Genere: Comico, Romantico.
Pairing: Vinicio/Francesco.
Rating: NC-17
AVVISI: Slash, Lemon.
- Da quando Giuliana (la bambina di cui s'è perdutamente innamorato in terza media) gli ha spezzato il cuore, Francesco Montanari non si è più innamorato. Vinicio Marchioni gli ricorda perché.
Note: Soffro ufficialmente nel dire che questa storia non ha alcun motivo d'esistere se non la mia palese follia XD Sarebbe bello poter riversare questo sproposito di parole nel counter dei miei fratelli del #teamAngeli, ma la triste verità è che questa shot è stata scritta tipo una decina di giorni fa, quando il COW-T non era ancora partito, motivo per il quale niente. E insomma. E' Francesco che parla. In prima persona. Forse dovevo metterlo fra i warning.
Pairing: Vinicio/Francesco.
Rating: NC-17
AVVISI: Slash, Lemon.
- Da quando Giuliana (la bambina di cui s'è perdutamente innamorato in terza media) gli ha spezzato il cuore, Francesco Montanari non si è più innamorato. Vinicio Marchioni gli ricorda perché.
Note: Soffro ufficialmente nel dire che questa storia non ha alcun motivo d'esistere se non la mia palese follia XD Sarebbe bello poter riversare questo sproposito di parole nel counter dei miei fratelli del #teamAngeli, ma la triste verità è che questa shot è stata scritta tipo una decina di giorni fa, quando il COW-T non era ancora partito, motivo per il quale niente. E insomma. E' Francesco che parla. In prima persona. Forse dovevo metterlo fra i warning.
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TU MI HAI INSEGNATO IL SOGNO
io voglio la realtà
Avevo deciso che ci avrei provato quella sera, perché per dirla tutta stavo aspettando anche da troppo tempo. Io non sono uno che con la pazienza ci si trovi bene, in genere, anzi, direi che la pazienza non è proprio il mio forte. Aspettare è fastidioso, soprattutto in questioni come queste, che non sai mai quando potrai smettere di farlo. Intendo, quando deve uscire un nuovo videogioco, un nuovo film o un nuovo album tu hai sempre, più o meno, una data, anche solo indicativa, ma comunque un giorno che puoi segnare in rosso sul calendario, e sai che quando quel giorno sarà arrivato tu avrai smesso di soffrire, perché ciò che stai aspettando finalmente sarà tuo e tu potrai, appunto, smettere di attenderlo.
Con le persone non è così, non è che quando io ho visto Vinicio per la prima volta (e mi è venuto un gran mal di testa perché avevo provato troppe cose, troppo intense e tutte insieme), io abbia visto spuntargli un cartellone enorme sopra la testa con sopra scritto “nei vostri cinema/nei migliori rivenditori/nei vostri supermercati il giorno tot del mese tot dell’anno tot”. Diciamo che queste cose non capitano mai, cioè, l’unico modo in cui sai quando potrai smettere di aspettare una persona è quando vi date appuntamento al pomeriggio per un caffè, non certo quando ti prendi una cotta spaziale, di quelle devastanti come le prime alle elementari, che ti pare che debba aprirtisi la terra sotto i piedi per quanto sei esaltato e depresso nello stesso momento, e non hai idea di quando e se, soprattutto se, l’altro potrà mai ricambiarti.
Insomma, inizialmente mi sono detto “aspettiamo”, perché comunque prima di muovermi in qualunque modo dovevo essere sicuro di ciò che provavo. Non mi era mai successo con un maschio, prima di quel momento. E anche con le femmine, in realtà, mi era successo piuttosto di rado. Non è che non avessi mai scopato con una donna, ovviamente, ma era dai tempi di Giuliana che non mi sentivo così scombussolato per una persona. Giuliana era la ragazzina che in terza media mi aveva spezzato il cuore dopo avermelo fatto palpitare per mesi e mesi confidandosi con me per ogni minima cavolata; ci era passata sopra come un carro armato con l’ennesima confessione: le piaceva il Pierpaolo, il figlio del dottor Pierpaoli, della terza C. Come faccia una a innamorarsi di uno che si chiama Pierpaolo Pierpaoli, che ha un padre che si chiama Pierpaolo Pierpaoli che a sua volta aveva un padre che si chiamava anche lui Pierpaolo Pierpaoli e che quindi, con tutta probabilità, chiamerà Pierpaolo Pierpaoli anche suo figlio, resta per me un mistero. Non tanto per te stessa, dico, se vuoi condannarti ad essere la signora Pierpaolo Pierpaoli buon per te, ma per amore del tuo futuro figlio. Che se vuoi chiamarlo Pierpaolo mi sta pure bene, ma almeno per cognome gli mettiamo Montanari. Pierpaolo Montanari suona pure bene.
Comunque. Lei mi aveva spezzato il cuore ed io non mi ero mai più sentito così preso da nessun altro, finché non avevo incontrato Vinicio. Vinicio mi piace un sacco e non vi saprei dire perché. Cioè, a parte il fatto che è bellissimo, che quando parla mi sento la sua voce rimbombare nel petto, che a volte mi ritrovo a fissare le sue labbra per minuti interi solo perché mi piace la forma che hanno, che nei suoi occhi vedo spettacoli più belli di quelli offerti dal cielo romano quando è terso d’estate e ti mostra tutte le stelle del firmamento che danzano con le loro lucine fioche sullo sfondo del manto blu scuro della notte, e qui mi fermo perché sto diventando melenso. Ecco, visto? Io non sono uno melenso, ma quando penso a Vinicio un po’ lo divento, ed è una cosa stranissima perché lo faccio senza accorgermene. Giuliana mi faceva la stessa cosa, nel senso che io non sono uno a cui piaccia ascoltare, per dire, ma lei, oh, lei, potevo ascoltarla per ore descrivermi il vestito nuovo della Barbie Magia delle Feste che suo papà le aveva regalato per Natale, e non mi annoiavo per niente. Cambiare senza accorgersene, farlo volentieri, senza essere forzati da qualcun altro. Penso che sia questo, l’amore, alla fine. Questo, o qualcosa di molto simile.
Questa cosa, comunque, va avanti da mesi. Con Vinicio – esattamente come con Giuliana a suo tempo – è stata una cosa immediata, un’esplosione di fuochi d’artificio la prima volta che l’ho visto. Quindi capirete che già aspettare fino alla fine della seconda serie di Romanzo Criminale era stata una cosa abbastanza snervante. Non so se avete presente che quella serie c’ha messo tre anni a concludersi. Ecco.
In pratica, è successo che mentre io mi prendevo i primi mesi per crogiolarmi nella sensazione ormai quasi dimenticata dell’essere innamorato, e cercavo di capire se lo ero davvero o meno, anche Vinicio ha usato lo stesso lasso di tempo per fare esattamente la stessa identica cosa. Solo, non con me, ma con Alessandra.
