Genere: Drammatico.
Pairing: Bill/Bushido.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Angst, Rape, AU.
- "Bill è diventato in un istante l’unica forza ed anche l’unica debolezza di Bushido. E se ciò che fa la forza del capo fa la forza anche della banda, allo stesso modo è vero per ciò che rende entrambi deboli."
Note: Aaah, questa storia. *la abbraccia* Diciamo che per certi versi è una cosa che non avrei mai scritto se non sotto determinate circostanze (il non-con per me è una roba che meno ce n'è nel mondo, meglio è, ma qui era necessario), mentre per molti altri è una cosa incredibilmente mia, specie nella strutturache fino a qualche tempo fa usavo solo io e che invece adesso si sono messi a usare tutti quanti perché alternare le parti nel presente e nel passato e differenziarle col corsivo fa figo. Ehm, dicevamo.
No, niente, in realtà il merito principale di questa storia è che mi ha fatto capire che mi piace descrivere le scene di violenza. Non la violenza sessuale, proprio i ceffoni, i calci, i pugni, quelle robe lì, mi diverto un mondo a scriverle. Ora che mi rileggo non so se è proprio un merito, ma tant'è. Enjoy!
Pairing: Bill/Bushido.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Angst, Rape, AU.
- "Bill è diventato in un istante l’unica forza ed anche l’unica debolezza di Bushido. E se ciò che fa la forza del capo fa la forza anche della banda, allo stesso modo è vero per ciò che rende entrambi deboli."
Note: Aaah, questa storia. *la abbraccia* Diciamo che per certi versi è una cosa che non avrei mai scritto se non sotto determinate circostanze (il non-con per me è una roba che meno ce n'è nel mondo, meglio è, ma qui era necessario), mentre per molti altri è una cosa incredibilmente mia, specie nella struttura
No, niente, in realtà il merito principale di questa storia è che mi ha fatto capire che mi piace descrivere le scene di violenza. Non la violenza sessuale, proprio i ceffoni, i calci, i pugni, quelle robe lì, mi diverto un mondo a scriverle. Ora che mi rileggo non so se è proprio un merito, ma tant'è. Enjoy!
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L’odore dell’asfalto.
Le luci tremule dei lampioni.
Le risate sconosciute che riecheggiano nel vicolo.
L’eco della musica che rimbomba dentro il locale, sembra lontana chilometri. E secoli. Vite intere.
Il dolore acuto che gli squarcia il ventre fin nelle viscere.
Il bruciore delle lacrime fra le ciglia.
Il sapore del sangue sulla lingua.
La scia di silenzio irreale.
L’odore dell’asfalto.
Il profumo di Anis.
Bill non può stare da solo. Il che equivale a dire che Bushido non vuole che stia da solo, non adesso, specie non stanotte, che fuori piove e da qualche parte qualcuno sta pagando il peccato mortale di avergli messo le mani addosso per cercare di indebolire lui.
Chakuza non sa bene come dovrebbe avere a che fare con questo ragazzino. La sua stessa presenza lo confonde, lo ha sempre confuso. Lui è uno con una mente semplice, e ne va fiero. Non che sia stupido, ma le cose complesse lo spaventano, perché hanno sempre risvolti imprevedibili. E così, quando il suo capo, ormai quasi quattro anni fa, ha presentato a lui e agli altri della banda questo ragazzino col visino da donnetta, il corpicino smunto e l’aria di uno che si sente molto fortunato perché non ha capito un accidenti del casino in cui s’è andato a cacciare, fin da subito Chakuza ha capito che la sua presenza avrebbe portato guai.
Non perché portarsi a letto un ragazzino rendesse Bushido automaticamente attaccabile sul piano della credibilità – a chiunque avesse osato mettere in dubbio la sua virilità negli ultimi quattro anni, Bushido ha sempre risposto sfoggiando gli attributi nel modo più violento e crudele possibile, giusto per mantenere le cose il più chiare possibile – ma perché lo rendeva debole.
Bushido è sempre stato un capo assoluto. Lo è sempre stato perché ha sempre avuto quel modo di parlare, quel modo di muoversi, quel modo di spiegarti le cose, quel modo anche di mostrartele, quando nella zucca a parole non ti ci volevano proprio entrare, tale da renderlo il tipo di persona alla quale affideresti la vita senza indugio. In molti non capiscono cosa faccia di un capo un vero capo. Non notano le differenze, si perdono dietro dettagli stupidi quando in realtà l’unica cosa che conta è quella: ci riesce, un uomo, a convincerti che i motivi che ti dà quando ti parla sono sufficienti per svegliarti ogni giorno e andare a prendere e dare ogni sorta di legnate fino a ridurti ad un mucchio di lividi e bernoccoli? Perché se quell’uomo ci riesce, se ci riesce e allo stesso tempo riesce a convincerti del fatto che non c’è niente che a lui importi più del gruppo che avete formato, che è disposto a sacrificare tutto meno la fratellanza che avete stretto, se quell’uomo riesce a darti queste certezze, allora quell’uomo è un capo. Un capo vero.
Bushido ha perso questa spinta nel momento in cui si è innamorato di Bill. Improvvisamente, c’era qualcosa che contava più del gruppo, più della banda, più del loro legame. Più di tutto il resto. E quel qualcuno era Bill. Improvvisamente, anche la banda diventava sacrificabile, tutto era potenzialmente sacrificabile, per il bene di Bill.
Bill è diventato in un istante l’unica forza ed anche l’unica debolezza di Bushido. E se ciò che fa la forza del capo fa la forza anche della banda, allo stesso modo è vero per ciò che rende entrambi deboli.
Bill è sempre stato un pericolo, e Chakuza l’ha sempre saputo, ma non ha mai potuto – né, in fondo, voluto – farci niente, perché era stata la parola di Bushido a imporlo, e la parola di Bushido, be’, quella è sempre stata legge. Solo per loro, però. Non è servito molto tempo perché la voce cominciasse a girare per la città, perché topi che prima trascorrevano tutto il loro tempo nascosti nelle loro fogne cominciassero a sollevare la testa e tirare fuori il naso dalla melma.
Quando le strade capiscono che sei disposto a sacrificare qualcosa, non esitano a strappartelo di dosso. E, in un certo senso, è esattamente quello che è successo.
La serata è di quelle fiacche. Di quelle tranquille. Di quelle in cui Bushido non ha paura a lasciare andare Bill in giro da solo, anche perché non è che sia proprio da solo. C’è suo fratello, con lui. Tom è un bravo ragazzo, col casino in cui Bill s’è andato a infilare non solo non c’entra niente, ma neanche vuole averci minimamente a che fare. È per questo che, quando Bill e Tom escono insieme, non ci sono guardie del corpo intorno. A Bill già non piacciono normalmente, ma s’è forzato a mandarle giù perché Bushido non avrebbe mai ceduto di un punto, a riguardo, ma quando esce con suo fratello non le ammette neanche per semplice sorveglianza discreta da lontano.
Tom è un bravo ragazzo, sì, ma è un bravo ragazzo che si distrae parecchio. Soprattutto, è un bravo ragazzo che però non è tanto bravo a tenere l’uccello nei pantaloni. L’hanno seguito per settimane. Hanno seguito entrambi per settimane, e lo sanno bene.
Tom è l’anello debole. È lui che va sfruttato.
- To’. – dice Chakuza, piazzandogli davanti una fetta di pizza trovata in frigorifero e riscaldata due minuti nel forno a microonde, - Dovrebbe essere ancora buona.
