Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Freddo/Libanese.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, Angst, Spoiler fino alla 1x08.
- "Il suono che ha sentito ricorda quello di un campanello. È come sentir suonare la sveglia."
Note: Mah, in origine tutto ciò doveva risultare in qualcosa di molto più violento XD Tanto per cominciare, i due bei tomi qui dovevano picchiarsi. Alla fine non l'hanno fatto, e per farmi capire se intendevano copulare o meno ci hanno messo tre giorni. No, dico. Vi pare? *li scappellotta tutti e due*
Scritta per il P0rn Fest @ fanfic_italia, su prompt ROMANZO CRIMINALE Freddo/Libanese, “Underneath your clothes (…) there's my territory.” ('Underneath your clothes' - Shakira).
Pairing: Freddo/Libanese.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, Angst, Spoiler fino alla 1x08.
- "Il suono che ha sentito ricorda quello di un campanello. È come sentir suonare la sveglia."
Note: Mah, in origine tutto ciò doveva risultare in qualcosa di molto più violento XD Tanto per cominciare, i due bei tomi qui dovevano picchiarsi. Alla fine non l'hanno fatto, e per farmi capire se intendevano copulare o meno ci hanno messo tre giorni. No, dico. Vi pare? *li scappellotta tutti e due*
Scritta per il P0rn Fest @ fanfic_italia, su prompt ROMANZO CRIMINALE Freddo/Libanese, “Underneath your clothes (…) there's my territory.” ('Underneath your clothes' - Shakira).
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UNDERNEATH YOUR CLOTHES
ROMANZO CRIMINALE Freddo/Libanese, “Underneath your clothes (…) there's my territory.” ('Underneath your clothes' - Shakira)
Libano è immobile, appoggiato alla porta in ferro del garage, con la giacca aperta e le maniche tirate su fino al gomito nonostante sia notte fonda e il piazzale sia spazzato da un vento gelido e impietoso che sulle colline, mentre Freddo guardava le stelle seduto per terra accanto al Nero, non c’era.
- È stata bella la festa? – gli chiede, tirando fuori le chiavi ed aprendo la porta. Il Libanese non risponde, ma Freddo non resta in attesa dei suoi comodi: entra in casa e si lascia la porta aperta alle spalle. Se vuole entrare, entrerà. Se non vuole entrare, andrà via. Lui, al massimo, ripasserà più tardi davanti alla porta per chiuderla.
Mentre il Libanese resta immobile a scrutarlo dalla soglia, Freddo sfila gli stivali e li manda a sbattere con due calci identici contro la parete in fondo. Toglie la giacca e la camicia, sbottona i jeans e poi si dirige scalzo verso il piano cottura, dove comincia a preparare la caffettiera. Non ha alcuna voglia di dormire, d’altronde non ha quasi fatto altro, in galera, quando non era impegnato a pestare gente per il solo gusto di ricordarsi che, come tutti loro, era venuto fuori anche lui dalla stessa merda.
Il Libanese finalmente si decide a entrare, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo pesante che riecheggia per tutto il garage. Freddo avvita la caffettiera e la mette sul fuoco. La fiamma alimentata dal gas produce un suono rilassante, come un soffio leggero. Freddo si appoggia al frigorifero e socchiude gli occhi, attendendo che l’aria si riempia del familiare e piacevole odore del caffè.
Il Libanese si ferma a guardarlo dall’altro lato del tavolo, immobile in mezzo alla stanza.
- Te te sei divertito? – gli chiede invece di rispondere alla sua domanda, incrociando le braccia sul petto.
Freddo lo guarda, senza muoversi dal punto in cui si trova. La caffettiera fischia un po’, il caffè comincia ad uscire depositandosi sul fondo in un gorgoglio sommesso. La notte, di fuori, è buia. Per quello che ne sa, potrebbero essere gli ultimi uomini rimasti al mondo, perché gli occhi del Libanese ardono di rabbia in un modo che glielo fa quasi immaginare mentre ammazza a colpi di pistola chiunque incontri sulla sua strada mentre si dirige verso il garage, solo per buttare fuori un po’ di frustrazione.
- Sì, me so’ divertito. – risponde con un mezzo sorrisetto sarcastico. – Che voi, Libano? – gli chiede quindi, spostando il peso del corpo da un piede all’altro mentre spegne il fornello sotto la caffettiera ormai piena, - La serata nun è finita bene? La mignotta che te sei portato a casa nun è stata capace? Che ce stai a fa’ in casa mia a quest’ora?