La notizia l’hanno data alla fine della giornata in cui avevamo girato l’episodio in cui Freddo e Roberta si mettevano insieme. Loro hanno sganciato la bomba con molto tatto, come fosse del tutto inattesa, ma io l’avevo capito già da un pezzo. Certe volte ti basta guardare le persone che ami per capire anche le più piccole sfumature delle loro espressioni e dei loro gesti, e quel giorno, girando la scena al Luna Park, loro non stavano fingendo, e io l’avevo capito subito.
Mogio mogio, mi ero ritirato nel mio angolino di tristezza e solitudine. Vinicio non mi aveva spezzato il cuore come la Giuliana ai tempi, ma un po’ anche sì. Certo, non mi aveva utilizzato come scendiletto e diario segreto per due anni prima di dirmelo, ed anzi in realtà non mi aveva detto proprio un bel niente, non a me solo, quantomeno, ma era stato doloroso lo stesso, e il senso di perdita era stato forte allo stesso modo. In più, lui e Alessandra erano carini, insieme, e sembravano un sacco felici, anche. Come facevo a pestare i piedi e dire che non mi andava che stessero insieme? Che lui poteva anche non ricambiarmi, mi stava bene, ma che almeno non si mettesse con qualcuno col quale lavoravo anch’io, perché almeno in quel modo avrei potuto illudermi che non fosse vero, mentre così dovevo averli davanti agli occhi così teneri e sereni giorno dopo giorno. Era una cosa straziante.
In questo senso, la pausa enorme che c’è stata fra la prima e la seconda serie mi è stata molto d’aiuto. Io mi sono fatto le mie cose, sono partito, ho visto il mondo, ho conosciuto Fanny Ardant e sono diventato il suo boy toy per un po’, ho imparato a cantare, più o meno, ho imparato l’inglese, più meno che più, e sono tornato in teatro, che è il posto che mi piace di più per recitare dopo il bagno di casa mia. E questa cosa mi è servita, perché in qualche modo la mia energia positiva si è convogliata da qualche parte e ha fatto girare la grande ruota del karma in mio favore: quando abbiamo cominciato con le riprese della seconda serie di Romanzo Criminale, Vinicio ed Alessandra si erano già lasciati.
La prima cosa che ho pensato quando sono tornato sul set e ho ricominciato a respirare l’odore delle strade polverose nelle quali la serie era ambientata, è stata che stavolta non me lo sarei lasciato scappare. Poi l’ho visto, veniva giù dalla roulotte con una sigaretta fra le dita e la giacca di pelle del Freddo già addosso, e mi sono sentito le ginocchia molli. E mi sono detto “basta, è lui. È lui senza dubbio, è amore senza dubbio”. Solo che poi, fra una cosa e l’altra, non capitava mai l’occasione giusta per dirglielo, e così nicchiavo, evitavo l’argomento, sospiravo e tiravo dritto anche quando tutto quello che volevo era piazzarmi immobile davanti a lui e restare lì a guardarlo cadendo sulle ginocchia al suo cospetto.
Oh, non che non fossi palese. Intendo, tutto il cast non faceva che prendermi in giro, era così ovvio che mi piaceva che Sollima soleva ripetere “meno male che Libano è già morto nella prima serie, sennò con tutti gli sguardi languidi che si lanciavano lui e il Freddo sicuro come la morte vi trovavo a pomiciare sul set ad ogni ciak”.
Vinicio la prendeva con filosofia, sorrideva sghembo, rintuzzava, si stringeva nelle spalle, ma non diceva mai cosa pensava, e questa cosa mi ha lanciato in un baratro di incertezza che mi sono trascinato dietro per tutto l’anno, fino alla fine delle riprese, perché era come se non mi volesse – altrimenti perché non farsi avanti, soprattutto quando era chiaro che io non aspettavo altro? – ma non trovasse nemmeno il coraggio di dirmi di sparire dalla sua vita, perché troppo educato o forse affezionato come amico, che ne so. Questa sarebbe stata la tragedia più grande, peraltro. Se non mi avesse voluto per niente, avrei potuto tollerarlo, ma se mi avesse chiesto di restare amici mi sarebbe esploso il cervello, mi avrebbero dovuto formattare e riavviare da zero, perché la Giuliana mi aveva detto più o meno la stessa cosa quando io, fra le lacrime, dopo averla ascoltata sproloquiare per mezz’ora su quanto era figo il Pierpaoli, le avevo confessato di amarla profondamente. “Restiamo amici, France’, vuoi?” E come dimenticare. Se Vinicio mi avesse detto qualcosa di simile, avrebbero dovuto raccogliermi da terra con uno strofinaccio, perché mi sarei disciolto in lacrime.
Quella sera, comunque, era la mia ultima occasione. Era l’ultima cena di tutta la crew, dopodiché sarebbe partita la post-produzione e sia io che Vinicio per mesi saremmo stati occupati a girare i film in uscita l’anno venturo. Quando Sollima venne a invitarmi parlando di “una cenetta informale, poi un paio d’ore in discoteca, poi tutti a casa, niente di impegnativo”, io quasi gli saltai addosso dalla gioia. Non lo feci solo perché avrei potuto essere equivocato, col fatto che già Alessandro non faceva che dirmi che ero un morto di cazzo – cosa peraltro nient’affatto vera, perché nessun cazzo che non fosse attaccato al corpo di Vinicio mi aveva mai interessato prima né mi avrebbe mai interessato poi – insomma, preferivo evitare di schienare tutti i registi che mi capitavano sottotiro, non avrei mai voluto che Vinicio si convincesse di cose sbagliate solo perché mi vedeva troppo affettuoso con altri maschi.
La cena era perfetta, e più perfetto della cena sarebbe stato il dopocena in discoteca, dove nessuno ci avrebbe visti né sentiti e io avrei potuto farmi avanti approfittando del buio e della musica, che avrebbero messo al tappeto la mia paura e, aiutati da un po’ di sano alcool, mi avrebbero spinto felicemente fra le sue braccia.
Non vedevo l’ora.
Arrivati al ristorante, io presi posto immediatamente su una sedia in mezzo ad altre due sedie vuote, in modo che se anche qualcuno avesse voluto sedersi alla mia sinistra, la sedia alla mia destra sarebbe stata libera, e viceversa. Alessandro si venne subito a sedere accanto a me, e quando, quasi contemporaneamente, Daniela mise le mani sull’altra sedie ancora libera e io vidi Vinicio allontanarsi verso un altro posto, dall’altro lato rispetto a quello dove m’ero messo io, sentii il cuore stringermi in una mossa e uggiolai.
- Aspetta, aspetta! – disse Daniela, quando vide che Vinicio aveva scelto il suo posto, - Ti metti lì? No, quello piace di più a me. – cinguettò, zompettando allegramente fino al suo posto ed approfittando del fatto che Vinicio avesse già scostato la sedia per sedersi. – Graaazie. – disse con un sorriso radioso, - Il posto accanto a Francesco è ancora libero, se vuoi.
