Shot appartenente alla serie Eine Kugel Reicht, scritta con Tabata.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico.
Pairing: Fler/Chakuza.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Lemon, Slash.
- "È che abbiamo lo stesso odore."
Note: Non c’era messo che pubblicassi questa shot oggi e a quest’ora, ma Lost aveva bisogno di leggere e noi abbiamo ceduto alla richiesta XD Il risultato è che voi vi beccate un po’ di Happy!Flerkuza random, Liz è felice di spargere il verbo dei suoi puccini e nessuno si dimentica dell’esistenza di EKR neanche per sbaglio (che è un po’ la nostra missione principale :D). Speriamo abbiate gradito <3
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico.
Pairing: Fler/Chakuza.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Lemon, Slash.
- "È che abbiamo lo stesso odore."
Note: Non c’era messo che pubblicassi questa shot oggi e a quest’ora, ma Lost aveva bisogno di leggere e noi abbiamo ceduto alla richiesta XD Il risultato è che voi vi beccate un po’ di Happy!Flerkuza random, Liz è felice di spargere il verbo dei suoi puccini e nessuno si dimentica dell’esistenza di EKR neanche per sbaglio (che è un po’ la nostra missione principale :D). Speriamo abbiate gradito <3
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WASHING DISHES
- Toh, asciuga qui. – Fler mi passa un piatto bagnato ed io mugugno a bassa voce, avvolgendolo nella pezzuola di cotone e cominciando a strofinarlo per poi metterlo a posto.
- Ma dovevamo per forza? – mi lagno, tirando su le maniche della maglia larga che stanno decidendo arbitrariamente di scivolare lungo gli avambracci fino ai polsi.
- No, Chaku. – risponde lui, concentrato sul piatto che sta lavando adesso, - Potevamo lasciarli qui in eterno a fare la muffa e venire a guardarli solo fra due o tre anni, quando avrebbero sviluppato un ecosistema proprio, così ci saremmo spacciati per i loro dei e ci avrebbero venerato per sempre come forme di vita superiore.
Lo fisso.
- Ma tu non avevi mollato la scuola prima di finirla?
Mi fissa anche lui e solleva un sopracciglio.
- Ho guardato i Simpson come tutti i ventenni del mondo.
Scrollo le spalle e lui sospira pesantemente, alzando gli occhi al cielo e passandomi un altro piatto. Io lo prendo senza lamentarmi, lo asciugo e lo rimetto a posto nello scaffale sopra la mia testa. Lancio un’occhiata distratta a Fler, nel mentre, e vedo che anche la sua maglia larga sta dicendo di ribellarsi al suo volere: una delle maniche sta scendendo lungo il braccio, e lui non può rimetterla a posto perché ha le mani piene di schiuma. Fa una smorfia infastidita, io me ne accorgo ed allungo una mano a tirarla su, tornando un po’ controvoglia a mettere in bella mostra i due tatuaggi che gli ricoprono la parte interna degli avambracci.
A guardarli adesso, tra l’altro, mi torna in mente un discorso che, in fase di produzione di Heavy Metal Payback, continuava a girare all’Ersguterjunge. Il fatto è che c’era quella canzone lì, Ich Hoffe Es Geht Dir Gut, che aveva questo testo incredibilmente romantico, ma davvero, che a non conoscere Bushido – cioè, a immaginarlo per lo stronzo senza cuore che non era – sembrava una cosa stranissima, e invece è tipo la canzone più sua che quell’uomo abbia mai scritto, probabilmente. Comunque niente, quella canzone era palesemente dedicata a Fler e, in sostanza, gli augurava di andarsene per la propria strada e stare bene comunque, nonostante tutto. Una cosa che, veramente, ti scioglieva il cuore. Io non li avevo mai visti dieci maschi adulti circa sciogliersi in quel modo, sul serio. Ma nemmeno quando era nata la bambina di Saad ci si era commossi in quella maniera indecente.
