Genere: Introspettivo, Romantico, Triste.
Pairing: Bill/Bushido, Fler/Bushido.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Slash.
- "Lui ha annuito e mi ha baciato ancora. E, poco prima di prendermi, lì sul divano, mi ha sussurrato sulle labbra “sono felice, piccolo, sai?”. Io ho sorriso e gli ho risposto “anche io lo sono”. Parlavamo chiaramente di due felicità diverse."
Note: Quando io scrivo qualcosa, o sto raccontando una storia (e allora ho una trama e vengono fuori come niente malloppi da trenta pagine minimo), o sto seguendo una suggestione. Questa oneshot rientra nel secondo caso, e quindi presumibilmente comincerò ad odiarla non appena la ricopierò al pc (al momento sto scrivendo sul mio bellissimo squadernino Muji da 7mm, in ufficio di mamma). Ora come ora, comunque, provo per lei una discreta quantità di affetto. Perché è piccola ma, pur nel suo essere così sospesa, la trovo completa: senza raccontare quasi niente, descrive la fine di un amore e l’incerto inizio di un altro (anche se quest’ultimo dipende un po’ da quello che ci volete vedere voi XD Io, per dire, ce lo vedo; e sono felice così =P). Spero abbiate gradito ^^
Titolo rubato ad un verso di Back For Good dei Take That (non commentate, grazie XD). Storia partecipante a Temporal-mente. <3
Ps. Il 31 marzo è stato scelto perché pare che, proprio quel giorno lì, sia stata scattata questa foto. Il fangirling ha fatto il resto XD
Pairing: Bill/Bushido, Fler/Bushido.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Slash.
- "Lui ha annuito e mi ha baciato ancora. E, poco prima di prendermi, lì sul divano, mi ha sussurrato sulle labbra “sono felice, piccolo, sai?”. Io ho sorriso e gli ho risposto “anche io lo sono”. Parlavamo chiaramente di due felicità diverse."
Note: Quando io scrivo qualcosa, o sto raccontando una storia (e allora ho una trama e vengono fuori come niente malloppi da trenta pagine minimo), o sto seguendo una suggestione. Questa oneshot rientra nel secondo caso, e quindi presumibilmente comincerò ad odiarla non appena la ricopierò al pc (al momento sto scrivendo sul mio bellissimo squadernino Muji da 7mm, in ufficio di mamma). Ora come ora, comunque, provo per lei una discreta quantità di affetto. Perché è piccola ma, pur nel suo essere così sospesa, la trovo completa: senza raccontare quasi niente, descrive la fine di un amore e l’incerto inizio di un altro (anche se quest’ultimo dipende un po’ da quello che ci volete vedere voi XD Io, per dire, ce lo vedo; e sono felice così =P). Spero abbiate gradito ^^
Titolo rubato ad un verso di Back For Good dei Take That (non commentate, grazie XD). Storia partecipante a Temporal-mente. <3
Ps. Il 31 marzo è stato scelto perché pare che, proprio quel giorno lì, sia stata scattata questa foto. Il fangirling ha fatto il resto XD
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UNAWARE BUT UNDERLINED
"I never loved someone the way that I'm lovin' you." (Fallin' – Alicia Keys)
Nel momento in cui la mia vita è cambiata per sempre, io stavo festeggiando il compleanno di Georg. È un peccato che, come punto di riferimento, io abbia solo una data – il trentuno marzo duemilanove – e non anche un orario – che ne so, le nove, le dieci, le undici di sera – perché se avessi quello potrei anche dire esattamente che cos’è che stavo facendo in quel preciso attimo. Se erano le nove, per dire, stavo prendendo a scappellotti mio fratello perché lanciava occhiate fin troppo esplicite alla sorella di Gustav. Se erano le dieci, stavo sbocconcellando con aria annoiata delle tartine dal sapore orrendo. Se erano le undici, stavo cercando il cellulare in un delirio di borse e giacconi, e lo stavo cercando per chiamare Anis. Perché mi mancava, perché non lo sentivo da due ore e perché mi stavo annoiando al punto da desiderare il suicidio – o cominciare a fantasticare sulle sue mani che mi scorrevano addosso non più di dodici ore prima.
E invece niente. Invece non so che ore erano mentre Anis e Fler ricominciavano a parlare dopo anni di silenzio e guerra di bande, e quindi non saprò mai né a che ora precisamente sia andata a puttane la relazione più importante della mia vita, né che cazzo stessi facendo mentre tutto questo accadeva. E tutto ciò è ridicolo.
