Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Mario/Zlatan, José/Zlatan, Davide/Mario.
Rating: R
AVVERTIMENTI: Lime, Slash.
- Un anno e tre relazioni importanti.
Note: Scritta per la Criticombola, su prompt 04. Fotografia.
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TRYIN’ TO HOLD THE WIND
4. Fotografia


Ancora con gli occhi chiusi, puoi sentire il rumore del mare a pochi passi dalla villetta. Dev’essere prestissimo, oltre al suono delle onde che s’infrangono sulla spiaggia c’è solo lo stridere dei gabbiani e niente più. Non una voce, non un pianto di bambino, non un urlo di qualche venditore ambulante pronto a offrirti cibo, bibite o qualsiasi altra cosa tu possa desiderare avere su una spiaggia, da un salvagente a un braccialetto intrecciato a un tatuaggio fatto con l’henné.
Mentre ti rigiri sul materasso, sentendo le lenzuola piacevolmente fresche contro la pelle caldissima, ti illudi per un secondo di trovarti su un’isola sperduta, lontana da qualsiasi centro urbano, a chilometri e chilometri dal primo agglomerato di case. È una delle tue fantasie ricorrenti, di quelle che potevi passare ore a raccontare a Davide quando dividevate la stanza in Primavera. Ti manca un po’, Davide, non lo senti da quanto? Qualche mese, almeno. Sì, lo saluti ancora quando vi beccate per caso, ma il punto è che non è mica tanto facile beccarsi, quando ci si muove in mondi completamente differenti.
Comunque c’è poco da fare, al mister Dade non convince, “è piccolo”, dice, “immaturo”, e tu non insisti perché è vero che sei un rompiballe ma non è vero che sei stupido, e sai che il posto in prima squadra ce l’hai non perché tu ti sia fatto il culo ad allenarti, ma perché il culo l’hai avuto a prescindere, e quando il Mancio ti ha visto si è innamorato del modo in cui porti palla – quelle volte in cui riesci a non perderla, naturalmente – perciò non ci tieni affatto a mettere a rischio la posizione in cui sei ora per insistere sulla possibilità di portare in squadra quello che alla fine, in fondo, è solo un pischello che probabilmente finirà al Mantova o al Frosinone l’anno prossimo.
Schiudi gli occhi e ti volti a guardare Zlatan, concedendoti anche un mezzo sorriso, dato che non può vederti. È tremendo quando ti becca a sorridere come un cretino perché sei semplicemente felice. Non che lui sia granché diverso, è un tipo che quando è felice davvero si lascia andare a certi sorrisoni da moccioso che ogni tanto ti chiedi come possa avere davvero quasi dieci anni più di te, ma per qualche strano motivo si sente sempre in diritto di prenderti per il culo ogni volta che ti becca a fare un sorriso un tantino più convinto degli altri. E siccome ti pare già abbastanza che ti prenda per il culo nel senso fisico del termine, non sei tanto propenso a lasciarglielo fare anche in senso morale; perciò, nel momento in cui lo vedi stiracchiarsi un po’ sul materasso, allungando braccia e gambe fino a sfiorare le tue e inspirando così profondamente da gonfiare il lenzuolo, inarcando la schiena e mugolando qualcosa di incomprensibile, smetti subito, e ti sollevi su un fianco, poggiando una guancia sul palmo della mano e piantando bene il gomito per reggerti dritto.
In realtà, stare con Zlatan non ti piace. A te piacciono le cose semplici e lineari, e questo perché ti senti già abbastanza incasinato senza doverti preoccupare di quanto possano complicarsi ulteriormente le cose quando, da incasinati, si affronta un mondo incasinato anche il doppio. Ti basta già il casino che c’è, insomma, non avresti mai pensato che saresti arrivato a perderti in questo modo ridicolo per uno come Zlatan, uno che non è geneticamente predisposto a semplificare la vita di nessuno, e che anzi si diverte a rendere infernale qualsiasi cosa tocchi – e tu lo sai bene, dato che bruci come il fuoco ogni volta che fa tanto di metterti anche solo un dito addosso.
