Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Freddo/Libanese, accennato Libanese/Sara.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, Angst, Spoiler fino alla 1x05.
- "'Vie’ con me,' gli dice. E Freddo va con lui."
Note: Prima o poi riuscirò a smettere di vergognarmi come una ladra ogni volta che faccio parlare questi due /o\ Lo dico adesso perché sì, ok, non è la prima volta che scrivo su RC, ma è la prima in cui questi due hanno una sottospecie di dialogo vero e proprio, il che significa dialetto romano a pioggia. Io, come molti di voi sapranno, non sono romana XD Per cui il tutto mi mette in grande imbarazzo, ma prima o poi riuscirò a superarla. Penso.
Scritta per il P0rn Fest @ fanfic_italia, su prompt ROMANZO CRIMINALE Freddo/Libanese, cicatrice.
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WE WERE SO CLOSE (TO BEING CLOSE)
ROMANZO CRIMINALE Freddo/Libanese, cicatrice

- Famme vede’ la cicatrice.
Il Libanese solleva gli occhi dalla bottiglia di birra dalla quale sta bevendo, e li posa su Freddo, senza la minima grazia. Freddo alle occhiate ci tiene, secondo lui gli occhi sono importanti, e un’occhiata può dire tante cose, può essere tante cose. Può essere pesante, incredibilmente pesante, molto più di quanto non possano arrivare ad esserlo le parole. Può essere lieve, un’occhiata, può essere incoraggiante, intimidatoria, di rimprovero. Può essere impaurita o allegra o triste o scanzonata o vacua, può essere una miriade di altri aggettivi, può assumere un centinaio di sfumature diverse modificandosi di un nonnulla nello spazio di una manciata di secondi, ma prima di conoscere il Libanese Freddo non sapeva che le occhiate potessero essere anche sgraziate. Eppure, quelle di Libano lo sono, sono esattamente come lui, invadenti e presuntuose e fastidiose e sgraziate, sì, proprio sgraziate. Sono già mesi che gli gira intorno, e queste occhiate così non dovrebbero più avere alcun effetto su di lui, ma per qualche ragione il senso d’inquietudine e di – paura? – agitazione che gli mettono addosso non sembra intenzionato a passare. Ora, o in futuro.
- E perché? – gli chiede, stringendo il braccio lungo il fianco come a volerlo proteggere da sguardi indiscreti. Freddo scrolla le spalle e guarda altrove, e il Libanese aggrotta le sopracciglia, la smorfia sulle labbra che si fa perfino più grave e irritata. – Che t’hanno detto?
- Un po’ de robba. – risponde, tornando finalmente a guardarlo. Il solo gesto gli richiede uno sforzo di coraggio tale da lasciarlo stremato, al punto che, se non fosse già seduto, si lascerebbe volentieri andare lungo disteso sul pavimento.
Il Libanese poggia la birra sul tavolo, si alza in piedi – molto lentamente – e gli si piazza accanto, le mani sui fianchi e le gambe lievemente divaricate.
- Che voi sape’, Fre’? – gli chiede, e al Freddo si stringe un nodo in gola, perché la voce del Libanese è bassa, carica di dolore e nostalgia, e lui non ricorda di averlo mai sentito parlare così. Non è più tanto certo di volersi sentire ripetere da questa voce cose che già sa.
- Tutto. – risponde invece. E spera che al Libanese basti, come risposta, perché di descrivere e definire questo tutto – di cui vuole conto e ragione nonostante non ne abbia alcun diritto – lui non ha la minima voglia.
Libano sorride, comunque. Gli batte una pacca sulla spalla e poi lo afferra per il colletto del maglione in un gesto spiccio ma amichevole, e lo mette in piedi di peso.
- Vie’ con me. – gli dice. E Freddo va con lui.
*
Il Libanese frena la macchina nel mezzo di un prato enorme, perso nel nulla. L’aria scura e pesante della notte è densa del frinire dei grilli, non c’è luna e le stelle non bastano a vedere a un palmo dal naso. Quando i fari si spengono, non resta altro che buio, per chilometri e chilometri. È tanto buio che le luci della città, in basso, brillano più delle luci che puntellano il cielo. Colorate e vive, tremano nell’umidità notturna come fiammelle. Roma si muove, vive, respira sotto di loro. Freddo inspira aria gelida e se ne riempie i polmoni. Si sente grande e sfiora il dorso della mano del Libanese col dorso della propria.
È come premere un pulsante d’accensione.
- Stavamo qua. – dice il Libanese, e il suo respiro è forte, accelerato, come lo stessero inseguendo e lui stesse correndo per salvarsi, - Era bella, Sara, ce conoscevamo da pischelli. Je volevo bene, ma davero. Volevo portalla ‘n po’ in giro, ma nun c’avevo ‘na macchina mia. – inspira ed espira profondamente, stringe i pugni lungo i fianchi e ancora una volta i dorsi delle loro mani si sfiorano. – Così ho preso quella der Teribbile.
- La cicatrice… - deglutisce Freddo, cercando il suo profilo nel buio, - È stato pe’ quello, sì?
Libano alza un braccio e tira su la manica della camicia che indossa. La arrotola fino al gomito e poi gli mostra l’avambraccio deturpato da una cicatrice enorme e irregolare. Il Freddo immagina quello stesso braccio ancora tremante di dolore e tenuto insieme da punti disordinati e dati alla meno peggio. Accarezza la superficie della cicatrice con due dita e sente che ha ragione ad immaginare qualcosa di simile, perché i contorni della cucitura sono irregolari, la pelle è tutta un susseguirsi di colli e valli. Il Libanese rabbrividisce sotto il suo tocco, e Freddo ritrae subito la mano.