Anis non mi ha mai parlato di Fler. Non che avesse qualcosa da nascondere – o almeno credo – e non che non ne avesse voglia – Anis è uno cui va sempre di parlare, qualsiasi sia l’argomento in discussione. È che io non ho mai chiesto. Sinceramente, la cosa non mi ha mai interessato più di tanto. Mio fratello mi parlava di diss e scontri fra rapper ed io archiviavo il tutto alla voce “bambinate”. Come si fa a prendere sul serio un gruppo di uomini che si sfanculano via radio? È ridicolo, è ancora più ridicolo dei bambini che si fanno i dispetti spaccandosi i giocattoli a vicenda.
Per quanto Tomi potesse esaltarsi, e per quanto gli occhi di Anis potessero prendere a brillare quando c’era di parlare del suo passato all’Aggro Berlin ed a tutta la merda che s’erano buttati addosso fra di loro quando lui aveva deciso di andare via – quel milione di anni prima – per me rimaneva tutto troppo stupido, troppo infantile e, soprattutto, troppo distante per rappresentare un argomento interessante. Era una cosa, era accaduta, era antica: non c’entrava niente col mio presente, io ed Anis vivevamo insieme in una villa enorme, gialla, tremenda e bellissima, in uno dei quartieri più ricchi di Berlino. Cosa poteva avere a che fare la nostra vita meravigliosa con quel passato così stupido?
Quindi, d’accordo, lo ammetto. Forse in parte è anche colpa mia, se io e Anis ci troviamo in questa situazione, adesso. Forse avrei dovuto essere più curioso e attento, forse avrei dovuto interessarmi di più.
Ma ero innamorato. Anche Anis era innamorato, io lo so questo. E quando ami così vivi in mezzo alle certezze, sei forte dei tuoi sentimenti e convinto al cento per cento che non potranno mai venire meno.
Forse, anche se avessi saputo di Fler e di tutto ciò che il suo nome scatenava nella mente di Anis, non sarei comunque riuscito ad accorgermi di quello che stava succedendo. Probabilmente neanche Anis se n’è accorto, probabilmente è solo successo. E nessuno avrebbe potuto farci proprio un bel niente.
La cosa più assurda di tutte è che io, Fler, non l’ho nemmeno mai incontrato. Non fosse un rapper famoso, non saprei nemmeno che faccia ha e non conoscerei neppure il suono della sua voce. Anis ci ha tenuti separati come era giusto facesso fin dal principio, perché Anis è uno attento a queste cose, smista bene ogni oggetto che possiede e lo tiene chiuso nel proprio universo di appartenenza. Fler veniva dal ghetto, e lì è rimasto, anche se non so dove viva adesso e dubito fortemente che stia in un appartamento diroccato in quel di Tempelhof.
Io, comunque, col ghetto nella testa di Anis non c’entravo niente. E infatti ne sono rimasto fuori.
Quando mio fratello mi ha riaccompagnato alla villa, dopo la festa di Georg, Anis non era ancora tornato a casa. Ho sbuffato pesantemente, perché odio che non sia a casa quando torno. C’è quasi sempre, d’altronde, mi sarà capitato di non trovarlo solo un paio di volte. E poi non mi sono certo trasferito da lui per non trovarlo.
Comunque, insomma, lui non c’era, perciò io ho fatto la doccia, ho scrostato via dalla faccia quei due chili di trucco sfatto che la impiastricciavano, mi sono cambiato e mi sono arrotolato sul divano di fronte alla televisione. Anis ha un televisore da centottanta pollici che credo sia illegale. Qualsiasi cosa, vista su uno schermo tanto grande, sembra incredibile ed enorme. La pubblicità di una marca di grissini con in sottofondo una colonna sonora firmata Hans Zimmer può sembrare la cosa più epica del mondo, anche se tutto ciò che vedi è un nonnino che passa attraverso un campo di grano accarezzando ogni spiga neanche fosse un nipote. Non è questione di quello che vedi, è questione di come lo vedi, di quanto nitidi e vividi sono i colori, di quanto è chiara la risoluzione del video, di quanto è alto il volume che le casse parietali ti sparano dritto nelle orecchie. Se riesci a farti prendere dalla sensazione fisica che ciò che stai guardando costringe il tuo cervello a provare, è molto probabile che tu ti ci perda dentro e poi fatichi ad uscirne. Soprattutto se sei molto stanco.