Tu e Zlatan non avete una storia, avete una cosa che da un certo punto di vista si è gonfiata troppo – tanto che la vedono tutti, non è più possibile ignorarla – e da un altro punto di vista è totalmente insignificante. Perché tu lo sai che non è amore, sei ragionevolmente certo che Zlatan non ti ami e pure tu sei abbastanza convinto di non amarlo a tua volta. Però c’è, e il risultato è che adesso siete in vacanza insieme in un posto in cui sei già stato un paio d’anni fa e che conosci piuttosto bene, mentre a Zlatan è del tutto estraneo.
Ti turba un po’, e ti spaventa anche, che lui abbia accettato di farsi condurre fino a San Vito. “Due settimane”, ti ha detto con quel sorriso insopportabile, troppo sicuro e soddisfatto per essere anche piacevole, “tutte per noi”. La malizia sulle sue labbra era così evidente che neanche per un secondo hai potuto fingere che quella concessione fosse un regalo romantico. Era solo Zlatan che si comportava da Zlatan, lasciandoti scorrere gli occhi scuri addosso e disegnando in una carezza impalpabile la curva della tua schiena là dove si faceva più stretta, appena sopra le natiche.
Due settimane, questo è il vostro primo risveglio qui e tu stai già chiedendoti come farai a sopravvivere ad altri tredici risvegli simili.
- So di essere uno schianto, ma… - ti prende in giro Zlatan, ridendo divertito, e tu lo mandi a fanculo fra i denti, rigirandoti a pancia sotto e sistemando il cuscino, nel tentativo di tornartene a dormire. – Sei sveglio da molto? – ti chiede, la voce ancora impastata dal sonno. Tu scrolli le spalle con aria disinteressata.
- Un po’. – sbuffi, fingendo di scostarti quando lui allunga un braccio a circondarti la vita. Lo lasci fare, perché è una cosa che ti piace da impazzire. Tu sei molto fisico, nelle tue dimostrazioni di affetto, ma non pensavi lo fosse anche Zlatan. Visto da lontano, sembrava più il tipo da pensare “volete adorarmi? Liberissimi, ma non provate nemmeno ad allungare un dito su di me”, e invece è completamente diverso. È uno che, quando ha qualcosa da dimostrarti, nel bene e nel male, lo fa con una violenza tale da non poter essere contenuta in parole o in un’occhiata: deve toccarti. E tu ti lasci toccare.
- Com’è che fate colazione, da queste parti? – chiede con aria distratta, sistemandoti contro il suo petto neanche fossi un cuscino o un peluche e prendendo a fissare il soffitto mentre disegna qualcosa di incomprensibile sotto il tuo orecchio. Sembra l’iniziale del tuo nome – ancora non lo sai, ma fra poco più di un anno te la tatuerai addosso. Lui, però, non sarà più lì per vederla.
- Cornetti e cappuccino. – rispondi, e provi a voltarti. Finisci ugualmente schiacciato contro il suo petto, ma al contrario, così da poterne sentire sapore e calore sulle labbra. Socchiudi un po’ gli occhi perché a volte Zlatan è un po’ troppo. Lui nemmeno se ne rende conto, naturalmente, è una questione che non lo tocca. Dipende da chi sta toccando lui, se è in grado di reggere o meno la quantità spaventosa di cose che Zlatan è in grado di marchiarti a fuoco sulla pelle solo sfiorandoti. Hai sempre creduto di essere forte – il più forte di tutti – ma con Zlatan a volte non ce la fai proprio.
- Cornetto? – chiede Zlatan, e quando tu sollevi lo sguardo vedi formarsi nei suoi occhi l’immagine più che precisa di un cono gelato della Algida. Sospiri e scuoti il capo, esasperato.
- Brioche. Come vuoi chiamarla la chiami. Croissant?