È che glielo vedevi proprio negli occhi che, insomma, c’era qualcosa di importante, dietro. Che voleva davvero farle sapere quelle robe, a Fler, che le pensava, che ci teneva, ecco. Heavy Metal Payback, peraltro, è uscito postumo. Io non voglio nemmeno immaginarlo che cosa abbia fatto Fler appena l’ha sentita, quella canzone.
Comunque, il punto è che quella canzone lì era veramente romantica, perciò dopo il primo momento di smarrimento e “avanti, siamo uomini!, non ci commuoveremo certo per così poco!, dov’è che sono i kleenex?”, è partito lo sfottò. Bushido un po’ se l’aspettava ed un po’ proprio lo voleva – per stemperare un po’ la tensione – perciò, miracolosamente, non ha sventrato nessuno di noi mentre lo prendevamo per il culo circa la possibilità che Fler potesse tornare strisciando e chiedere di essere ammesso alla corte dell’Ersguterjunge.
Ci ripenso adesso perché guardo i tatuaggi di Fler – che sono tutto un fioccare di simbolismo dell’Aggro Berlin – e mi viene spontaneo dirmi che in realtà l’ipotesi che Fler potesse arrivare all’EGJ era solo un po’ meno insolita dell’idea che, chessò, potesse cascare la luna, per dire. Era una cosa che non stava né in cielo né in terra, ecco.
Però secondo me un po’ Bushido ci sperava. Magari sbaglio.
Fler, mentre io mi perdo come al solito, si gira a guardarmi con aria un po’ scettica. Tiene le mani ferme sotto il getto d’acqua, la schiuma sul piatto scivola via dentro lo scarico e lui mi guarda, gli occhi grandi, le sopracciglia sollevate, le labbra dischiuse. Poi le richiude, le labbra, e le piega in un sorriso un po’ malizioso. Sono convinto di essere arrossito, ma cercherò di ignorarlo.
- Grazie. – dice con tono falsamente casuale, - Ci stai molto attento, eh?
- Uh? – rispondo io, dando prova di non avere un cervello molto più sviluppato di quello di un merluzzo, al momento.
Fler lascia andare una risatina leggera e divertita.
- A come mi cadono i vestiti addosso. – precisa poi a mezza voce.
Manca poco che lasci cadere per terra il piatto che mi passa.
- Mi è solo caduto l’occhio!
Lui ride di gusto, prendendo a lavare un’insalatiera incrostata di schifezze che non intendo neanche provare ad identificare.
- Ma sì, lo so. – annuisce sfregando bene con la spugnetta di metallo la superficie unta della scodella, - Ti prendevo in giro.
Ed io mi mordo un labbro perché lui magari mi prende in giro, però è vero che ci sto attento. Cioè, ci faccio caso. È una cosa strana ma è così, intendo, quando entra in casa e sfila via il giubbotto, per dire, ci faccio caso a come gli cade addosso ciò che ha indossato. Tipo… la linea del maglione attaccata ai fianchi. O la cintura larga attorno alla vita. O le magliette strette sulle spalle che tirano un po’ sui muscoli tesi del torace. Cioè, me ne accorgo. Magari, ecco, non è che ci passo proprio le ore a fissarlo, però un po’ sì, mi ci perdo.
Mi avvicino e gli tiro una mezza gomitata fra le costole, ricevendo in cambio una risata sbuffata e l’insalatiera che mi plana fra le braccia, sullo strofinaccio già umido, mentre lui si scosta per evitare il mio colpo. Quando si muove, dai suoi vestiti si solleva un buon odore di pulito, ed io sorrido serenamente un attimo perché è un odore familiare che mi ricorda casa. Poi però il sorriso si smorza e diventa più simile ad una smorfia stupita, quando mi rendo conto che non è semplicemente l’odore che mi ricorda casa: l’odore è quello di casa. È l’odore del detersivo che usa mia madre per i carichi della lavatrice, è sempre lo stesso da vent’anni e dubito cambierebbe anche dandogli altri vent’anni di tempo.