Io sapevo che lei l’aveva fatto solo perché, non so esattamente per quale motivo, fra lei e Vinicio non c’era un rapporto granché idilliaco – probabilmente degli strascichi della relazione che avevano Patrizia e il Freddo nella serie, queste cose uno cerca sempre di evitarle, ma ogni tanto l’antipatia fra i ruoli prevale sulla simpatia fra le persone e sulla professionalità degli attori – e lei non perdeva occasione per fargli i dispetti a caso, ma in quel preciso istante ne fui felice, perché quella piccola ripicca significava che avrei avuto Vinicio accanto per tutta la cena. Certo, mi dispiaceva che lui non si fosse fiondato immediatamente accanto a me non appena aveva visto le ben due sedie vuote che mi circondavano, ma non potevo certo pretendere la luna, e in fondo ero contento anche così. Ci sarebbe stato tempo per convincerlo di quanto piacevole fosse avermi al fianco. Per il momento, mi bastava averlo e basta.
- Ehm… - cominciai io, teso come una corda di violino, quando lui si fu sistemato col tovagliolo aperto sulle ginocchia, - Carino il posto, vero?
- Già. – rispose lui, senza degnarmi di un’occhiata. Ma non è che rifuggisse il mio sguardo, sembrava soltanto che non fosse interessato a guardarmi per niente. Non come se mi trovasse brutto, ma piuttosto come se mi trovasse incredibilmente noioso, un fastidio da sopportare solo per buona creanza e solo per il tempo necessario, per poi lasciarselo alle spalle.
- Cosa… cosa pensi di prendere? – provai ancora, sporgendomi lateralmente per sbirciare il menu che lui stava leggendo con attenzione, - Io non so mai cosa prendere, quando vado al ristorante, mi sembrano tutte cose buonissime e finisco sempre per ordinare due primi e anche tre secondi.
- Si vede. – ridacchiò lui, senza staccare gli occhi dal menu. Io arrossii così profondamente da cominciare ad emanare onde di calore, mentre Alessandro sghignazzava al mio fianco cercando invano di coprirsi la bocca col tovagliolo per non far notare agli altri il suo divertimento. – Comunque, stasera non ti devi preoccupare. – disse Vinicio, così perfettamente a proprio agio da non balbettare nemmeno, cosa che accadeva solo estremamente di rado, - Il menu è stato scelto dalla produzione, è fisso. Avrai i tuoi due primi e i tuoi tre secondi e non dovrai neanche preoccuparti di sceglierli.
Alessandro non riuscì più a trattenersi, scoppiando a ridere mentre io abbassavo lo sguardo e mi raddrizzavo, abbandonando entrambe le mani in grembo, rosso come un peperone e con l’unico desiderio di morire lì e in quel momento.
Non parlammo molto, a quel tavolo. A Vinicio piaceva restare in silenzio, se non altro perché così non rischiava di incepparsi, e quando io mi voltavo per chiedergli qualcosa – tipo: ti è piaciuto il carpaccio? Pensi che dovrei assaggiarlo? – lui mi rispondeva a monosillabi con educazione ma senza slancio, e quando la sua voce si spegneva partiva il coro in dolby surround di Daniela ed Alessandro che mi prendevano in giro perché per ogni minima cosa sentivo il bisogno di coinvolgere Vinicio, in un modo o nell’altro.
- A France’, - mi chiese Alessandro, quando mi vide incerto fra la possibilità di un budino al cioccolato o un creme caramel, atavico dubbio per sciogliere il quale non avevo trovato il coraggio di rivolgermi a Vinicio, dopo averlo importunato tutta la sera chiedendogli se avesse preferito più le tartine o gli antipasti secchi, la pasta o il risotto, il maiale o l’agnello, il vino bianco o il vino rosso, - ce la facciamo a prendere una decisione senza il Marchioni?
- Scherzi? – gli diede man forte Daniela, pulendosi educatamente la bocca col tovagliolo prima di lasciarsi andare ad una risatina divertita, - Quello non muove un passo se prima non ha interpellato Vinicio.
Quello pose fine alla questione. Non presi dolce perché mi era andato tutto di traverso, e rimasi con le braccia molli appoggiate sul tavolo ad aspettare che fosse ora di andare, convinto di avere ormai buttato nel cesso qualsiasi possibilità potessi ancora avere di conquistare l’uomo bellissimo ma anche francamente odioso che mi sedeva accanto.
Accolsi l’arrivo in discoteca come una liberazione. Finalmente potevo smetterla di farmi prendere in giro da tutti e sopportare le occhiate divertite e colme di pietà di Vinicio, per disperdermi nella folla. Ballare mi piace, non perché sia particolarmente bravo quanto più perché mi piace saltare, e questo perché mio padre da piccolo non mi faceva mai andare sui tappeti elastici. Diceva che erano pericolosi. Da quando sono libero, ogni volta che ne ho l’occasione – a volte anche quando invece non dovrei affatto – mi metto sempre a saltellare, e c’è un solo posto in cui puoi farlo senza sentirti ridicolo, un posto in cui ti metti su una pista in cui altre cento persone stanno saltellando esattamente come te, e quel posto era la discoteca.
Il locale era molto carino, pieno di lucine rosa fosforescenti. Non vidi dove andavano gli altri, precisamente. Intuii che si dirigevano verso un agglomerato di tavolini e divanetti completamente vuoti, troppo numerosi rispetto al locale quasi pieno per non essere stati prenotati e riservati per tutti noi, e poi mi disinteressai completamente, tuffandomi nella folla. Ballai per almeno due ore, e in quelle due ore mai Vinicio venne a ballare, con me o lontano da me. Per tutto il tempo, rimase seduto sul proprio divanetto, in mezzo agli altri che ogni tanto si alzavano, venivano a ballare con me per qualche minuto, poi passavano a prendere qualcosa da bere e tornavano a sedersi, solo per poi ricominciare il ciclo dopo un quarto d’ora circa. Lui, invece, no. Immobile, come di pietra. Parlare non gli piaceva, ballare nemmeno, beveva il minimo indispensabile e anche quanto al cibo non era stato così entusiasta, al ristorante. Cominciavo a domandarmi se fosse davvero un essere umano, dopotutto. Forse era un orco e mangiava solo bambini. Questo, almeno, avrebbe spiegato quanto era stato cattivo con me.
Quando decisi di piantarla con le giravolte e i saltelli, la pista s’era quasi svuotata del tutto. Doveva essere piuttosto tardi, perché anche i divanetti erano semivuoti. Accaldato, stanco e sudato, mi lasciai ricadere sul primo disponibile, senza starmi a guardare troppo intorno. Immaginai che, noioso per com’era, Vinicio dovesse essersene andato ore e ore prima, e cominciai perfino a sentirmi fortunato per averla scampata. Un tipo così insopportabile? Perché mai avrei dovuto desiderarlo al punto da stare male come era successo nei mesi precedenti? Che spreco di tempo! Che spreco di emozioni! Che spreco di tutto! Avrei chiamato Fanny quella notte stessa, appena tornato a casa, confidando nel fatto che, saputo che ero io, lei non mi avrebbe sbattuto il telefono in faccia e sarebbe rimasta ad ascoltare i miei lamenti con la stessa materna dedizione con la quale li aveva ascoltati un anno prima.
