Genere: Comico, Romantio.
Pairing: Bill/Bushido.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Slash.
- Quando viveva con Tom, difficoltà di convivenza era un'espressione senza senso, per Bill. Adesso che vive con Anis, però, qualcosa è decisamente cambiato...
Note: XD Bushido è evidentemente in grado di farmi fare cose inumane (per i miei standard) se riesco a tirare fuori in tre ore complessive una shottina di sette pagine solo per festeggiare degnamente il suo compleanno <3 You Give Love A Bad Name, omonima di una canzone dei Bon Jovi che probabilmente avrò pure ascoltato ma non ricorderei neanche se ne andasse nella mia vita – è da ieri che provo a canticchiarmela in mente ma vengono fuori solo pezzi sconnessi >_< - nasce da un’idea estemporanea di Tab: “me lo vedo il Bu che tormenta Bill non rispondendogli se lo chiama con un nome diverso rispetto a quello che sta pensando”.
Da qui, ovviamente, io non potevo che impazzire e decidere di… scrivere un breve trattato sulla difficoltà della vita di coppia, evidentemente X’D *dramma umano* Ovviamente, non poteva che essere felice, perché… be’, tutti voi penso sappiate quanto io sia attaccata alle Billshido felici che (quasi) nessuno mi scrive u.u E perciò mi tocca provvedere da sola. *piange*
(Avviso al popolo: il Bu sta lentamente invecchiando – dico lentamente perché sennò poi Sara si arrabbia XD – ha bisogno di Billshido felici. Scrivetegliene! XD)
Ovviamente io amo questa storia u.u Perché m’è venuta dal cuore e perché è stata una storia molto emotiva (nel senso che proprio andavo con l’emozione… non la mia, però XD) e fresca, comunque. E spero sia piaciuta anche a voi *_*v
PS: Karima e Bijoux, ovviamente, non esistono, sono mie e di Tab. <3
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YOU GIVE LOVE A BAD NAME

La parola “convivenza”, per Bill Kaulitz, aveva sempre avuto un significato molto positivo. Per non dire idillico, appagante o vantaggioso. Questo perché la parola “convivenza” era sempre stata sinonimo di Tom. E Tom era sempre stato sinonimo di “fratello che si diverte tanto a fare il figo pubblicamente quanto ad essere fondamentalmente un cucciolo inzerbinito nel privato”.
Bill era un despota. Lo era perché era un tipo preciso e perché sapeva esattamente cosa voleva dalla propria vita, perciò doveva sapere esattamente anche cosa voleva dalle proprie giornate. Minuto per minuto, dettaglio per dettaglio. E perciò era un despota. Tom, per contro, era tanto rilassato quanto attento alle sue esigenze – un po’ come se le esigenze di Bill finissero per essere in qualche modo anche le sue – quindi le loro personalità si completavano, intrecciandosi ed incastrandosi con una precisione tale da dissipare qualsiasi dubbio sulla loro gemellarità pure in chi li guardasse anche solo per sbaglio.
Quando Anis, dopo un lungo, lento e logorante corteggiamento durato – quanto?, tre anni? – aveva finalmente ottenuto il permesso di: in primo luogo, avvicinarsi alla sua persona; in secondo luogo, invitarlo a prendere qualcosa al primo pub disponibile; in terzo luogo, infilarsi nelle sue mutande; ed infine devastare l’intera sua vita travolgendolo come un dannato ciclone e lasciandolo sul ciglio dei suoi vent’anni innamorato perso e senza via di scampo – ed il come sarebbe rimasto per sempre un mistero, viste le premesse del loro rapporto – Tom aveva provato ad avvertirlo.
“Guarda che lui non è me”, gli aveva detto con la schiettezza tipica dei loro discorsi, “mica ti farebbe da servetto come faccio io solo perché sono palesemente troppo stupido per dirti no”.
Bill, dall’alto della propria innocente presunzione – cavolo: un uomo di quasi trent’anni lo amava; e non per scherzo né per sesso, Anis era stato dannatamente chiaro sul punto quando aveva preteso che la smettesse di flirtare con l’universo mondo perché la cosa lo faceva sentire stupido. Proprio così aveva detto. – l’aveva liquidato con un rapido cenno della mano ed un sospiro tronfio e pure un pochino strafottente.