- Ah! – realizza lui, improvvisamente illuminato dalla luce divina, - Ma non sapete parlare, qui in Sicilia. Uno si confonde. Va be’, dai. – conclude, lasciandoti andare con la stessa naturalezza con cui in genere ti tira uno scappellotto improvviso durante gli allenamenti, - Vai a recuperare i croissant e il cappuccino, così ci svegliamo e facciamo qualcosa di utile. – ti osserva metterti in piedi e grattarti stancamente la testa, cercando in giro i tuoi vestiti ed incontrando più difficoltà di quanto avresti pensato nel ritrovarli. – Ho un paio di idee carine.
- Le tue idee le conosco. – borbotti tu, e fingi di non essere così schifosamente lusingato come invece sei, mentre ti rassegni ad aprire un borsone a caso e tiri fuori i suoi pantaloni della divisa, con un otto tanto grande ricamato vicino all’orlo inferiore da essere appena meno evidente di un semaforo in mezzo a un incrocio. È un po’ uno dei problemi più enormi che hai con Zlatan, affiancato a una serie in realtà abbastanza infinita di problemi giganteschi: ogni parola, ogni occhiata, ogni pensiero sono preziosi come il cristallo. Ti senti piccolo piccolo quando hai a che fare con lui, e ciò rende ogni suo gesto nei tuoi confronti incredibile e bellissimo. È una cosa così ridicola, cazzo. Hai voglia di prenderti a schiaffi ma non lo fai, infili una maglietta a caso ed esci a piedi nudi, direttamente sulla sabbia. Zlatan ti ride dietro.
- Ti farai male. – dice, mettendosi a sedere sul letto. Il lenzuolo gli scivola addosso e gli si arriccia in grembo con una lentezza esasperante, tu lo guardi e deglutisci un blocco di voglia che ti obbliga a stringere i pugni lungo i fianchi come aggrappandoti all’aria, per impedirti di tornare dentro, chiudere la porta con un calcio e saltargli addosso.
Invece ti forzi a sorridere, inclinando appena il capo e sporgendo il mento in una posa spavalda che per la prima volta in due giorni ti aiuta a ricordare chi sei e come ti piace affrontare il mondo.
- Non conosci questo posto. – dici supponente, - Queste strade potrebbero fare male a te, ma non a me.
Zlatan ti guarda con un sorriso storto colmo di reale compiacimento, e tu la porta la chiudi lo stesso, ma te la chiudi alle spalle senza tornare indietro, soddisfatto della vittoria che Zlatan ti ha consentito di prenderti, perché se è vero che con lui ti tocca accontentarti della briciole, allora pretendi almeno la briciola più grande di tutte.
La sabbia ti si attacca alla pelle come un’armatura, cammini lungo il marciapiedi ancora fresco di notte e in giro non c’è nessuno. Ti senti addosso l’odore di Zlatan e ti diverte che sia un odore solo tuo, perché nessun altro in questo posto potrebbe riconoscerlo.
Ti fermano per strada, è un bambino che non avrà più di tredici, quattordici anni.
- Sei il mio mito! – ti dice, - Sei troppo figo! – e suo padre, accanto a lui, sorride un po’ nervosamente. Non riesci a capire bene perché, forse non ti apprezza come giocatore, o magari tifa Milan. Sorridi, vorresti dirgli “si rilassi, sa?, tifo Milan anch’io”, ma lasci perdere, e quando il ragazzino ti chiede una foto fai come sempre, ti metti in posa al suo fianco e aspetti il click della macchina fotografica. Non rifiuti mai una foto a nessuno. In realtà un po’ ti pare di non averne il diritto, insomma, è come quando non esulti dopo un gol: perché lasciarti andare ad espressioni di gioia più o meno organizzate, se stai solo facendo il tuo lavoro? E anche le foto rientrano un po’ nel contratto, forse non in quello reale, ok, ma in quello morale che hai stipulato con la parte di tifoseria che ti apprezza, quello sì, quindi perché dovresti tirarti indietro?
