci ascoltare.” Rilegge. Wow. Cancella. Poi lo riscrive uguale e lo manda.
Nessuna risposta, ovviamente.
“Cristo chemmerda sei. Dovrei mandarti affanculo. Come cazzo faccio? Mi manchi.”
Lo manda senza darsi il tempo di ripensarci. Ormai una risposta non se l’aspetta nemmeno più. Gli viene da piangere e vorrebbe prendersi a schiaffi per quanto è coglione. Si vergogna da matti. Si sente un idiota. Ma se chiude gli occhi Dimitri è ancora la prima cosa a cui pensa, la sua faccia da schiaffi, quella bocca che sembra essere stata creata per chiudersi attorno al suo cazzo e succhiare, gli occhi sempre freddi oltre le lenti degli occhiali, i capelli biondi corti e perennemente spettinati e quell’atteggiamento da figa d’oro che più di ogni altra cosa glielo faceva diventare duro oltre ogni limite consentito da qualsiasi legge si occupi di determinare la libertà di durezza dei cazzi.
Se Dimitri fosse qui adesso, e lo sentisse parlare così, gli direbbe che questo non è amore, che vuole solo scoparlo, com’è sempre stato, e che se questo era davvero tutto ciò che voleva lui non avrebbe avuto alcun problema a darglielo. Doveva solo smettere di chiederlo come fosse qualcosa di diverso.
Come sempre, avrebbe torto. Miguel però non saprebbe come spiegarla, questa cosa. Il pensiero di Dimitri lo devasta, costringe il suo corpo a reagire prima della sua mente. Ma questo non vuol dire che anche la sua mente non reagisca, quando ha finito di reagire prima il corpo.
È la voglia che ha di lui che lo porta a volerlo stringere, ma è l’amore che gli fa venire voglia di non lasciarlo andare anche dopo averlo scopato.
Dimitri non l’ha mai capita, questa cosa. Forse non l’ha mai nemmeno vista, perché Miguel non è mai stato in grado di mostrargliela. Miguel non dubita che quello che è successo sia stato anche colpa sua. Avrebbe dovuto fare diversamente parecchie cose. A cominciare dalla scopata in classe che ha dato il via a tutto. Ma quando l’ha capito era già troppo tardi per tornare indietro. E avrebbe voluto spiegarlo a Dimitri un milione, un miliardo di volte, ma lui non è mai voluto restare a sentirlo.
Non ha mai voluto ascoltarlo e basta.
“A domani,” gli scrive. Doppia spunta blu. Almeno lo legge.
*
Come ogni giorno cerca il suo sguardo, e come ogni giorno s’incazza quando non lo trova. Lo guarda, dall’altro lato della classe, come se in mezzo non ci fossero due file di banchi piene di gente che lui nemmeno vede, e lo odia perché non si volta verso di lui, perché non dà segno di accorgersi della sua presenza. Cazzo, ti sto guardando, pensa, quanta cazzo di fatica deve farti girarti e guardarmi anche tu?
Sospirando, si accascia sul banco, girando lo sguardo fuori dalla finestra nel tentativo di distrarsi. Si annoia subito, anche perché da lì non riesce a vedere nient’altro che uno spicchio di cielo e, ogni tanto, gli sbuffi bianchi e radi di qualche nuvola che si infila nell’inquadratura sospinta dal vento, e poi vola via. Si gira di nuovo, torna a guardare Dimitri.
Quanto cazzo è bello. Gli piglia male se pensa a quanto cazzo è bello. Se si ferma davvero a riflettere sul punto. (L’ha fatto già troppe volte per continuare a pensare che si tratti di un comportamento salutare. Comunque non gli importa, continua a farlo, va soltanto ad aggiungersi alla già lunga lista di robe insalubri alle quali l’esistenza di Dimitri l’ha costretto.) Dimitri gli fa pensare che certi soggetti non dovrebbero essere proprietà di loro stessi. Che quando sei così bello, cazzo, non puoi appartenerti da solo. Devi darti via un po’. Non tanto, naturalmente, non sta lì a pensare che Dimitri dovrebbe mettersi agli angoli delle strade ad offrirsi al primo che passa per condividere col mondo un po’ di sé. Anche perché se lo facesse poi nessuno impedirebbe all’omicidio plurimo di finire nella lista di cui sopra.
Ci sono tanti modi per condividerti con gli altri, il sesso è solo il più intimo. Cazzo, basterebbe che sorridesse. Solo ogni tanto. Che una volta al giorno dicesse una parola gentile a qualcuno. Che non andasse in giro guardando la gente come se gli facessero schifo tutti, indistintamente, come se l’avessero offeso mortalmente il giorno in cui è nato, e lui da allora se l’è legata al dito e basta, non ha voluto più saperne niente dell’umanità. Basterebbe che si sciogliesse un po’, che dimostrasse almeno una volta di provare piacere in un’attività condivisa solo perché condivisa. Che uscisse con degli amici, se ne avesse. Che prestasse la gomma al tipo del banco a fianco solo perché lui ce l’ha e l’altro no e ne ha bisogno.
Ma Dimitri non fa niente di tutto questo, non fa mai niente di tutto questo. Si tiene tutto stretto a sé come avesse paura che a darne via un pezzo poi si perderebbe per sempre. Come se fosse tenuto insieme da un filo solo, un filo soltanto, come certi pupazzetti cuciti a mano che quando trovi il filo giusto, e lo tiri via, si disfanno come sculture di sabbia, i pezzi di feltro sparpagliati sul pavimento, l’ovatta ammucchiata in un punto in una montagnola informe, i bottoni che erano gli occhi persi ai due angoli opposti della stanza.
Miguel avrebbe tanto voluto essere la persona che tirava quel filo. Avrebbe tanto voluto stringerlo e sussurrargli all’orecchio “non importa se ti disfai, se cadi a pezzi, se ti sparpagli tutto, non importa in quanti frammenti di frantumi quando impatti contro il pavimento, io li raccoglierò tutti, fino all’ultima scheggia, e ti rimetterò insieme”.
Sì, avrebbe voluto tirare quel filo. Distruggerlo per poi rimetterlo insieme, fargli capire che era una cosa possibile, che poteva fidarsi, e allora forse Dimitri non avrebbe più rifiutato con tanta forza il pensiero di sciogliersi per lui. Forse allora avrebbe capito che potevano confondersi in una massa indistinta per un po’, e poi sarebbero comunque riusciti a rimettersi insieme come due masse indipendenti. Magari trascinandosi dietro qualcosa l’uno dell’altro.
La campanella suona la fine delle lezioni del mattino, e Miguel si alza in piedi con un sospiro stremato. È appena l’una ed è già stanco. Vorrebbe andare a casa, ma ha un paio di lezioni anche dopo pranzo, e se comincia a saltarle la scuola finirà inevitabilmente per chiamare suo padre, che è più o meno l’ultima cosa di cui Miguel abbia bisogno in questo momento.
Medita per qualche istante se raggiungere Jake e Antonio in mensa o meno. Ha voglia di vederli, non gli va di stare solo, ma non ne ha mezza di stare lì seduto ad ascoltarli mentre parlano male di Dimitri nel tentativo di consolarlo o cercano di scuoterlo in qualche modo dall’immobilità letargica che lo affligge da quando si sono lasciati.
Decide di passare, per oggi. Prende una roba a caso da mangiare ai distributori automatici all’ingresso, vagola un po’ qui e là senza una meta sbocconcellando cose di cui non sente nemmeno il sapore, poi quando il flusso si attenua e la gente comincia a sparire dai corridoi si infila in bagno, si lava la faccia per cercare di darsi una svegliata, si guarda nello specchio e resiste a stento all’usuale imperativo biologico di prendersi a schiaffi e poi si issa a sedere sul piano accanto ad uno dei lavandini, sospirando pesantemente e guardando nel vuoto contando i secondi che lo separano dalla prossima lezione come le pecore.
Dimitri lo trova lì, cinque minuti dopo.
Miguel lo vede entrare e lo guarda con la fissità assoluta con cui si guardano le cose impossibili. Per un istante, Dimitri gli ricambia l’occhiata con un certo stupore. Poi distoglie lo sguardo, entra in bagno e si chiude la porta alle spalle.