“Tu non lo conosci”, aveva risposto con aria sognante, “è stupendo. Farebbe qualsiasi cosa per me”.
La prima cosa di cui Bill aveva dovuto prendere atto, per contro, non appena aveva accettato la proposta di convivenza di Anis ed aveva messo piede nell’enorme casa gialla che l’uomo possedeva a Berlino, era stata che sì, forse Anis avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui, ma nel concetto di “qualsiasi cosa” non rientrava, ad esempio, liberarsi del proprio orrido siamese dal pelo scuro con alle spalle circa mille anni di vita e sul muso uno sguardo cattivissimo. E che palesemente lo odiava.
La Bestia – Bijoux sul libretto dei vaccini, ma Bill non trovava che fosse un nome adatto ad un mostro artigliato che gli rovinava sistematicamente giubbini, magliette, pantaloni e qualsiasi altra cosa e poi gli rubava i gioielli per portarli nella cesta e farne Dio solo sapeva cosa – aveva preso a detestarlo dal primo giorno che s’era sistemato nella villa. A partire dalla prima mattina, quando, dopo una notte estenuante di sesso in cui aveva preteso di battezzare ogni stanza con la propria presenza – distruggendo Anis, ma era un problema secondario – s’era risvegliato col suo orrendo sedere proprio sulla faccia. Ed aveva conseguentemente lanciato un urlo tale da far saltare in aria il gatto, Anis, il letto ed anche la cameriera che dormiva nella stanza accanto.
La Bestia non era comunque l’unico nemico col quale dovesse combattere in quella casa che, a dispetto dei desideri del proprietario, decisamente non lo voleva fra i piedi. Per dire, Karima – la cameriera, appunto – lo odiava anche lei. Palesemente. Aveva cominciato a fissarlo con l’occhio torvo fin da quell’urlo spacca timpani ma giustificatissimo, e non aveva mai smesso. Insomma, non era colpa di Bill se continuava a propinargli cibo evidentemente immangiabile e non era fisicamente in grado di stirargli un paio di jeans senza che facessero la piega sul davanti come i pantaloni degli avvocati! Bill avrebbe avuto ogni diritto di detestarla, lei no, perché lui non le aveva mai fatto niente.
Alla fine, riflettendoci, Bill aveva capito cosa stava dietro all’odio smodato che le due femmine di casa – Bestia e cameriera – nutrivano nei suoi confronti: arrivando, aveva risucchiato completamente l’attenzione di Anis, e per quelle due megere egoiste non ne era più rimasta. Il gatto veniva accarezzato e portato in giro sulle spalle solo per sette o otto ore al giorno e la cameriera veniva ascoltata solo quando parlava, non anche quando magari avrebbe voluto parlare ma non lo faceva. Bill immaginava potessero essere questi i motivi di tanto odio, perché lui, per proprio conto, si sarebbe offeso enormemente se Anis avesse smesso di portarlo in giro tenendoselo appiccicato addosso, o se avesse smesso di indovinare dai suoi occhi quando avrebbe voluto dire qualcosa anche quando non lo faceva.
Nel mezzo di quel complotto, comunque, Anis non aveva reso le cose semplici: quell’uomo aveva una quantità di abitudini semplicemente disgustose che avrebbero impossibilitato chiunque a tollerarlo. Quella dello stecchino perennemente ficcato in bocca, per esempio, non era una posa da gangster: pure in casa, Anis girava sempre mordicchiando quell’orrendo bastoncino di legno. Il che, per dire, rendeva impossibile a Bill baciarlo quando desiderava in preda all’ispirazione. Era una cosa che uccideva l’erotismo, ecco!
A domanda, Anis rispondeva che “lo aiutava a non fumare, da quando aveva deciso di smettere”. Bill aveva scorso rapidamente la cartella di immagini che aveva salvato nel portatile ed aveva stabilito che no, la scusa non reggeva: Anis portava il coso in bocca fin dai tempi dell’Aggro Berlin.