Il ragazzino non ti fa perdere molto tempo, ti molla subito dopo un “continua così!” talmente sentito che tu non puoi proprio evitare di sorridergli e colpire con un pugnetto cameratesco il suo pugno sollevato a mezz’aria in segno di vittoria. Tu gli sei grato per la sua velocità, anche perché vorresti evitare di essere visto dal mondo intero mentre te ne vai in giro a piedi nudi con addosso i calzoni di Zlatan Ibrahimović, per cui affretti i tempi, ti infili nel primo bar disponibile sul lungomare e quando ne esci inspiri il profumo dolce dei cornetti e del caffellatte che si mischia con quello più fresco e salato del mare, e sorridi soddisfatto.
Quando rientri in casa, Zlatan è sveglio ed ha appena finito di risistemare il letto. Batti più volte i piedi sul pavimento, all’ingresso, per evitare di spargere sabbia ovunque, e lui ti guarda con un sorriso sereno, divorando con gli occhi qualcosa che non riesci a capire se sei tu stesso o ciò che tieni in mano.
- Ho portato la colazione. – annunci per ogni evenienza, e mentre entri in cucina aggiungi: - Ho incontrato un tifoso, per strada. Mi ha chiesto una foto.
- E tu l’hai fatta? – ti chiede Zlatan, ridendo divertito. Tu scrolli le spalle, sistemando tutto sul tavolo. – Con quei pantaloni addosso? – insiste, e tu, per un secondo, fissi il vuoto con aria persa, prima di realizzare.
- Ops. – biascichi infine, guardando imbarazzato altrove.
Zlatan ride, avvicinandosi ed accarezzandoti la nuca con la punta del naso.
- Penitenza. – soffia sulla tua pelle. A te dispiace solo che il caffellatte lo berrai freddo, dopotutto.
*
Il caffellatte arriva già freddo, ma tu non hai proprio cuore di voltarti e dire a Davide “che cazzo, sei andato a prenderlo direttamente a casa tua?” come in realtà vorresti, perché anche se senti il profondo e intimo desiderio di prendere le cose a testate o, al limite, scardinare la porta e devastare l’intero centro sportivo a colpi di traversa, sai di non potertela prendere con lui.
Davide è un ragazzino – e non dovresti pensarlo, perché non è che tu sia così tanto più grande di lui – Davide è gentile con te – e tu nemmeno te lo meriti, visto come lo snobbavi prima che il nuovo mister lo prendesse in prima squadra – e soprattutto Davide non ha colpa del fatto che mister Mourinho, assieme a tutte le indubbie innovazioni e migliorie che ha portato all’Inter arrivando quest’estate, si sia anche preso qualcosa che tu credevi ti appartenesse ma, realizzi solo ora, col caffellatte freddo fra le mani, forse non sei mai neanche riuscito a stringere davvero.
- Mi sa che è un po’ freddo… - tentenna Davide, osservandoti restare lì immobile a fissare il vuoto, perso nei tuoi pensieri. Tu scrolli le spalle, ma piano, perché di quel caffellatte non vuoi versare neanche una goccia. Sei stanco perché stanotte non hai dormito, sei stanco perché litigare con Zlatan ieri ti ha stremato, sei stanco perché Zlatan non ha affatto capito perché sei così arrabbiato con lui e ora passeggia per il campo accanto a Mourinho, ridendo e scherzando e prendendo in giro chissà chi – magari te, te lo meriteresti, ma se è così non vuoi davvero saperlo.
È una routine cui dovresti già essere abituato, questa, dato che si ripete da parecchi mesi. Non è che tu e Zlatan abbiate smesso di parlare o che, solo che non è più come prima e tu lo senti ogni volta che ti rivolge la parola e ti guarda, e soprattutto quando ti tocca. Che non capita più spesso, e a te per la verità spesso manca, ti mancano le sue mani chiare e grandi che ridisegnano la linea netta dei tuoi fianchi, ti mancano tanto che a volte nel letto da solo chiudi gli occhi strizzando le palpebre e provi a replicare quegli stessi gesti, ma non ti viene mai bene. È allora che scivoli fuori dalle lenzuola in cerca di altre mani che possano accarezzarti, ma non hanno la stessa impronta delle mani di Zlatan, e quindi non è la stessa cosa.