Si muove come se non fosse nemmeno consapevole della sua presenza, mentre gli occhi di Miguel lo seguono ovunque. Quando scompare dietro la porta di una delle cabine, Miguel continua a fissare la porta. Lo sente sbottonare i pantaloni, abbassare la cerniera, ed arrossisce al pensiero di sentire anche tutto il resto. Una persona normale, uno meno psicopatico e morboso di lui, probabilmente, andrebbe via adesso. Lui no, invece. Resta appollaiato su quel lavandino come un fottuto maniaco a fissare la porta immaginando Dimitri dall’altro lato, sentendosi sporco e perverso e dicendosi che Dimitri ha ragione a non volerlo più vedere, perché lui fa schifo. È un essere umano schifoso.
Poi lo sciacquone, la porta che si apre. Dimitri resta sulla soglia per qualche istante, guardandolo fisso. Miguel non riesce a leggergli niente negli occhi. Le lenti li fanno sembrare più grandi, ma mai più chiari. E lui non è mai stato in grado di tradurre i suoi silenzi in un linguaggio che potesse comprendere.
Dopo qualche istante, Dimitri riprende a muoversi. Lo fa come se non fosse per niente infastidito dalla sua presenza, come se non gliene importasse niente del fatto che lui era lì quando è entrato, è rimasto lì tutto il tempo e probabilmente ci rimarrà anche quando lui sarà andato via. Potrebbe utilizzare il lavandino più distante rispetto al punto in cui si trova lui, ma non lo fa. Viene a lavarsi le mani proprio al lavandino accanto al quale Miguel è seduto. Non dice una parola, anche se Miguel continua a fissarlo con un’intensità da denuncia, anche se sono vicini abbastanza che ogni volta che si muove, strofinando le mani sotto il getto d’acqua, il suo gomito finisce per urtare il ginocchio di Miguel, o sfiorare accidentalmente la sua coscia.
Ogni volta, Miguel trattiene il respiro e vorrebbe saltare giù da quel ripiano, sistemarsi alle sue spalle, spingerlo contro il lavandino e strusciarsi contro di lui mentre gli morde il collo, sussurrandogli quanto gli è mancato, premendogli una mano sulla bocca quando Dimitri inevitabilmente comincia a protestare.
Cristo, sta perdendo la testa.
Dimitri chiude il rubinetto e poi si volta a guardarlo. Miguel trattiene il respiro un’altra volta, pensando terrorizzato “lo sa! Mi ha letto nella mente e sa cosa voglio fargli, e ora mi tira un pugno sul naso e quando esce di qui mi denuncia”.
- Devo asciugarmi le mani. – dice invece. Miguel realizza solo in quel momento che, seduto in quel punto, nasconde completamente il portarotolo. Imbarazzato, invece di scendere e levarsi dai coglioni come sarebbe opportuno facesse, si fa indietro, schiacciandosi di spalle contro lo specchio per permettere a Dimitri di strappare un foglio di carta ed asciugarsi, cosa che Dimitri fa come ha fatto tutto il resto da quando è entrato, lentamente, con metodo, in perfetto silenzio.
Poi getta via la salvietta umida, ed a quel punto Miguel si aspetta di vederlo andare via, proseguire la sua pacifica esistenza come se questa cosa assurda non fosse mai avvenuta. Così non è, però. Dimitri si ferma di fronte a lui, le braccia abbandonate lungo i fianchi, gli occhi fissi nei suoi. Miguel deglutisce. Non vuole parlare per primo perché ha paura che, se lo fa, lui scapperà via. E invece vuole che rimanga. Vuole poterlo guardare così da vicino solo un altro po’. Non gli importa neanche più se è una cosa da maniaci.
- Quel messaggio che mi hai mandato ieri. – comincia Dimitri dopo qualche istante, dopo essersi lasciato osservare per bene.
Miguel si schiarisce la gola, guardando altrove.
- Allora li leggi. – borbotta imbarazzato, scrollandosi i rasta dalle spalle.
- Lo sai che li leggo. – taglia corto lui, scrollando le spalle. Poi riprende, - È la cosa più sincera che hai detto da quando ci conosciamo.
- Cosa?! – Miguel torna a guardarlo, agitato, - Non è vero per niente! Erano cose orrende e non le pensavo veramente. Non ti voglio morto!
- Sei un cretino. – ribatte lui, le labbra piegate in una smorfia carica di disappunto, - Lo so che non mi vuoi davvero morto. Ma eri arrabbiato. Hai sbroccato. Mi hai augurato cose pessime ed anche se non le volevi veramente, volevi dirmelo. Va bene. Lo capisco. Questa è una cosa che capisco.
- Lo stalking con minacce?
- La rabbia. – risponde lui, tagliente. – Per tutto il tempo in cui ci siamo frequentati, mi hai seguito scodinzolando come un cane. Qualsiasi cosa ti facessi, andava sempre bene. Non ti arrabbiavi mai. Era una cosa disgustosa e anche un po’ inquietante.
- Tu sei montato al contrario. – sospira Miguel, passandosi una mano sulla faccia, - Com’è possibile che tu abbia trovato meno inquietante lo sforzo di pazienza che ho sempre fatto, rispetto alle cose orrende che ti ho detto quando l’ho persa del tutto?!
- L’hai appena detto. – Dimitri scrolla le spalle, - Era uno sforzo. Era finto e disgustoso. Mi facevi venire voglia di trattarti ancora peggio anche solo per vedere fino a quando potevo tirare la corda prima che si spezzasse. Quelle cose che mi hai detto, invece, erano una reazione sincera. Io non ho mai voluto niente di diverso, da te. Una reazione sincera. Per qualche motivo, riuscivi a darmela solo quando ti tirava il cazzo.
- Santo Dio… - Miguel mugola, coprendosi la faccia con entrambe le mani, - Perché devi parlare in questo modo?
- Perché io sono così. – risponde lui senza un’incertezza, - Sono sboccato, mi piace il cazzo e mi rompo i coglioni subito. Non mi comporto così con te perché sei tu e mi stai in culo. Anche se è vero che mi stai in culo. Mi comporto così con te perché mi comporto così con tutti. Perché sono fatto così. Sarò fatto male, quello che vuoi. Ma è così.
Miguel lo guarda e vorrebbe essere forte abbastanza da reprimere il sorriso che gli piega spontaneamente le labbra. Non ci riesce, e invece di imparare dai propri errori allunga una mano verso di lui.
- Secondo me sei bellissimo. – dice, sfiorandogli una guancia con la punta delle dita.
Dimitri si tira indietro come se l’avesse minacciato con un tizzone ardente.
- No. – dice, - Quello che ti ho detto adesso, te l’ho detto solo perché così adesso lo sai. Volevo che tu lo sapessi. Volevo che tu andassi avanti, e la smettessi di rompere il cazzo, perché adesso sai che quello che volevi potevi averlo, se fossi stato più onesto con me e con te stesso. Invece sei stato un coglione, e hai perso tutto. Cazzi tuoi.
Si volta, allontanandosi velocemente verso la porta.
- Sei una merda… - sospira Miguel, appoggiandosi di spalle alla parete. – Senti.
Dimitri si ferma, ma non si volta.
- Sbrigati. – gli dice.
- Perché hai continuato a leggere i miei messaggi anche se non volevi parlarmi?
- La prima volta volevo solo togliermi la notifica dai coglioni. Mi urtava il sistema nervoso.
Miguel ride, scuotendo il capo.
- E poi?
- Poi volevo vedere fino a che punto potevi arrivare. – si volta, lanciandogli una di quelle sue tipiche occhiate impossibili da capire. – E poi era divertente. – conclude con un mezzo ghigno.
Va via, mentre Miguel ride ancora.
*
Antonio e Jake lo aspettano all’uscita da scuola, Antonio sospirando arreso come fa spesso quando intorno a lui accadono cose che lui non è in grado di comprendere anche se ce la mette tutta, Jake con le braccia incrociate sul petto e l’espressione di uno che aspetta solo che ti avvicini ancora un po’ per staccarti la testa dal collo a morsi.
- Bravo, eh! Bravo. – lo apostrofa quando lo vede arrivare, - Datti alla macchia. Fuggi dalle uniche due persone in tutto il mondo che tengono al tuo benessere anche se non sono obbligati per legge a farlo fino al raggiungimento della maggiore età.