- Sei arrabbiato? – chiese Vinicio a quel punto, e io non ebbi nemmeno il tempo di realizzare che m’ero seduto proprio accanto a lui, perché prima che potessi registrare il fatto mi si era sciolta qualcosa sul cuore, come una noce di burro, che stava rendendo il flusso dei miei pensieri più morbido e denso, quasi dolce. In un attimo, avevo già dimenticato tutti i miei propositi bellicosi, e lui, pur restando odioso e insopportabile, era tornato ad essere la cosa più meravigliosa che avessi incontrato nella mia intera vita.
- No. – risposi imbarazzato, mentendo. Lui si concesse un sorrisino ironico. Sapeva che avevo detto una bugia, ma io non avevo alcuna intenzione di cedere, non dopo come mi aveva trattato durante la cena.
Rimanemmo in silenzio a lungo, se non altro perché lui, come al solito, non parlava, e io mi sarei fatto strappare un braccio prima di cedere e rivolgergli la parola per primo. Poi, a un tratto, dopo tipo delle ore di nulla e noia in cui l’unico diversivo era stato salutare Sollima che, ultimo ancora in piedi a parte noi, lasciava il locale, Vinicio rise. E rise forte, tanto che, nonostante la musica che aveva ricominciato a suonare con più forza nell’accogliere i ragazzi pronti per gli ultimi giri di pista prima della chiusura, io riuscii a sentirlo perfettamente, e il suono della sua risata mi scivolò addosso dolce e sorprendente come una carezza improvvisa. Non mi era capitato molto spesso di sentirlo ridere così, anche perché era uno che sul set ci teneva a rimanere nella parte, perciò sentirlo ridere così spensieratamente, a pieni polmoni, mi accese qualcosa dentro. La sua risata era piena, allegra, tonante, divertita. Se non avessi saputo che stava ridendo di me, non sarei riuscito a trattenermi dall’imitarlo.
Invece, siccome era invece evidente che mi stava ancora prendendo in giro, mi voltai a guardarlo aggrottando le sopracciglia, sperando che percepisse tutta la mia disapprovazione. Intercettando la mia occhiata risentita, lui si limitò a sorridere sereno.
- France’, - disse, - se stai seduto ancora un po’ più teso finisce che ti spezzi. Stai tranquillo. – e poi si concesse un sorriso un po’ più ampio, prima di concludere. – Non posso mica metterti le mani addosso, se sei così nervoso.
Avvampai. Gli occhi enormi, le guance in fiamme e il respiro vergognosamente mozzo, rimasi a fissarlo mentre scivolava sul divanetto per farmisi più vicino.
- Che… - borbottai, alludendo con un cenno del capo alla sua improvvisa vicinanza mentre mi aggrappavo al bracciolo al mio fianco pur di ritrarmi un po’.
- Non ti sento bene. – ribatté lui, placido, chinandosi verso di me, - La musica è troppo alta.
Io deglutii a fatica. Era così vicino che potevo sentire l’odore del suo respiro, la sua carezza calda sulle labbra. Mi chiese qualcosa che non riuscii a sentire, rintronato dalla musica e dal suo calore, e lui sorrise divertito, facendosi più avanti, così vicino che diedi per scontato che stesse per baciarmi, protesi le labbra, chiusi gli occhi e mi dissi “o la va, o la spacca!”, e invece lui raggiunse il mio orecchio e ripeté la propria domanda per essere certo che stavolta lo sentissi. Era stato troppo antipatico, durante la cena? Sì, lo era stato, ma non ebbi il coraggio di dirglielo. Scossi il capo con forza, scostando subito dopo con un gesto spiccio i riccioli fradici di sudore che mi si erano appiccicati al collo.
- È che non mi andava di essere troppo gentile di fronte ad Alessandro e Daniela. – si giustificò lui, stringendosi nelle spalle senza accennare minimamente ad allontanarsi. – Visto quanto poco gli basta per tirare su mezz’ora di prese per il culo, ho pensato che se fossi stato dolce loro ne avrebbero approfittato per insistere.
- Sì, ma… - azzardai io, abbassando lo sguardo con imbarazzo, - così hanno preso in giro solo me.
Lui mi lanciò un’occhiata dubbiosa, inarcando un sopracciglio.
- Tanto ci sei abituato, no? – buttò lì, avvicinandosi di nuovo per essere certo che lo sentissi e gettandomi in un baratro di disperazione mentre io mi dibattevo fra il desiderio di annullare la distanza che ci separava e baciarlo, e il dolore che mi provocavano le sue parole. Io potevo essere particolarmente ipersensibile alla sua persona, questo mi pareva evidente, ma mi pareva altrettanto evidente che invece lui fosse fatto di legno. Come potesse lasciarsi sfuggire le battute che mi cadevano addosso come piombo con una tale leggerezza era un qualcosa che non riuscivo minimamente a spiegarmi. Eppure, per quanto quelle battute mi bruciassero addosso come ferri incandescenti, quando pensavo ai numerosi motivi per i quali la sua sola presenza mi faceva battere il cuore così forte, nella lista erano presenti anche loro. Tutto, di lui, mi faceva impazzire, mi scaldava dentro fino a minacciare di farmi esplodere. Era la cosa più incredibile che avessi mai provato. A confronto, tutto l’amore che avevo provato per Giuliana sembrava una forte amicizia scambiata per qualcosa di più. Era così imbarazzante, così frustrante, così bello. Mi sentii quasi male nel realizzare per quanto a lungo sarei rimasto lì a farmi prendere per deficiente se solo questo avesse significato che potevo restargli accanto ancora un po’.
- Già… - borbottai a voce bassissima, tornando a fissarmi la punta dei piedi, - Sì, mi prendono sempre tutti in giro.
Penso che riuscì a sentirmi solo perché per tutto il tempo si ostinò a rimanermi vicinissimo, come se per stare seduti avessimo a disposizione solo pochi centimetri di spazio, e non tutto il divano come invece era.
- E a te dispiace? – mi sussurrò all’orecchio. La sua voce mi scivolò in un brivido lungo la spina dorsale, e io arrossii un’altra volta, più violentemente di prima.
- Tanto me ne dimentico sempre, dopo un po’. – scrollai le spalle, voltando il capo per non rischiare che mi vedesse così paonazzo. – Mi dimentico sempre tutto, dopo un po’, soprattutto le cose che mi fanno male.
- Perché? – mi chiese, facendomi passare un braccio attorno alle spalle e traendomi a sé. Supposi lo facesse solo per non rischiare di dover ripetere qualcosa che non ero riuscito a sentire, e tenni a bada l’imbarazzo ripetendomi che era solo per questo che mi teneva così vicino.
- Perché così non fanno più male, no? – risposi in un borbottio confuso. Lui annuì con un certo interesse.