È lo stesso odore dei miei vestiti. Io e Fler adesso abbiamo lo stesso odore e questo non è dovuto all’essersi rotolati per ore fra le lenzuola, sul materasso. È una cosa a prescindere dal sesso. Mia madre ha lavato insieme i nostri vestiti. È una cosa comica, ma non mi riesce di ridere, mi limito a continuare a fissare Fler con quella smorfia lì, mentre lui continua placidamente a lavare stoviglie, e lo fisso fino a che non se ne accorge.
- Be’? – mi chiede quindi, tirandosi un po’ indietro come se guardarmi da un’altra prospettiva lo aiutasse a comprendere meglio quello che mi gira per la testa. – Che hai ora?
Non è che sappia bene cosa dirgli. Intendo, inventare una balla ed uscirmene con uno “stavo pensando che c’è proprio un bel sole, oggi!”, sarebbe allucinante, contando poi il fatto che oggi non abbiamo ancora neanche messo il naso fuori di casa. Perciò scrollo le spalle e mi arrendo alla palese incompetenza della mia mente, che di fronte alle domande non è mai in grado di inventare bugie convincenti in tempi brevi. Devo pensarmele, certe robe. E pure a lungo.
- È che abbiamo lo stesso odore. – rispondo quindi, continuando a fissarlo candidamente.
Lui mi guarda per un attimo con lo stesso identico candore. Palesemente non capisce di cosa sto parlando, ed è anche giustificato, voglio dire, uno non può andare in giro a dire agli altri “abbiamo lo stesso odore”, così a caso, ed aspettarsi anche di essere compreso. Non mi aspettavo di essere compreso, io, volevo solo rispondergli e gli ho risposto con quello che m’è passato per la testa. E ora mi sto riempiendo il cervello di pensieri inutili, e lo faccio per il semplice motivo che osservare la consapevolezza farsi strada negli occhi di Fler ed il suo sorriso aprirsi in una smorfietta divertita sarebbe troppo da sopportare, se non fossi un po’ stordito. Quindi mi stordisco di pensieri, perché quando li sento riecheggiare fra le pareti della scatola cranica le cose in genere mi sembrano meno strane. Voglio dire, cosa c’è di più strano dei pensieri che rimbombano? Niente, perciò non può esistere niente di più strano della mia testa, e siccome è mia e la conosco non può esistere niente di più strano che io non possa comprendere. Tutto qui.
- Lo stesso odore? – chiede un po’ perplesso, riponendo nel lavabo il bicchiere che stava pulendo.
- Sì, hai… - gesticolo, indicando i suoi vestiti in generale, finendo per indicare lui nella sua totalità, - voglio dire, quello che indossi, l’ha lavato mia madre, mi sa.
Lui solleva appena una spalla e ci struscia il naso contro, inspirando un po’. Poi si piega verso di me, e quello che succede dopo ha dell’incredibile, perché è una cosa che in genere fa solo quando limoniamo o stiamo già scopando. Cioè mi annusa. Voglio dire, durante il sesso è una cosa ok, anche io lo annuso quando scopiamo – lungo il collo e le spalle e ovunque riesco ad arrivare, insomma – ma che lo faccia adesso è… è diverso.
Inspira a lungo, gli occhi semichiusi, le mani ancora sotto il getto dell’acqua. Per un po’ è l’unico suono che sento – quello dell’acqua, dico – sento solo quello perché Fler è discreto, mentre mi scivola appena addosso con la punta del naso. Non frusciano nemmeno i vestiti, non si muove niente. Solo lui, e lui è silenzioso come un gatto.
Risale col viso lungo il mio braccio, si ferma appena contro la spalla e poi segue la linea del collo, della mascella e del mento, e si ferma a un centimetro dalle mie labbra.
- È vero. – mi soffia addosso, annuendo piano, - Abbiamo lo stesso odore. È un buon odore.