Miguel ride, battendogli un paio di pacche su una spalla.
- Scusate. – dice, - Sono stato preso.
Entrambi si accorgono immediatamente della differenza lampante nel suo atteggiamento. Il fiore appassito e anche un po’ maleodorante che Miguel era stato fino al giorno prima sembra aver ricevuto nuova linfa, ed ora si erge possente, per così dire, la testa che cerca il calore dei raggi del sole.
- Cosa è successo? – domanda Jake, seguendolo fuori dalla scuola.
Antonio si sistema al suo fianco, osservandolo curioso.
- Ho parlato con Dimitri. – risponde lui, sorridendo ebete.
- Ah. – dice Jake, - Aaah.
- E che ti ha detto? – domanda Antonio.
- Che gli sto in culo e gli faccio schifo. – dice Miguel, ridacchiando fra sé.
Jake e Antonio si scambiano un’occhiata perplessa.
- Coso, tu hai dei problemi. – conclude Jake per entrambi, - Perché sei così felice?! Hai sbroccato definitivamente? Il TSO è alle porte.
- Sto bene. – ride Miguel, - È stata una chiacchierata interessante.
- Lo immagino.
- Ho capito un po’ di cose.
- Guarda che se ti serviva solo uno che ti dicesse che fai ribrezzo, potevo farlo pure io.
- No. – Miguel ride ancora, - No, non è stato quello.
- E allora cosa?
Miguel scrolla le spalle. Non saprebbe spiegarlo per bene. D’altronde ha sempre fatto fatica a spiegare qualsiasi cosa. Ma le cose per come le mette Dimitri suonano sempre un sacco semplici. Forse perché più che dirle e basta lui ha un po’ il vizio di sbattertele in faccia. Che fa male, eh, e Miguel pensa ancora che forse sarebbe meglio se lo facesse con un po’ più di delicatezza. Però ogni tanto a uno prendere uno schiaffo serve più di quanto non gli serva ricevere una carezza.
Jake e Antonio lo lasciano a casa prima di riuscire a venire a capo del mistero che si porta dentro. Prima o poi gliene parlerà, pensa, gli dirà “quello stronzo è la cosa migliore che mi sia capitata nella vita, è un’esperienza trascendentale, quella merda, mi ha cambiato l’esistenza”, ma non vuole farlo adesso. Si sente come se stesse custodendo un segreto importantissimo. Non vede l’ora di dirlo a tutti, ma continua a pensare di volerselo tenere stretto per un po’, solo per continuare ad apprezzare il calore che gli si diffonde in tutto il corpo quando ci pensa, quando pensa “qualcosa di straordinario è successo, e lo so solo io al mondo”. Non importa che la cosa straordinaria sia una cosa che ha effetto solo sulla sua vita e non su quella di tutto il genere umano. Ci sono cose straordinarie che accadono ogni giorno, in ogni parte del mondo, e la maggior parte delle persone non viene mai a saperlo, perché non ne è toccata. Ciò non le rende meno straordinarie.
Suo padre non c’è. È ancora a lavoro e lo sarà almeno per un altro paio d’ore. Sereno e rilassato, Miguel si gode la pace della casa immersa nel silenzio, cominciando a giocare con l’idea nella propria testa. Ha fame, per cui si infila in cucina per farsi un panino. Ammonticchia strati su strati di salumi e formaggi e nel mentre pensa a suo padre che rientra a casa, si stupisce di trovarlo in un qualsiasi posto che non sia la sua stanza, lo guarda con quell’aria un po’ confusa con cui lo guarda sempre quando si rende conto di avere davanti un rompicapo da risolvere piuttosto che un figlio.
Stacca un morso dal panino e sorride fra sé mentre si immagina dirlo ad alta voce.
Papà, gli dirà.
Papà.
Non riesce a concludere il pensiero perché si sente ridicolo e gli viene da ridere, ma la parola è lì, sulla punta della sua lingua, e fa fatica a restarci. Si sente come se avesse trattenuto il respiro troppo a lungo, e adesso vuole solo buttare fuori, fuori, dentro non c’è più posto. Dentro c’è il sogghigno stronzo di Dimitri, il profumo dolce del sapone che si solleva dalle sue dita umide, il modo in cui gli cascano gli occhiali sul naso, la faccia schifata che fa quando gli parla. Dentro c’è Dimitri che gli dice “cazzo, sii onesto”, e prende tutto lo spazio, tant’è che per le bugie, o le omissioni, o qualunque siano quelle cose, quei freni a cui si è aggrappato per non esporsi, per fare il bravo, per non scuotere lo stato di calma di una situazione che non è mai stata calma per davvero, per tutto questo non ne resta, neanche un centimetro disponibile, nada, nemmeno uno.
Papà, pensa. E ride come un cretino.
Suo padre torna che sono quasi le sette. Trova le stoviglie non solo già pulite, ma anche tirate fuori dalla lavastoviglie e riposte in luoghi di cui sospettava Miguel non conoscesse nemmeno l’esistenza. C’è del pollo in forno. Con delle patate. Patate che sono state pelate e tagliate in pezzi e condite con sale e pepe da un figlio che non era mai andato oltre ai panini imbottiti, per quanto riguardava la possibilità di mettere insieme qualcosa di commestibile in cucina.
- Okay. – dice terrorizzato, sfilandosi il cappello dalla testa e guardando Miguel, che gli risponde con un’occhiata sorniona e un sorriso inatteso, - Sono pronto. Dimmelo. Stanno per arrestarti?
- Papà, - gli dice, - Sono gay.
Suo padre si prende qualche istante di silenzio, prima di rispondere. Nel frattempo lo guarda fisso, forse gradualmente lasciando andare l’idea che vivaddio suo figlio non sta ancora per essere arrestato nonostante l’abitudine di passare il venerdì notte in giro ad imbrattare i muri con gli amici.
- …oh. – esala quindi, guardandosi intorno con aria vagamente imbarazzata, - Oh. Quindi tutto questo… - dice, accennando con aria incerta alle faccende domestiche portate a termine per la prima volta da quando aveva dieci anni e lo obbligava a farle pena la sospensione della sua fornitura settimanale di carte dei Pokémon, - L’hai fatto perché…?
- Perché boh, mi andava. – risponde Miguel, - Mi sentivo bene e mi sono detto perché no.
- Ah. – annuisce lui. Cerca a tentoni una delle sedie attorno al tavolo e, quando la trova, la scosta e vi si lascia ricadere sopra con un tonfo, torturando ancora il cappello fra le mani, - Okay. – si schiarisce la voce. È evidentemente in imbarazzo, e la cosa fa sorridere Miguel.
- Non mi avere un infarto. – lo prende in giro in una mezza risata.
- No, no. – si affretta a dire lui, scuotendo il capo, - No, sto bene. Cioè, è un po’ inaspettato. Ma va bene.
- Non aspettavo certo il permesso. – ride ancora Miguel.
- Lo so! – precisa suo padre, agitato, - Naturalmente lo so! D’altronde, non è una scelta! Così è come sei! Ci sei nato. E io ti amo, perché sei mio figlio, per cui—
- Papà. – Miguel ride un’altra volta, avvicinandosi al tavolo e sedendosi di fronte a lui, - Rilassati, lo so. Non è che avessi paura di dirtelo. O forse sì, però boh, non era paura che potessi smettere di volermi bene o disconoscermi o che ne so. Forse non mi andava l’idea di darti una delusione, boh. Ti ho deluso?
- Assolutamente no! – risponde immediatamente suo padre, mettendo le mani avanti, - Sono orgoglioso di te come sempre!
- Adesso non contarmi balle, - Miguel sorride, appoggiandosi allo schienale della sedia, - Non sei mai orgoglioso di me, non è che per farmi sentire accettato devi dirmi cazzate.
Suo padre si ferma, sbatte le ciglia un paio di volte, lo guarda con un’espressione semplicemente orripilata.
- E questo da dove salta fuori? – chiede.
Miguel piega il capo, incerto.
- Questo cosa?
- Questa cazzata che hai appena detto, - spiega lui, - Che io non sarei mai orgoglioso di te.
