Genere: Introspettivo.
Pairing: Nessuno.
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Angst, Gen, Spoiler per il finale della 3x06.
- "Lui e Santana si assomigliano più di quanto entrambi possano tollerare. È stato questo ad avvicinarli ed è stata la stessa cosa a dividerli quando Dave ha scelto per sé una strada diversa, probabilmente più facile, ma della quale non ha ancora mai avuto motivo di pentirsi."
Note: Ho scritto questa storia perché questo è il modo in cui sarebbe dovuta andare la faccenda nella serie, ed odierò per sempre Murphy e la sua compagnia di troll incapaci (se già non li detestavo abbastanza prima, e per i motivi più vari) per aver sostanzialmente dimenticato una delle cose che più mi erano piaciute della s2 durante il break estivo. Che sarebbe ovviamente il Santofsky. Sono sempre stata ok con il pensiero che il Kurtofsky avrebbe potuto essere "messo via" con estrema facilità, ma per il Santofsky avevo delle speranze molto vive, che sono state crashate senza pietà XD E questo non potrà mai ottenere perdono.
Ciò detto, storia scritta per fillare il prompt #56 della Maritombola @ maridichallenge (fra due minuti), e per sconfiggere la malvagia scimmia Batz Kimil per il primo round della Zodiaco!Challenge @ fiumidiparole. #crosspostingisgood
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TOGETHER WE’RE INVINCIBLE

Quando Dave apre la porta e ci trova dietro Santana, gli salta il cuore in gola, e non riesce più a respirare. Non è tanto per il semplice fatto di rivederla quando non pensava che sarebbe mai più successo, quanto più per il modo in cui la vede. Dall’ultima volta che le ha posato gli occhi addosso sono passati mesi, ma ricorda ancora abbastanza bene com’era stare con lei, da sapere che le lacrime che le inondano gli occhi non sono di mera rabbia, né di semplice frustrazione, ma sono entrambe queste cose unite ad una tristezza talmente violenta da prenderlo alla base dello stomaco, come sempre, ricordandogli che l’anno scorso ad unirli non è stata la paura di un ricatto puerile tanto nella forma quanto nelle intenzioni, ma la consapevolezza di una somiglianza così intima e profonda da risultare perfino disturbante. Spaventosa. Dolorosa.
Lui e Santana si assomigliano più di quanto entrambi possano tollerare. È stato questo ad avvicinarli ed è stata la stessa cosa a dividerli quando Dave ha scelto per sé una strada diversa, probabilmente più facile, ma della quale non ha ancora mai avuto motivo di pentirsi.
Ma Santana, adesso, coi suoi occhi scuri e persi e rossi e umidi, e il fiatone, e i capelli scuri scompigliati sulla fronte, sta facendo vacillare tutte le sue certezze, e lui riesce ad accorgersi di aver trattenuto il fiato per una quantità spropositata di secondi solo quando comincia a dolergli il petto.
- …che ti è successo? – domanda, il groppo in gola che impedisce alla sua voce di fuoriuscire libera, e la trasforma in un rantolo pietoso. Vorrebbe poter smettere di sentire Santana tanto profondamente da soffrire fisicamente ogni volta che si ritrovano a condividere lo stesso spazio, ma d’altronde è una questione che si porta ancora dietro dall’anno prima, e se non è ancora riuscito a liberarsene è ragionevole credere che non ci riuscirà mai. Perciò sospira, e cerca di continuare a guardarla anche se l’unica cosa che vorrebbe adesso è trovare abbastanza coraggio da voltarle le spalle e dirle che per lei non c’è più posto, nella sua nuova vita.
- Fammi entrare.
La voce di Santana è ferma, nonostante le lacrime che le rigano le guance. Anche il suo sguardo è sicuro, così come la sua richiesta è netta.
Dave si fa da parte, lasciandola passare.