- E quindi uno che cosa ti deve fare per fare in modo che tu non possa mai dimenticarti di lui? – chiese con voce soffice. Io trattenni il fiato, voltandomi impercettibilmente verso di lui. Lo trovai che mi fissava intensamente, tanto intensamente che, una volta che i nostri occhi si trovarono, non riuscii più a deviare lo sguardo verso un altro punto, un punto meno pericoloso. Presi fiato, cercando di ricordarmi come si respirava.
- Baciami. – dissi in un pigolio pietoso. Lui mi si avvicinò ancora, senza interrompere il contatto dei suoi occhi coi miei. Arrivò quasi a sfiorarmi, e poi si ritrasse con una risata talmente forte che mi rimbombò nella testa come in una chiesa vuota. Se il mio cuore fosse stato di vetro, sarebbe caduto in pezzi.
- Con te è davvero troppo facile. – mi disse, allungandosi a recuperare la propria giacca e dandomi un buffetto sulla guancia prima di alzarsi in piedi. – Buonanotte, Francesco. – mi salutò sorridendo.
Non so per quanto tempo rimasi là immobile senza riuscire nemmeno a muovermi.
Dormii a lungo, una volta tornato a casa. Avevo un po’ voglia di chiamare Fanny per lagnarmi un po’, ma era davvero troppo tardi. Come poggiai la testa sul cuscino, con le orecchie ancora piene della voce di Vinicio confusa con la musica fortissima in pista, crollai come svenuto, e visto che non ho ricordi dei tre giorni successivi suppongo di aver dormito per tutto il tempo. D’altronde, con la vitaccia che avevo fatto per incastrare le scene che dovevo girare per la seconda serie col lavoro che stavo facendo per i film, i corti e il teatro, un po’ di riposo mi serviva.
Il primo ricordo successivo che ho che non coinvolga un letto e un cuscino è quello della voce di Sollima che, con la morte nel cuore, mi annuncia al telefono che in post-produzione si sono accorti che la scena finale, così com’è, non funziona, e quindi ci tocca tornare tutti sul set per rigirarla, e anche di gran corsa.
Per niente riposato e ancora drammaticamente triste, devastato alla sola idea di rivedere Vinicio – che, peraltro, in quei giorni non aveva neanche mai chiamato – mi misi in piedi, mi resi presentabile ed uscii diretto al set.
Sollima sembrava un fantasma, e anche gli altri ragazzi tutti intorno non sembravano granché entusiasti di trovarsi lì. Di Vinicio, apparentemente, nessuna traccia. Sollima mi allungò il copione e mi indicò una delle roulotte in fondo alla strada, consigliandomi di prendermi dieci minuti per dare un’occhiata alla nuova sceneggiatura prima di prepararmi al ciak. Seguii volentieri il consiglio perché ero ancora mezzo addormentato e non mi andava granché di trovarmi lì in generale, per cui l’idea di potermi nascondere un po’ mi sembrava allettante.
Mi sedetti su un divanetto, afferrando una bottiglietta d’acqua frizzante dal frigobar e bevendone un sorso prima di richiuderla e poggiarla sul tavolino, immergendomi nella lettura. La scena non cambiava di molto, ma i movimenti che dovevamo fare erano diversi. Giocavamo a biliardo, a quanto pareva, come spesso aveva fatto la banda nei momenti in cui non c’era alcuna crisi da affrontare. Mi piaceva il nuovo finale, era tenero. Ci voleva per chiudere la storia in modo un po’ meno cupo, e l’idea che anche una roba in cui sostanzialmente morivano tutti potesse finire in modo allegro era carina.
Non so quanti minuti dopo sentii la porta della roulotte aprirsi e qualcuno entrare, ma ero così preso dalla lettura che non ci badai troppo. Rilessi il tutto ancora una volta, sorridendo con più calore man mano che la scena mi prendeva sempre meglio, e quando Vinicio mi chiese se poteva prendere l’acqua fu come sentire un improvviso rumore di piatti che cadono per terra fracassandosi.
Sollevai lo sguardo su di lui, preso alla sprovvista. Lui mi sorrise e io non riuscii a muovermi, neanche quando lo vidi chinarsi e recuperare la bottiglietta.
- Posso? – chiese un’altra volta. Io annuii. Lui svitò il tappo, bevve e poi lo richiuse. – Grazie disse con un altro sorriso e un cenno del capo. Si chinò ancora, per riporre la bottiglietta da dove l’aveva presa, ma dopo averla posata non si risollevò immediatamente. Anzi, si sporse verso di me, e quando capii che stavolta stava per succedere davvero mi sentii quasi mancare.
Le sue labbra tiepide accarezzarono le mie in un gesto lieve, quasi intimidito. Io, incapace di muovermi, rimasi lì con gli occhi sbarrati, e mi sciolsi solo quando sentii la sua lingua farsi avanti in cerca della mia. Allora, nel sentirla scivolarmi fra le labbra calda e umida, smisi di sentirmi terrorizzato e sollevai le braccia, allacciandolo al collo mentre Vinicio piantava un ginocchio sul divanetto per tenersi in equilibrio e si sporgeva verso di me, approfondendo il bacio.
Ci separammo qualche minuto dopo. A me girava la testa da impazzire. Se non fossi stato seduto, sarei sicuramente caduto per terra.
- Grazie anche per questo. – disse Vinicio con una risatina, prima di girarsi ed uscire dalla roulotte lasciandomi lì a fissare il vuoto con aria ebete, ancora incredulo.
Per molti secondi, non riuscii a credere a ciò che era accaduto. Mi toccai le labbra e, trovandole accaldate e un po’ umide, faticai a ricollegare queste sensazioni al fatto che loro erano in quel modo perché Vinicio le aveva baciate e morse e leccate e succhiate limonandomi a sorpresa dopo aver bevuto dalla mia bottiglietta – il che a ben pensarci voleva dire che ci eravamo baciati due volte! I baci indiretti contavano ancora! E il fatto che mi sconvolgesse di più pensare al bacio che ci eravamo involontariamente scambiati passandoci la bottiglietta, piuttosto che a quello che invece mi aveva praticamente rubato subito dopo, doveva essere senza dubbio indicativo dello stato di confusione mentale in cui mi trovavo. Ero completamente perso, ma soprattutto ero arrabbiato: se Vinicio era convinto di poter venire a fare la Giuliana coi miei sentimenti, riportandomi indietro di quindici anni come gli pareva solo per un capriccio, era completamente fuori strada.
Mi alzai in piedi di scatto, arrotolai il copione fra le dita in modo da renderlo un oggetto contundente da usare per autodifesa in caso di necessità e mi avventurai fuori dalla roulotte.
- Francesco, dieci minuti e si gira. – mi avvertì Sollima, senza staccare gli occhi dalla cinepresa attraverso la quale stava verificando luce e inquadratura. Io lo ignorai completamente, dirigendomi verso un punto a caso e sperando che fosse lo stesso punto verso il quale s’era allontanato Vinicio.
Lo cercai in tutto il circondario per mezz’ora. Finii per allontanarmi tantissimo dal perimetro transennato del set, camminai per strade piene di persone che mi fermavano strillando “a Libano!” e “a Libane’, sei tornato dalla morte?”, e firmai più autografi in quel quarto d’ora di libertà che in tutti i meet & greet a cui ero stato costretto per mesi. Di Vinicio, però, nessuna traccia.