“Da quanti anni è che stai cercando di smettere di fumare, scusa?!”, aveva chiesto esasperato un giorno, mostrando ad Anis una delle foto come prova schiacciante della sua menzogna.
Lui aveva risposto con un ghigno compiaciuto e soddisfatto.
“Hai una cartella di foto mie sul pc?”, aveva chiesto, evitando la sua domanda con abile mossa e mettendolo in imbarazzo per le successive sei ore.
Altra orrenda abitudine: le pantofoline celesti. Indecenti senza possibilità di scampo. Ed a questo si aggiungevano altre miriadi di cose – mangiare occasionalmente verdura, ascoltare anche quell’orrore di musica rap che già avrebbe dovuto bastargli produrre, andare in giro in pantaloncini, mettere il gel nei capelli nonostante fosse passato di moda da almeno sette anni – che Bill palesemente sopportava solo perché era abbastanza innamorato da calpestare il proprio onore e la propria dignità di uomo, perché altrimenti avrebbe fatto le valigie al secondo giorno con tanti saluti e arrivederci e la speranza di non vedersi davvero più.
Tutto questo strazio era comunque abbastanza normale se paragonato alla peggiore delle abitudini di Anis. L’unica che – sospettava – dovesse essere vietata perfino da qualche parte nella costituzione, nonché nella carta dei diritti umani.
Anis, tanto per cominciare, aveva troppi nomi per essere un uomo solo. C’erano i tre dell’anagrafe – Anis Mohamed Youssef – poi c’era il nome che gli aveva dato la strada – Sonny Black – il nome che s’era dato lui – Bushido – ed infine il titolo onorifico – King of Kingz.
Anis, soprattutto, si divertiva a tormentarlo, con quella storia dei millemila nomi. Fosse anche solo per il fatto che, quando gli aveva chiesto se Bill fosse un diminutivo, durante una delle loro prime uscite insieme, s’era sentito rispondere “no, nostra madre ci ha chiamati Bill e Tom perché voleva due nomi brevi”. Ed Anis s’era messo a ridere così di gusto che Bill aveva quasi temuto per il suo cuore, i suoi polmoni, la sua sanità mentale e, soprattutto, il precario equilibrio del bicchiere di martini fra le sue mani. Che, cadendo, avrebbe potuto finire sulla giacchettina color perla che aveva fregato a David in occasione dell’uscita. E non sarebbe stato saggio bruciarla per eliminare le prove del proprio furto.
In sostanza: Anis l’aveva preso in giro per secoli su quanto avere un nome di quattro lettere fosse poco tedesco e poco umanamente concepibile in generale, e quando Bill aveva provato a fargli notare che pure il suo ne contava solo quattro – ed oltretutto aveva un accento situato in un posto assurdo ed una s sibilata che doveva essere vietata dalla grammatica tedesca – s’era sentito rispondere che per lui la cosa non valeva perché dopo aveva altri pacchi di nomi per completare la brevità di quello con cui era venuto al mondo. Soprattutto, comunque, lui non era tedesco ma tunisino: perciò, le regole grammaticali potevano anche fargli una sega.
Surreale, sì, ma, in qualche contorto modo, perfino sensato.
Da quel momento in poi, Anis aveva cominciato a tormentarlo. Usando la scusa dei cinquecento nomi e quella per la quale i bravi amanti dovrebbero essere telepatici – “non valeva, per te e tuo fratello?”, vaffanculo a lui e pure alle illazioni twincest – gli aveva proposto un gioco: “quando mi chiamerai, non ti risponderò e non ti darò nemmeno retta se non l’avrai fatto col nome che stavo pensando in quel preciso istante”.
All’inizio era sembrata una cosa spensierata e divertente. Lo chiamava “Anis” e lui non rispondeva, ma quando si aggrappava alla sua schiena e cominciava a strusciarglisi contro si ammorbidiva immediatamente – anche se forse “ammorbidire” non era il termine più adatto.
Col passare del tempo, comunque, la situazione s’era fatta più pesante. Primo perché i suoi strusciamenti avevano perso effetto, secondo perché Anis aveva effettivamente cominciato ad offendersi quando Bill non indovinava il nome e terzo perché, nonostante litigassero ormai almeno una volta al giorno per quella questione, l’uomo s’era deciso a non lasciare perdere per nessuna ragione al mondo.