Io sono stato particolarmente sfigato e, subito dopo la pubblicità dei grissini, ho beccato gli ultimi venti minuti di Matrix Revolution. Non potete capire che esperienza extrasensoriale sia guardare quel film su un televisore come quello, finché non lo provate. È una cosa più che epica, è una cosa esagerata, quasi eccessiva. A me piacciono da morire le cose esagerate ed eccessive, tant’è che sono come sono, adoro mio fratello e, quando mi sono innamorato, mi sono innamorato di Anis.
Insomma, sono rimasto lì sul divano a stordirmi di Keanu Reeves, e quando Anis è tornato a casa non me ne sono nemmeno accorto. Non ho sentito girare le chiavi nella porta, non ho sentito la porta aprirsi e richiudersi, non l’ho neanche sentito muovere i primi passi all’interno della casa. Mi sono accorto di lui solo quando il divano s’è mosso sotto di me, il profumo dell’aria è cambiato ed ho sentito la sua voce bassa e un po’ roca chiedermi “Di nuovo ipnotizzato, piccolo?”.
La sua voce mi ha riportato sulla terra, perciò mi sono riscosso e mi sono voltato a guardarlo, mugolando scontento come faccio sempre quando pretendo le coccole arretrate, e lui ha sorriso e spalancato le braccia. Quando mi sono spalmato contro di lui, gli ho annusato addosso l’odore acre del kebab, ed ho storto il naso.
- Dove sei stato? – gli ho chiesto in un altro mugolio stanco. E poi, senza aspettare che mi rispondesse e fosse lui a ricambiare la domanda, gli ho raccontato la mia serata. – La festa di Georg è stata noiosa, come tutto ciò che ha a che fare con Georg. Non vedevo l’ora di andarmene, e tra l’altro deve aver scelto il servizio di catering peggiore di tutta la Germania, perché ho mangiato delle tartine così orribili che ne sento ancora il saporaccio sulla lingua. – ho sospirato profondamente, - E ora non posso nemmeno chiederti di mandarlo via, perché sicuramente saprai di cipolla, olive e spezie. Sei tremendo.
Anis ha riso piano fra i miei capelli e mi ha stretto più forte, accarezzandomi lentamente le braccia.
- Io sono uscito con Ali ed altri ragazzi. – ha risposto quindi, visto che gli stavo lasciando il tempo di farlo.
Io ho sbuffato.
- Lo sapevo che doveva essere colpa di qualche arabo. – ho borbottato stancamente, - Quale figlio di non so che cugino “non-di-sangue-ma-fa-lo-stesso” sta per sposarsi, questa volta?
Anis ha riso ancora, più forte.
- Niente del genere, piccolo. – ha scosso il capo, - Però io e Fler avevamo bisogno di parlare e lui sapeva che non avremmo potuto farlo in campo neutro. Mi doveva del vantaggio.
Ho sollevato gli occhi, fissandolo imbronciato.
- Giocate ancora a farvi la guerra? – ho biascicato stancamente. Anis ha riso di nuovo, accarezzandomi il collo ed attirandomi a sé per un bacio umido e svelto.
- Abbiamo appena smesso. – ha risposto quindi, ma io non ho realizzato cosa questo potesse significare, perché lui mi aveva appena baciato e, anche se sapeva davvero di kebab, quando Anis mi bacia io smetto di pensare. Mi ha respirato un po’ fra le labbra e si è allontanato appena, poggiando la fronte contro la mia. - …se vuoi vado a lavarmi i denti. – ha suggerito dolcemente, con un mezzo sorriso.
Io ho scosso il capo.
- Vai benissimo così.
Lui ha annuito e mi ha baciato ancora. E, poco prima di prendermi, lì sul divano, mi ha sussurrato sulle labbra “sono felice, piccolo, sai?”. Io ho sorriso e gli ho risposto “anche io lo sono”. Parlavamo chiaramente di due felicità diverse.
Anis non è mai veramente cambiato, nel corso delle ultime settimane, e non sono cambiato neanche io. Non è stato come svegliarsi una mattina e scoprire di non volere più niente dall’uomo che mi dormiva accanto.