Venne a raccattarmi uno stagista tutto spettinato quando io mi ero ormai dato per vinto e, avendo dimenticato che in teoria ero lì per lavorare, m’ero fermato ad un bar a prendere un caffè che il proprietario aveva insistito per offrirmi dopo aver fatto battute per mezz’ora sul fatto che non ci teneva ad inimicarsi il Libanese. “Guardi,” avrei voluto dirgli, “inimicarsi il Libanese di sicuro non le converrebbe, ma anche io so rompere le palle a dovere quando non mi lasciano in pace”, ma alla fine l’avevo visto così sinceramente entusiasta della mia presenza che mi era mancato il coraggio di fare il cattivo.
- Francesco! – strillò il ragazzo, sudato e pallido come se dal mio ritrovamento dipendesse la sua vita, cosa che fra l’altro non faticavo a credere, - Ti stiamo cercando tutti da ore! – esagerò, afferrandomi per un braccio e cominciando a trascinarmi verso il set, - Dobbiamo girare, stiamo aspettando solo te! Ogni minuto che perdiamo sono soldi in più che la produzione dovrà pagare e che se non ti riporto subito indietro verranno detratti dal mio stipendio! – aggiunse con ansia disperata.
- Senti… - dissi io, lasciandomi trascinare, - Non è che hai visto Vinicio, per caso?
Il ragazzo si voltò a guardarmi con aria incredula, senza smettere di trascinarmi neanche per un secondo.
- Ma è sul set con tutti gli altri. – rispose con naturalezza. E smise di trascinarmi, perché cominciai a trascinarlo io.
Perciò il bastardo non s’era mai mosso da lì! Era rimasto sul set tutto il tempo! E io a girare per tutta Roma nella speranza di trovarlo! Ma questa era l’ultima che mi faceva. L’avrebbe pagata, e anche cara, le avrebbe pagate tutte.
Misi piede sul set fra due ali di membri della crew che si aprivano a gloria attorno a me sospirando sollevate, mentre Sollima mi correva incontro al rallentatore sorridendo e piangendo e urlando “Fruaaaancueeeesssscuooooo sueeeei vuiiiiivuoooo”, ma non mi lasciai intenerire. Ci sarebbe stato tempo per il lavoro successivamente. Prima dovevo risolvere un’importante questione personale.
Mi piantai di fronte a Vinicio ignorando Sollima, che quasi andò a schiantarsi contro il povero stagista che mi seguiva a ruota, e lo scrutai intensamente. Lui sembrava assolutamente estraneo a qualsiasi tipo di problema potesse avermi procurato col suo atteggiamento. Lo odiai in quel momento come non avevo mai odiato nessuno prima di allora.
- Perché mi hai baciato? – chiesi a muso duro, senza curarmi delle numerose mascelle che si schiantavano al suolo con un frastornante rumore di vetri rotti. Vinicio non sembrò preso alla sprovvista dalla mia domanda, né turbato in alcun modo dal fatto che gliel’avessi posta di fronte ad almeno cinquanta persone della metà delle quali non conoscevamo nemmeno il nome.
- Perché non c’era tempo di fare anche il resto. – rispose placido, sporgendosi in avanti. E mi baciò di nuovo, traendomi a sé e tenendomi imprigionato fra le proprie braccia mentre, approfittando della mia sorpresa, la sua lingua si insinuava nella mia bocca in una carezza umida e sensuale, stordendomi definitivamente. – Quello stasera. – aggiunse con un sorriso, una volta che si fu separato da me.
Sentii distintamente Sollima iniziare a piangere mentre tutto il resto della crew scoppiava a ridere e ci batteva le mani. Vinicio sorrise, accennando un mezzo inchino e prendendomi per mano come fossimo a teatro e fossimo appena usciti da dietro le quinte per la standing ovation a spettacolo terminato.
- Va bene, va bene, basta così. – cercò di imporsi il regista, tirando su col naso, - Torniamo tutti a lavoro e, quando avremo finito, ci sarà tempo per scambiarsi le bomboniere.
Io, realizzando per la prima volta la figura che avevo fatto, arrossii istantaneamente, cercando di sottrarmi alla stretta di Vinicio, ma lui serrò con più forza le dita attorno alle mie, obbligandomi a voltarmi verso di lui.
- Guarda che dico sul serio. – ribadì con una certa sicurezza che mandò un’altra volta il mio cervello in vacanza giustificata, - Stasera a cena. Da me. – concluse con un altro sorriso, prima di lasciarmi andare.
Le riprese andarono bene, senza ulteriori interruzioni, e dopo essere stato preso in giro per un’ora circa dopo l’ultimo ciak finalmente fui lasciato libero di andare. Vinicio, per qualche motivo, non era stato bersagliato tanto quanto me, e una decina di minuti dopo la fine delle riprese era riuscito a sgattaiolare furtivamente verso la propria macchina, sparendo all’orizzonte senza nemmeno salutarmi. Quell’uomo mi stava tirando scemo ed io ero molto preoccupato all’idea di andare a cena a casa sua. Non mi sentivo al sicuro.
A casa di Vinicio c’ero stato una volta sola, secoli prima, per una cena che lui e Alessandra avevano organizzato in occasione della messa in onda dei primi due episodi della serie. I ricordi che avevo di quella serata non erano granché piacevoli, quindi nell’avvicinarmi all’appartamento non è che facessi proprio i salti di gioia, fra una cosa e l’altra. Stavo per rinchiudermi con un evidente pazzo schizofrenico all’interno di un appartamento che di sicuro ancora puzzava della sua ex ragazza. Era palese che non c’era modo per cui io potessi uscire indenne da una serata del genere. Già in ascensore ero così pentito di avere accettato che meditai a lungo sulla possibilità di premere il pulsante per le emergenze, farmi salvare da una squadra di artificieri e poi fuggire a piedi nella notte lasciando perdere le mie tracce.
L’ascensore fu più veloce di me a prendere una decisione. Arrivò al piano giusto, si aprì e mi mostrò Vinicio che mi aspettava sulla soglia con due bicchieri di vino rosso in mano. Sorrideva, perfettamente a proprio agio, e io tremai non poco nell’accettare il mio e nell’aggiungere al quadro mentale della serata anche l’ubriachezza che mi avrebbe costretto a sragionare di lì a poco, visto quanto male reggevo il vino.
L’appartamento non era cambiato granché, forse qualche dettaglio nei soprammobili, ma i mobili erano ancora disposti allo stesso modo e questo contribuiva a farmi sentire a disagio. Vinicio continuava a sorridere serafico sciorinando senza un’esitazione il menu della serata. Mi infastidiva tutto, ero così nervoso che sembrava che ogni cosa dovesse farmi saltare in aria da un momento all’altro, e in effetti fu per cercare di tenere un po’ a bada quell’ansia che, quando lui arrivò a nominare l’arista all’arancia che avremmo avuto per secondo, scattai, lanciandogli un’occhiataccia nevrotica.