- Be’, - Miguel ridacchia, guardando altrove, - Ma che motivo avresti di esserlo? Voglio dire, sono un impiastro, faccio un sacco di cazzate, ti do un sacco di pensieri, mi appassisco come una foglia morta ogni volta che mi gira il culo e diciamolo, non sono neanche esattamente un genio. Non sono altre le cose per cui un genitore va orgoglioso? Che so, una laurea a dodici anni… o anche una coppa al torneo di calcetto, che ne so.
Ancora una volta, suo padre lo fissa, e Miguel può vedergli sul volto una quantità di dolore francamente spropositata, della quale non riesce a capire l’origine.
- Ma stai scherzando? – gli dice alla fine, lasciando andare il cappello e piegandosi verso di lui sul tavolo, - Io sono orgoglioso di te perché esisti, Miguelito.
Lo attraversa una scarica elettrica che lo lascia confuso, un po’ preso dalla botta, mentre fissa suo padre che gli dice questa cosa con la naturalezza di uno che non l’ha mai detto prima solo perché non pensava che ce ne fosse bisogno.
- Grazie… - dice deglutendo, sentendosi arrossire di piacere mentre si raddrizza sulla sedia, - Grazie! – sorride. Poi ride come un cretino, imbarazzato, - Grazie.
- Ho capito, - ride anche suo padre, - Puoi anche smetterla di ripeterlo. – poi sospira, passandosi una mano sul volto e poi sulla testa, fra i capelli scuri. – Bene… era per questo che hai passato le ultime due settimane chiuso in camera a fare lo sciopero della fame e della sete? Perché non sapevi come dirmelo?
- Che? – domanda Miguel, - No. Cioè, in parte, suppongo, era una preoccupazione che c’era, ma principalmente uno stronzo mi ha lasciato.
- Cosa?! – suo padre torna a guardarlo, allarmato, - E me lo dici così?
- Che, dovevo indorare la pillola? Ha lasciato me, mica te.
- Ho capito, ma… - gesticola vagamente a mezz’aria, - Chi è? Com’è successo? Perché?
- No, ma è stata colpa mia. – Miguel scuote il capo, - L’ho stalkerato per un sacco di tempo, l’ho messo a novanta senza un esplicito consenso, un sacco di merda, mi sono comportato come un imbecille, me lo meritavo.
- Oddio… - balbetta lui, - Allora stanno per arrestarti davvero…
- No, non credo che mi abbia mai denunciato. – ride Miguel, - Puoi stare tranquillo. E poi ora va bene. Cioè, siamo in buoni rapporti.
- Oh. – suo padre si calma. A fatica. – Siete di nuovo amici, quindi…?
- No, macché, io sono innamorato come una pigna. – sospira tragicamente, - E poi gli sto sui coglioni, penso che piuttosto che considerarmi un amico si taglierebbe l’uccello. Ma va tutto bene.
- … non credo di capire.
- Sì, lo so, è complesso, pure Jake e Antonio fanno un sacco di fatica, - lo liquida lui, agitando una mano, - Non importa, comunque, non mi sono ancora arreso.
- Miguel, - la voce di suo padre trema, - C’è una cosa che si chiama ordine restrittivo, che…
- Nah, tranquillo. – si alza in piedi, sorridendo sicuro. La sensazione che ha accompagnato le parole di suo padre, sono orgoglioso di te perché esisti, lo circonda ancora, facendolo sentire come all’interno di un bozzolo caldo e accogliente, che si adatta per seguire i suoi movimenti. Una tana sicura che esce con lui, che lo segue ovunque, anche quando suo padre non c’è, come la casa di una lumaca. – Adesso so cosa devo dirgli. L’ho capito. Non sarò esattamente un genio, ma neanche un cretino completo.
Suo padre lo osserva uscire di casa correndo come un pazzo, fermandosi appena a recuperare la giacca prima di lanciarsi per strada e inforcare la bicicletta.
- Su quello potrei obiettare, però. – sospira tragicamente, mentre lo osserva scomparire voltato l’angolo in fondo alla strada. Poi però sorride, tornando in cucina. L’odore delle patate al forno è ovunque, adesso. Sono cotte quasi a puntino.
*
Realizza che forse sta facendo una cazzata quando ormai è troppo tardi per tornare indietro. Sa dove vive Dimitri, ma è consapevole del fatto che saperlo non lo autorizza automaticamente a presentarsi a casa sua senza nemmeno avvisarlo prima.
Sa che sta facendo una cosa sbagliata, e allo stesso tempo non gliene frega niente del fatto che è sbagliata. Vuole prenderlo di sorpresa, alla sprovvista, non vuole dargli nessuna possibilità di tirare su la solita facciata di chissenefrega e scappare via.
Smonta dalla bici a due passi dal vialetto d’ingresso e si avvia a piedi, salendo le scale fino alla porta e poi fermandosi a guardare la casa per la prima volta da quando è arrivato. È uno di quegli edifici austeri, dipinti di bianco, una monofamiliare dalle finestre altissime dislocata su tre piani. Una casa per chi c’ha i soldi, al cospetto della quale la sua casetta di periferia con quattro stanze e le crepe sul soffitto arrossisce e rinuncia al proprio tesserino di casa abitabile.
Preso da uno strano senso di soggezione, per la prima volta pensa concretamente di fare dietro-front e tornarsene a casa. Ci saranno altri momenti per parlare con Dimitri, dopotutto. Può sempre riprendere a rincorrerlo per i corridoi, anche se Dimitri si rifiuta di ascoltarlo.
Poi pensa a quella sua faccia da schiaffi e a quanto ha voglia di vederlo e sentire la sua voce e possibilmente spalmarlo contro una parete e limonarlo finché non gli fa male la bocca, e si fa coraggio. Suona al campanello una volta, attende, suona un’altra volta dopo un paio di minuti. La serratura scatta e la porta si apre su una tizia altissima e magra come un chiodo, che lo guarda come si potrebbe guardare una merda dopo averla pestata, che non solo ti fa schifo, ma la odi pure dal profondo.
Non c’è alcun dubbio che sia imparentata con Dimitri. Probabilmente la sorella, visto che non potrà avere più di vent’anni.
- Sì? – gli chiede, fredda come una glaciazione.
Miguel deglutisce, e poi si schiarisce la gola.
- Ehm… - biascica, cercando di guardarle alle spalle nonostante la vaporosa chioma bionda, sommata a quell’altezza vertiginosa, renda l’impresa praticamente impossibile, - C’è Dimitri?
La tizia inarca un sopracciglio biondissimo sopra gli occhiali dalla montatura rettangolare nera, e piega le labbra in una smorfia disgustata.
- Perché? – domanda.
- …sono un amico? – prova Miguel.
Avrebbe potuto dirle di essere un alieno sceso sulla terra apposta per rapirlo, e lei avrebbe probabilmente fatto meno fatica a credergli.
- Sì, - risponde, - Certo. – e fa per chiudergli la porta in faccia.
- Aspetta! – la ferma lui, piantando una mano a due centimetri dal suo viso, - Aspetta, sono serio! Sono un suo compagno di scuola, ho bisogno di parlargli.
- Io non ti conosco. – risponde lei, infastidita, - E sono abbastanza sicura che Dimitri non ti stia aspettando, quindi vai via.
- Ma io ho bisogno di parlargli! – insiste Miguel, alzando la voce, - Cosa ti costa farmi entrare?!
- Liliya? – la voce di Dimitri risuona alle spalle della sorella, e Miguel si lascia andare a un gemito di sollievo, abbassandosi e piegandosi e poi tornando a issarsi sulle punte per cercare di vederlo, - Che stai facendo?
Liliya si sposta appena lateralmente, e finalmente i loro sguardi si incrociano.
- Questo tizio chiede di te. – dice semplicemente. Dimitri non si scompone, ma stringe i pugni lungo i fianchi e Miguel sa che è arrabbiato.
- Che ci fai qui? – domanda freddamente.
- Ho bisogno di parlarti. – risponde lui, mettendo un piede avanti per provare a entrare in casa. La straordinaria altezza di Liliya si frappone tra lui e il suo obbiettivo, e lui è costretto controvoglia a indietreggiare.