Bill guarda la pizza e poi guarda lui, e cerca di sedersi più comodamente nell’angolo di divano in cui si è rifugiato appena arrivato a casa sua. Si è anche sfilato le scarpe per tirare su i piedi e rannicchiarsi meglio, ma Chakuza non è proprio sicuro al cento percento che si tratti di una posa, o di un modo per starsene più sulle sue. Probabilmente voleva soltanto tirare su i piedi dal pavimento, visto quanto è sporco. Dovrebbe decidersi a dare una lavata in giro, la casa fa vomitare, ma a lui non è che freghi più di tanto, visto che sostanzialmente neanche ci vive, è solo un posto in cui viene a cadere in coma dopo una giornata intera passata a ciondolare per Tempelhof facendo una cosa piuttosto che un’altra. Gli frega poco delle condizioni del pavimento, o della cucina, o di qualsiasi altra cosa, in realtà, perfino delle lenzuola sul letto nel quale dorme. Non è che può stare a pensare all’eventualità in cui Bushido decida di lasciargli il ragazzino per la notte. Il ragazzino si farà piacere anche il pavimento sporco, se vuole restare, altrimenti quella è la porta.
- Ehm… non ce l’hai una cosa più… - gesticola vagamente a mezz’aria, come se i ghirigori immaginari che sta disegnando con le unghie pittate di nero dovessero avere un qualche significato particolare per lui che uno smalto da vicino non l’ha mai visto neanche in confezione. Chakuza lo guarda sbattendo le palpebre un paio di volte.
- Più? – domanda, lasciandosi ricadere di peso sul divano con una fetta di pizza in mano.
- …non lo so. – deglutisce faticosamente Bill, osservandolo mordere la fetta e sbrodolarsi addosso quelli che hanno l’aria di essere circa due litri d’olio ed altrettanti di salsa di pomodoro. – Meno unta, forse.
- Ho solo la pizza. – scrolla le spalle Chakuza, asciugandosi il muso col dorso della mano e anche con una buona porzione di avambraccio, - Assaggiala, è buona.
Bill fa una smorfia incerta e distoglie lo sguardo.
- Mi è passata la fame. – borbotta, prendendo a giochicchiare distrattamente con l’orlo sfilacciato del cuscino che si è tirato in grembo per abbracciarlo nel momento stesso in cui s’è seduto.
La ragazza che hanno pagato trascina Tom in bagno dopo meno di mezz’ora passata a strusciarsi in mezzo alla pista da ballo. Pagano anche un cameriere perché corregga il drink che Bill ha ordinato con uno zuccherino tutto particolare. Sulla lingua non sentirà niente di strano, almeno fino a quando non lo trascineranno fuori. Allora sì che sentirà qualcosa di molto, molto strano in bocca, ma sarà sballato abbastanza da non riuscire a protestare né a sottrarsi a loro.
Bushido recepirà il messaggio. Lo recepirà forte e chiaro.
- Non so, vuoi metterti a dormire? – domanda Chakuza, aggirandosi attorno a lui come un’anima in pena. Non ha propriamente accettato di prenderselo in casa, perché Bushido non gliel’ha chiesto per favore. Non che Chakuza sia arrabbiato con lui per questo, Bushido può prendere e pretendere esattamente ciò che vuole perché è così che gira il meccanismo, ma avere il ragazzino in giro per casa lo mette in agitazione. La sua persona lo confonde, non per altro, è che non ha mai avuto a che fare con una persona che abbia vissuto la sua stessa esperienza, che non è semplicemente essere stato violentato, ma essere stato violentato a causa della persona che ami, ed è profondamente differente perché nel primo caso la scelta è casuale, mentre nel secondo è precisa e determinata; e questa cosa lo agita, perché cosa gli dici a uno così? A uno che deve sentirsi male ogni volta che guarda Bushido negli occhi, per tutta una serie di ragioni che Chakuza non è neanche sicuro di riuscire ad elencare anche se si mette a pensarci? Ad uno che si sveglia ogni giorno accanto al suo uomo e sa che qualsiasi cosa orribile gli sia capitata è stata causata dal semplice fatto di stare con lui, ad uno che sa perfettamente quanto grande possa essere il senso di colpa che si agita dentro lo stomaco del proprio compagno quando pensa a tutta la sofferenza che gli ha involontariamente causato, ad uno che, ogni volta che si guarda allo specchio, non può fare altro che ripetersi che ha passato la boa, indietro non ci tornerà mai, non riavrà mai più quello che ha perso e resterà strappato dentro per sempre, ad uno che sta così, uno come lui, uno come Chakuza, che picchia i ragazzini che non pagano per la droga a sangue freddo, uno che per ordine del suo capo punta la pistola contro la pancia di una donna incinta per convincere il marito a pagare i suoi debiti di gioco, uno che appicca tranquillamente fuoco a un locale per lanciare un avvertimento a qualche commerciante troppo cocciuto, uno così cosa può dire a uno come Bill? Niente può dirgli, ecco cosa. Niente in assoluto.
E vederlo lì col naso appiccicato alla finestra, mentre di fuori viene giù il cielo in scariche di pioggia così uniformi e improvvise da far sembrare che Dio stia prendendo a secchiate d’acqua il mondo per annegarlo da quanto fa schifo, non lo aiuta a sentirsi meno a disagio.
- Dove dovrei mettermi a dormire? – domanda Bill, continuando a guardare fuori.
Chakuza scrolla le spalle.
- Sul divano. – butta lì. Va bene ospitarlo, ma cedergli il letto, anche no.
- Non ho sonno. – ribatte il ragazzino, e continua a fissare la notte.
Gli si avvicinano immediatamente, quando lo vedono ciondolare con la testa. Non possono perdere tempo, la ragazza ha promesso che tratterrà Tom il più possibile, ma non possono fidarsi né di lei, né delle tempistiche dal ragazzo, e naturalmente non possono fidarsi di Bushido: sanno che Bill non vuole guardie intorno quando è in giro col fratello, ma sanno anche che Bushido non è uno che mantenga le promesse che fa. D’altronde, non è mantenendo promesse che diventi il capo della malavita organizzata del quartiere. Non è mantenendo la parola data che prendi il controllo su tutto ciò che abbia un minimo di valore nel giro di chilometri. No, è proprio facendo esattamente il contrario di ciò che giuri e spergiuri, che si amministra il potere. Loro lo sanno bene, perché hanno imparato da lui.
Chi siano non importa. Non importerà a nessuno. Bushido è ancora troppo grande per potere essere battuto da un gruppo di ombre, per quanto organizzate. Non è importante chi sono, non è importante neanche cosa vogliono, quale sia il loro obbiettivo finale. Il punto è che hanno un messaggio da mandare, ed è così che intendono diffonderlo.
Uno di loro afferra Bill per un braccio. Lo trascina in piedi, e Bill gli solleva addosso uno sguardo appesantito dal sonno, dall’alcool e dalla droga che gli hanno fatto mettere nel bicchiere. Aggrotta le sopracciglia, piegando le labbra in una smorfia pesante di disappunto, ma non riesce a dire una parola, perché ha i sensi troppo intorpiditi.
Lo trascinano fuori, nel freddo piovoso della notte. Il vicolo è buio e silenzioso, non c’è neanche un gatto randagio a rovistare nei cassonetti dell’immondizia. Uno preme le mani contro entrambe le spalle di Bill, nel tentativo di costringerlo a mettersi in ginocchio con le buone. Bill mugola come un bambino svegliato nel mezzo della notte da un genitore rompicoglioni, e scuote il capo con forza. Loro non hanno tempo per stare dietro ai suoi capricci, e lo prendono a calci sulle ginocchia finché non crolla sull’asfalto bagnato.
Uno lo afferra per il mento, tirandogli su il viso e osservandolo nella luce fioca che illumina la strada principale e arriva a rischiarare il vicolo solo per metà. È bello, il ragazzino, bello abbastanza da confondere anche il più eterosessuale degli uomini, ma questa non è una questione di sesso, non è nemmeno una questione di piacere, o di una sciocca vendetta che non avrebbe alcun senso di esistere.
