Genere: Introspettivo, Romantico, Erotico.
Pairing: José/Zlatan.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon.
- Zlatan chiama José, poco prima dell'inizio della Liga in Spagna, chiedendogli un appuntamento a Como.
Note: È passata una vita, da quando ho scritto questa fic (un paio di settimane, nella mia quotidianità di ficwriter, sono un tempo enorme, visto che in quattordici giorni in genere butto giù almeno cinque fic complete e altrettante in corso d’opera T_T), quindi naturalmente non mi ricordo più perché l’ho fatto XD Deve essere stata colpa di Def perché ricordo una conversazione su MSN in cui gli ho fatto leggere un pezzo della storia e lui si aspettava che fosse un’altra storia. Perciò lui mi disse “non è quella o_o” e io risposi “no, non lo è”, e lui replicò con uno sconcertato “non mi dire che hai preso il plot di prima?!”, riferendosi ad un plotcriceto di cui avevamo parlato qualche minuto prima, quindi so per certo che l’idea me l’ha data lui XD Anche se non ricordo più come. In sostanza, tutto ciò lo dico perché se non vi è piaciuta ora sapete con chi prendervela :D
(Titolo rubato all’omonima canzone degli Evanescence.)
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Tourniquet
50 Places / 020 Automobile @ PWP Fest (Kinks&Pervs)


- Quando mi hai chiamato, - dice José, addentando il panino e tamponandosi l’angolo della bocca con un tovagliolo per impedire alla salsa rosa di scivolargli lungo il mento, - ho pensato seriamente di mandarti a quel paese e dirti che potevi tornartene a Barcellona. E ora che “andiamo a cena fuori” è diventato “mangiamo un panino da qualche parte”, mi pento di non averlo fatto.
Zlatan ride, mandando giù un morso del proprio panino con salsiccia e molleggiando lentamente sulla ringhiera addosso alla quale è appoggiato, un po’ sollevato dal suolo, come a ribadire una posizione di superiorità che, se non gli è già stata data dall’altezza, gli è stata comunque confermata dall’essere stato quello a soffrire di meno, a causa di tutto il casino che è stata la loro relazione prima e dopo la sua partenza.
- Almeno è un buon panino. – ribatte, annuendo compiaciuto.
- Il tuo, forse. – insiste José, cocciuto, - Il mio è amaro.
- Amaro? – chiede lui, inarcando un sopracciglio.
- Aha. – risponde l’uomo con una scrollata di spalle, - Avresti anche potuto portarmi nel più raffinato dei ristoranti francesi di Como, e penso che avrei trovato amaro perfino il pâté de foie gras.
Zlatan si concede una mezza risata, prima di fermarsi e lanciare al lago debolmente illuminato una lunga occhiata pensierosa.
- Ma ci sono ristoranti francesi, qui a Como? – chiede quindi in tono quasi infantilmente curioso, costringendo José ad una risata anche troppo simile alla sua.
- Non ne ho la più pallida idea. – risponde con un sospiro, - E comunque non era quello il punto della questione.
- Sai, José? – prosegue Zlatan, il panino dimenticato fra le mani e gli occhi che indugiano nostalgici su tutta la superficie dell’acqua, accarezzandola lentamente fino ai monti che la racchiudono all’orizzonte come in un abbraccio, - Non l’ho mai davvero capito fino in fondo, quale fosse il punto con te.
- Forse perché era estremamente semplice. – risponde lui, seguendo la traccia del suo sguardo per sfiorare il lago con la stessa intensità, - Non sei mai stato molto elastico, in questo senso. Tu sei un uomo che impazzisce per le cose grandi, le cose epiche e distruttive, e-
- E tu no? – scocca, accompagnando la frecciata con occhi che brillano di fastidio appena accennato. José continua a fissare il lago e si degna di rispondergli solo dopo un altro morso al panino, portando gli occhi su di lui e scrutandolo attentamente.
- Anche io, sì. – ammette, - È per questo che su di te mi ci sono totalmente perso. Ma – prosegue, incartando ciò che resta del proprio panino e cercando in giro un cestino in cui gettarlo, - so anche riconoscere il valore delle cose semplici, quando me ne trovo di fronte una.