Lo sto già spingendo contro il lavandino il secondo successivo. Fra me e Fler, tutto sommato, è sempre così. Non siamo mai preparati al momento in cui ci mettiamo le mani addosso, perché il momento in cui lo facciamo non è mai premeditato. Non viene come il risultato di una cosa tranquilla, è una roba improvvisa che ci prende allo stomaco senza preavviso. Quando ci guardiamo negli occhi. Quando ci voltiamo e ci sfioriamo per caso. Quando abbiamo voglia e lo sentiamo nell’aria – non so come succeda, non so se abbia un odore, un sapore, una consistenza, so solo che lo sento, certe volte non devo nemmeno essere nella stessa stanza con lui per saperlo. Succede e basta.
Non siamo mai preparati, quindi, e restiamo sempre a corto di fiato per questo. Mi piace quando Fler resta senza fiato, il suo respiro pesante ha un suono profondo che è solo suo e non ho mai sentito a nessun altro. È una cosa che fa solo quando sta con me. Quindi è anche una cosa solo mia. Non so perché abbia tanta importanza che lo sia, so solo che ce l’ha, è importante sapere che c’è un pezzo di lui che mi appartiene e che non c’entra con Bushido o con l’accordo che abbiamo fatto per proteggere Bill e redimere lui. È una cosa che forse è il risultato di tutti questi fattori, ma ne è anche indipendente. E mi piace che lo sia, mi piace pensarci mentre stringo il bordo del lavandino con le mani, usandolo come perno per spingermi in avanti contro di lui e contrastare la sua spinta verso di me, altrettanto forte e testarda.
Il movimento continua lento per un po’, almeno fino a quando lui non si decide a mollare il bordo del lavandino al quale anche lui s’era aggrappato, probabilmente per evitare di cadere. Vorrei quasi dirgli “guarda che di cadere proprio non se ne parla, non se continuo a spingerti in questo modo”. Alle volte sono davvero troppo… irruento, penso, e credo che, visti i precedenti, sarebbe di buon gusto da parte mia evitarlo. Però non ci faccio troppo caso. E finché sento nei respiri di Fler che il modo in cui mi muovo gli sta bene, allora non mi fermo. Dio… non mi fermerei mai.
Comunque stacca le mani dal lavandino e le appoggia sulle mie spalle. Sono così bagnate che, non appena mi tocca, la maglietta si inumidisce all’istante, e riesco a sentirmelo addosso con una facilità che mi sorprende, per quanto è improvvisa e chiara. La pressione dei suoi polpastrelli è così precisa che mi sembra quasi mi stia toccando pelle contro pelle, mi sembra che non ci sia tessuto di mezzo. Mi separo da lui allontanandomi apposta di un passo. Lui fa per trattenermi, aggrappandosi alle mie spalle, ma scivolo via dalla presa e lui ha appena il tempo di guardarmi perplesso e rabbioso per un secondo, che io afferro la maglietta per l’orlo e la tiro su, sfilandola dalla testa e lasciandola ricadere distrattamente per terra. Gli sono addosso l’attimo dopo, non prima di aver colto il lungo sguardo con cui mi ha misurato la linea degli addominali, e fingo di ignorare il mugolio soddisfatto che mi lascia andare fra le labbra quando mi schiaccio contro di lui – e adesso sì, adesso posso sentirlo alla perfezione – e comincio ad armeggiare con la cintura dei suoi pantaloni.
Lui ringhia forte quando riesco a tirarla via – è il ringhio frustrato col quale in genere vuole dirmi “piantala di cazzeggiare, Chakuza”. Lo so perché una volta me l’ha detto chiaro e non ho riso per mezz’ora solo perché la situazione in sé era… intendo, non si prestava granché alle risate. Mi ha rimproverato perché stavo un po’ perdendo tempo; questo perché Fler ha dei talenti nascosti niente male, e fra questi talenti ce n’è uno per il quale, quando è preso ad un certo livello, scollega la mente e fa cose incredibili. Un po’ sono anch’io così – intendo, ci sono cose che ho fatto con lui che mai e poi mai nella vita avrei pensato di fare, e non sto parlando solo di quella cazzo di prima volta di merda – ma lui lo è in maniera molto più… non lo so, sincera, forse, intendo, davvero non si fa problemi e se ha voglia di chinarsi e prenderlo in bocca lo fa, per dire. Non è – ed è fantastica, questa cosa – non è una roba che fa perché vuole compiacere me, perché sospetto che, in quei momenti in cui è scollegato, a me in quanto me neanche ci pensi davvero, è una cosa che fa perché la vuole, e questo è semplicemente incredibile e assurdo e strepitoso e se ci fossero altri aggettivi userei quelli, ma al momento lo vedo che mi allontana e si strappa la maglietta di dosso con un’urgenza che mi fa paura, e quindi gli aggettivi si annullano, e anche buona parte di tutto il resto del mio vocabolario.