Libano scatta in avanti, divorando in un passo lo spazio che lo separa dall’isola, e batte entrambe le mani bene aperte sulla superficie del tavolo, sporgendosi in avanti con aria minacciosa. Inspira ed espira profondamente, prima di parlare, però. Perché anche lui sa che le parole possono essere pericolose.
- Ce lo sai chi era quello che te sei portato ‘n giro stanotte? – gli chiede, la voce calma ma scossa da un tremito profondo che solo chi lo conosce bene può riconoscere per il pericolo che rappresenta. Freddo si mette dritto, avvicinandosi al tavolo ed appoggiandosi esattamente com’è appoggiato il Libanese, le mani bene aperte, le braccia larghe ai lati del corpo. Si sporge verso di lui e i loro visi sono tanto vicini che potrebbero prendersi a testate annuendo.
- Sì. – risponde seccamente. Libano ringhia.
- Allora sai pure che è stata corpa sua si sei finito ar gabbio. – dice. Freddo sbuffa una mezza risata sarcastica.
- Ce lo so sì. – annuisce, allungandosi a recuperare una tazzina (una, solo per se stesso) e riempiendola di caffè. – E so pure che si nun era pe’ lui ar gabbio ce restavo pure.
- Ma che cazzo stai a di’? – grugnisce il Libanese, allontanandosi dal tavolo e facendo il giro per raggiungerlo davanti al piano cottura, - Che quello se n’è tornato cor rischio de fini’ ar gabbio pe’ vent’anni per bontà de cuore? A Fre’, ma che te credi? Chi pensi che t’ha fatto tira’ fori de là, er Nero? Ma te lo racconti solo o ce stai pure a crede?
- L’avvocato è stato abbastanza chiaro. – insiste Freddo, bevendo un sorso di caffè per poi mettere via la tazzina ancora bollente. Rischia di andargli tutto di traverso, stasera, e il caffè non è buono come aveva sperato. Troppo amaro, in una giornata che già di amarezza ne aveva avuta abbastanza. – Mentre io me ne stavo chiuso là dentro, voi stavate a chiederve si dovevate continua’ a cercare. Dimme ‘n po’, Libanese, quanto c’avete messo a decide che dovevo esse stato pe’ forza io a rapina’ quella banca? Er Freddo se ne sta troppo pe’ le sue, nun se fa più vede’ tanto, sicuro ha deciso de farse ‘n po’ di sordi da solo. Mentre quello stronzo di Scialoja me rompeva er cazzo da mattina a sera voi stavate ad apri’ bische pe’ mettece dentro i servizi segreti. Te dovrei di’ grazie? Voi questo? Perché si voi questo fai prima ad annartene a fanculo, Libano, te lo dico mo’.
- Ma statte ‘n po’ zitto, stronzo. – dice il Libanese dopo aver aspettato che lui abbia finito. La sua voce è bassa, perfino controllata, per quanto possibile, ma tradisce la sua furia. Solleva un braccio e lo afferra per il collo, senza violenza, stringendo abbastanza da dargli l’impressione di poter respirare solo quando lo decide lui, ma senza mai mozzargli il respiro per davvero. Freddo prova ad indietreggiare, ma incontra subito la superficie fredda del frigorifero con la schiena. Il Libanese stringe un po’ la presa attorno al suo collo, Freddo solleva il mento e digrigna i denti, e lo guarda. – L’artri l’hanno pensato, che potevi esse stato solo tu. Io no, però. So’ andato all’EUR a feri spianati, Fre’, a spaventa’ i regazzini pe’ fa’ sape’ in giro che Libano stava a cerca’ er Nero. Pensi che quello se sarebbe fatto vede’, si nun lo cercavo io? Io solo l’ho cercato. Te puoi pure nun ringraziamme, si nun voi, ma nun t’attacca’ ar culo der pischello, Fre’, perché questo nun me lo poi fa’.
Freddo gli pianta le mani sul petto, spingendolo con forza lontano da sé. Lo guarda con occhi furiosi, che brillano di qualcosa di molto simile all’odio. Per un secondo, il Libanese ne è intimorito. Poi ricorda chi è, ricorda che non c’è niente di cui debba avere paura – non c’è niente di cui possa avere paura, se vuole rimanere se stesso, se vuole trattenere tutto ciò che possiede, se vuole trattenere lui – e ricambia l’occhiata con la stessa rabbia. Si avvicina, Freddo prova a spintonarlo ancora ma lui oppone resistenza, e quando lo afferra per le spalle non ci pensa neanche due volte, prima di scaraventarlo nuovamente contro il frigorifero.