- E quando mai fra noi le cose sarebbero state semplici? – sogghigna Zlatan, continuando a mandare giù la propria cena in morsi svelti e brevi, come avesse fretta di finire per poter scappare via. Di già.
José abbassa lo sguardo e riflette – Zlatan vede scorrere i ricordi di un anno intero nel brillio cupo delle sue pupille illuminate a tratti dalle luci giallastre dei lampioni tutti intorno.
- Per me hanno cominciato ad esserlo nel momento in cui ho capito che era te che volevo, e che non potevo rinunciare alla tua presenza. – ride un po’, amaramente, - Cioè, immagino, più o meno quando hanno cominciato a farsi difficili per te. È questo, credo, il motivo per cui io e te abbiamo dovuto chiuderla, a un certo punto. – ragiona serio, grattandosi il mento e acconciando le labbra in una smorfia a caso pescata alla cieca dal suo famoso campionario, - Tu ed io siamo molto simili, combattiamo entrambi, di continuo. Solo che tu combatti per la conquista, io combatto per quello che viene dopo. Non abbiamo obiettivi comuni, capisci? Tu ti fermi e perdi interesse, quando conquisti qualcosa, io invece il mio interesse comincio ad accenderlo proprio quando quella cosa ce l’ho fra le mani. Capisci perché non può andare?
Zlatan, naturalmente, scuote il capo, gettando il proprio panino nel primo cestino disponibile.
- Tu hai due difetti enormi. – risponde, apparentemente senza seguire alcun nesso logico con quanto José ha appena detto, - No, ok, hai una quantità spropositata di difetti enormi, ma i due peggiori in assoluto sono che parli troppo e, soprattutto, parli in modo da farti dare sempre ragione.
- Perché ho sempre ragione.
- No, perché vuoi la ragione a tutti i costi, anche quando non ce l’hai. – precisa Zlatan, incamminandosi per il lungolago, le mani ficcate a fondo nelle tasche dei jeans e José al fianco, svariati centimetri più lontano da lui, tanto da non poter nemmeno sentire il tepore e il profumo che si emanano dal suo corpo. – Ho combattuto per te perché ti volevo. E ti ho voluto finché ti ho avuto.
- E poi non mi hai voluto più. – prosegue José con un sorriso sghembo.
- No. – nega risolutamente Zlatan, quasi fermandosi in mezzo alla strada per guardarlo dritto in viso, - È qui che ha cominciato a farsi tutto più complicato. Ma questa è una cosa di me che non hai mai capito e non capirai mai.
- Perché non me l’hai mai spiegata. – motiva lui in un mezzo ringhio.
- Perché non è spiegabile. – insiste Zlatan, convinto, - Perché non sei uno zingaro, perché ti leghi ai posti in cui vivi, perché ti affezioni e resti affezionato anche quando vai via.
- E tu no.
- E io no.
- Ma sei qui, ora.
Zlatan ridacchia, grattandosi imbarazzato la nuca.
- Ed ecco che ricomincia a farsi complicato.
- Sai cosa credo io, invece? – ride José, sospirando un po’, - Che ti dia fastidio ammettere che per più di qualche minuto, in barba al tuo animo zingaro e stronzate varie, tu abbia pensato seriamente alla possibilità di restare. Per me.
Zlatan gli lancia un’occhiata risentita, imbronciandosi appena.
- Tiri la corda. – lo avverte in uno sbuffo insoddisfatto, e José ride ancora.
- Vedi? – lo prende in giro, - Semplicissimo.  – e Zlatan rotea gli occhi.
- Ti riporto a casa. – sbotta, - È evidente che qui abbiamo sbagliato entrambi.
- Hai sbagliato tu, semmai. – replica José, - Io non ho mai pensato che questa serata sarebbe stata qualcosa di diverso da un clamoroso buco nell’acqua.
Zlatan inspira profondamente, cercando di calmarsi, prima di rispondere.
- Hai ragione. – concede infine, - Ho sbagliato io. Perché ci ho sperato.