Dimitri lo guarda, ancora in cima alle scale. Ha addosso un paio di pantaloni da casa che scivolano larghi e morbidissimi lungo le cosce, e una maglietta tutta rovinata con una quote del giuramento della Night’s Watch. Non verrebbe mai a scuola conciato così. È tipo la cosa più bella che Miguel abbia mai visto e vorrebbe solo che questa pertica frigida di sua sorella si togliesse di mezzo per arrampicarsi a quattro zampe sulle scale mugolando “non son degno”, e poi restare lì, ai suoi piedi, pregando che lui abbia voglia di levarsi i vestiti di dosso.
- Vieni, muoviti. – sospira, voltandogli le spalle e facendogli segno di seguirlo.
Mentre la primavera sboccia nel cuore arido di Miguel, Liliya fa una smorfia così esagerata che le si stravolgono per un istante tutti i lineamenti.
- Mamma e papà non saranno contenti. – minaccia infantile.
- E tu fatti i cazzi tuoi. – risponde Dimitri, serafico.
Camera di Dimitri non somiglia per niente a come l’aveva immaginata. Per qualche motivo, pensandoci gli veniva sempre in mente una roba asettica, con le pareti bianche, le tende bianche, il pavimento bianco, i mobili bianchi, insomma, tipo la stanza di uno ricoverato in un istituto di igiene mentale, non perché pensasse che Dimitri fosse pazzo, più che altro perché sembrava non dimostrare alcun tipo di interesse verso niente, per cui era più facile, in qualche modo, immaginarlo sempre circondato da roba per niente interessante.
Invece la stanza è carina. Tre pareti su quattro sono bianche per davvero, ma la quarta è di un grigio scuro mischiato con una qualche sorta di celeste che Miguel non è abbastanza gay per individuare, e addossata a quella stessa parete c’è la scrivania, bianca pure lei ma talmente piena di roba da intravedersi a malapena. È pieno di libri ovunque, non solo lì sulla scrivania e su tutti i ripiani della libreria che occupa due terzi della parete di fronte, ma anche sul comodino accanto al letto, in cima alla cassettiera in un angolo, sparpagliati sul letto. E non sono solo libri, in mezzo a quel caos ci sono anche fumetti, fanbook, artbook, cazzi vari, una decina di action figures di varia natura e perfino un paio di poster appesi alle pareti.
Il super nerd.
- Wow. – ride, - Non me l’aspettavo.
- Scioccante, ho degli interessi a parte te. – lo apostrofa severo Dimitri, recuperando un fumetto lasciato aperto sottosopra sul tappeto peloso grigio scuro sul quale evidentemente fino a pochi minuti fa stava leggendo sdraiato, - Chi l’avrebbe mai detto.
- Io per dire non avrei mai detto neanche di rientrarci, fra i tuoi interessi, figurati pensare a quali potessero essere gli altri.
- Tu devi essere proprio lento a leggere i segnali. – commenta Dimitri, inarcando un sopracciglio e sedendosi sulla poltrona girevole davanti alla scrivania.
- Non sono bravo quando i segnali sono poco chiari e contraddittori. – Miguel scrolla le spalle.
- Da quando i pompini sono archiviabili alla voce “segnali poco chiari e contraddittori”? – ghigna Dimitri, sfacciato.
- Da quando li fai tu. – risponde Miguel. Dimitri non commenta, perché sa che è vero.
- Allora? – taglia corto, dondolandosi sulla sedia, - Cosa vuoi?
- Minchia, - sospira Miguel, scrollandosi dalle spalle i rasta, - La cordialità è un tratto di famiglia, vedo.
Qualcosa negli occhi di Dimitri cambia, si fa impercettibilmente più freddo. Miguel può quasi sentirlo ritirarsi nel suo guscio. Anche lui ne ha uno.
- Cazzo, ho detto una roba sbagliata. – realizza, mordendosi un labbro.
- Come sempre ogni volta che apri quella fogna a sproposito. – ribatte Dimitri, impietoso, - Cioè il novanta percento delle volte.
- Dammi tregua. – si lagna, - Ho appena fatto coming out con mio padre.
- Buon per te. – risponde lui, - E quindi?
Miguel sospira, cercando un posto dove sedersi. Non ne trova alcuno che non sia la sponda del letto, perciò si posa lì, in bilico come un piccione con la labirintite su un cornicione pericolante, perché non vuole sporcare. Nonostante il caos, in questa stanza tutto luccica come se fosse stato pulito non più di tre secondi prima. Una roba che lui stamattina la doccia se l’è fatta, ma quando riesci a specchiarti pure sul copriletto finisci per sentirti lercio anche se ti sei lavato facendo le abluzioni con l’Amuchina.
- Okay, senti. – esordisce, - Io e te dobbiamo parlare.
- Minchia. – Dimitri sbuffa platealmente, scattando in piedi e roteando gli occhi, - Sei più persistente della muffa. Non ci voglio parlare con te, sei insopportabile e noioso. Vai via.
- No.
Dimitri gli abbassa addosso uno sguardo da inceneritore per l’indifferenziato. Miguel stringe i pugni e si fa forza.
- Questa è casa mia, lo sai, no? – domanda retorico Dimitri.
- Lo so, e mi dispiace comportarmi da maleducato ma io da qui non mi muovo.
- Maleducato? – grugnisce Dimitri, - Prova “stupratore seriale”. Vai via, io non ho niente da dirti.
- Meglio, parlo solo io. – taglia corto lui. È così evidente che Dimitri vorrebbe prenderlo a schiaffi che Miguel quasi decide di afferrare un cuscino e nascondercisi dietro per ogni evenienza. Alla fine non lo fa solo perché altrimenti quello che deve dire suonerebbe troppo ridicolo. E già non si tratta esattamente della genialata del secolo.
- Senti, - dice, - Io ci ho pensato, e voglio che torniamo insieme.
- Non siamo mai stati insieme.
- Quello che era. Qualunque cosa fosse. Lo rivoglio indietro. Anzi, no.
- Idee poche e confuse. – commenta Dimitri, inarcando un sopracciglio.
- Stai zitto, hai rotto il cazzo. – lo rimbrotta lui, e Dimitri arretra come un cane che sente un tuono, spaventato dal suono improvviso e sconosciuto delle sue parole. Lo fissa con un paio d’occhi azzurrissimi ed enormi che fanno venire a Miguel le ginocchia di panna, grazie a Dio è seduto, altrimenti dovrebbero raccoglierlo dal pavimento con una paletta e uno scolapasta. – Dimitri, qualunque cosa fosse quella che avevamo prima, faceva schifo al cazzo. Lo so che tu pensi che quello fosse il massimo che potevi darmi, la verità è che me ne sbatto i coglioni di quello che pensi di potermi o non potermi dare. Tu dici che da me volevi solo una reazione sincera. Va bene. Te la do adesso: io ti voglio tutto. Quello che puoi darmi, dammelo. Quello che non puoi darmi, me lo prendo.
- Cazzo, è così tipico di te! – gli ringhia contro Dimitri, le braccia rigide, i pugni serrati contro i fianchi, mentre si scuote tutto dalla rabbia, - Non posso darti qualcosa? Non riesci ad accettarlo! Piuttosto te lo prendi! Come quando mi hai scopato la prima volta!
- La seconda però l’hai voluta. – risponde Miguel, guardandolo negli occhi, - E volevi anche la prima.
- Quello che voglio o volevo non conta un cazzo! – strilla Dimitri, la voce che si fa più acuta, - Possibile che non ci arrivi?! Io non sono una cosa! Non sono una cosa che puoi prendere! Se dico no, è no!
- Dici no perché sei una testa di cazzo! – ribatte Miguel, alzando la voce a propria volta, ed alzandosi anche in piedi per conservare quel minimo di vantaggio che almeno la sua statura gli concede, - Dici no senza volerlo davvero, e io dovrei stare seduto a braccia conserte ad accettare passivamente i tuoi no solo perché l’hai deciso!
- È così che funziona tra persone adulte!
- Le persone adulte non si raccontano balle a vicenda!
- Le persone adulte non fanno altro, idiota!
- Be’, io non voglio essere quel tipo di persona adulta, allora! – sbotta lui, afferrandolo per le braccia e scuotendolo forte, - Dimitri, Cristo, ma ci arrivi che sono innamorato perso di te?! Mi stai facendo impazzire! Mi sono rotto il cazzo! Ti amo, porca troia!