Il che poteva presentare delle difficoltà di tipo logistico non indifferenti.
Tipo: è il ventotto settembre, il tuo uomo fa il compleanno, avete già scopato a sazietà nella fascia oraria dalle mezzanotte del giorno prima alle sei del mattino della giornata odierna e quindi il tuo regalo può dirsi già abbondantemente consegnato – ed il Rolex che presenterai a cena è solo un surplus dettato dalla tua enorme magnanimità e dal fatto che Anis indossa degli orologi oggettivamente osceni – però hai comunque intenzione di organizzargli una festa.
Hai già prenotato un intero piano del Matrix, invitato tutti i tuoi amici e ti sei perfino assicurato che vengano i suoi, hai una torta di compleanno di dimensioni stratosferiche che arriverà alle dieci spaccate e il tuo problema principale – quando dovresti stare fermo davanti allo specchio a cercare di capire come essere così fottutamente bello da incollarti addosso gli occhi del mondo, in primis i suoi – è che ancora non sai se il tuo uomo ha progettato altro.
Perché ovviamente tutto ciò dovrebbe essere una sorpresa.
Ecco, in questi casi il giochino del non-ti-parlo-se-non-indovini può essere alquanto fastidioso.
Naturalmente, come tutti i giochi, anche questo ha le sue regole. Nello specifico: se Bill non indovina al terzo tentativo, perde il diritto di fare la domanda.
È per questo motivo che il moro deglutisce e riflette profondamente, mentre Anis gioca coi gladioli a qualche passo da lui, prima di provare per la terza fatidica volta.
La serra, sotto il sole delle due del pomeriggio, è calda e luminosa, ed un raggio di luce si riflette contro uno degli ammennicoli di metallo con i quali Anis gioca all’allegro giardiniere di tanto in tanto, colpendo Bill in un occhio come uno spillo. Dovrebbe prenderlo come un segno del destino e stare zitto, ma deve comunque chiedere, in qualche modo, perciò si fa forza, si stringe nelle spalle e va avanti.
- …Sonny? – prova timoroso. Le spalle di Anis si scuotono in una risata leggera, mentre qualche foglia secca viene tranciata e cade ai suoi piedi.
- Sbagliato. – lo prende in giro l’uomo, voltandosi ed appoggiandosi al tavolo da lavoro, lanciandogli un’occhiata furba. – Ed ora come facciamo?
Bill mette su un broncio fenomenale e ricorda con rammarico i tempi in cui viveva con Tom che, a questo punto, si sarebbe già sciolto in una pozza di amore fraterno e steso per terra ai suoi ordini.
Per un attimo, accarezza l’idea di farla comunque nonostante tutto, la dannata festa: e non invitarlo, il bastardo. Perché tanto è palese che non se lo merita. Poi ricorda che il suo uomo compie trent’anni, che deve essere paziente perché quando s’invecchia si diventa pure più ostinati e che, soprattutto, maggiori sono le possibilità che Anis si ubriachi maggiori sono anche le possibilità che possa strappargli qualche promessa tipo licenziare la cameriera o sopprimere la Bestia. Deve necessariamente portarlo alla festa.
- Amore… - prova quindi, rilassando i tratti del viso ed avvicinandoglisi con fare cuccioloso, per poi annodargli le braccia dietro al collo e gettarsi a peso morto su di lui, aderendo perfettamente al suo corpo, - Ho davvero bisogno di parlarti, potresti per favore smetterla con questo giochino ed ascoltarmi? E magari anche rispondermi?
Anis si china verso di lui e fa finta di baciarlo. Schiude le labbra e lo sfiora, e Bill è lì lì per pensare “vittoria!” e lasciarsi baciare quando l’apocalittico stronzo si tira indietro e ride ancora con quella risatina infantile che è tanto dolce quando viene espressa in un momento appropriato quanto odiosa quando invece è espressa in momenti come questo.
- Se vuoi che Amore rientri nella lista dei nomi possibili, dillo… e comunque non stavo pensando a quello, riprova.