Il suono dell’acqua che scorre dovrei continuare a sentirlo – so che il rubinetto è aperto, so che l’acqua continua a scendere, lo so perché mi basta sollevare appena lo sguardo dalle labbra di Fler, che continuo a mordere, per vederlo – però non mi riesce. L’aria è piena dei nostri sospiri, è piena dei ringhi coi quali continuo a chiedere a Fler di darmi di più, togliersi di dosso più roba, sollevarsi ancora un po’, ed è pieno dei lamenti coi quali lui mi risponde, dei mugolii che lascia andare quando ci scontriamo bacino contro bacino, degli ansiti spezzati che gli mozzano il fiato quando lo accarezzo e dei sospiri estenuati coi quali mi chiama per nome – un misto confuso, Chakuza, Peter, Dio, ancora. Non riesco a sentire altro, non c’è altro, l’acqua, per quel che mi interessa, può pure inondare tutta la cucina ed annegarci.
Quando poggia le labbra contro il mio collo e sospira, quando mi sussurra addosso “scopami”, io per un secondo mi guardo intorno con terrore. Siamo fra il lavandino e l’isola, il solo pensiero di prendere e incamminarci verso la camera da letto, in questo momento, mi scazza oltremodo. Non penso che mi smonterebbe – saranno circa una decina di passi in tutto. A voler esagerare, eh – e non penso che smonterebbe neanche Fler, ma Cristo, siamo qui e ci siamo incastrati in una maniera così deliziosa che mi girano le palle al pensiero di dovermi separare da lui e farli, quei cazzo di dieci passi. Non li voglio fare. Voglio prenderlo qui ed ora, ed anche lui lo vuole, perciò alla fine mando a fanculo tutto – compreso il fatto che probabilmente dopo Fler avrà un mal di schiena per il quale mi maledirà finché sarà in vita – e lo trascino verso l’isola, spingendocelo contro finché non ci resta seduto sopra.
Lui mi guarda dall’alto, perplesso, per una considerevole quantità di secondi. Ecco, questo potrebbe smontarmi, se continua.
- Sdraiati. – grugnisco quindi, spingendolo per una spalla.
- Eh? – domanda giustamente lui, opponendo resistenza e piantando un gomito sul ripiano.
Sospiro e mi sollevo sugli avambracci, raggiungendolo sul tavolo.
- Sdraiati. – ripeto, fissandolo seriamente negli occhi, - Vuoi che ti scopi? Era il posto più vicino.
- Ma potevamo- - prova a farmi notare lui, sollevando una mano e puntando l’indice verso la porta della camera da letto, ma lo fermo baciandolo di prepotenza, avanzando finché non si stende.
- Ti voglio adesso. – gli confesso sulle labbra, mordendolo appena, - Allarga le gambe.
Il brivido che gli scorre addosso lo sento sotto i palmi delle mani. Lo scuote tutto e lui mi trema contro per un solo attimo. Deglutisce guardandomi negli occhi. E poi sorride.
- Sei una cosa incredibile. – borbotta ubbidendo, mentre io mi sistemo fra le sue cosce e mi inumidisco le dita. Lui mi afferra per un polso e se le porta alle labbra, infilandole immediatamente in bocca. Le accarezza divertito con la lingua, continuando a guardarmi con quegli occhi assurdi che mi smuovono cose nello stomaco. Esattamente come dicevo, quando è preso fa cose da sballo. C’è da perderci la testa.