È una questione di potere, è una questione di debolezza. Mettere le mani addosso al ragazzino equivale a far sapere a Bushido che sanno bene come e dove colpirlo, se vogliono, e che l’intensità del colpo può variare a seconda di quanto siano incazzati. Equivale a fargli sapere che anche un gruppo di uomini senza volto e senza nome può togliergli qualcosa di caro, e che se non lo fanno stanotte è solo perché per mandare adeguatamente il messaggio serve che Bill torni a casa vivo. Malconcio e rovinato per sempre, ma vivo.
L’ombra più alta del gruppo si avvicina di un passo, maneggia la fibbia della cintura fino a scioglierla e poi apre la zip dei pantaloni. Il suono risveglia qualcosa nel retro della testa di Bill, un segnale d’allarme che alcool e droga hanno tacitato a sufficienza fino ad adesso, ma che ora comincia a pulsare dolorosamente. «No…» biascica il ragazzino, e cerca di spostarsi quando il cazzo duro e teso dell’uomo gli sfiora le labbra. Come unico compenso per il movimento, ottiene uno schiaffo in pieno volto che gli fa girare la testa dal lato opposto così violentemente da fargli male al collo. Spalanca gli occhi nella notte buia e stantia del vicolo riparato da sguardi indiscreti e prova a urlare, ma nel momento esatto in cui spalanca la bocca l’uccello dell’uomo gli si intrufola fra le labbra, premendoglisi contro fino in gola.
La reazione del suo corpo è immediata: Bill si sente soffocare e sente la spinta acida e dolorosa di un conato di vomito che non riesce a risalirgli fino in gola, e gli contrae lo stomaco in uno spasmo insopportabile, reso ancora più doloroso dal bruciore che gli avvampa nell’esofago quando è costretto a mandare giù il rigurgito con un blocco di saliva che scivola giù più duro del cemento. Prova a spostarsi indietro, ma le mani forti di qualcuno gli tengono la testa ben ferma, il collo eretto, la bocca spalancata. Le dita che gli premono con forza sulle guance, per impedirgli di far scattare la mandibola, sembrano volergli scavare sotto la pelle, fra i muscoli e la carne e le ossa. L’uomo che gli sta scopando la bocca si muove veloce avanti e indietro, scivolandogli fra il palato e la lingua e premendosi ogni volta così in profondità che Bill strabuzza gli occhi e si soffoca da solo con l’aria che non riesce a passare, coi rigurgiti che continuano a risalire ad ogni spinta, con le urla che vorrebbe essere abbastanza forte da riuscire a sputare fuori assieme a tutto il resto, e che invece restano lì, confinate in fondo alla sua gola, ricacciate sempre più in basso dalla punta del cazzo dell’uomo, ogni volta che, con una nuova spinta, si introduce più violentemente dentro di lui.
L’uomo viene con un gemito roco e disgustoso, e resta piantato dentro di lui fino alla base, disinteressandosi completamente di quanto lui, a corto d’aria e soffocato dallo sperma che gli scivola giù per la gola, possa dimenarsi nel tentativo di liberarsi. Poi si ritrae, e anche l’uomo che lo teneva fermo da dietro lo lascia libero di piegarsi in avanti, stringersi una mano attorno alla gola dolorante, tossire e, finalmente, vomitare, rovesciando tutto l’alcool che aveva in corpo fra i cassonetti dell’immondizia.
«Meglio» dice uno degli uomini che l’anno aggredito, ridendo divertito, «Così sei più lucido per il secondo round.»
- In questo momento li sta facendo fuori. – dice Bill dopo qualche minuto, voltandosi per rannicchiarsi sul davanzale, senza accennare ad allontanarsi dalla finestra. Solleva le gambe, portando le ginocchia al petto e stringendole in un abbraccio consolatorio, mentre vi appoggia contro il mento. Le sue labbra sono piegate in un sorriso minuscolo che Chakuza non riesce ad interpretare. – Li sta facendo fuori tutti.
- Come fa a sapere i nomi? – chiede lui, stupidamente, e Bill risponde con una mezza risatina.
- Li ha scoperti. – chiarifica, scrollando le spalle, - Che domanda è? Lo conosci da prima di me.
È vero, vorrebbe dire Chakuza, è vero, ma il Bushido che conoscevo io prima che arrivassi tu non avrebbe mai fatto una cosa simile. Non avrebbe mai indagato sulle identità degli stupratori della sua donna per poi andarli ad ammazzare tutti con le proprie mani uno per uno. Non l’avrebbe mai fatto semplicemente perché non si sarebbe mai tenuto stretto una donna abbastanza a lungo da concedere a qualcuno il lusso di pensare che a lui importasse abbastanza di lei per renderla un bersaglio facile.
No, ragazzino, e questo vorrebbe dirglielo proprio, Chakuza, ma non lo fa perché non ha idea di come parlargliene senza che sembri uno scatto d’astio ingiustificato, no, devo fartela proprio, questa domanda, perché Bushido per come lo conoscevo io una cosa così non l’avrebbe fatta mai nella vita.
- Ti va una birra? – gli chiede invece. Bill ci pensa su.
- Me la porti qui? – domanda in un mezzo pigolio incerto.
- Perché non ti allontani da quella finestra, invece? – propone lui con una smorfia infastidita, - Piove. Prenderai freddo. Poi quello s’incazza.
Bill scuote il capo, e Chakuza sospira.
- Va bene, - concede, - te la porto lì.
Il secondo round è lui riverso in terra, con la faccia schiacciata contro un sacchetto di plastica sporco e maleodorante, che piange a dirotto mordendosi la lingua a sangue mentre un uomo lo tiene fermo, di modo che non possa voltarsi a guardare chi lo sta stuprando, mentre gli altri, a turno, lo violentano ripetutamente.
Il secondo round fa male ed è umiliante quanto e più del primo. Bill piange e non riesce a muovere neanche un arto. Ha le gambe anchilosate da quanto a lungo le ha tenute piegate, e le braccia molli ripiegate sotto il petto.
Non smette mai di sentire dolore. Ogni volta che qualcuno si tira fuori e qualcun altro lo sostituisce è una tortura straziante, che gli squarcia le viscere e gli rivolta lo stomaco. Sente le spinte di quegli uomini come un terremoto che gli fa tremare le ossa, e man mano che le sue urla si affievoliscono perché la sua gola, affaticata, comincia a non riuscire più ad emetterne, anche la sua vista si annebbia. Ogni cosa perde la propria fisionomia, i contrasti scompaiono fondendosi in una nuvola confusa e biancastra che gli si agita davanti al viso impedendogli di mettere a fuoco l’ambiente circostante.
Sa che c’è una strada, a pochi passi, una strada trafficata. Sente i passi delle persone, le loro risate, i suoni che le loro automobili producono fermandosi e poi ripartendo, le sgommate che i bulletti del quartiere si concedono per impressionare le ragazze partendo a razzo sui rettilinei sgombri non appena scatta il verde, e si chiede come sia possibile che nessuno lo senta urlare, che nessuno si stia accorgendo di niente, che nessuno lo venga a salvare.
Continua a chiederselo fino all’ultimo istante, quando, drenato dal dolore e dalla fatica, finalmente sviene.
- A me, comunque, ha detto che stanotte non tornava. – butta lì Chakuza. Non è vero, ma ha l’impressione che se non dà al ragazzino un motivo qualsiasi per andarsene a dormire se lo ritroverà sveglio fra i piedi per tutta la notte. E questo non va bene, perché se Bill non si addormenta nemmeno Chakuza riuscirà a farlo. E Bill potrà anche non avere niente da fare, domani mattina, ma Chakuza no, Chakuza ha la sveglia alle sette per andare a controllare una certa situazione in un certo bar dall’altro lato del quartiere, per vedere se può riscuotere un certo incasso, o se magari non è il caso di ricoprire il proprietario di una certa dose di cazzotti e sputi in faccia, giusto per fargli capire che Bushido potrà essere tutto preso nella propria vendetta personale, e il gruppo potrà anche essersi indebolito per la necessità di stringersi attorno alla sua strana principessa ferita, ma comandano ancora loro. E che nessuno se lo dimentichi.