- Eh, ma che cazzo! – strilla Bill a quel punto, separandosi da lui con uno scatto repentino. Anis non fa neanche la fatica di provare a trattenerlo e, ricominciando a ridere felicemente, ritorna ad occuparsi dei gladioli. Indispettito da tanto disinteresse, Bill intreccia le braccia sul petto. – Anis, è importante.
- No, non era nemmeno Anis.
- Stronzo!!!
- …e nemmeno “stronzo”. Per il futuro: non penso mai a me stesso in questi termini, perciò non ti conviene sprecare tentativi così, no?
Afferrare le cesoie e staccargli la testa, a questo punto, sarebbe una punizione ancora troppo blanda. Non basterebbe ad esprimere tutto il disappunto che riempie Bill fino alla punta dei capelli. E che sta per farlo esplodere.
Anis, per contro, tranquillo come un moccioso deficiente, taglia via dal vaso il gladiolo più bello e trotterella felice verso l’uscita della serra.
- Dove pensi di andare?! – chiede Bill con aria furibonda.
- Tu, piuttosto… vuoi rimanere qui tutto il giorno? – risponde divertito l’uomo. Per quanto la sua possa dirsi una “risposta” solo lavorando alacremente di fantasia.
Bill lo insegue macinando il pavimento sotto le scarpe, tanta è la forza rabbiosa con la quale avanza. È costretto a darsi una calmata solo dall’inizio della rampa di scale, che deve percorrere necessariamente con grazia ed eleganza, se non vuole ruzzolare giù e spaccarsi l’osso del collo al primo passo falso. Per un altro attimo la sua mente si perde in pensieri mortiferi e pensa che, se cadesse adesso, rotolerebbe addosso ad Anis ed almeno sarebbero in due a spaccarsi l’osso del collo. Della serie “morirò, ma ti porterò via con me!”. Sarebbe molto epico. Anche molto in linea con la sua personalità.
Ma il suo uomo fa sempre trent’anni e lui lo ama comunque, perciò deve sforzarsi di essere carino e gentile.
Proprio a questo scopo, invece di lanciarsi in avanti e buttarlo giù per le scale, si lancia in avanti con più moderazione e lo aggancia alle spalle, stringendogli le braccia attorno al collo e le gambe attorno al bacino. Anis esita e tentenna solo per un secondo, prima di sistemarselo contro la schiena, reggerlo sotto le cosce e continuare a scendere le scale – stavolta per due.
- Aniiiis… - mugola Bill, - senti, davvero…
- Cos’è che vuoi mangiare stasera, Bill? – no! Niente! Non potete mangiare qui, stasera! Panico! – Rispondi, tanto tu di nome hai solo questo.
- No, è che pensavo… non credi che-
- A che nome sto pensando adesso?
- …non mi va di giocare. – dice Bill a bassa voce, poggiando il mento contro la sua spalla ed abbassando lievemente le ciglia.
Anis sospira e lo porta fino in salotto, dove si china per aiutarlo a scendere sul divano. Una volta atterrato sui cuscini, Bill si accoccola contro un bracciolo e Bushido, dopo aver riposto il gladiolo sul tavolo, gli si siede a fianco, battendosi poi un paio di volte la mano sulle ginocchia in un chiaro invito ad avvicinarsi.
Bill non lo coglie. In compenso, si presenta la Bestia – alla quale non deve sembrare vero di trovare il grembo del padrone sgombro di altri ospiti, e che perciò ne approfitta per prenderne possesso, mentre Bill soffia irritato e si arriccia anche attorno ad un cuscino, oltre che attorno al bracciolo, già che c’è.
Bushido sospira ancora, teatralmente. Afferra la gatta per la collottola e la rimette per terra, ripetendo a Bill l’invito ad avvicinarsi.
- Sarai tutto pieno di peli… non voglio venire.
- Ma non sei mica allergico…
- Non voglio venire lo stesso.
Bushido fa per avvicinarsi e Bill si fa piccolissimo nel proprio angolo. A quel punto, all’uomo non resta che alzarsi ed andare via, Bill lo sa. In genere, quando fra loro si arriva ad un punto morto simile, Bushido si allontana ed attende che gli sbollisca la rabbia, e le cose si risolvono in questo modo.