Tu e Zlatan non siete mai stati in buoni rapporti. Lo realizzi adesso che lui e il mister ti passano accanto diretti chissà dove, e Zlatan non ti guarda non perché si rifiuti di farlo, ma perché a passarti gli occhi addosso neanche ci pensa. La sua attenzione è catalizzata altrove, il mister lo attrae come una dannata calamita. E tu non sei abbastanza magnetico. Non per lui, almeno.
Tu e Zlatan siete simili, e per questo litigate spesso. Solo che tu sei innamorato e lui no, ed è questo che ti fa pensare che quando arriverà il momento del vostro addio – e, se il mister continua a tenerti fuori rosa, è un addio che avrà luogo molto prima del previsto – quando quel momento arriverà, ecco, non sarà bello. Sarà una spaccatura netta e irrecuperabile, una di quelle cose che ti cambiano l’esistenza al punto da non poter più tornare a com’era tutto prima.
Cerchi di ricordarlo. Com’era prima? Non lo sai più.
Davide ti si avvicina e ti sfiora con aria apparentemente casuale. Sorridi perché sai che non lo è mai.
- Ehi… - ti chiama piano, la voce ancora venata da una certa nota infantile che ti fa una tenerezza infinita, - Sono due minuti, se ce la facciamo di corsa.
- Mh…? – chiedi, un po’ divertito, perché non riesci a capire a cosa si riferisca.
- I dormitori. – precisa lui con una risatina furba, - Ho fatto il conto. Sono due minuti, se ci sbrighiamo. E il mister non ci sta tenendo d’occhio, adesso.
- Potrebbe tornare e non trovarci. – provi, ma stai ridendo e gli stai sfiorando un fianco impedendoti forzatamente di non scivolare sotto la maglia azzurra che indossa, quindi non sei per niente credibile.
- Non ti sono mai importate queste cose. – obietta giustamente lui, ed ha ragione.
- A te sì, però. – gli fai notare tu, e gli dai un colpetto fronte contro fronte. Lui socchiude gli occhi e ride come un bambino, a te batte il cuore ad un ritmo lievemente diverso.
- Tu mi interessi di più. – e questo chiude il discorso.
Davide è dannatamente bravo in matematica, e due minuti dopo siete già a letto, in effetti, affondati in mezzo alle lenzuola tirate via alla rinfusa. Non profumano di niente in particolare, quindi l’odore dolce di Davide sovrasta tutto, impregna il suo respiro, gli abiti che vai sfilandogli di dosso, veloce, perché vuoi assaggiargli la pelle. Non è Zlatan per niente, non ha lo stesso modo di tirarti contro di sé, non ha lo stesso modo di baciarti. La sua fame è del tutto diversa, le sue labbra e i suoi denti si chiudono attorno alla tua pelle lo stesso, ma non è la stessa cosa. Tu chiudi gli occhi e butti fuori Zlatan a calci.
Davide ha un sapore buonissimo. Ti stringe e ti aiuta a nascondere il viso nell’incavo del suo collo, e ridacchia un po’ quando le tue ciglia lo solleticano leggermente. Ti muovi svelto contro di lui, chiamandolo in un soffio mentre lui geme a due millimetri dalla tua tempia.
Davide non è stupido e non è cieco. Sa più di quello che ti dice. Capisce più di quanto tu non creda, forse. Il senso di colpa è un macigno opprimente col quale stai imparando a convivere, non sai per quanto dovrai tenertelo dentro, lì, nel mezzo del petto, a schiacciarti il cuore e i polmoni, ma sai che per liberartene dovresti lasciare Davide – lui e le sue labbra e i suoi caffellatte ghiacciati al mattino – e quindi te lo tieni. Sopporti la cassa toracica che duole e scricchiola come ti stessero prendendo a cazzotti sullo sterno, e stringi forte la presa attorno ai suoi fianchi. Non pensi al singhiozzo che lasci andare.