- Non è possibile. – scuote il capo Bill, restando con le spalle poggiate al vetro gelido della finestra.
- Perché? – domanda Chakuza, - A te ha detto diversamente?
- No. – risponde lui, sinceramente, - Ma non mi lascerebbe mai da solo.
- Infatti ti ha lasciato con me. – gli fa notare l’uomo, vagamente infastidito da quel suo considerarlo palesemente non all’altezza del proprio uomo.
Bill gli concede un mezzo sorriso imbarazzato e incerto.
- Non è la stessa cosa. – gli risponde in un sussurro.
Tom esce trafelato, guardandosi intorno con gli occhi sgranati e il fiatone. Ha la maglietta tutta scomposta addosso, i capelli che gli cadono sul viso, infastidendolo, e continua a lanciarseli dietro le spalle con gesti stizziti e nervosi. Lo chiama a bassa voce, prima, poi più forte quando non sente arrivare risposta, e poi lancia un grido quando lo vede raggomitolato contro i sacchetti dell’immondizia sparsi per terra, seminudo, ferito, sanguinante e pesto.
Gli si accovaccia di fianco, guardandolo da ogni lato ma senza azzardarsi a toccarlo. «Bill» mugola disperatamente, «Dio, no, Bill…»
Bill sente solo l’eco della sua voce, ma già quello da solo è in grado di fargli venire voglia di piangere dalla gioia. Non pensa al fatto che Tom ad uscire ci abbia impiegato ore, non pensa al fatto che è stato lui a lasciarlo da solo per primo; sarebbe così facile dargli la colpa di tutto, ma la realtà è che Tom potrà avere delle colpe pratiche, ma il vero motivo per cui si trova in queste condizioni è un altro, e Bill lo comprende alla perfezione, e perciò non riesce a fare altro che sentirsi grato perché Tom, alla fine, è arrivato, e l’ha trovato, e adesso, ancora accucciato al suo fianco, picchia forte sulla tastiera del cellulare, sbagliando numero tre volte perché ha gli occhi pieni di lacrime, per chiamare Anis.
Chakuza sta sonnecchiando sul divano da una ventina di minuti circa, quando sente le ruote della macchina di Bushido pestare l’asfalto e poi fermarsi proprio sotto casa sua. Bill è rimasto appoggiato di schiena alla finestra per tutto il tempo, rannicchiato sui cuscini che s’è sistemato come un nido sul davanzale, e quando sente il rombo del motore si volta a guardare la strada. I fari della BMW gli illuminano il volto per un secondo, prima di spegnersi. È sufficiente perché Chakuza possa vederlo sorridere. È un sorriso piccolo e discreto di quelli con cui le persone dicono a se stesse “visto? Avevi ragione”, anche se da qualche parte avevano cominciato a dubitarne.
Chakuza si alza in piedi e lo raggiunge alla finestra, osservandolo mentre distende faticosamente le lunghe gambe, sgranchendosi le ginocchia doloranti per la posizione in cui sono state costrette a rimanere piegate per ore.
- Non ci ha messo molto. – commenta.
- È un professionista. – annuisce Bill con un sorrisetto, stringendosi nelle spalle.
Il profumo di Anis è ovunque, mentre lo stringe a sé, accarezzandogli i capelli incrostati di sangue, lacrime e sperma, scostandoglieli dal viso per verificarne le condizioni.
«Sei ridotto male, piccolo» gli dice con un mezzo sorriso, lasciando che a rassicurarlo non siano le sue parole – perché su quelle hanno adottato una politica di massima sincerità che Bill è contento di non veder tradita neanche adesso che avrebbe proprio bisogno di sentirsi dire una bugia – ma il tono della sua voce, l’espressione del suo viso, il calore delle sue dita sulla pelle, «Ma ti rimetteremo in sesto, non ti preoccupare.»
Bill annuisce debolmente, mentre Tom impreca da qualche parte alla sua destra. «Mi dispiace, cazzo, non volevo—»
«Tom, non è colpa tua» dice Bushido, spiccio, stringendo Bill per le spalle e da sotto le ginocchia per sollevarlo in braccio, «Non ti preoccupare, lo risolveremo.»
«Non rassicurarmi» risponde suo fratello, soffiando infastidito, «Non rassicurarmi, cazzo.»
Bill si volta appena per guardarlo, e vede che Tom ha gli occhi rossi e gonfi, e lo guarda come se fosse rientrato a casa dopo un viaggio di una settimana e l’avesse trovato sul pavimento in frantumi. Tom lo guarda e non vede lui, vede i cocci di un vaso rotto da una pallonata mentre papà e mamma erano fuori a cena. Lo guarda come non avesse idea di cosa fare per rimetterlo a posto. Bill si morde un labbro per non scoppiare a piangere un’altra volta, ma è controproducente, perché il labbro è gonfio e spaccato e non appena i suoi denti vi affondano riprende subito a fare male e sanguinare.
«Shh, shh, piccolo» sussurra Bushido, stringendoselo al petto, «Non piangere, fa’ il bravo» lo culla come un bambino piccolo, «Sta’ buono, su» e Bill annuisce velocemente, nascondendo il viso contro la sua maglietta e chiudendo gli occhi, provando a sciogliere i muscoli in tensione abbastanza da lasciarsi andare al sonno.
- Grazie dell’ospitalità. – sorride Bill, salutandolo con un cenno del capo. Bushido sorride, soddisfatto come un padre di fronte al figlio che mostra ad un amico di famiglia quanto è beneducato.
- Aspettami in macchina, - gli dice, - c’è Fler. Io arrivo subito.
Bill annuisce, lo saluta con un bacio lievissimo sulle labbra e poi si volta, imboccando la porta e poi l’ascensore, per scendere al piano terra. Bushido resta in silenzio abbastanza a lungo da sentire l’eco del portone del palazzo che si apre e si richiude con uno scatto metallico, e poi la voce di Fler che saluta Bill, quella di Bill che ricambia e il suono un po’ ovattato della portiera del sedile posteriore che viene aperta e tenuta aperta fino a quando lui non è seduto al suo posto. Poi si volta verso Chakuza.
- Cos’hai da fare domani mattina? – domanda con tono pratico. Chakuza sa già dove andrà a parare questa discussione.
- C’è da andare da quel tizio del bar che ha aperto due mesi fa… - prova, ma Bushido scuote subito il capo.
- Mandaci Eko. Tu prendi D-Bo, Kay e Saad. C’è un po’ di pulizia da fare. Ti do gli indirizzi.
- Bu, che palle… - sbuffa Chakuza, roteando gli occhi. Bushido risponde con un sorriso appena visibile, e Chakuza sospira. – Ok, ok, - borbotta, - ci penso io.
Bushido annuisce, e lo saluta con una pacca sulla spalla, dandogli appuntamento all’indomani in serata per farsi dire se ci sono stati problemi o meno. Ma non ce ne saranno, questo entrambi lo sanno già, e la serata la passeranno di fronte a una birra a parlare del più e del meno come se non fosse cambiato niente, quando in realtà è cambiato tutto.
Ma questo Chakuza a Bushido non può dirlo, e non potrà farlo fino a che l’uomo non se ne accorgerà da solo. Ma allora, probabilmente il fatto di averlo indovinato prima di lui non avrà nessun valore, come non avrà nessun valore neanche il fatto che alla fine anche lui l’abbia capito. Sarà solo un rimpianto che entrambi avranno, un danno al quale non potranno rimediare in alcun modo.