Bushido, effettivamente, si alza. Ma non va via.
Si spiega davanti a lui, inginocchiandosi proprio di fronte al divano – mentre la gatta, dalla propria cesta nell’angolo, lo fissa con disapprovazione – e lo guarda seriamente.
- Mi perdoni? – chiede, senza neanche informarsi sul perché dovrebbe essere arrabbiato.
E questo è anche più irritante.
Bill sferra un calcio all’altezza della sua spalla, ma Anis è svelto a tirarsi indietro ed evitarlo con un “woah” di pura sorpresa.
- Lo sai perché sono arrabbiato?! – strilla inviperito, alzandosi in piedi mentre Bushido lo scruta in un misto di stupore e irritazione, - Eh?! Lo sai?!
- Per il gioco! – risponde Bushido, alzando a propria volta la voce e piantando le mani sui fianchi.
- No! – risponde Bill, imitando la sua posa e sporgendo un fianco, - Perché, nonostante io ti avessi chiesto di essere serio, hai continuato a rompere i coglioni! E questo è ben diverso! Ma a te non importa dei perché, tu chiedi scusa solo per farmi stare zitto! – constata amaramente, voltandogli le spalle e dirigendosi speditamente in camera da letto.
Bushido gli va dietro e lo afferra per un polso, bloccandolo sul posto.
- Ehi, ehi, adesso calmati, okay? – chiede, tirandoselo vicino e stringendolo in un abbraccio a caso. Dopo quasi un anno, Bill gli abbracci di Anis li conosce tutti a memoria. C’è quello caloroso ma amichevole, c’è quello delle donne – che è sempre uguale, sia sua madre o la moglie di suo fratello o la nuova fidanzata di Chakuza, non cambia – c’è quello di un attimo prima che ti chieda di fare l’amore, c’è quello consolatorio, ce ne sono un sacco, perché Anis è bravo ad abbracciare e ci mette sempre dei sentimenti diversi.
Adesso, però, Anis non ha la minima idea di come dovrebbe abbracciarlo – dovrebbe farlo come se gli dispiacesse davvero, ma non gli dispiace, perciò è impossibile – e quindi sembra solo… un abbraccio a caso. Del tutto inutile.
Bill si separa da lui con uno strattone secco e deciso.
Anis rimane immobile e non riprova ad abbracciarlo. Bill lo osserva mordersi incerto il labbro inferiore e sospira, dandogli le spalle e ricominciando a camminare verso la camera da letto. Una volta lì, si lascia andare sul letto con un soffice sbuffo d’aria che gli riempie i polmoni del profumo buono delle lenzuola lavate di fresco, e chiude gli occhi, stringendo le dita attorno al cuscino.
Rimane immobile fino a quando al profumo del cotone non si sostituisce il profumo di Anis.
- Oggi è il mio compleanno e tu sei stato irritante tutto il giorno. – lo rimprovera cupamente l’uomo, distendendosi al suo fianco e fissando il soffitto. Il gladiolo è sul comodino, Bill riesce a intravederne i petali oltre il suo corpo.
Socchiude gli occhi ed aggrotta le sopracciglia.
- Non è vero.
- Sì che è vero. – comincia ad elencare lui, - La prima cosa che mi hai chiesto stamattina era se dopo tutto il sesso che avevamo fatto stanotte avrei finalmente licenziato Karima. Poi ti ho chiesto di farmi il caffè e-
- Ma non lo so fare!
- …non hai nemmeno chiesto a Karima di farlo al posto tuo. Te ne sei andato in bagno e ne sei uscito solo quando-
- I miei capelli avevano bisogno di cura! – si lamenta lui, sconcertato, - Me li hai tirati, stanotte!
- E tu non ti sei lamentato, mentre lo facevo…
- Ma perché non era il momento adatto!