- Piantala di ripetere questa stronzata! – Dimitri preme le mani contro il suo petto, cercando di spingerlo ad allontanarsi, - Continui a ripeterla, ma è una stronzata! Tu nemmeno mi conosci, e—
- Sai cosa me ne sbatte, di conoscerti! – lo interrompe Miguel, stringendo la presa, - Non mi serve conoscerti, per essere innamorato di te, mi basta guardare quella faccia di merda che hai e sapere che anche se sei uno stronzo io voglio stare con te!
- Ma cosa ti vuoi mettere con me a fare?! – Dimitri esplode, liberandosi dalla sua stretta e spingendolo indietro. Miguel quasi inciampa sui suoi stessi piedi, ricade a sedere sul letto e, quando solleva lo sguardo, trova quello di Dimitri, agitato come un mare in tempesta, che lo fissa, lucido e furioso, - Ma mi hai visto?! Mi hai visto, cazzo?! L’hai visto come ti ho trattato?! Mettiti con me, mettitici! Sarà ancora peggio! Mi sentirò sotto pressione e sbroccherò, ti lascerò ogni dieci giorni e invece di starci male mi incazzerò perché ci stai male tu, non sarò mai affettuoso quando vuoi o come vuoi, ti urlerò addosso tutto il tempo e non farò altro che trattarti male perché questo è l’unico modo con cui riesco ad avere a che fare con la gente, anche quando non la odio, e te poi ti odio in modo particolare, per cui figurati!
Miguel lo guarda. Dimitri ha le guance arrossate, il fiatone, i pugni stretti con tanta forza che gli si sono imbiancate le nocche e arrossate tutte le dita. Vorrebbe stringergli le mani fra le proprie e accarezzarle piano. Dirgli, rilassati, cazzo. Una carezza dopo l’altra, sciogliere i suoi nervi tesi e poi scoparlo fino a fargli perdere i sensi.
- Fallo. – gli risponde. Lo guarda fisso. Lo guarda pensando che si sta giocando il tutto per tutto. Che se esce da questa stanza senza di lui, oggi, non lo ritroverà mai più. – Fallo. Voglio che mi tratti male. Lasciami tutte le volte che vuoi. Prendimi a schiaffi, spingimi giù dal letto, insultami, mandami a cagare, non m’importa. Io ti amo.
Dimitri gli ricambia l’occhiata, le sopracciglia che si inarcano impercettibilmente verso il basso. Schiude le labbra come per dire qualcosa, ma all’improvviso tutta la tensione nervosa che lo tiene rigido e in piedi sembra disfarsi, e sembra disfarsi anche il suo corpo, che ricade indietro sulla sedia con un cigolio sottilissimo.
Miguel sbatte le ciglia, confuso.
- Dimitri…? – lo chiama, facendo per alzarsi. Lui lo ferma con un gesto piccolissimo ma netto, stendendo le dita, la mano aperta, il palmo esposto. Ha bisogno di qualche secondo. Miguel si rimette seduto e glielo concede.
- Sono stanco. – lo sente sospirare a un certo punto, mentre si passa una mano sugli occhi, - Sono stanchissimo. Non capisco perché non mi vuoi ascoltare.
- Perché non me ne frega niente di quello che dici? – ipotizza Miguel. Dimitri sbuffa una mezza risata.
- Bel presupposto per una relazione.
- Dio, ma la pianti? – geme Miguel, esasperato, - Continui a fare questa cosa.
- Cosa? – Dimitri gli solleva gli occhi addosso, le labbra piegate in un mezzo sorriso che è la cosa più baciabile che Miguel abbia mai visto in vita sua.
- Questa cosa di proiettarti nel futuro per vedere quanto farà schifo una roba che al momento nemmeno esiste.
- Si chiama prudenza.
- No, si chiama essere un cretino. – insiste Miguel. Poi sospira. – Perché devi costringermi a insultarti?
- E tu perché ogni volta che mi fai qualcosa di brutto insisti a presentarmelo come se ti ci avessi costretto io?
Miguel credeva di avere una risposta pronta, per questa domanda, ma non ce l’ha.
- Perché sono un cretino. – dice quindi. – Visto? Ora mi costringi anche ad insultarmi da solo.
Dimitri esala una risatina che sa di resa, e poi si alza lentamente in piedi, raggiungendolo di fronte al letto. Gli prende la testa fra le mani, senza tenerezza ma con un certo impeto, e poi lo bacia. Il corpo intero di Miguel esplode di cori angelici che cantano le lodi della grandezza del Signore.
- Senti, - dice Dimitri dopo avere interrotto il bacio, appoggiandosi a lui fronte contro fronte, - Ero serio, poco fa. Io non sono una persona affettuosa. Non sono una persona dolce. Non è che non sappia come funzionano le relazioni fra esseri umani normali, è che non riesco a farle funzionare per me. E tu sei veramente troppo appiccicoso, quindi un paio di cose dobbiamo rivederle, perché se non vuoi farmi incazzare come una biscia non puoi seguirmi quando ti dico che voglio restare solo, non puoi abbracciarmi quando non voglio essere abbracciato e non puoi pretendere una scopata romantica quando io voglio solo farti un pompino.
- I could live with that. – annuisce Miguel, ancora perso come una bottiglia in mezzo all’oceano per il bacio di prima.
- Mado’, che cretino. – ride Dimitri, e lo bacia ancora. Miguel solleva le braccia, appendendogli le mani ai fianchi e stringendo le dita, sentendo la carne morbida cedere sotto il suo tocco e schiudendo le labbra per baciarlo più profondamente. Dimitri lo lascia fare, anzi, gli si avvicina ancora, insinuandosi nello spazio tra le sue gambe dischiuse per premerglisi addosso.
Miguel si fa indietro, schiudendo gli occhi e sollevando lo sguardo. Lo fissa, mordendosi un labbro, e non osa chiedergli niente. Dimitri lo guarda e gli ride in faccia, scuotendo il capo.
- Fai quello che vuoi. – gli dice, lasciandosi ricadere sul letto accanto a lui, - Sono stanco di provare a mandarti via, ti accetterò come un herpes labiale che ogni tot ritorna e devi farci i conti.
- Fai schifo al cazzo. – borbotta Miguel, voltandosi e sistemandosi a quattro zampe sopra di lui, intrappolandolo fra se stesso e il materasso prima di annullare la distanza che li separa e baciarlo ancora. Scivola con le labbra umide lungo il profilo netto della sua mascella, e poi giù, lungo la linea del collo, sulla collinetta dolce del pomo d’Adamo, dove si ferma per qualche istante per un bacio più umido prima di schiudere le labbra e sfiorare la conca alla base della sua gola con la punta della lingua. – Voglio leccarti dappertutto. – dice in un mugolio arreso. Dimitri stringe le dita attorno all’elastico dei pantaloni e li tira giù, impaziente.
- Puoi cominciare da qui. – ride, abbassandosi le mutande.
Miguel vorrebbe piangere di gioia, ma è abbastanza sicuro che se davvero lo facesse Dimitri poi lo butterebbe fuori di casa, possibilmente nel modo più doloroso e violento possibile, tipo spingendolo fuori dalla finestra. Perciò trattiene le lacrime e cerca di trattenere anche il gridolino di gioia che gli esplode spontaneo nella gola, mentre gli scivola addosso, toccandolo ovunque, fermandosi solo quando può strofinare la faccia contro il suo uccello, pensando che lo vuole così tanto che potrebbe anche mettersi a urlare.
Schiude le labbra, tira fuori la lingua, lo lecca per tutta la sua lunghezza, dalla base alla punta, e mentre lo fa guarda in alto, verso di lui. Lo osserva inarcare la schiena al punto da sollevarsi dal materasso, gettando indietro il capo e gemendo piano mentre stringe le dita attorno alle lenzuola e tira. Il risultato lo eccita, vuole sentirlo mugolare ancora, e quindi continua a leccarlo, e quando l’ha leccato abbastanza lo prende in bocca e succhia forte, e Dimitri geme più forte, un “ah!” distinto e chiaro come il sole. Miguel chiude le mani attorno ai suoi fianchi stretti, lo inchioda al materasso e comincia a succhiarglielo con vigore, prendendoci gusto, e Dimitri, che non se l’aspettava, sussulta e chiude entrambe le mani attorno ai suoi dread, tirandoli e poi accarezzandoli e poi afferrandoli di nuovo con forza e poi lasciandoli andare per ricominciare.