- Va tutto bene. – sussurra piano Davide, - È tutto a posto. – dice, accarezzandoti la nuca, - Ti ho sempre voluto bene. Sempre, sempre.
Vorresti dirgli “io no”. Vorresti dirgli “non ne ho idea neanche adesso”. Il macigno diventa più grosso e più pesante e poi si dissolve quando Davide ti bacia. Sai che sarà solo per qualche minuto – mentre vi respirate addosso e il mondo non esiste e tutto e bello perché tutto è Davide – ma cerchi di trattenere quella sensazione fra le ciglia più che puoi, prima di schiudere gli occhi e lasciarla andare. Questa è una delle tante cose che ti ha insegnato Zlatan, lui, che non aveva mai avuto la pretesa di insegnarti niente e che alla fine, invece, ti ha costretto ad imparare più di tutte le altre persone che hai conosciuto nella tua intera esistenza: gli attimi sono bellissimi, sono le lunghe distanze che rovinano tutto. Negli attimi risiede il vero senso della vita e l’attimo è l’unico momento in cui si può essere davvero felici.
Il tuo attimo è Davide steso sul letto, sudato e affaticato sotto di te. E tu che lo guardi come fosse un miracolo che si dipinge sotto i tuoi occhi.
Dura poco, anche perché Davide scatta subito in piedi, appena riesce a recuperare un ritmo meno indecente per il proprio respiro. Lo osservi guardarsi intorno con aria incerta e poi recuperare i tuoi pantaloni in un angolo, infilandoli sbrigativamente.
- Ma dove stai andando? – gli chiedi ridendo e tirandogli addosso un cuscino. Lui lo evita e ti fa una linguaccia.
- Il distributore automatico è più vicino, qui.
Ridi ancora e scuoti il capo.
- Potrebbe vederti qualcuno con quelli addosso. – azzardi, ma lui scrolla disinvoltamente le spalle, infilando le scarpe e battendo un paio di volte le punte sul pavimento, per sistemarle.
- Dirò che li ho presi a casaccio dalla cesta della roba pulita. – risponde. Tu ridi per l’ennesima volta, ed è tanto piacevole che ti senti scoppiare il cuore.
- Noi non abbiamo una cesta della roba pulita. – gli fai notare, ma lui si disinteressa del tutto e si muove svelto verso la porta, ben deciso a portarti un caffellatte che sia almeno tiepido. – Aspetta, aspetta. – lo fermi, chinandoti sul comodino e recuperando la macchina fotografica dal primo cassetto. Attendi che si accenda, lo inquadri e metti a fuoco. Lui fa una faccia buffa e tira su due dita in segno di vittoria, mettendosi in posa. Non protesta, quando gli scatti una foto, ed esce solo quando osserva la soddisfazione spiegare la ruga fra le tue sopracciglia, mentre rimiri il risultato finale sul display. Ti trova ancora lì che la fissi, cinque minuti dopo, e ride nervosamente.
- Mi sa che il mister ha chiesto di noi, mi hanno detto che Rui ci sta cercando ovunque.
Tu sbuffi e aspetti che posi il caffellatte sul comodino accanto a te; poi te lo tiri contro e lo soffochi di solletico e baci dati ovunque a casaccio.
- Altri cinque minuti. – chiedi, e Davide non rifiuta.
*
Visto che era nell’aria già da parecchio – e visto che, dopotutto, quest’anno in Sicilia c’hai portato Davide – pensavi ti avrebbe fatto meno effetto quando questo momento sarebbe arrivato. Ora invece guardi Zlatan e Mourinho dall’altro lato del campo, li osservi scambiarsi quello che ha tutta l’aria di essere l’ultimo saluto prima della partenza, e se da un lato riesci perfino a pensare che ti piacerebbe scattar loro una foto proprio adesso, perché in qualche modo contorto che non riesci a spiegarti sono belli e li trovi tali perfino tu che dovresti odiarli, dall’altro lato tutto quello che riesci a sentire è un dolore sordo all’altezza del petto, dove fino all’anno scorso c’era il macigno. Adesso quel macigno non c’è più, il tempo e Davide sono stati bravi a corroderlo come il mare corrode i fianchi delle montagne di una terra che vorresti poter chiamare casa, e al suo posto è comparsa questa specie di ferita invisibile che pulsa sempre quando guardi Zlatan o quando, come adesso, realizzi che sarà probabilmente l’ultima volta che lo vedi da amico.