Rimangono interdetti a fissarsi, e questi sono i momenti in cui Bill pensa con terrore che ci sono cose di Anis alle quali non riuscirà mai ad abituarsi. Ma proprio mai. E questo lo spaventa, perché vuol dire che probabilmente ci sono anche delle cose di lui alle quali nemmeno Anis riuscirà mai ad abituarsi. Ed è triste, è orrendo e fa paura, perché lui Anis lo ama e sa che Anis lo ricambia, perciò il solo pensiero che potrebbero davvero arrivare a lasciarsi per un’incomprensione come questa è semplicemente troppo per-- per…
- Sei veramente arrabbiato? – chiede Anis, scivolandogli sulla guancia col dorso della mano tatuata.
Bill socchiude gli occhi ed annuisce lentamente.
- Mi dispiace. – ripete Bushido. – E stavolta so anche perché. – aggiunge con un mezzo sorriso.
Bill si scioglie in un mugolio esausto e gli salta letteralmente addosso, stringendolo attorno alla vita e nascondendo il volto contro il suo petto. Bushido lo accoglie con la solita risata bambina, ma sentirla tremare fin dentro al cuore è molto più dolce che sentirsela arrivare come una dimostrazione di scherno.
- Sei stancante… - commenta, sollevandosi a baciarlo sul tatuaggio sul collo.
- Tu, invece, sei facile da gestire come un tavolino richiudibile dell’IKEA. – risponde Bushido tirandolo più in alto per rubargli le labbra, - Ma ti amo lo stesso.
Bill gli sbuffa qualcosa in bocca ma non protesta quando Anis gli si stringe contro e ribalta le loro posizioni sul materasso.
- Ehi, ma io ti devo ancora chiedere una cosa. – si ricorda quando le labbra di Bushido scendono a lambirgli il collo.
L’uomo lo guarda e sorride pericoloso.
- Se indovini il nome a cui sto pensando adesso, okay.
Bill ringhia, ma non è veramente irritato. Aggrotta le sopracciglia e mette su il broncio d’ordinanza, ma si ferma un secondo a scrutare nelle profondità degli occhi di Anis e poi si scioglie in un mezzo sorriso un po’ stupito e un po’ divertito.
- Ma non stai pensando a nessun no-
Non riesce a terminare la frase perché Anis ride e lo bacia prima che possa. Bill ride con lui, si ridono fra le labbra per un sacco di tempo, fino a quando qualcosa non scivola fra i capelli di Bill e va ad incastrarsi dietro la conchiglia del suo orecchio.
- Cosa…? – biascica confuso. Il gladiolo gli solletica lievemente una tempia. – Serviva a questo?
Bushido ride.
- Per la verità pensavo che avresti potuto accorciarlo e sistemarlo per bene all’occhiello del completo che pensavi di mettere stasera.
Bill lo fissa.
- Il…
- Sì, l’hai lasciato appeso là. – suggerisce Bushido, indicando l’anta aperta dell’armadio dalla quale pende una cruccia che regge il gessato grigio che pensava effettivamente di indossare quella sera per la festa. – Oltretutto, non hai un fratello molto bravo a nascondere i segreti. – continua l’uomo con una mezza risata, - O meglio: dovresti dirgli che non si chiama in casa d’altri strillando “Il Matrix è una figata e tu sei un Dio ad aver prenotato proprio lì!”… almeno se non si è sicuri di chi ci sia dall’altro lato della cornetta.
Bill grugnisce un lungo lamento indispettito. I pensieri mortiferi ritornano, ma stavolta cambiano obiettivo ed anche modalità – sarebbe divertente provare a soffocare Tom con una delle sue odiose magliette. O con uno dei suoi dread. O, chissà, magari fargli lo scalpo.
- Allora lo sapevi già… - mugugna nascondendosi contro il suo collo.
- Già. – conferma Bushido baciandolo su una guancia e stando attento a non rovinare il fiore.
- Ecco perché non ti interessava la domanda… - borbotta ancora lui, - Ma perché mi hai chiesto cosa volessi mangiare, se lo sapevi?!
Bushido ghigna.
- Per infastidirti, mi sembra ovvio!
- …Anis!
L’uomo si alza in piedi e fa per dirigersi verso il salotto.
- Dove credi di andare?! Anis!
- Non è questo il nome. – scrolla le spalle, senza fermarsi, - Solo un tentativo rimasto!
- Ehi… ehi!!! Non puoi andartene così! Anis! Stronzo!!!
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