A quel momento, comunque, penseranno quando arriverà. Per ora, a Chakuza è passato il sonno, perciò recupera un’altra bottiglia di birra dal frigorifero e si lascia andare sul divano di fronte a un dvd a caso, cercando già un modo per far sparire sei cadaveri domani mattina, perché è l’unica cosa sensata sulla quale è possibile concentrarsi adesso.
Bill si sveglia all’ospedale dopo non sa nemmeno lui quante ore di sonno. Bushido è vigile al suo fianco, gli tiene la mano e non sembra nemmeno stanco, anche se Bill può leggergli negli occhi che stanotte non ha dormito neanche un minuto.
Gli concede un sorriso ferito e provato, e Bushido ricambia con uno dei suoi, uno di quelli che riesce a dargli forza anche senza bisogno che Bushido aggiunga niente.
«Come stai?» gli chiede. Bill inspira, espira, e si rende conto di esserne ancora capace.
«Meglio» risponde quindi. Bushido annuisce.
«Adesso raccontami tutto, dall’inizio e nei dettagli.»
Bill prende fiato, e comincia a raccontare.
Le luci tremule dei lampioni.
Le risate sconosciute che riecheggiano nel vicolo.
L’eco della musica che rimbomba dentro il locale, sembra lontana chilometri. E secoli. Vite intere.
Il dolore acuto che gli squarcia il ventre fin nelle viscere.
Il bruciore delle lacrime fra le ciglia.
Il sapore del sangue sulla lingua.
La scia di silenzio irreale.
L’odore dell’asfalto.
Il profumo di Anis.
ZERRISSEN
Bill non può stare da solo. Il che equivale a dire che Bushido non vuole che stia da solo, non adesso, specie non stanotte, che fuori piove e da qualche parte qualcuno sta pagando il peccato mortale di avergli messo le mani addosso per cercare di indebolire lui.
Chakuza non sa bene come dovrebbe avere a che fare con questo ragazzino. La sua stessa presenza lo confonde, lo ha sempre confuso. Lui è uno con una mente semplice, e ne va fiero. Non che sia stupido, ma le cose complesse lo spaventano, perché hanno sempre risvolti imprevedibili. E così, quando il suo capo, ormai quasi quattro anni fa, ha presentato a lui e agli altri della banda questo ragazzino col visino da donnetta, il corpicino smunto e l’aria di uno che si sente molto fortunato perché non ha capito un accidenti del casino in cui s’è andato a cacciare, fin da subito Chakuza ha capito che la sua presenza avrebbe portato guai.
Non perché portarsi a letto un ragazzino rendesse Bushido automaticamente attaccabile sul piano della credibilità – a chiunque avesse osato mettere in dubbio la sua virilità negli ultimi quattro anni, Bushido ha sempre risposto sfoggiando gli attributi nel modo più violento e crudele possibile, giusto per mantenere le cose il più chiare possibile – ma perché lo rendeva debole.
Bushido è sempre stato un capo assoluto. Lo è sempre stato perché ha sempre avuto quel modo di parlare, quel modo di muoversi, quel modo di spiegarti le cose, quel modo anche di mostrartele, quando nella zucca a parole non ti ci volevano proprio entrare, tale da renderlo il tipo di persona alla quale affideresti la vita senza indugio. In molti non capiscono cosa faccia di un capo un vero capo. Non notano le differenze, si perdono dietro dettagli stupidi quando in realtà l’unica cosa che conta è quella: ci riesce, un uomo, a convincerti che i motivi che ti dà quando ti parla sono sufficienti per svegliarti ogni giorno e andare a prendere e dare ogni sorta di legnate fino a ridurti ad un mucchio di lividi e bernoccoli? Perché se quell’uomo ci riesce, se ci riesce e allo stesso tempo riesce a convincerti del fatto che non c’è niente che a lui importi più del gruppo che avete formato, che è disposto a sacrificare tutto meno la fratellanza che avete stretto, se quell’uomo riesce a darti queste certezze, allora quell’uomo è un capo. Un capo vero.
Bushido ha perso questa spinta nel momento in cui si è innamorato di Bill. Improvvisamente, c’era qualcosa che contava più del gruppo, più della banda, più del loro legame. Più di tutto il resto. E quel qualcuno era Bill. Improvvisamente, anche la banda diventava sacrificabile, tutto era potenzialmente sacrificabile, per il bene di Bill.
Bill è diventato in un istante l’unica forza ed anche l’unica debolezza di Bushido. E se ciò che fa la forza del capo fa la forza anche della banda, allo stesso modo è vero per ciò che rende entrambi deboli.
Bill è sempre stato un pericolo, e Chakuza l’ha sempre saputo, ma non ha mai potuto – né, in fondo, voluto – farci niente, perché era stata la parola di Bushido a imporlo, e la parola di Bushido, be’, quella è sempre stata legge. Solo per loro, però. Non è servito molto tempo perché la voce cominciasse a girare per la città, perché topi che prima trascorrevano tutto il loro tempo nascosti nelle loro fogne cominciassero a sollevare la testa e tirare fuori il naso dalla melma.
Quando le strade capiscono che sei disposto a sacrificare qualcosa, non esitano a strappartelo di dosso. E, in un certo senso, è esattamente quello che è successo.
La serata è di quelle fiacche. Di quelle tranquille. Di quelle in cui Bushido non ha paura a lasciare andare Bill in giro da solo, anche perché non è che sia proprio da solo. C’è suo fratello, con lui. Tom è un bravo ragazzo, col casino in cui Bill s’è andato a infilare non solo non c’entra niente, ma neanche vuole averci minimamente a che fare. È per questo che, quando Bill e Tom escono insieme, non ci sono guardie del corpo intorno. A Bill già non piacciono normalmente, ma s’è forzato a mandarle giù perché Bushido non avrebbe mai ceduto di un punto, a riguardo, ma quando esce con suo fratello non le ammette neanche per semplice sorveglianza discreta da lontano.
Tom è un bravo ragazzo, sì, ma è un bravo ragazzo che si distrae parecchio. Soprattutto, è un bravo ragazzo che però non è tanto bravo a tenere l’uccello nei pantaloni. L’hanno seguito per settimane. Hanno seguito entrambi per settimane, e lo sanno bene.
Tom è l’anello debole. È lui che va sfruttato.
- To’. – dice Chakuza, piazzandogli davanti una fetta di pizza trovata in frigorifero e riscaldata due minuti nel forno a microonde, - Dovrebbe essere ancora buona.
Bill guarda la pizza e poi guarda lui, e cerca di sedersi più comodamente nell’angolo di divano in cui si è rifugiato appena arrivato a casa sua. Si è anche sfilato le scarpe per tirare su i piedi e rannicchiarsi meglio, ma Chakuza non è proprio sicuro al cento percento che si tratti di una posa, o di un modo per starsene più sulle sue. Probabilmente voleva soltanto tirare su i piedi dal pavimento, visto quanto è sporco. Dovrebbe decidersi a dare una lavata in giro, la casa fa vomitare, ma a lui non è che freghi più di tanto, visto che sostanzialmente neanche ci vive, è solo un posto in cui viene a cadere in coma dopo una giornata intera passata a ciondolare per Tempelhof facendo una cosa piuttosto che un’altra. Gli frega poco delle condizioni del pavimento, o della cucina, o di qualsiasi altra cosa, in realtà, perfino delle lenzuola sul letto nel quale dorme. Non è che può stare a pensare all’eventualità in cui Bushido decida di lasciargli il ragazzino per la notte. Il ragazzino si farà piacere anche il pavimento sporco, se vuole restare, altrimenti quella è la porta.
- Ehm… non ce l’hai una cosa più… - gesticola vagamente a mezz’aria, come se i ghirigori immaginari che sta disegnando con le unghie pittate di nero dovessero avere un qualche significato particolare per lui che uno smalto da vicino non l’ha mai visto neanche in confezione. Chakuza lo guarda sbattendo le palpebre un paio di volte.