Scendo ad accarezzarlo fra le natiche appena mi lascia andare, prima un dito, piano, ha ancora un casino di difficoltà ad abituarsi alla presenza esterna e provare a distrarlo serve a poco perché è sempre teso come una corda di violino, quando iniziamo. Poi si rilassa, ma gli inizi sono sempre un dramma. Sorrido appena, perché è stato così anche per noi in generale, e spingo dentro di lui un altro dito. Lui lo accoglie con un mugolio infastidito, ed io resto fermo mentre lui si adatta alla forma, stringendosi a me.
Lo bacio, non è che possa fare molto altro, e resto immobile a farmi torturare – perché di tortura si tratta, né più né meno – finche Fler non riprende a respirare ad un ritmo accettabile. Mi piace sentirlo ansimare ma odio che siano ansiti di dolore. Li riconosco, peraltro, perché non potrei dimenticarli neanche volendo. Mi fermo sempre, quando fa così. È più forte di me. È più forte anche della voglia.
Lui chiude gli occhi e si muove un po’.
- Ci sei? – sussurro prima di baciarlo ancora, - Dimmi che ci sei.
Lui ride a bassa voce, annuendo distrattamente.
- Ci sono. – risponde, - Sto andando fuori di testa. Ma fai piano.
Annuisco anch’io, tirando fuori le dita e sistemandomi meglio contro di lui. Lo tengo fermo per i fianchi, spingendo appena. Solo la punta e già stringe i denti. Avanzo piano, lo sento aprirsi al mio passaggio e mi rendo conto che probabilmente avrei dovuto fare più spazio, con le dita. Avrei dovuto prepararlo meglio con quelle, adesso sta opponendo una resistenza che da un lato, Cristo, mi lascia senza fiato, ma dall’altro è tremenda per tutto quello che significa.
Cerco di contenermi, cerco di non esagerare. Ci provo, anche se non vedo l’ora che mi dica che va meglio, per potermi muovere più facilmente. Per poterlo sentire meglio, per potermi fare sentire meglio. Queste sono cose così rare. Mi sono organizzato, un po’, tengo tutta la roba giusta nei cassetti, non ricordo nemmeno l’ultima volta che l’abbiamo fatto senza preservativo, e probabilmente è stata una sveltina del cazzo prima di uscire una sera, non so. Vorrei che fosse un bel ricordo, quando lo sento nudo contro la pelle, ma c’è sempre qualcosa che non va. Fler stringe i denti e chiude gli occhi, mi lascia fare respirando pesantemente ed io gli vado incontro in spinte lente e lunghe, baciandolo ovunque riesca, per fargli capire che lo apprezzo. Che mi dispiace essere uno stronzo, certe volte. Mi dispiace anche quando non glielo dico. Mi dispiace che debba darmi del coglione così spesso, che debba rimproverarmi e dirmi chiaramente quando sto esagerando, vorrei riuscire a capirlo da solo, ma gliel’ho detto, sono una testa di cazzo, e quando mi perdo dentro di lui è dannatamente difficile riuscire a mantenere il controllo.
Però ci provo. Lui lo sa, che ci provo.
Lo accarezzo lentamente, per tutta la lunghezza. Lui lascia andare un mezzo singhiozzo stupito e trattiene il fiato, aprendo gli occhi – che sono annebbiati e confusi, un po’ ci si è perso anche lui – e guardandomi. Gli sorrido e lui mi risponde con un altro sorriso, ed è un momento strano perché siamo molto più tranquilli del solito. Il dolore che sente posso percepirlo chiaramente in mezzo al calore umido che mi circonda, però è tranquillo. È ok. È una cosa che sta volendo ed è una cosa che gli sta bene. Mi… me la sta dando con piacere, questa cosa. È bello, credo.