Non dicono più una parola finché non si trovano rinchiusi nell’ambiente incredibilmente inospitale della Mercedes di Zlatan. Profuma di buono – profuma di lui, e José non riesce ad ignorarlo anche se vorrebbe profondamente – e si muove svelta e discreta lungo strade che entrambi conoscono a memoria, hanno ripercorso decine – centinaia – di volte e sembrano intrecciarsi in un viaggio lungo all’infinito solo perché nessuno dei due vuole davvero porre fine a quella serata, per quanto brutta possa essere stata, con un nulla di fatto. I pareggi non li hanno mai esaltati, e ci sono questioni per le quali trovarsi esattamente a metà fra due posizioni opposte non porta sollievo a nessuno.
Zlatan sospira con forza mentre si ferma all’improvviso, accostando sul niente in una strada semisterrata in un punto imprecisato fra il vuoto e il nulla. José solleva lo sguardo e lancia brevi occhiate tutte intorno a sé, cercando di scorgere un qualsiasi punto di riferimento nel buio che li circonda, ma il paesaggio non gli è familiare, anche se probabilmente dovrebbe, e perciò si volta a guardare l’unica cosa che sia sicuro di poter riconoscere con certezza nel raggio di chilometri.
- Perché? – chiede, osservando attentamente Zlatan, che si ostina a fissare il volante ancora stretto fra le mani.
- Perché – risponde immediatamente lui, mordendosi con forza il labbro inferiore per provare a calmarsi, - perché non voglio lasciarti andare. Perché forse – concede, voltandosi finalmente a guardarlo, - forse hai ragione tu, okay? Forse per un secondo o più di uno ho pensato che per te potevo farlo, intendo, mandare a fanculo tutto, anche se non stavo bene, e restare. Perché eri tu, capisci? No che non capisci, tu queste cose non puoi capirle perché… cazzo, perché tu apprezzi le cose semplici, le cose lineari, giusto? E quindi non lo puoi capire quello che mi gira per la testa, perché – ridacchia nervosamente, - come potrei spiegarti che ti voglio vicino e ti voglio lontanocontemporaneamente? Come faccio a spiegartelo? Non lo capisco nemmeno io!
- Tu non sei complicato, Zlatan. – ribatte lui, irritato, - Tu ti complichi la vita! Vuoi le cose che non hai, quando le hai continui a volerle ma solo alle tue condizioni, cosa credi che siano gli esseri umani, oggetti? Credi di poterne avere un campionario a disposizione e poter scegliere quale utilizzare in relazione a come ti svegli in un determinato giorno? Cristo! – sbotta, scuotendo il capo, - Se mi vuoi, mi vuoi e basta. Se non mi vuoi, va’ pure a fanculo, sono sopravvissuto fino ad adesso, potrò continuare a farlo anche in futuro. E, per inciso, non ho vissuto in attesa del tuo ritorno, Zlatan. Io sono andato avanti, mentre tu-
- Sono andato a letto con Pep.
José lo guarda, le parole bloccate in gola e le labbra ancora dischiuse in attesa della conclusione della frase.
- Tu hai fatto cosa?
- Non riuscivo… - cerca di spiegarsi, ma solo nel momento in cui comincia si rende conto di non sapere come concludere, e per la verità nemmeno come continuare, - Volevo solo-
- Volevi cosa?! – insiste José, la voce che si fa acuta man mano che comincia a gesticolare, - Cazzo, non so nemmeno cosa dirti! È un comportamento da ragazzini, e tu hai smesso di esserlo da un bel pezzo, Zlatan! Dirmelo adesso, poi! – aggiunge con una risata amara, - Cos’è che dovrei fare, secondo te? Mettermi a urlare e farti una scenata di gelosia?
- Be’, è quello che stai facendo! – gli fa notare lui, allargando le braccia e lasciando finalmente andare il volante in un gesto esasperato.
- Assolutamente no! – protesta José, - Sto cercando di spiegarti il punto, che è-
- Il punto, il punto, il punto! – si lamenta Zlatan, poggiando il capo contro la testiera del sedile, - L’unico punto che abbia un qualche valore, per me, è che mentre stavo con lui non riuscivo a non pensare a quanto sembrasse sbagliato, a quanto mi sembrasse di stare perdendo qualcosa. Mancava qualcosa e non sapevo dire cosa. E l’ho capito quando ti ho rivisto, ma sto cominciando a rendermi conto che forse non servirà a niente davvero, dopotutto.