- Più? – domanda, lasciandosi ricadere di peso sul divano con una fetta di pizza in mano.
- …non lo so. – deglutisce faticosamente Bill, osservandolo mordere la fetta e sbrodolarsi addosso quelli che hanno l’aria di essere circa due litri d’olio ed altrettanti di salsa di pomodoro. – Meno unta, forse.
- Ho solo la pizza. – scrolla le spalle Chakuza, asciugandosi il muso col dorso della mano e anche con una buona porzione di avambraccio, - Assaggiala, è buona.
Bill fa una smorfia incerta e distoglie lo sguardo.
- Mi è passata la fame. – borbotta, prendendo a giochicchiare distrattamente con l’orlo sfilacciato del cuscino che si è tirato in grembo per abbracciarlo nel momento stesso in cui s’è seduto.
La ragazza che hanno pagato trascina Tom in bagno dopo meno di mezz’ora passata a strusciarsi in mezzo alla pista da ballo. Pagano anche un cameriere perché corregga il drink che Bill ha ordinato con uno zuccherino tutto particolare. Sulla lingua non sentirà niente di strano, almeno fino a quando non lo trascineranno fuori. Allora sì che sentirà qualcosa di molto, molto strano in bocca, ma sarà sballato abbastanza da non riuscire a protestare né a sottrarsi a loro.
Bushido recepirà il messaggio. Lo recepirà forte e chiaro.
- Non so, vuoi metterti a dormire? – domanda Chakuza, aggirandosi attorno a lui come un’anima in pena. Non ha propriamente accettato di prenderselo in casa, perché Bushido non gliel’ha chiesto per favore. Non che Chakuza sia arrabbiato con lui per questo, Bushido può prendere e pretendere esattamente ciò che vuole perché è così che gira il meccanismo, ma avere il ragazzino in giro per casa lo mette in agitazione. La sua persona lo confonde, non per altro, è che non ha mai avuto a che fare con una persona che abbia vissuto la sua stessa esperienza, che non è semplicemente essere stato violentato, ma essere stato violentato a causa della persona che ami, ed è profondamente differente perché nel primo caso la scelta è casuale, mentre nel secondo è precisa e determinata; e questa cosa lo agita, perché cosa gli dici a uno così? A uno che deve sentirsi male ogni volta che guarda Bushido negli occhi, per tutta una serie di ragioni che Chakuza non è neanche sicuro di riuscire ad elencare anche se si mette a pensarci? Ad uno che si sveglia ogni giorno accanto al suo uomo e sa che qualsiasi cosa orribile gli sia capitata è stata causata dal semplice fatto di stare con lui, ad uno che sa perfettamente quanto grande possa essere il senso di colpa che si agita dentro lo stomaco del proprio compagno quando pensa a tutta la sofferenza che gli ha involontariamente causato, ad uno che, ogni volta che si guarda allo specchio, non può fare altro che ripetersi che ha passato la boa, indietro non ci tornerà mai, non riavrà mai più quello che ha perso e resterà strappato dentro per sempre, ad uno che sta così, uno come lui, uno come Chakuza, che picchia i ragazzini che non pagano per la droga a sangue freddo, uno che per ordine del suo capo punta la pistola contro la pancia di una donna incinta per convincere il marito a pagare i suoi debiti di gioco, uno che appicca tranquillamente fuoco a un locale per lanciare un avvertimento a qualche commerciante troppo cocciuto, uno così cosa può dire a uno come Bill? Niente può dirgli, ecco cosa. Niente in assoluto.
E vederlo lì col naso appiccicato alla finestra, mentre di fuori viene giù il cielo in scariche di pioggia così uniformi e improvvise da far sembrare che Dio stia prendendo a secchiate d’acqua il mondo per annegarlo da quanto fa schifo, non lo aiuta a sentirsi meno a disagio.
- Dove dovrei mettermi a dormire? – domanda Bill, continuando a guardare fuori.
Chakuza scrolla le spalle.
- Sul divano. – butta lì. Va bene ospitarlo, ma cedergli il letto, anche no.
- Non ho sonno. – ribatte il ragazzino, e continua a fissare la notte.
Gli si avvicinano immediatamente, quando lo vedono ciondolare con la testa. Non possono perdere tempo, la ragazza ha promesso che tratterrà Tom il più possibile, ma non possono fidarsi né di lei, né delle tempistiche dal ragazzo, e naturalmente non possono fidarsi di Bushido: sanno che Bill non vuole guardie intorno quando è in giro col fratello, ma sanno anche che Bushido non è uno che mantenga le promesse che fa. D’altronde, non è mantenendo promesse che diventi il capo della malavita organizzata del quartiere. Non è mantenendo la parola data che prendi il controllo su tutto ciò che abbia un minimo di valore nel giro di chilometri. No, è proprio facendo esattamente il contrario di ciò che giuri e spergiuri, che si amministra il potere. Loro lo sanno bene, perché hanno imparato da lui.
Chi siano non importa. Non importerà a nessuno. Bushido è ancora troppo grande per potere essere battuto da un gruppo di ombre, per quanto organizzate. Non è importante chi sono, non è importante neanche cosa vogliono, quale sia il loro obbiettivo finale. Il punto è che hanno un messaggio da mandare, ed è così che intendono diffonderlo.
Uno di loro afferra Bill per un braccio. Lo trascina in piedi, e Bill gli solleva addosso uno sguardo appesantito dal sonno, dall’alcool e dalla droga che gli hanno fatto mettere nel bicchiere. Aggrotta le sopracciglia, piegando le labbra in una smorfia pesante di disappunto, ma non riesce a dire una parola, perché ha i sensi troppo intorpiditi.
Lo trascinano fuori, nel freddo piovoso della notte. Il vicolo è buio e silenzioso, non c’è neanche un gatto randagio a rovistare nei cassonetti dell’immondizia. Uno preme le mani contro entrambe le spalle di Bill, nel tentativo di costringerlo a mettersi in ginocchio con le buone. Bill mugola come un bambino svegliato nel mezzo della notte da un genitore rompicoglioni, e scuote il capo con forza. Loro non hanno tempo per stare dietro ai suoi capricci, e lo prendono a calci sulle ginocchia finché non crolla sull’asfalto bagnato.
Uno lo afferra per il mento, tirandogli su il viso e osservandolo nella luce fioca che illumina la strada principale e arriva a rischiarare il vicolo solo per metà. È bello, il ragazzino, bello abbastanza da confondere anche il più eterosessuale degli uomini, ma questa non è una questione di sesso, non è nemmeno una questione di piacere, o di una sciocca vendetta che non avrebbe alcun senso di esistere.
È una questione di potere, è una questione di debolezza. Mettere le mani addosso al ragazzino equivale a far sapere a Bushido che sanno bene come e dove colpirlo, se vogliono, e che l’intensità del colpo può variare a seconda di quanto siano incazzati. Equivale a fargli sapere che anche un gruppo di uomini senza volto e senza nome può togliergli qualcosa di caro, e che se non lo fanno stanotte è solo perché per mandare adeguatamente il messaggio serve che Bill torni a casa vivo. Malconcio e rovinato per sempre, ma vivo.
L’ombra più alta del gruppo si avvicina di un passo, maneggia la fibbia della cintura fino a scioglierla e poi apre la zip dei pantaloni. Il suono risveglia qualcosa nel retro della testa di Bill, un segnale d’allarme che alcool e droga hanno tacitato a sufficienza fino ad adesso, ma che ora comincia a pulsare dolorosamente. «No…» biascica il ragazzino, e cerca di spostarsi quando il cazzo duro e teso dell’uomo gli sfiora le labbra. Come unico compenso per il movimento, ottiene uno schiaffo in pieno volto che gli fa girare la testa dal lato opposto così violentemente da fargli male al collo. Spalanca gli occhi nella notte buia e stantia del vicolo riparato da sguardi indiscreti e prova a urlare, ma nel momento esatto in cui spalanca la bocca l’uccello dell’uomo gli si intrufola fra le labbra, premendoglisi contro fino in gola.