- Nun so manco perché t’ho portato qui. – dice Libano, sbuffando una risata un po’ incerta. Freddo si scosta appena quando lo sente muoversi, e cerca di capire cosa stia facendo nonostante il buio pesto, ma non riesce. Comprende solo quando il Libanese parla ancora, e la sua voce proviene da un punto molto più in basso rispetto a quello dove si trova lui. – Vie’ ‘n po’ qua, Fre’. – lo chiama, la voce di nuovo affogata in quella strana mistura di rimpianto e sofferenza che l’ha turbato così tanto quando era ancora a casa sua.
Freddo si siede nell’erba umida accanto a lui. Pianta le mani per terra e guarda la città, che da lì non sembra piccola come uno si aspetterebbe nel guardare una miniatura, no, anzi, è proprio da quella distanza, da quell’altezza, che si capisce quanto Roma sia grande. Perché anche in miniatura è sterminata. Ed è tutta loro.
- Quante vorte ce vieni qui, Libano? – gli chiede sovrappensiero. Il Libanese ride.
- Ar giorno? – Freddo si volta a guardarlo inarcando un sopracciglio, e il Libanese ride ancora. – Sto a scherza’. – dice, allungandogli un pugno contro una spalla, - In realtà nun ce vengo spesso. Però me capita.
- E quanno te capita cosa pensi? – insiste lui, e Libano trattiene un respiro spezzato.
- Nun penso a niente. – risponde quindi, - Nun me va proprio de pensa’ a niente. – aggiunge, e si volta a guardarlo. Freddo non lo vede, ma lo sente, sente i suoi occhi, il suo sguardo sempre così invadente, tanto invadente che la parola non basta a descriverlo. Libano gli entra nella testa, gli scivola sotto la pelle. Lo fa senza neanche avere bisogno di toccarlo, e questa cosa è assurda.
- Libano, - gli chiede, la voce che trema appena senza che lui possa fare niente per fermarla, - sei sicuro che nun ce lo sai perché m’hai portato qua?
Il Libanese trattiene il respiro. Ma non fa lo stesso con le mani.
Freddo se lo ritrova addosso due secondi dopo e gli piacerebbe poter dire che semplicemente gli è mancato il tempo di mandarlo affanculo, ma la verità è che quello potrà pure essergli mancato, ma più di ogni altra cosa gli è mancata la voglia di farlo. Schiude subito le labbra sulle sue, e il Libanese sembra perfino più stupito di lui. Si ritrae, ma non scosta la mano che gli ha appoggiato al viso. Lo guarda, il buio rende i suoi occhi più scuri di quanto non siano di solito, il suo viso è illuminato solo a tratti, sulla fronte si rincorrono le ombre nere dei ricci che gli cadono disordinatamente sul viso da ogni parte. Freddo sente il ventre contrarsi e poi rilassarsi, fa male ed è liberatorio. Solleva entrambe le mani, le appoggia ai lati del viso del Libanese, lo scruta, gli chiede qualcosa, non sa cosa, non sa nemmeno se gliela chieda a voce o con gli occhi e basta, comunque è sufficiente. Libano lo bacia ancora, arrabbiato, affamato, agitato, impaurito oltre ogni dire, e Freddo lo capisce perché per lui è la stessa cosa.
Si lascia andare sull’erba e sente macchie d’umido cominciare ad allargarsi ovunque, sulla sua camicia, sui suoi jeans, rendendogli pesanti il corpo, i capelli, perfino i movimenti. Libano si puntella per terra e gli sale addosso, lo guarda come non riuscisse a capacitarsi di cosa sta vedendo, e Freddo schiude le gambe e lo accoglie fra le cosce senza dire una parola. Libano gli scivola addosso e contro e sopra e sotto, si muove svelto, Freddo si aggrappa ai suoi vestiti e si morde un labbro per non gemere mentre i loro bacini si strofinano l’uno contro l’altro, duri di desiderio indefinito e vago ma forte e sconvolgente.
Perde la testa quando Libano si solleva appena e si regge sulle ginocchia, afferrandolo per i fianchi. Gli lancia un’occhiata allarmata, Libano risponde con un’occhiata uguale, e allora Freddo chiude gli occhi, perché non può aspettarsi una risposta adesso, una risposta o una soluzione o qualsiasi altra cosa possa servirgli per rendere questo momento meno assurdo. Se lo tira contro, affonda il viso nell’incavo del suo collo e gli va incontro, e il Libanese se lo scopa così, da vestito, senza neanche entrargli dentro. Gli scivola addosso attraverso gli abiti, si fa sentire nonostante tutto così in profondità da dargli il capogiro. Gli morde il collo, inspira con forza l’odore della sua pelle, e Freddo gli incrocia le gambe dietro la schiena muovendosi svelto contro di lui perché vuole sentirlo venire, e non vuole più lasciarlo andare.
Scosso dai brividi dell’orgasmo, pochi secondi dopo il Libanese si accascia su di lui, ansante, i ricci umidi appiccicati alla pelle madida di sudore e di brina. Il vento della notte ha cominciato a spazzare le colline, l’erba canta tutta attorno a loro, e loro non la sentono, persi nel suono concitato dei loro respiri. Freddo continua a tenerlo stretto, le gambe attorno ai fianchi, le braccia attorno al collo. Si sente in imbarazzo, dopo un po’, ma le mani del Libanese stanno ancora chiuse come tenaglie attorno alla sua vita, perciò va bene provare ancora per qualche minuto se è possibile entrargli dentro e prendersi un posto lì, per restarci qualunque cosa accada.
Freddo lo sa che stare vicini non basta. Lo sa. Ma deve farselo bastare per forza.
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