- Sei sicuro che balbetti sul serio? – dissi acido, - Perché con me non l’hai fatto neanche una volta. Magari prendi tutti per il culo e con me non ti sprechi perché sono troppo stupido per meritarmelo.
Lui si interruppe immediatamente, serrando le labbra e guardandomi a lungo. Sembrava che da me non si aspettasse per niente un’uscita simile, il che, se possibile, mi fece incazzare perfino di più: sapevo bene di poter sembrare un sempliciotto, maldestro e goffo, ma non ci stavo a vedere quello stronzo farmi passare per cretino. Non lo ero.
Lui inspirò ed espirò pacatamente, raggiungendomi dov’ero ed invitandomi con un gesto ad accomodarmi sul divano. Obbedii senza pensarci troppo, pentendomene subito dopo; non è che ci tenessi granché a restare lì impalato, ma in qualche modo facendo come mi diceva mi sembrava di concedergli spazio. Gliene avevo già concesso a sufficienza, e lui in cambio mi aveva sempre trattato a pesci in faccia. Non gliel’avrei più permesso.
- Io ci sto provando. – disse Vinicio a quel punto, e nel sentire la sua voce così bassa e pacata, ma tesa in uno spasmo ansioso, quasi preoccupato, mi salì il cuore in gola. – Sto seriamente provando a comportarmi bene e a non fare figuracce, ma tu mi devi dare una mano.
- Come sarebbe a dire? – deglutii io, stropicciandomi le dita in grembo.
- Sarebbe a dire che mi p-p-piaci. – rispose lui, aggrottando le sopracciglia. – Contento? Ho balbettato. Ora sai che non ti ritengo troppo stupido per balbettare in tua p-p-presenza. – sbottò, prima di alzarsi in piedi e darmi le spalle per fuggire in cucina, imprecando sottovoce. Era la prima volta che lo vedevo perdere il controllo in quel modo. Rosso in viso, tutto accaldato – era sconcertante quanto poco mi bastasse per andare su di giri in sua presenza – mi alzai e lo seguii, trovandolo intento a tirare fuori dal forno l’arista ormai pronta. Un delizioso profumo di carne aromatizzata all’arancia si diffuse per tutta la cucina, portandomi involontariamente ad inumidirmi le labbra. Vinicio indossava due guanti da cucina bianchi a pallini rossi veramente enormi, ed era bellissimo.
- Se ti piaccio… - cominciai titubante, restando sulla soglia senza azzardarmi a muovere un passo di più, - allora perché mi tratti sempre male?
Lui mi lanciò un’occhiata di sfuggita, prima di sfilare i guanti con un certo imbarazzo e recuperare un coltellaccio enorme dal ceppo poggiato sul ripiano lì di fianco.
- Perché è più facile. – spiegò, cominciando ad affettare la carne, - Se mi comporto con naturalezza finisco per innervosirmi e m’inceppo. L’unico modo che ho per non incepparmi è recitare.
- …quindi con me hai sempre recitato. – sussurrai io, abbassando lo sguardo, - Anche quando mi hai baciato?
- No! – scattò lui, conficcando il coltello nella carne. Io feci un salto indietro e lui, accorgendosi di quello che aveva appena fatto, lasciò andare il coltello e si allontanò dal piano, avvicinandosi a me. – Non capisci? – disse a mezza voce, - Non ce la faccio a parlarti come vorrei. Mi si chiude la gola.
Inspirai profondamente, mordicchiandomi il labbro inferiore.
- C’è un modo per farmi capire cosa pensi veramente senza dover per forza parlare, sai? – provai, spostando il peso del corpo da un piede all’altro in un dondolio incerto. Vinicio si concesse un sorriso un po’ triste, distogliendo lo sguardo.
- Sì, - disse, - ci ho già provato due volte e tu hai frainteso.
Mi mordicchiai l’interno di una guancia, esitando per qualche secondo, prima di rispondere.
- Questa volta non fraintenderei.
Vinicio sollevò una mano, sfiorandomi una guancia.
- È incredibile quanto sei rosso. – sorrise divertito, accarezzando la pelle accaldata nel mio viso col pollice prima di sporgersi in avanti e posare le sue labbra sulle mie.
Il mio corpo reagì immediatamente a quel tocco, e fu anche piuttosto imbarazzante perché mi bastò farmi un po’ avanti per schiacciarmi completamente contro di lui e sentirlo sussultare. Mi tirai indietro, talmente imbarazzato da sentire il cervello scollegarsi sinapsi dopo sinapsi, come se nella mia scatola cranica stesse cominciando a fare troppo caldo e lui stesse mollando gli ormeggi prima di schiacciare il pulsante dell’espulsione automatica. Mentre Vinicio sorrideva bonario e tornava ad avvicinarsi, riprendendo a baciarmi, immaginai la mia testa aprirsi sulla sommità e il mio cervello spararsi nell’aria tanto forte da bucare il soffitto dell’appartamento e atterrare un quartiere più avanti sorretto dal paracadute, e poi una mano di Vinicio arrivò non so come in mezzo alle mie cosce, accarezzando la mia erezione da sopra i jeans, ed io mi sentii mancare l’aria.
Gemendo affannosamente, mi tirai indietro, mentre lui poggiava una mano alla base della mia schiena per impedirmi di allontanarmi troppo.
- Aspetta… - borbottai confusamente, cercando di evitare il suo sguardo improvvisamente torbido e spaventoso, - Non—
- Non chiedermi di aspettare. – mi sussurrò sulle labbra, scivolando lungo la curva della mia schiena fino a stringermi una natica con forza fra le dita, obbligandomi a squittire sorpreso, - E non chiedermi di fare il bravo ragazzo perché non lo sono. – mi baciò lentamente, in punta di labbra, ed ebbi appena il tempo di sentire il suo sapore che lui tornò ad allontanarsi e riprese a parlare. – Non voglio aspettare il secondo appuntamento per baciarti, il terzo per accarezzarti fra le gambe e il quarto per scoparti. – sussurrò, sporgendosi a baciarmi ancora, - Voglio scoparti subito. Adesso.
- Ma… - balbettai io, incerto, - La cena…
- Affanculo la cena. – disse perentorio, scivolando sulle ginocchia davanti a me. Io lo guardai con terrore. Non avevo la più pallida idea di cosa volesse fare e, per quanto stupido possa sembrare, non riuscivo neanche ad immaginare cosa qualcuno avrebbe dovuto voler fare in generale stando ginocchioni di fronte ad un altro ragazzo. La mia confusione mentale era giunta fino a questo punto, sì.