La reazione del suo corpo è immediata: Bill si sente soffocare e sente la spinta acida e dolorosa di un conato di vomito che non riesce a risalirgli fino in gola, e gli contrae lo stomaco in uno spasmo insopportabile, reso ancora più doloroso dal bruciore che gli avvampa nell’esofago quando è costretto a mandare giù il rigurgito con un blocco di saliva che scivola giù più duro del cemento. Prova a spostarsi indietro, ma le mani forti di qualcuno gli tengono la testa ben ferma, il collo eretto, la bocca spalancata. Le dita che gli premono con forza sulle guance, per impedirgli di far scattare la mandibola, sembrano volergli scavare sotto la pelle, fra i muscoli e la carne e le ossa. L’uomo che gli sta scopando la bocca si muove veloce avanti e indietro, scivolandogli fra il palato e la lingua e premendosi ogni volta così in profondità che Bill strabuzza gli occhi e si soffoca da solo con l’aria che non riesce a passare, coi rigurgiti che continuano a risalire ad ogni spinta, con le urla che vorrebbe essere abbastanza forte da riuscire a sputare fuori assieme a tutto il resto, e che invece restano lì, confinate in fondo alla sua gola, ricacciate sempre più in basso dalla punta del cazzo dell’uomo, ogni volta che, con una nuova spinta, si introduce più violentemente dentro di lui.
L’uomo viene con un gemito roco e disgustoso, e resta piantato dentro di lui fino alla base, disinteressandosi completamente di quanto lui, a corto d’aria e soffocato dallo sperma che gli scivola giù per la gola, possa dimenarsi nel tentativo di liberarsi. Poi si ritrae, e anche l’uomo che lo teneva fermo da dietro lo lascia libero di piegarsi in avanti, stringersi una mano attorno alla gola dolorante, tossire e, finalmente, vomitare, rovesciando tutto l’alcool che aveva in corpo fra i cassonetti dell’immondizia.
«Meglio» dice uno degli uomini che l’anno aggredito, ridendo divertito, «Così sei più lucido per il secondo round.»
- In questo momento li sta facendo fuori. – dice Bill dopo qualche minuto, voltandosi per rannicchiarsi sul davanzale, senza accennare ad allontanarsi dalla finestra. Solleva le gambe, portando le ginocchia al petto e stringendole in un abbraccio consolatorio, mentre vi appoggia contro il mento. Le sue labbra sono piegate in un sorriso minuscolo che Chakuza non riesce ad interpretare. – Li sta facendo fuori tutti.
- Come fa a sapere i nomi? – chiede lui, stupidamente, e Bill risponde con una mezza risatina.
- Li ha scoperti. – chiarifica, scrollando le spalle, - Che domanda è? Lo conosci da prima di me.
È vero, vorrebbe dire Chakuza, è vero, ma il Bushido che conoscevo io prima che arrivassi tu non avrebbe mai fatto una cosa simile. Non avrebbe mai indagato sulle identità degli stupratori della sua donna per poi andarli ad ammazzare tutti con le proprie mani uno per uno. Non l’avrebbe mai fatto semplicemente perché non si sarebbe mai tenuto stretto una donna abbastanza a lungo da concedere a qualcuno il lusso di pensare che a lui importasse abbastanza di lei per renderla un bersaglio facile.
No, ragazzino, e questo vorrebbe dirglielo proprio, Chakuza, ma non lo fa perché non ha idea di come parlargliene senza che sembri uno scatto d’astio ingiustificato, no, devo fartela proprio, questa domanda, perché Bushido per come lo conoscevo io una cosa così non l’avrebbe fatta mai nella vita.
- Ti va una birra? – gli chiede invece. Bill ci pensa su.
- Me la porti qui? – domanda in un mezzo pigolio incerto.
- Perché non ti allontani da quella finestra, invece? – propone lui con una smorfia infastidita, - Piove. Prenderai freddo. Poi quello s’incazza.
Bill scuote il capo, e Chakuza sospira.
- Va bene, - concede, - te la porto lì.
Il secondo round è lui riverso in terra, con la faccia schiacciata contro un sacchetto di plastica sporco e maleodorante, che piange a dirotto mordendosi la lingua a sangue mentre un uomo lo tiene fermo, di modo che non possa voltarsi a guardare chi lo sta stuprando, mentre gli altri, a turno, lo violentano ripetutamente.
Il secondo round fa male ed è umiliante quanto e più del primo. Bill piange e non riesce a muovere neanche un arto. Ha le gambe anchilosate da quanto a lungo le ha tenute piegate, e le braccia molli ripiegate sotto il petto.
Non smette mai di sentire dolore. Ogni volta che qualcuno si tira fuori e qualcun altro lo sostituisce è una tortura straziante, che gli squarcia le viscere e gli rivolta lo stomaco. Sente le spinte di quegli uomini come un terremoto che gli fa tremare le ossa, e man mano che le sue urla si affievoliscono perché la sua gola, affaticata, comincia a non riuscire più ad emetterne, anche la sua vista si annebbia. Ogni cosa perde la propria fisionomia, i contrasti scompaiono fondendosi in una nuvola confusa e biancastra che gli si agita davanti al viso impedendogli di mettere a fuoco l’ambiente circostante.
Sa che c’è una strada, a pochi passi, una strada trafficata. Sente i passi delle persone, le loro risate, i suoni che le loro automobili producono fermandosi e poi ripartendo, le sgommate che i bulletti del quartiere si concedono per impressionare le ragazze partendo a razzo sui rettilinei sgombri non appena scatta il verde, e si chiede come sia possibile che nessuno lo senta urlare, che nessuno si stia accorgendo di niente, che nessuno lo venga a salvare.
Continua a chiederselo fino all’ultimo istante, quando, drenato dal dolore e dalla fatica, finalmente sviene.
- A me, comunque, ha detto che stanotte non tornava. – butta lì Chakuza. Non è vero, ma ha l’impressione che se non dà al ragazzino un motivo qualsiasi per andarsene a dormire se lo ritroverà sveglio fra i piedi per tutta la notte. E questo non va bene, perché se Bill non si addormenta nemmeno Chakuza riuscirà a farlo. E Bill potrà anche non avere niente da fare, domani mattina, ma Chakuza no, Chakuza ha la sveglia alle sette per andare a controllare una certa situazione in un certo bar dall’altro lato del quartiere, per vedere se può riscuotere un certo incasso, o se magari non è il caso di ricoprire il proprietario di una certa dose di cazzotti e sputi in faccia, giusto per fargli capire che Bushido potrà essere tutto preso nella propria vendetta personale, e il gruppo potrà anche essersi indebolito per la necessità di stringersi attorno alla sua strana principessa ferita, ma comandano ancora loro. E che nessuno se lo dimentichi.
- Non è possibile. – scuote il capo Bill, restando con le spalle poggiate al vetro gelido della finestra.
- Perché? – domanda Chakuza, - A te ha detto diversamente?
- No. – risponde lui, sinceramente, - Ma non mi lascerebbe mai da solo.
- Infatti ti ha lasciato con me. – gli fa notare l’uomo, vagamente infastidito da quel suo considerarlo palesemente non all’altezza del proprio uomo.
Bill gli concede un mezzo sorriso imbarazzato e incerto.
- Non è la stessa cosa. – gli risponde in un sussurro.