Freddo geme di dolore, un sussurro appena udibile che scivola faticosamente fra i denti digrignati e le labbra tese, e da dietro lo sportello giunge il tintinnio incerto delle bottiglie d’acqua che cozzano l’una contro l’altra. Il Libanese spalanca gli occhi, le mani ancora pressate con forza contro le sue spalle. Il suono che ha sentito ricorda quello di un campanello. È come sentir suonare la sveglia.
Guarda il Freddo e gli sembra di vederlo per la prima volta, guarda il Freddo come l’ha guardato la prima volta che hanno parlato sul serio in macchina, mentre gli spiegava cos’aveva in mente per il barone Rosellini, guarda il Freddo come l’ha guardato nel momento in cui tutti credevano che fosse scappato col riscatto e invece lui s’è presentato coi soldi al loro posto nella borsa, guarda il Freddo come l’ha guardato quella volta che s’è preso una pallottola per lui, guarda il Freddo come l’ha guardato tre giorni dopo svegliandosi presto dopo aver dormito sul divano, è andato in camera da letto e l’ha trovato ancora profondamente addormentato, e lì c’è rimasto i minuti, e s’è mosso solo quando l’ha sentito cominciare a svegliarsi, non prima di averlo guardato abbastanza a lungo da impararlo a memoria, lo guarda come allora, come lo guarda sempre, ma di più, e quando si accorge che il Freddo gli ricambia lo sguardo nello stesso identico modo trattiene il respiro e si fa avanti.
Incontra le sue labbra, le bottiglie oltre lo sportello tintinnano ancora, e Freddo non si scosta, sebbene Libano non sappia dire se non si scosti perché non vuole o semplicemente perché, schiacciato contro il frigorifero, non può. Non si muove ma non risponde neanche, e il Libanese ha di nuovo paura di cose che non può e non sa dire. Stringe la presa sulle sue spalle ancora per un secondo prima di scivolare lungo le sue braccia, giù fino ai polsi, e poi lo afferra alla vita, premendogli le dita nei fianchi con la speranza di fargli male, di costringerlo al gemito che lo obbligherebbe a schiudere le labbra. Confuso e arrabbiato e impaurito com’è, non gli importa di doverlo ingannare o di doverlo costringere con la forza, per assaggiare il suo sapore.
Il Freddo non geme, però. Forse nemmeno si fa male. Forse nemmeno lo sente. Libano aggrotta le sopracciglia, ha gli occhi chiusi ma ha l’impressione di potere indovinare la sua espressione, impassibile e fredda come il suo nome comanda. Non vuole vederla. È per questo che continua a tenere le palpebre abbassate anche quando si arrende – è la prima volta nella sua vita che si arrende, fa male, lo fa sentire debole e stupido – e si allontana da lui.
In risposta al movimento, le bottiglie nel frigo tintinnano ancora, per la terza volta, ed è allora che le mani del Freddo scattano in avanti, afferrandolo alla nuca e tirandoselo contro. S’è svegliato anche lui, ma il Libanese non ha tempo né modo di pensare a cosa questo possa significare, perché in un secondo si trova tutto schiacciato contro di lui, che è duro e lo tocca con ansia crescente, stringendolo con la stessa forza dolorosa con la quale l’ha stretto lui poco fa. Si allontana solo per prendere fiato, schiude gli occhi e il Freddo i suoi li ha chiusi da un pezzo, perciò li richiude anche lui, sbatte un pugno rabbioso contro lo sportello, le bottiglie fanno da colonna sonora al danno enorme in cui si stanno perdendo e Freddo sussulta, strusciandosi lentamente contro una sua gamba, appoggiando la fronte sulla sua.
Il Libanese trattiene il respiro e decide di lasciar perdere i pensieri su ciò che dovrebbe fare, che tanto non ha mai badato alla propria coscienza, nemmeno una volta da quando è nato, al punto da essere arrivato a pensare di non avercela proprio, una coscienza, per cui non vede per quale motivo la stronza dovrebbe farsi vedere proprio adesso, invece, proprio mentre è con Freddo e lo sta baciando e da qualche parte nel suo cervello ancora non troppo bruciato dalla droga c’è una vocina che gli dice che non dovrebbe, che sarà un casino, e lui sceglie deliberatamente di non ascoltarla, premendosi contro Freddo ed afferrando il suo maglione dall’orlo inferiore, per strattonarlo senza la minima delicatezza verso l’alto, sfilandoglielo dal capo.