- Sai cosa? – continua immediatamente José, quasi senza neanche lasciargli concludere il discorso, - Potresti perfino avere ragione, per la prima volta in tutta la tua intera esistenza, pensa! Non servirà a niente, è tardi. E non capisco perché sei tornato, non posso pensare che non lo immaginassi, non sei così stupido.
- Lo immaginavo, infatti. – sputa fuori Zlatan, adirato, - Ma ho voluto provare lo stesso.
- Perché sei cocciuto! Perché sei ostinato!
- Forse solo perché sono stupido davvero. – soffia a bassa voce, e la voce è bassa e il soffio è come una carezza perché è lì a pochi millimetri dalle sue labbra, José ne sente il tocco leggerissimo, quasi impalpabile, insapore, inodore, e poi tutti i suoi sensi si risvegliano e lui ricomincia a sentire nell’esatto istante in cui le labbra di Zlatan coprono le sue e la sua lingua si spinge in avanti in una richiesta muta ma fin troppo chiara, aspettando una risposta – sperando e pregando perché sia positiva.
La risposta arriva con le labbra di José che si schiudono – ma non per parlare – e con le sue mani che si spingono in avanti – ma non per fermarlo – e in pochi secondi Zlatan si ritrova sopra di lui, incastrato fra lo sportello e il portapacchi e soprattutto il suo corpo, perciò va benissimo così, anche se il cambio gli pressa contro un polpaccio e il freno a mano contro una coscia e la maniglia contro un fianco, perché le labbra di José sono sulle sue e poi divorano centimetri su centimetri di pelle lievemente sudata, giù lungo il collo e nel poco che riesce a sfiorare attraverso il colletto della camicia, ed è difficile muoversi in questo modo, ma non importa, Zlatan si muove lo stesso, si contorce abbastanza da liberarsi dalla camicia e si solleva torreggiando su José per qualche secondo per sfilare i pantaloni, prima di tornare a calarsi su di lui in uno strofinio che costringe entrambi a mugolare compiaciuti e ringhiare insoddisfatti, perché è bellissimo ma non è perfetto, ed invece vogliono entrambi che lo sia.
- Non cambia niente. – ansima José contro il suo collo, mordendo appena, - Se anche ora ti scopo-
- Scopami e basta. – lo interrompe lui, spingendosi con violenza contro la sua erezione tesa al di sotto dei pantaloni estivi e leggeri, - Cazzo, scopami e basta. E dopo mandami a fanculo e costringimi a non rivederti più.
José morde più forte, e Zlatan si lamenta piano, gettando indietro il capo.
- Mentivo. – gli sussurra addosso, sfiorando il segno del morso con le labbra umide, - Se ora ti scopo, poi tu non scompari più. Tu resti, perché altrimenti – stringe forte le dita attorno ai suoi fianchi, per lasciare un segno di sé anche lì, per marchiarlo tutto, - perché altrimenti io non lo so nemmeno, quello che faccio, Zlatan. – solleva gli occhi su di lui e lo obbliga a ricambiare il suo sguardo, tenendogli stretto il viso fra l’indice e il pollice, - Chiaro?
Zlatan si inumidisce le labbra e socchiude gli occhi. Non risponde ad alta voce ma annuisce, ed a José non sembra il caso di mettersi lì a pretendere l’assenso esplicito o una stupida firma su uno stupido contratto. Per quello che valgono le firme, poi. Sono molto più importanti gli occhi di Zlatan, è molto più importante quello che gli stanno dicendo loro, così come le sue labbra serrate con forza sulle proprie, può credere più facilmente a quello che a tutto il resto. E se lo fa bastare.
Lo aiuta ad alzarsi un po’ – Zlatan solleva un braccio per piantarlo sul tettuccio ed impedirsi di sbattere la testa, José ne segue la linea dritta e asciutta ed ogni singolo rilievo delle vene lungo l’avambraccio, ricorda quelle tracce a memoria ed avrebbe voglia di seguirle tutte con le labbra, se solo Zlatan non tornasse a calarsi con urgenza sulla sua erezione palpitante di desiderio, accogliendolo dentro di sé con un gemito arreso ed esponendo il collo ad una serie di morsi che José non riesce a risparmiarsi, mentre scende ad accarezzarlo con una mano fra le cosce, stringendolo fra le proprie dita e seguendo il più possibile il ritmo delle proprie spinte e dei movimenti svelti del bacino di Zlatan incontro al suo.