Tom esce trafelato, guardandosi intorno con gli occhi sgranati e il fiatone. Ha la maglietta tutta scomposta addosso, i capelli che gli cadono sul viso, infastidendolo, e continua a lanciarseli dietro le spalle con gesti stizziti e nervosi. Lo chiama a bassa voce, prima, poi più forte quando non sente arrivare risposta, e poi lancia un grido quando lo vede raggomitolato contro i sacchetti dell’immondizia sparsi per terra, seminudo, ferito, sanguinante e pesto.
Gli si accovaccia di fianco, guardandolo da ogni lato ma senza azzardarsi a toccarlo. «Bill» mugola disperatamente, «Dio, no, Bill…»
Bill sente solo l’eco della sua voce, ma già quello da solo è in grado di fargli venire voglia di piangere dalla gioia. Non pensa al fatto che Tom ad uscire ci abbia impiegato ore, non pensa al fatto che è stato lui a lasciarlo da solo per primo; sarebbe così facile dargli la colpa di tutto, ma la realtà è che Tom potrà avere delle colpe pratiche, ma il vero motivo per cui si trova in queste condizioni è un altro, e Bill lo comprende alla perfezione, e perciò non riesce a fare altro che sentirsi grato perché Tom, alla fine, è arrivato, e l’ha trovato, e adesso, ancora accucciato al suo fianco, picchia forte sulla tastiera del cellulare, sbagliando numero tre volte perché ha gli occhi pieni di lacrime, per chiamare Anis.
Chakuza sta sonnecchiando sul divano da una ventina di minuti circa, quando sente le ruote della macchina di Bushido pestare l’asfalto e poi fermarsi proprio sotto casa sua. Bill è rimasto appoggiato di schiena alla finestra per tutto il tempo, rannicchiato sui cuscini che s’è sistemato come un nido sul davanzale, e quando sente il rombo del motore si volta a guardare la strada. I fari della BMW gli illuminano il volto per un secondo, prima di spegnersi. È sufficiente perché Chakuza possa vederlo sorridere. È un sorriso piccolo e discreto di quelli con cui le persone dicono a se stesse “visto? Avevi ragione”, anche se da qualche parte avevano cominciato a dubitarne.
Chakuza si alza in piedi e lo raggiunge alla finestra, osservandolo mentre distende faticosamente le lunghe gambe, sgranchendosi le ginocchia doloranti per la posizione in cui sono state costrette a rimanere piegate per ore.
- Non ci ha messo molto. – commenta.
- È un professionista. – annuisce Bill con un sorrisetto, stringendosi nelle spalle.
Il profumo di Anis è ovunque, mentre lo stringe a sé, accarezzandogli i capelli incrostati di sangue, lacrime e sperma, scostandoglieli dal viso per verificarne le condizioni.
«Sei ridotto male, piccolo» gli dice con un mezzo sorriso, lasciando che a rassicurarlo non siano le sue parole – perché su quelle hanno adottato una politica di massima sincerità che Bill è contento di non veder tradita neanche adesso che avrebbe proprio bisogno di sentirsi dire una bugia – ma il tono della sua voce, l’espressione del suo viso, il calore delle sue dita sulla pelle, «Ma ti rimetteremo in sesto, non ti preoccupare.»
Bill annuisce debolmente, mentre Tom impreca da qualche parte alla sua destra. «Mi dispiace, cazzo, non volevo—»
«Tom, non è colpa tua» dice Bushido, spiccio, stringendo Bill per le spalle e da sotto le ginocchia per sollevarlo in braccio, «Non ti preoccupare, lo risolveremo.»
«Non rassicurarmi» risponde suo fratello, soffiando infastidito, «Non rassicurarmi, cazzo.»
Bill si volta appena per guardarlo, e vede che Tom ha gli occhi rossi e gonfi, e lo guarda come se fosse rientrato a casa dopo un viaggio di una settimana e l’avesse trovato sul pavimento in frantumi. Tom lo guarda e non vede lui, vede i cocci di un vaso rotto da una pallonata mentre papà e mamma erano fuori a cena. Lo guarda come non avesse idea di cosa fare per rimetterlo a posto. Bill si morde un labbro per non scoppiare a piangere un’altra volta, ma è controproducente, perché il labbro è gonfio e spaccato e non appena i suoi denti vi affondano riprende subito a fare male e sanguinare.
«Shh, shh, piccolo» sussurra Bushido, stringendoselo al petto, «Non piangere, fa’ il bravo» lo culla come un bambino piccolo, «Sta’ buono, su» e Bill annuisce velocemente, nascondendo il viso contro la sua maglietta e chiudendo gli occhi, provando a sciogliere i muscoli in tensione abbastanza da lasciarsi andare al sonno.
- Grazie dell’ospitalità. – sorride Bill, salutandolo con un cenno del capo. Bushido sorride, soddisfatto come un padre di fronte al figlio che mostra ad un amico di famiglia quanto è beneducato.
- Aspettami in macchina, - gli dice, - c’è Fler. Io arrivo subito.
Bill annuisce, lo saluta con un bacio lievissimo sulle labbra e poi si volta, imboccando la porta e poi l’ascensore, per scendere al piano terra. Bushido resta in silenzio abbastanza a lungo da sentire l’eco del portone del palazzo che si apre e si richiude con uno scatto metallico, e poi la voce di Fler che saluta Bill, quella di Bill che ricambia e il suono un po’ ovattato della portiera del sedile posteriore che viene aperta e tenuta aperta fino a quando lui non è seduto al suo posto. Poi si volta verso Chakuza.
- Cos’hai da fare domani mattina? – domanda con tono pratico. Chakuza sa già dove andrà a parare questa discussione.
- C’è da andare da quel tizio del bar che ha aperto due mesi fa… - prova, ma Bushido scuote subito il capo.
- Mandaci Eko. Tu prendi D-Bo, Kay e Saad. C’è un po’ di pulizia da fare. Ti do gli indirizzi.
- Bu, che palle… - sbuffa Chakuza, roteando gli occhi. Bushido risponde con un sorriso appena visibile, e Chakuza sospira. – Ok, ok, - borbotta, - ci penso io.
Bushido annuisce, e lo saluta con una pacca sulla spalla, dandogli appuntamento all’indomani in serata per farsi dire se ci sono stati problemi o meno. Ma non ce ne saranno, questo entrambi lo sanno già, e la serata la passeranno di fronte a una birra a parlare del più e del meno come se non fosse cambiato niente, quando in realtà è cambiato tutto.
Ma questo Chakuza a Bushido non può dirlo, e non potrà farlo fino a che l’uomo non se ne accorgerà da solo. Ma allora, probabilmente il fatto di averlo indovinato prima di lui non avrà nessun valore, come non avrà nessun valore neanche il fatto che alla fine anche lui l’abbia capito. Sarà solo un rimpianto che entrambi avranno, un danno al quale non potranno rimediare in alcun modo.
A quel momento, comunque, penseranno quando arriverà. Per ora, a Chakuza è passato il sonno, perciò recupera un’altra bottiglia di birra dal frigorifero e si lascia andare sul divano di fronte a un dvd a caso, cercando già un modo per far sparire sei cadaveri domani mattina, perché è l’unica cosa sensata sulla quale è possibile concentrarsi adesso.
Bill si sveglia all’ospedale dopo non sa nemmeno lui quante ore di sonno. Bushido è vigile al suo fianco, gli tiene la mano e non sembra nemmeno stanco, anche se Bill può leggergli negli occhi che stanotte non ha dormito neanche un minuto.
Gli concede un sorriso ferito e provato, e Bushido ricambia con uno dei suoi, uno di quelli che riesce a dargli forza anche senza bisogno che Bushido aggiunga niente.
«Come stai?» gli chiede. Bill inspira, espira, e si rende conto di esserne ancora capace.
«Meglio» risponde quindi. Bushido annuisce.
«Adesso raccontami tutto, dall’inizio e nei dettagli.»
Bill prende fiato, e comincia a raccontare.