Le testa di Freddo ne riemerge scompigliata, ha le guance arrossate e gli occhi lucidi e scuri, il Libanese è senza fiato e si vergogna di trovarlo tanto bello, ma si strappa via la camicia di dosso e gli si preme contro perché vuole sentire sulla propria pelle quanto è caldo, vuole sentirsi desiderato da lui, vuole sentire le sue mani chiudersi con forza attorno ad una qualsiasi parte del suo corpo per illudersi almeno per qualche minuto che tutto ciò di cui ha paura non si verificherà mai, e il Freddo non si sta veramente allontanando, e il Freddo non lo sta veramente abbandonando, e lui non glielo sta veramente lasciando fare perché ha troppa paura di parlargli per provare ad impedirlo.
Lo afferra per i capelli per tenerlo fermo, lo bacia ancora per occupare i pensieri di lui, Freddo geme nella sua bocca e gli accarezza le spalle, le braccia, la curva della schiena, e quando poi si scosta e subito dopo gli si schiaccia nuovamente addosso, con più forza, Libano inspira profondamente, si separa da lui con uno schiocco umido e gli infila una mano nei pantaloni. Freddo spalanca gli occhi, terrorizzato, e geme d’ansia e piacere quando le sue dita si chiudono attorno all’erezione che gli pulsa fra le cosce.
- Libano. – lo chiama senza fiato, gli occhi liquidi e brillanti, e il Libanese lo bacia ancora, più lentamente, adattando i propri movimenti al ritmo col quale Freddo si spinge nel suo pugno chiuso. Non si stupisce quanto dovrebbe quando sente le mani del Freddo scivolare giù lungo il suo petto e attaccare la cintura dei suoi pantaloni. Le sue dita fredde e un po’ tremanti disfanno la fibbia e sfilano il bottone dall’asola, tirando giù la cerniera prima di avanzare esitanti oltre l’orlo degli slip. Il Libanese lo chiama per nome quando Freddo sfiora appena la punta del suo cazzo teso, e si spinge istintivamente contro di lui, mandandolo a sbattere un’altra volta contro il frigorifero. Come tutte le volte prima, il frigorifero risponde col solito tintinnio consapevole e complice. Per la prima volta, invece, risponde anche Freddo. Dice solo “sì”, ma è sufficiente.
Lo afferra per i fianchi e prova a farlo voltare. Il Freddo oppone resistenza, lo guarda come se non avesse idea di cosa gli stia chiedendo, e il Libanese pensa che in realtà non ne ha idea lui per primo. Lo bacia piano, sporgendosi verso le sue labbra in un gesto appena accennato. Non è che uno sfregamento lievissimo, ma dà i brividi a entrambi. Quando il Libanese prova a farlo voltare un’altra volta, sa esattamente cosa gli sta chiedendo, e lo sa anche Freddo. Che trattiene il respiro e serra le labbra, lo guarda come a chiedergli se ne sia proprio sicuro, si fa strattonare piano senza muoversi ancora per un paio di volte e poi, finalmente, si gira, le mani aperte sullo sportello del frigorifero che trema violentemente quando Libano gli si schiaccia addosso da dietro, invitandolo a schiudere le gambe con un colpetto dietro le ginocchia e scivolando lungo il suo petto e la sua pancia fino ad afferrare nuovamente la sua erezione ancora costretta dentro le mutande.
Freddo appoggia la fronte contro il frigo e chiude gli occhi, espira rumorosamente dalla bocca e fra le sue labbra scivola un sospiro che è un gemito e una lamentela insieme. Libano stringe i denti, esita, e Freddo gli dice di darsi una mossa. E lui sorride, appoggiando la fronte alla sua spalla, mentre gli fa scivolare i pantaloni lungo le gambe magre e tese e poi si inumidisce con un po’ di saliva, mordendosi un labbro quando riesce finalmente a premersi contro la sua apertura e comincia ad intuirne il calore e la pressione.
Gli appoggia una mano su un fianco per cercare di tenerlo fermo, ma mentre sta lì a chiedersi come, e dove, e quando, ma non perché, perché quello lo sa già, Freddo gioca d’anticipo, è più veloce di lui e gli si preme addosso, accogliendolo con fatica nel proprio corpo con un gemito che gronda dell’eco di un dolore strano, di quelli che ti infliggi perché sai di volerli, quei dolori di cui ti piace soffrire, quei dolori che vuoi nella tua vita nello stesso modo assurdo in cui, arrivato a un certo punto, dopo gli anni e le sofferenze e i problemi e i cazzi al culo e le cose che non vanno mai come uno vorrebbe, cominci ad aspettare la morte come una soluzione. La stessa che hai rincorso e dalla quale sei fuggito per tutta la tua esistenza.