Riprendo a baciarlo e riprendo anche a muovermi, e lui non si lamenta. I sospiri che gli sfuggono dalle labbra non sono più così insopportabilmente sofferenti, e le braccia che mi stringono al collo non mi si aggrappano addosso per sfogare il dolore, stanno lì morbide e abbandonate, perché è lì che vogliono stare. Le nostre lingue si accarezzano piano, inclino il capo per approfondire il bacio e lui mi segue, mi si spinge contro, mi morde le labbra, ed è il mio lasciapassare, questo: lo stringo saldamente ai fianchi ed entro dentro di lui con più decisione. Non sbaglio il colpo, e lui getta indietro il capo.
- Chaku… - mi chiama, ed io lo accontento prima che possa chiedermelo, spingendo ancora, e ancora. Serro le dita attorno alla sua erezione e continuo ad accarezzarlo, lui si stringe tutto attorno a me ed io non vedo niente per dei secondi interi, mi sembra perfino di non respirare tanto è stretto e caldo, non c’è spazio per i respiri, non c’è aria, non c’è nulla, stringo i denti e vengo dentro di lui accarezzandolo ancora, finché non viene a propria volta. Non lo lascio nemmeno per un secondo, finché ancora i brividi dell’orgasmo lo scuotono. Voglio sentirlo tremare.
Quando riesco a riprendere davvero coscienza di ciò che sto facendo, lo sto baciando. È un bacio lento e stanco, una sorta di “scusami” ma anche di “però è stato grandioso”. Cose palesemente fuori dal mondo, me ne rendo conto, ma in realtà ho un po’ la tendenza a perdermi nella mia testa, e finché le cose nella mia testa suonano bene, allora funzionano. In questo momento, baciare Fler in questo modo suona dannatamente bene, perciò chi se ne frega.
Lui ridacchia piano, quando mi decido a lasciarlo in pace.
- Siamo distesi sull’isola della cucina, Chaku. – mi fa notare ironico, - È, tipo, la cosa più ridicola che abbiamo mai fatto.
- …ridicolo non era esattamente quello che stavo pensando. – borbotto, abbattendomi esasperato contro la sua spalla.
Lui ride e mi lascia un bacio sulla nuca.
- E cosa pensavi? – chiede.
Mi sollevo a baciarlo ancora.
- Fai tu. – rispondo, - Sei stato bravo.
Mi aspetterei, non so!, della riconoscenza. O anche dell’imbarazzo. Lui, invece, mi scoppia a ridere in faccia. Non capisco perché Fler rida sempre, quando cerco di fargli un complimento. È una cosa frustrante, dovrebbe smetterla. Anche perché così non so mai se il complimento l’ha recepito o l’ha preso per una buffonata a caso.
- Bravo?! – rincara la dose, asciugandosi una lacrima di divertimento dall’angolo di un occhio, - Sono stato bravo? Oh, cielo…
- Be’, magari se la pianti… - biascico contrariato, sollevandomi sui gomiti per guardarlo dall’alto con maggiore disapprovazione.
- Scusa, scusa… - continua a ridacchiare lui, - È che boh… non ti suona allucinante?
Lo sfioro con un dito lungo il profilo dello zigomo e del mento. Lo guardo per bene, lo guardo negli occhi.
- Dovrebbe? – chiedo. E sono abbastanza serio da costringerlo a smettere di ridere.
Lui si solleva a baciarmi profondamente, attirandomi a sé per la nuca. Be’, può anche ridere, se dopo chiede scusa così, eh.
- Il guaio è che dovrebbe. – risponde poi, stiracchiandosi pigramente sotto di me e sistemandosi per non dovermi per forza chiedere di spostarmi, - Però non suona davvero allucinante neanche a me. Dici che è un problema?
Dico, pensando al casino in cui siamo immersi, che sì, è un problema enorme.
Dico anche che al momento non mi frega, però.
Il mio bacio vuol dire questo. Negli occhi troppo chiari di Fler, quando ci separiamo, leggo che l’ha capito. Il sospiro un po’ scocciato che rilascia ne è la conferma. Il fatto che non vada via, però, è un incoraggiamento niente male.