- Aspetta, aspetta… - mugola Dimitri, - Non farmi venire, - ma non c’è niente in tutto il fottuto mondo che Miguel voglia più di farlo venire, in questo momento, perciò decide di ignorarlo e continuare a succhiarglielo, e Dimitri smette presto di protestare, e Miguel capisce che quella richiesta non era voluta, ma obbligata. E capisce come funziona, per la prima volta, come Dimitri funziona sempre, nel sesso e anche in tutto il resto. Ci sono cose che dice, che vuole davvero. E ci sono cose che dice, che non vuole ma dice lo stesso perché deve, come per compulsione. Lui deve solo imparare a distinguerle.
Dimitri si tende e cerca di farsi indietro, ma la sua voce esplode in un gemito bagnato mentre gli viene in bocca, poi trema e si arrende sotto le sue dita, sotto le carezze insistenti della sua lingua. Miguel ingoia senza starci troppo a pensare, poi lo lecca ancora, lasciandolo guardare, e quando si tira su sulle braccia non si stupisce che Dimitri voglia baciarlo. Si lascia prendere, lo lascia guidare il bacio, si lascia scopare la bocca con la lingua mentre sotto di lui Dimitri si muove liquido, strusciando un ginocchio contro la sua erezione ancora prigioniera dei jeans.
- Aspetta… - gli mugola addosso, cercando di tornare ad abbassarsi su di lui, anche se Dimitri non lo lascia andare, - Aspetta, non avevo finito…
- Non ce l’ho un altro cazzo da farti leccare. – sorride Dimitri, divertito.
- Lo so, ma non te ne faccio una colpa. – risponde Miguel, e approfitta della risata che riesce a strappargli per scivolare di nuovo lungo le cime e i pendii di quel corpo spigoloso e poi morbido nei punti più inaspettati, la curva della pancia appena sotto l’ombelico, le natiche sode dalla pelle bianchissima, le cosce affusolate sulle quali lascia una scia di morsi bagnati, mentre lo invita ad allargarle dopo avergli abbassato i pantaloni fino a lasciarli arrotolarsi intorno alle sue caviglie.
Dimitri non si fa pregare, anche se c’è una punta d’ansia nel modo in cui si morde le labbra lo lascia fare, lo lascia esporlo tutto e, quando lo vede quasi scomparire alla vista, premendo le labbra contro la sua apertura, gli lascia osservare uno spiraglio di debolezza quando la voce gli si frantuma in un singhiozzo trattenuto a stento.
- Non dicevi cazzate quando hai detto di volermi leccare dappertutto, allora… - dice, chiudendo le ginocchia sopra la sua testa.
Miguel gli afferra il sedere con entrambe le mani, esponendo meglio la sua apertura, guardandolo e trovandolo perfetto nel modo ridicolo e assoluto in cui diventa perfetto tutto quello che vuoi senza saperti spiegare le motivazioni, senza che nemmeno esistano, le motivazioni, al di là di un banale “mi piace un casino”.
- Voglio fare più che leccarti, - gli annuncia, come a preavvisarlo, - Voglio scoparti.
- Hai un uccello, per quello. – risponde Dimitri, laconico.
- No. – scuote il capo lui, - Cioè, sì, ma dopo. Con la lingua, - precisa, - Voglio scoparti con la lingua.
Lo sente tremare sotto le dita, e poi rilassare le gambe, allargandole ai lati della sua testa. È un permesso sufficiente, e anche se non lo fosse stato Miguel se lo sarebbe fatto bastare. Gli si avvicina, premendo un altro bacio contro la sua apertura, e poi comincia a leccarlo, piano, piano, da fuori, in lappate piccole che si fanno man mano sempre più piene, sempre più bagnate, mentre Dimitri abbandona qualsiasi tipo di freno inibitore e ondeggia i fianchi, seguendo il movimento della sua lingua. Quando comincia ad alzare la voce, Miguel usa la punta per girare attorno alla sua apertura in cerchi lievissimi, all’inizio, poi più concreti e veloci. Lo sente contrarsi sotto la lingua, l’anello di muscoli che si rilassa e poi si stringe, come stesse cercando di acchiapparlo. Dimitri sta tornando duro e si tocca l’uccello ancora bagnato e scivoloso di saliva e sperma, ed è tipo una meraviglia naturale che, se non fosse impegnato a leccarlo, Miguel si fermerebbe a fissare per ore con aria sognante.
Quando spinge la punta della lingua dietro il suo corpo, Dimitri scoppia in un gemito improvviso, chiudendosi tutto attorno a lui.
- Cristo—
È la prima volta che gli sente dire una cosa del genere, la prima volta che riesce a dargli piacere in modo così completo da vederlo perdere completamente il controllo sulla propria voce. Si sente orgoglioso come un imbecille. Anche se non è il tipo di storia che poi andrebbe a raccontare a qualcuno. (Accetterebbe volentieri una medaglia da esporre sulla scrivania, però.)
Si spinge più profondamente dentro di lui, sentendolo caldo e bagnato attorno alla lingua. Non avrebbe mai pensato che fare questa cosa avrebbe potuto piacergli tanto. Forse gli sta piacendo tanto perché la sta facendo a Dimitri, e fare cose a Dimitri è la sua attività preferita in assoluto, e qualsiasi cosa, fatta a Dimitri, sembra sempre bellissima. Non lo sa, non gli importa, tutto quello che il suo cervello è in grado di razionalizzare al momento è che potrebbe restare qui a leccarlo anche per sempre, ed alla fine della sua vita morirebbe stanco e vecchio e soddisfatto per gli anni di proficuo servizio.
Dimitri si contrae violentemente attorno a lui, tremando in uno spasmo involontario che gli stringe la gola e lo costringe a un gemito improvviso e quasi sofferente, e Miguel si ferma, riprendendo a leccarlo da fuori, per calmarlo un po’. Dimitri rilassa le gambe e i muscoli, i respiri pesanti ed erratici che gli scuotono il petto, le labbra piene e arrossate dischiuse per lasciar passare tutti i piccoli mugolii che ancora gli sfuggono mentre il piacere torna ad assestarsi su un livello più tollerabile.
Miguel si solleva di nuovo su di lui, guardandolo a qualche centimetro di distanza per qualche istante, completamente rapito dalla sua espressione affaticata e persa. Dimitri apre gli occhi e gli appoggia una mano sulla testa, stringendo i rasta fra le dita mentre se lo tira contro e lo bacia affamato.
- Mettimelo dentro. – gli sussurra sulle labbra, abbassando l’altra mano per accarezzare il rigonfiamento all’altezza del cavallo dei suoi pantaloni, - Vuoi mettermelo dentro?
- Venderei un braccio. – geme Miguel, la voglia che lo consuma al punto da rendere la sua voce lamentosa e infantile.
Dimitri ride, sbottonandogli i pantaloni.
- Per questa volta il braccio lo tieni, - dice, spingendoglieli giù lungo le sue gambe con le ginocchia, - La prossima volta vediamo.
Miguel annuisce come se ci fosse qualcosa per cui annuire. Fa niente, è un annuire generale, rivolto all’intera persona di Dimitri. Un annuire esistenziale.
Dimitri si libera dei propri pantaloni, ancora arrotolati attorno alle sue caviglie, e schiude le gambe in un movimento lento, da troia senza vergogna. Se il suo cazzo potesse diventare più duro di quant’è, sicuramente lo farebbe. Non può, però – è già duro abbastanza che Miguel immagina che il prossimo passo possa solo essere sentirlo staccarsi dal suo corpo e volare in orbita dopo un breve conto alla rovescia – e invece fa male, e pulsa.
- Dimitri, mi verrà un infarto. – dice lamentoso. Dimitri gli ride in faccia, divertito, e poi gli stringe le gambe attorno ai fianchi, invitandolo a venire più vicino.
Gli affonda dentro così facilmente, in un movimento così fluido, sentendo attorno così poco attrito, che gli scappa un gemito acuto da ragazzina mentre si accascia su di lui e i suoi fianchi inseriscono il pilota automatico, muovendosi svelti avanti e indietro per scoparlo.