Il pensiero ti fa un po’ ridere, in fondo, anche perché tu e lui in realtà non siete mai stati davvero amici. Siete passati da sconosciuti ad amanti quando la chimica fra i vostri corpi è esplosa con la stessa violenza di una detonazione nucleare, e poi siete tornati per lo più sconosciuti quando hai capito che le esplosioni di Zlatan durano anche meno dei periodi che riesce a trascorrere fisso in una stessa terra. Zlatan è nomade, tutto in lui tende a cambiare, il suo sangue, le sue passioni, le sfumature dei suoi sorrisi.
Davide si lagna del ginocchio destro, che gli duole un po’. Osserva le bende che lo coprono – ne segui le linee dai colori sgargianti – e sospira profondamente.
- Me la prendi una bottiglietta d’acqua? – chiede in un pigolio triste. Tu gli scompigli i capelli in una carezza ruvida e non annuisci neanche, prima di cominciare a muoverti verso il distributore automatico all’interno del campus.
Ti stai dando del cretino perché non hai con te abbastanza monete, quando Zlatan paga per te e ride piano a due centimetri dal tuo collo, costringendoti a voltarti di scatto e, spaventato e stupito, schiacciarti contro il macchinario, spalancando gli occhi.
- Calmati. – ti prende in giro, con quel suo accento ridicolo che hai paura possa perdersi del tutto quando comincerà a parlare spagnolo. L’hai ascoltato fare le prove, recentemente. Non gli riesce bene, finisce sempre a concludere le frasi in italiano e poi si passa una mano sugli occhi, sospirando frustrato. È sempre bellissimo quando fa queste cose, è sempre bellissimo quando lascia intravedere al mondo quanto umano possa essere oltre gli scazzi e i mal di pancia e l’indiscussa, poetica bellezza di quando si muove come se il pallone fosse un’appendice semimobile del suo corpo. – Non ti faccio niente.
Cerchi di tranquillizzarti. Ti allontani dal distributore automatico, ti gratti la nuca. Guardi altrove, principalmente, e Zlatan ride piano, in uno sbuffo quasi tenero.
Le sue labbra sulle tue hanno lo stesso sapore che avevano l’anno scorso. Mentre chiudi gli occhi e lasci che la sua lingua accarezzi la tua, tirandogli la maglietta quasi con rabbia per schiacciartelo contro il più possibile, ti rendi conto di due cose. La prima, che sei felice che il sapore di Mourinho non sia riuscito a corromperlo. La seconda, che su di lui, di te, non è rimasta la minima traccia.
Zlatan sta andando via. Zlatan non è mai appartenuto a nessuno. Tu hai stretto il vento fra le braccia per nove mesi della tua vita, ed è stata la cosa più bella del mondo.
- Mi sarebbe piaciuto che fra noi due andasse diversamente. – ti dice lui, sfiorandoti il naso con la punta del suo.
Tu sorridi, tirandogli un pugno contro la spalla.
- A me no. – rispondi allontanandoti e chinandoti a recuperare la bottiglietta d’acqua dal cassettino in basso, - Non riesco a immaginare una cosa migliore di com’è andata.
Zlatan ride, ti dà un buffetto sulla fronte.
- Prima o poi lo scoprirai. – ti assicura, annuendo convinto. Tu scrolli le spalle – al momento non t’importa. Lo superi sfiorandolo appena, giusto per trattenere addosso il suo calore qualche istante di più, e poi corri fuori. Davide si sarà stufato di aspettare ancora la sua acqua.
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