Spalancai gli occhi quando lo vidi armeggiare con la chiusura dei miei pantaloni. C’era qualcosa di oscuro, in lui, cominciavo a sospettare che i suoi momenti di stronzaggine, così come quelli di dolcezza, non fossero delle pose, delle bugie, ma semplicemente parti di Vinicio che coesistevano e ogni tanto emergevano con più forza di altre. Era un’idea spaventosa perché l’idea che lui potesse essere così positivo e anche così negativo a così pochi secondi di distanza mi metteva in agitazione, ma d’altronde quasi tutto, di lui, mi metteva in agitazione, e se volevo continuare a frequentarlo – e quando le sue labbra si posarono senza il minimo indugio sulla punta della mia erezione, lambendola appena prima di lasciarla scivolare fra di esse nel calore umido della sua bocca, pensai che oh, sì che volevo continuare a frequentarlo – avrei semplicemente dovuto abituarmici e imparare a conviverci.
Incerto sulle gambe tremanti, mi aggrappai al ripiano dietro di me, appoggiandomi per quanto potevo al mobiletto e piantando i gomiti sulla superficie liscia per evitare di scivolare a terra. Nel movimento, mi spinsi involontariamente in avanti, e Vinicio accolse la mia erezione più profondamente senza battere ciglio, continuando ad accarezzarla con la lingua ed interrompendosi solo ogni tanto per muoversi avanti e indietro per tutta la lunghezza, mentre l’aria della cucina si riempiva dei miei gemiti incontrollabili. Chiusi gli occhi e gettai indietro il capo, ansimando forsennatamente, e non me ne accorsi quando lui lasciò andare la mia erezione e si preoccupò di sfilarmi i pantaloni per lasciarmi libero di muovere le gambe. Seguii l’istinto quando lui, spingendomi verso l’alto, mi invitò a sedermi sul ripiano, e mi sentii quasi orfano quando lui non mi seguì nel movimento, restando piegato sulle ginocchia invece di sollevarsi a baciarmi come avevo sperato facesse. Gli abbassai gli occhi addosso, sperando di capire cosa avesse in mente, ma non vidi molto, non ne ebbi il tempo. Tutto ciò che so è che pochi secondi dopo lo sentii spingermi più indietro, fin quasi a costringermi a sdraiarmi, e poi sentii il suo viso farsi strada in mezzo alle mie cosce, e la sua lingua saettare veloce a stuzzicare la mia apertura dall’esterno, riempiendomi il corpo di fremiti mentre cercavo di tenermi sui gomiti per non rovinare all’indietro e sbattere la testa, anche se tremavo al punto che perfino quella semplice operazione sembrava del tutto impossibile.
Sentii le sue mani serrarsi strette attorno ai miei fianchi, cercando di tenerli fermi, e fu solo grazie a quel gesto che realizzai quanto velocemente avessi preso a muovermi, andando incontro alla sua lingua e seguendola nelle sue carezze dall’alto verso il basso. Senza pensarci, presi ad accarezzarmi con decisione fra le gambe, perché non m’interessava più di niente, tutto quello che volevo era venire e farlo in fretta, prima di esplodere, ma lui, notando il mio movimento, si allontanò da me di scatto e si rimise dritto, stringendomi le dita attorno al polso per interrompermi.
- Vi-Vinicio… - biascicai incerto, gli occhi appannati e le palpebre pesanti, mentre cercavo di individuare la sua faccia e ci riuscivo solo dopo un paio di secondi di faticosa messa a fuoco. Lui sorrise, chinandosi sopra di me e baciandomi lievemente all’angolo della bocca mentre si liberava dell’ingombro dei propri pantaloni e bussava discretamente con la punta propria erezione all’ingresso del mio corpo.
- Visto? – disse in un ansito, avanzando di qualche centimetro dentro di me, - Balbetti anche tu.
Io trattenni il fiato, sollevando le braccia ed afferrandolo per le spalle, piantando le dita nella sua pelle fino a farmi diventare le nocche bianche e digrignando i denti fino a farli scricchiolare nello sforzo di non lasciare andare nemmeno un gemito mentre, faticosamente, lui si faceva strada dentro di me.
- Vinicio, - lo chiamai, approfittando di un suo momento di immobilità per provare a rilassarmi e riprendere fiato, - Vinicio, è—
- Sssh. – mi rassicurò lui, baciandomi ancora a fior di labbra e stringendomi fra le braccia quasi a volermi cullare mentre riprendeva ad avanzare, - Lo so. – annuì comprensivo, abbozzando un sorriso incrinato appena dalla fatica e dal piacere, - Ma passa. Lo faccio passare. – disse con un gemito spezzato mentre correva con una mano ad accarezzare la mia erezione svettante e tesa fino allo spasmo.
Cercai di concentrarmi solo sulla pressione delle sue dita sulla mia pelle ipersensibile e bollente, e chiusi gli occhi. Sciogliendomi carezza dopo carezza, accolsi il suo desiderio dentro di me e la sua lingua fra le mie labbra, abbracciandolo così stretto da costringerlo a sfiorare il mio petto col suo ad ogni spinta, mentre si muoveva sempre più velocemente lasciando che io mi spingessi contro di lui per andargli incontro e allo stesso tempo affondare nella cavità perfetta che la sua mano chiusa a pugno formava e teneva ben serrata per me.
Lo sentii mugolare qualcosa di incomprensibile mentre catturava un’ultima volta le mie labbra fra le sue e si spingeva così in profondità dentro di me da riportare a galla il dolore per un solo secondo, prima di sentirmi esplodere nel bassoventre un’ondata di piacere così forte da cancellare tutto il resto, portandomi a gemere ad alta voce ed aggrapparmi a lui abbracciandolo con forza nel tentativo di impedire al mio corpo di sciogliersi sotto le sue spinte, le sue carezze, il tocco bollente delle sue labbra, e mi bastò sentirlo venire dentro di me – la sensazione più incredibilmente piacevole che avessi mai provato nella mia intera esistenza – per riversarmi esausto fra le sue dita, reclinando il capo all’indietro e sciogliendo in un colpo solo tutti i muscoli in tensione, rischiando peraltro di scivolare lateralmente e finire sul pavimento, e riuscendo a restare dov’ero vivo e vegeto solo perché subito dopo che mi fui adagiato Vinicio si lasciò ricadere esausto su di me, tenendomi ancorato al ripiano col peso pur lieve del suo corpo.
Inspirai ed espirai profondamente mentre lui scivolava discreto fuori dal mio corpo, costringendomi ad una smorfia insoddisfatta di fronte alla quale non riuscì a reprimere una risatina.
- Sei incontentabile. – disse divertito. Gli sferrai un’occhiataccia, mettendomi lentamente dritto per poi scendere dal ripiano, sperando che le gambe sorreggessero il mio peso.
- Con tutto il tempo che ho aspettato, - borbottai, chinandomi a recuperare i pantaloni e tirandoli su mentre lui si sistemava alla bell’e meglio, - sarai fortunato se ti lascerò uscire di casa a comprare le sigarette una volta nei prossimi quindici giorni.
- Cosa? – rise lui, sciacquandosi le mani con acqua e sapone prima di recuperare coltello e forchetta e riprendere ad affettare il maiale, - Come sarebbe a dire tutto il tempo che hai aspettato?
Io sorrisi, e mi misi buono buono a raccontare la storia tutta da capo: avevo deciso che ci avrei provato quella sera, perché per dirla tutta stavo aspettando anche da troppo tempo…