- Mi vuoi spiegare che cosa è successo? – insiste, chiudendosi la porta alle spalle e seguendola mentre lei attraversa l’ingresso e il corridoio e, come fosse a casa propria, imbocca le scale per salire al piano di sopra. – Santana? – la chiama, dato che la sua domanda non ottiene risposta. Le va dietro, restando indietro di un paio di passi giusto per capire dov’è che stia andando, e si rassegna ad affiancarla solo quando le vede spalancare la porta di camera sua. – È un casino. – la avverte, aggrottando le sopracciglia mentre appoggia la mano sulla sua, stretta attorno alla maniglia.
Santana gli lancia un’occhiata liquida e cupa.
- Non mi importa. – risponde. Dave sospira, e la lascia entrare. La osserva mentre si guarda intorno, adocchiando il pc acceso col browser aperto su una pagina della Wiki, e il piccolo televisore in un angolo acceso anch’esso, col volume al minimo. – Non è così incasinata. – commenta, risistemando appena le coperte sul letto per sedersi su una sponda, le dita che affondano nel piumone colorato, le gambe accavallate lasciate scoperte da una delle sue solite vertiginose minigonne.
- Santana… - Dave sospira, sedendosi sulla poltroncina con le rotelle mezza rotta che non riesce mai a fare il giro completo su se stessa e si blocca sempre a metà, - Mi dici che c’è?
Santana gli solleva addosso gli occhi. Il suo sguardo è scuro e impenetrabile, come al solito, tinto della sfumatura pericolosa che spesso il modo che ha di stendere l’eye-liner gli dà. Dave se n’è sempre sentito piuttosto intimorito, ed ha come l’impressione che Santana stia cercando di fargli paura anche adesso.
Non le riesce molto bene.
Dave la osserva sospirare e piegare lievemente le spalle, come abbattendosi sotto il peso di chissà che tristezza epocale, e non può fare a meno di pensare con un sorriso a quanto tutto con Santana sembri moltiplicato per mille, ogni sensazione ed emozione.
“Drama queen”, sta per dirle, ma poi Santana parla.
- Fra meno di due minuti, la mia vita sarà rovinata per sempre. – dice con un filo di voce. Non aggiunge altro, e Dave inarca un sopracciglio, sospettoso.
- E non avevi nessun altro posto in cui essere, in questo momento così importante? – domanda ironico, e si sente un cretino quando Santana gli solleva addosso un’altra occhiata così triste che Dave a stento si sente in grado di sostenerne il peso. – Tana…? – la chiama ancora, preoccupato, ma lei torna a guardare il pavimento, sfuggente. – Tana, che cosa è successo?
Lei lancia un’occhiata improvvisamente allarmata al televisore. Il telegiornale è finito, fra poco comincia la partita – ovverosia, il motivo per cui Dave la stava tenendo accesa col volume a zero – in questo momento c’è la pubblicità.
- Spegni. – dice di fretta, la voce quasi rauca.
- Che? – si lagna Dave, afferrando il telecomando appoggiato in punta su un angolo della scrivania e stringendoselo al petto, - No!
- Spegni. – ripete lei, le dita così strette attorno al copriletto da imbiancarle le nocche.
Dave deglutisce, la guarda senza capirla – come, d’altronde, è sempre successo – e infine obbedisce, spegnendo la televisione e lanciandole il telecomando per buona misura. Lo osserva planare sul cuscino accanto a lei. Santana lo guarda, ma poi lo lascia lì.
- Tana, non capisco. – sospira Dave, scuotendo il capo, - Parlami. Di’ qualcosa.
Santana deglutisce. Stringe i pugni, sospira a propria volta, poi lo guarda, e c’è qualcosa, nei suoi occhi, qualcosa che Dave non ci ha mai visto riflesso dentro.
- Abbracciami. – gli chiede con un filo di voce.
È una preghiera. Dave non è mai stato pregato da nessuno, neanche da suo padre per cercare di convincerlo a studiare meglio, o a fare più il bravo quando era piccolo.
È la prima volta che sente un tono simile rivolto a sé, ed il fatto che a portarne le tinte sia la voce di Santana, per qualche motivo, rende la richiesta ancora più pressante.
E Dave non la rifiuta.