Uccidere l’amore non è tanto facile. È un sentimento persistente. Ci vuole del tempo. È un processo lungo. L’amore non lo devasti in un colpo, perché anche di fronte alle cose peggiori l’amore non scompare. Non è una bomba, non puoi farlo esplodere, contare i danni e constatare che non ne è rimasta traccia.
L’amore lo logori poco a poco. Lui c’è, continua a resistere fino all’ultimo. Quando lasci la persona che hai amato, in quel preciso momento l’ami ancora. E le ultime tracce di quel sentimento continui a tenertele dentro, finché non le piangi.
Il nostro amore l’ha ucciso un uomo con cui io non ho mai avuto nemmeno il piacere di parlare. L’ho solo visto crescere negli occhi di Anis, nei suoi continui ritardi, nelle sue mezze risposte confuse e nel suo nome che si affacciava sempre più spesso sulle sue labbra.
Non credo che Anis fosse mai stato innamorato, prima di innamorarsi di me. Il problema di quando t’innamori una volta, comunque, è che la volta successiva, se ricapita, lo riconosci. Anis deve averlo capito, quando è successo. Quando il battito del suo cuore ha cambiato ritmo. Quando il suo nome sulla lingua ha cambiato gusto. Quando i suoi colori hanno cominciato a significare più di quanto non fosse pronto ad ammettere. Anis deve averlo capito per forza.
Io non l’ho realizzato finché non gli ho sentito addosso un sapore che non era mio e non era nemmeno nostro. Non l’ho realizzato, in sostanza, fino a questo preciso momento.
- L’hai baciato? – parlo, ma non riconosco il suono della mia stessa voce.
Neanche Anis lo riconosce, o forse semplicemente non crede che possa davvero averglielo chiesto.
Deglutisce pesantemente, guardandomi negli occhi.
- Ma che dici, piccolo? – chiede con una certa tenerezza, sporgendosi per baciarmi ancora. Io lo fermo, piantandogli una mano sul petto. Non voglio sentirlo di nuovo, questo sapore sconosciuto.
- L’hai baciato. – ripeto, e stavolta non è una domanda. La domanda viene dopo. – Perché?
Anis non protesta. Non riesce neanche a reggere il mio sguardo. E dire che mi sto impegnando tanto per non piangere. Non voglio che si senta in colpa, voglio solo che mi dica come stanno le cose. Cosa intende fare di noi. Cosa intende fare di me.
- Anis… - lo chiamo piano, cercando i suoi occhi, - Perché? – e, visto che ancora non risponde, provo a rispondere io. – Lo ami?
Lo sento tendersi tutto a pochi centimetri da me. Quasi trema. Si inumidisce le labbra, sospira profondamente.
- È complicato, piccolo.
Complicato, dice lui. Non è esattamente quello che si dice delle cose semplici che però non vuoi risolvere?
- Prova a spiegarmelo. – insisto senza distogliere lo sguardo.
Lui lascia affiorare alle labbra un mezzo sorriso stanco.
- Non credo che ci riuscirei. – ammette poi in un sussurro, - Per la verità non riesco a spiegarlo nemmeno a me stesso, piccolo. Non saprei neppure dirti se è una cosa che c’è sempre stata o sia nata adesso. Non so nemmeno se mi piace, come puoi pretendere che sappia se lo amo?
- Non sai se ti piace? – annaspo a fiato corto. La semplicità con cui ne parla mi dà i brividi. – Ma l’hai baciato…
- Una cosa non implica l’altra, piccolo.
- L’hai baciato perché non avevi niente di meglio da fare?
- L’ho baciato perché volevo baciarlo, Bill. – risponde duramente, aggrottando le sopracciglia, - Questo vuol dire che adesso so di cosa sa e so che mi è piaciuto il suo sapore. Mi chiedi se lo amo? Non lo so, piccolo. Il bacio si è fermato molto prima che riuscissi a capirlo.
Inspiro ed espiro. Mi prendo tutto il tempo che mi serve.
- Io ti amo. – dico infine, - Non ho mai amato nessuno come amo te. Non sai se ami lui, d’accordo. Sappi però che io amo te. Quindi, adesso, è tua la scelta.
Anis mi guarda a lungo. Schiude le labbra ma non parla. Ricambio il suo sguardo e lo scruto attentamente, cercando da qualche parte nel fondo dei suoi occhi una qualche traccia di me.
Non la trovo.
Mi allontano trattenendo il fiato. Non penso di essere pronto a sentirmi dire che è meglio se porto via le mie cose.