Da quanto stanno fuggendo, loro due? Dove si sono persi, prima di riuscire a ritrovarsi in quella cucina, sulla colonna sonora delle bottiglie in frigo e dei loro gemiti che impregnano l’aria come l’odore dei loro corpi che si sfregano velocemente l’uno contro l’altro?
Si fa strada dentro il suo corpo senza delicatezza, lo sente aprirsi al passaggio mugolando a bassa voce, e ringhia di gola mentre la pressione attorno alla sua erezione si fa sempre più alta, quasi dolorosa. Freddo cerca qualcosa a cui aggrapparsi ma non trova niente, si appoggia al frigorifero consapevole che se non ci fosse scivolerebbe a terra, e Libano cerca di spingersi dentro di lui con accortezza, muovendosi piano, ma i respiri sempre più concitati di Freddo non lo aiutano a mantenere la calma, perciò stringe le dita attorno alla sua erezione mentre Freddo contrae i muscoli attorno a lui in uno spasmo incontrollabile, e il Libanese aumenta il ritmo delle proprie spinte e delle proprie carezze perdendo consapevolezza di tutto il resto, al punto da non sapere più chi insegua cos’altro, se siano i suoi movimenti a inseguire il respiro di Freddo o se siano i suoi ansiti affaticati, invece, a inseguire le sue anche mentre scattano avanti e indietro, riempiendo l’aria del suono nuovo e sorprendente delle loro pelli che schioccano sbattendo ritmicamente l’una contro l’altra.
Affonda i denti nella sua spalla solo per un secondo, mentre si riversa dentro di lui con un’ultima spinta cercando di ignorare lo schizzo di piacere del Freddo che si intuisce appena sullo sportello del frigorifero, bianco su bianco, una cosa che c’è ma non la vedi, la senti al tatto ma per farlo ti devi avvicinare, che se ti affidi agli occhi apposta per starne lontano è come se non esistesse.
Gli si appoggia addosso, stremato, aderendo perfettamente alla sua schiena ancora inarcata. Lo sente ansimare faticosamente sotto di sé e sa di stare ansimando nello stesso modo. Sa che dovrebbe allontanarsi, dargli spazio per ricominciare a respirare più facilmente, ma continua a tenerlo stretto, le braccia serrate una attorno al suo petto ed una attorno al suo stomaco, e sa che adesso, esattamente come prima, quando l’ha afferrato al collo, sta solo cercando di dargli l’illusione di poter vivere solo alle sue dipendenze. Sono l’aria che respiri, suggeriscono le sue mani mentre lo stringono e lo stringono fin quasi a soffocarlo, lontano da me non vivi. Ed è una menzogna, naturalmente, perché la verità è che gli basterebbe allontanarsi dalla sua stretta soffocante per tornare a respirare con molta più libertà. Ma Libano non vuole che Freddo se ne accorga, perciò non lo lascia andare.
Freddo se n’è già accorto, naturalmente. Se n’è accorto mesi fa, quando ha sentito gli occhi del Libanese addosso per la prima volta, mentre stavano in macchina e gli spiegava dei suoi piani per il barone Rosellini, se n’è accorto nel momento in cui gli ha piantato addosso gli occhi quando tutti pensavano che fosse scappato coi soldi del riscatto e invece lui si è presentato al bar con tutti i soldi a posto nella borsa, se n’è accorto per come l’ha visto guardarlo con terrore palese quando è stato ferito per lui e se n’è accorto quella mattina che era prestissimo ma lui era già sveglio e si rifiutava di tenere gli occhi aperti solo per illudersi di poter restare in quel letto ancora qualche ora di più, e il Libanese s’è alzato dal divano sul quale aveva dormito quella notte e pure tutte le notti precedenti e s’è fermato a guardarlo per minuti interi, ore, eternità, e quindi Freddo lo sa, lo sa che ha un piede in una trappola e l’altro già mezzo in una fossa, lo sa che dovrebbe fare solo un passo e allontanarsi del tutto, lo sa che così risolverebbe almeno una parte dei suoi problemi. Ma lui è l’aria che respira, lo è davvero anche se per la maggior parte del tempo lo soffoca. È per questo che non si muove. È per questo che resta lì dov’è.