- Era così? – ansima a fatica, lasciando baci umidi sul suo petto e sulle sue clavicole, - Con lui era così?
- No. – geme Zlatan, coprendosi gli occhi con un braccio e stendendosi all’indietro per facilitargli la discesa lungo il suo petto, - No, non così, così con nessuno, né prima, né dopo, né- ah, José!
- Ancora. – chiede lui, stringendolo più forte, spingendosi più in profondità, - Il mio nome, ancora.
- José… - ripete Zlatan, docile, - Jo- Zay! – quasi grida, quando le sue spinte si fanno tanto forti da sembrare devastanti, da fare quasi male, - Zay!
- Non te ne andare. – chiede José, baciandolo lentissimo, ovunque, ed è una richiesta davvero, non un ordine, non un imperativo, è una richiesta e basta, non suona implorante solo perché la voce di José non è fatta per intonare suppliche, ma è quanto di più simile a una dichiarazione d’amore Zlatan potrà mai ottenere dalle sue labbra, e perciò si serra forte intorno a lui, contraendo i muscoli come volesse risucchiarlo dentro di sé per non lasciarlo andare mai più, e José urla il suo nome venendo all’istante, stringendo forte la presa della mano attorno al suo cazzo e passando il pollice sopra la punta, mentre Zlatan si tende e si inarca e quasi si allontana, sdraiandosi del tutto fra il parabrezza e il portapacchi, e José gli è subito addosso, chinandosi più di quanto non dovrebbe essergli per natura consentito ed accogliendolo fra le proprie labbra, continuando ad accarezzarlo con una mano dalla base alla punta mentre Zlatan grida e pianta i piedi dove può per tenersi immobile in quella posizione e non muoversi più, perché è tutto troppo bello e ora sì, è anche perfetto, soprattutto nel momento in cui l’orgasmo lo sorprende all’improvviso, lì fra le labbra di José, mentre si costringe a mordersi con forza il labbro inferiore per non scoppiare nell’ennesimo grido di piacere, più forte di tutti gli altri.
Quando torna a guardarlo, José sta cercando di rimettersi dritto con qualche difficoltà, e lui lo agevola come può, scivolando goffo sul sedile del conducente e cercando di rassettarsi mentre prova ad ignorare quel po’ di sé di cui ancora resta traccia sulle labbra di José, e che lui si premura al più presto di leccare via discretamente, perché non sia più motivo d’imbarazzo per nessuno dei due.
- Io non… - deglutisce a fatica, passandosi una mano fra i capelli lunghi e mossi, un po’ umidi di sudore, - non potrò restare davvero, lo sai. Fra pochi giorni-
- Lo so. – lo interrompe José, secco, richiudendo i pantaloni dopo essersi ripulito sommariamente con una salvietta pescata a caso da un pacchetto nel portaoggetti, - Zlatan. – sospira quindi, tornando a guardarlo, - Non è davvero importante dove sei, finché l’obiettivo per cui stai combattendo resto sempre io. Lo capisci, questo? – chiede a bassa voce, un po’ incerto.
Zlatan annuisce.
- Lo sei sempre stato. – puntualizza, allungando una mano a stringere forte la sua, - Lo sei sempre stato.
José sorride appena, sbuffando. Zlatan non riesce a capire se gli abbia creduto o meno, ma d’altronde non gli importa: che non sta mentendo, glielo dimostrerà sul campo. Come ha sempre fatto.
- Ti rivedrò in finale di Champions. – promette, gli occhi che brillano di determinazione, - E allora saprai che il mio obiettivo non è mai cambiato, è cambiato solo il modo in cui sto cercando di raggiungerlo.
José ride ancora, stavolta più divertito.
- Portami a casa, zingaro. – conclude. E il rombo della Mercedes si perde nella notte.
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