- Non è possibile… - mugola, strofinando il naso lungo la curva della sua spalla e poi lasciando un morso nel punto in cui si fa più dolce, - Come cazzo fai ad essere sempre pronto? Non mi capacito. Non scopiamo da un sacco di tempo.
- Mi masturbo spesso. – risponde Dimitri con un ghigno sardonico.
- Dio, - esala Miguel in un gemito strozzato, spingendosi con forza dentro di lui, - Ti chiedo solo di lasciarmi guardare, ogni tanto.
- Sei un porco. – commenta Dimitri, ma si scioglie come crema sotto di lui, si fa liquido e morbido, i fianchi che ondeggiano, andando incontro alle sue spinte, le mani che si aggrappano alle sue spalle, le dita che affondano, le unghie che lasciano minuscoli solchi a forma di mezzaluna sulla sua pelle, mentre struscia il cazzo già di nuovo eretto contro il suo stomaco, inarcando la schiena per sollevarsi dal materasso e premersi con più forza contro di lui.
C’è qualcosa di diverso nel modo in cui lo tocca, nel modo in cui assaggia la sua pelle in punta di lingua, nel modo in cui i suoi occhi restano dischiusi per guardarlo in viso attraverso il velo di piacere che li rende lucidi e scintillanti, c’è qualcosa di diverso nel modo in cui si lecca le labbra, nel modo in cui i suoi sospiri profondi vanno a morire sulla lingua di Miguel. C’è qualcosa di diverso ed è quella cosa che Miguel ha sempre voluto, quella cosa che non ha mai saputo spiegargli prima, quel contatto intimo, quella connessione profonda, quel modo di darsi l’uno all’altro che finalmente lo fa sentire come se fossero lì insieme per davvero, perché l’hanno voluto, e non solo perché i loro corpi, casualmente, sono finiti a condividere gli stessi centimetri quadri di spazio su una superficie randomica.
Gli viene dentro con un grugnito soddisfatto e stremato che vibra sulla pelle di Dimitri, nel punto esatto del suo collo sul quale le sue labbra erano premute. Dimitri trema e, sentendolo tremare a sua volta, stringe più forte le gambe attorno ai suoi fianchi, contraendo i muscoli per farsi sentire deciso tutto intorno a lui. Miguel si accascia sul suo corpo subito dopo, esausto. Lo sente ancora duro contro la pancia, ed infilando una mano fra i loro corpi caldi e sudati e appiccicosi lo masturba lentamente, passando il pollice sulla cima bagnata e scivolosa del suo cazzo, tormentandolo finché non lo sente venire di nuovo, strappandogli dalle labbra un gemito profondo, tutto di gola, che lo fa sentire sazio come mai prima di quel momento.
Ha la mano tutta sporca e la tiene chiusa mollemente attorno a lui, avvolgendolo in una stretta morbida e calda. Siccome sa che a Dimitri gli abbracci non piacciono, prova ad abbracciargli solo l’uccello. Magari così non si allontana. Anche perché se lo fa poi rischia di restare monco.
Nessuno dei due parla per un po’. La stanza, inizialmente animata dai loro sospiri e dai loro respiri affaticati, si fa via via più silenziosa, ed è un silenzio piacevole e comodo all’interno del quale entrambi si avvolgono come in una coperta, chiudendo gli occhi, respirandosi addosso.
Miguel parla per primo, quando si sente in forze abbastanza da sollevarsi sulle braccia per poterlo guardare in viso.
- E insomma, - dice, - Ti piace Game of Thrones.
- Mi piace A Song of Ice and Fire. – precisa lui, inarcando un sopracciglio, - Game of Thrones piace alla gente mentalmente pigra che piuttosto che aprire un libro si getterebbe da una montagna, figurati se sono volumi da mille pagine. I libri sono molto meglio.
- Non saprei, - risponde Miguel, - Non li ho mai letti.
- Ci avrei giurato. – ghigna Dimitri, - Scommetto che quando a scuola ti hanno detto di leggere la Divina Commedia tu hai risposto che avresti aspettato il film.
- La che? – domanda Miguel.
- Lascia perdere. – ride Dimitri. Mentre lo ascolta ridere, Miguel chiude gli occhi. Se la gode un mondo. Pensa che va bene dirgli una stronzata ogni tanto, se può sentirlo ridere così come risposta.
*
- Devo dire, coso, sono troppo fiero di te. – commenta compiaciuto Jake dietro la sua coscia di pollo bollita, - A un certo punto ho disperato, lo ammetto, ho pensato: basta, l’abbiamo perso, e volevo fare un meme con la tua foto e chiamarlo “lame ex boyfriend” scrivendoci cose tipo “earthquake in China” sopra e “mopes ‘cause ex boyfriend used to like Chinese food” sotto, e invece mi hai stupito.
Dall’altro lato del tavolo, sbocconcellando serenamente il suo panino al tonno e pomodoro, Miguel sorride fra sé, senza commentare.
- Ti sei ripreso bene. – riprende Jake, mentre Antonio sorseggia pensieroso la sua spremuta d’arancia, - Guardati, florido e pasciuto. Sorridi, mi hai un bel colorito. A parte che non ti si poteva più ascoltare, depresso com’eri, non ti si poteva neanche più guardare, eri diventato una roba proprio pesante. E adesso! – conclude con un sorriso fiero, - Adesso hai capito che non è necessario avere un uomo, pure stronzo, al tuo fianco, per essere una donna realizzata e indipendente. Bravo.
- Com’è possibile che anche le cose genericamente non sessiste sembrino sessiste quando sei tu a dirle? – chiede Miguel in una mezza risata.
Jake scrolla le spalle.
- Non ho idea di cosa tu stia parlando. – commenta distratto.
Nel mentre, Antonio mette giù la bottiglietta di aranciata. È un movimento svelto e netto, e la plastica, impattando contro la superficie liscia del tavolo, produce un suono simile a uno schiaffo sul dorso di una mano. Come volesse anticipare a Jake la punizione karmica che sta per arrivare. To-to’ sulle mani a Jake, dice la Grande Volontà dell’Universo, mentre Dimitri si avvicina al loro tavolo stringendo il proprio vassoio fra le mani e poi si siede accanto a Miguel.
- Ohi. – sorride lui, composto al novanta percento di marshmallow e al dieci percento di zucchero filato, chinandosi verso Dimitri per un bacio, - Ce l’hai fatta.
Dimitri gli preme una mano aperta contro la faccia, tenendolo a distanza.
- Niente baci. – dice severo.
Miguel mugola.
- Nooo, - dice lagnoso, - Perché?
- Perché no.
- Ma no in generale sempre a tutti i baci in pubblico o solo per ora perché ti gira il culo?
- Al momento solo per ora, ma se continui a rompere il cazzo chissà, magari per sempre.
- Ricevuto. – annuisce Miguel, tornando a mangiare il suo panino, - Usciamo, questo pomeriggio?
- No.
- Eddai!
- Non ne ho mezza.
- Che palle.
Antonio lascia che la loro conversazione diventi un brusio di sottofondo. Cerca di abituarcisi in fretta perché ha come l’impressione che diventerà una caratteristica fissa dei loro pranzi condivisi in mensa. Si volta verso Jake, trovandolo ancora immobile a fissare la scena come una mucca che fissa le macchine sfrecciare veloci dall’altra parte del guard rail, chiedendosi se possa ritenersi al sicuro fra le fresche frasche o se uno di quei mostri di metallo a lungo andare finirà per saltare lo steccato come uno stambecco e impattare di prepotenza contro il suo muso.
- Oh, - lo chiama, battendogli un’amichevole pacca sulla spalla per attirare la sua attenzione, - Tutto apposto?
- No! – risponde Jake, voltandosi a guardarlo, - Tu sapevi questa cosa?
- La immaginavo.
- Ma quando è successo?!
- Recentemente, suppongo.
Jake si volta nuovamente verso Miguel e Dimitri, che ancora bisticciano fra loro, tirandosi ogni tanto qualche insulto per addolcire ulteriormente il già delizioso quadretto romantico.
- Ma sarà così ogni giorno, da ora in poi? – domanda con una punta di sacro terrore a rendere incerta la voce.
Antonio non ritiene necessario rispondere.
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