*
Si sveglia ore dopo, Santana sta ancora dormendo. Sulla strada, fuori, è calata l’oscurità. Suo padre, di sotto, sta guardando la televisione, si sentono le risate pre-registrate della sit-com delle otto fin su al primo piano. Dave odia le risate pre-registrate, le odia fin da quando era bambino. È per questo che le sit-com non gli sono mai piaciute. Le risate sembravano dovergli indicare quando e perché ridere, e quando partivano senza che lui avesse capito la battuta non facevano altro che farlo sentire stupido. Certe volte pensava che suo padre lo facesse apposta a continuare a guardarle anche se a lui non piacevano, e lo odiava per questo. Ha capito poi, col tempo, che suo padre non voleva fargli intenzionalmente del male, semplicemente non poteva sapere di ferirlo se Dave per primo non glielo faceva presente. Un insegnamento di cui avrebbe dovuto far tesoro nel tempo, e che invece si ostina a tenere nascosto, e ricordare solo di tanto in tanto.
Bisogna parlare. Bisogna dire chiaramente le cose.
Si solleva piano, reggendosi su un gomito. L’altro braccio e intrappolato, Santana lo stringe come una bambola. Bisogna parlare, Santana. Vorrebbe dirglielo, e invece si limita a sussurrarglielo. Lei però dorme, e nemmeno lo sente.
Dave sospira, disincastrando il braccio dalla stretta di Santana e scivolando silenziosamente giù dal letto, per non disturbarla. Il materasso scricchiola e ondeggia appena sotto il suo peso. Santana si muove, cambia posizione, rotola nella parte di letto che fino a pochi secondi prima ospitava lui e si raggomitola nella conca che il suo corpo ha lasciato sulle lenzuola, assorbendone il calore in un mugolio soddisfatto.
Dave si lascia sfuggire un mezzo sorriso intenerito, scuotendo lievemente il capo. Poi sbadiglia, si sente in bocca un sapore disgustoso e stabilisce che può scendere di sotto ad avvertire suo padre che è vivo, approfittandone per razziare il frigorifero.
- Ohi, pa’. – lo saluta, saltando giù due scalini alla volta e trotterellando serenamente in cucina. Da quando ha cambiato scuola, da quando cioè i suoi voti sono tornati quelli di un tempo e la sua condotta è tornata quella di un normale ragazzo all’ultimo anno di liceo, i loro rapporti sono di molto migliorati. La casa non è più fredda e inospitale come più volte gli era parso che fosse quando tutto intorno a lui faceva schifo oltre ogni limite e confine. Adesso, lui e suo padre possono anche salutarsi così, con un “ohi pa’” e un cenno della mano da sopra lo schienale del divano, quando prima ci sarebbero state domande scomode, e occhiate torve, e altre occhiate addolorate e deluse.
- Non credevo neanche che fossi in casa. – commenta Paul Karofsky, le gambe accavallate e la vecchia tuta da ginnastica un po’ sdrucita che gli lascia scoperte le caviglie, - La luce in camera era spenta.
- Dormivo. – risponde Dave, rovistando all’interno del frigorifero con una smorfia insoddisfatta, - Papà, ma non c’è neanche un po’ di formaggio o della senape o che so io.
- Ci sono delle carote sbucciate, se vuoi. – fa spallucce suo padre, con un mezzo ghigno, e Dave tira fuori la lingua con aria esageratamente disgustata. Suo padre e la sua mania per il cibo sano. Palesemente lo porterà alla morte, o qualcosa del genere.
Alla fine, si accontenta di arraffare il cartone del succo d’arancia e bere direttamente da lì, un sorso dopo l’altro, mentre si avvicina al divano e sbircia il televisore.
- Che guardi? – domanda, più per fare conversazione che per vera curiosità. Suo padre scrolla le spalle.
- Qualcosa con Tim Allen. – risponde, - Vecchie repliche. Non ero neanche attento. – commenta con una risatina. Dave sorride a propria volta, bevendo un altro sorso di succo d’arancia. Che però quasi gli va di traverso.
La sit-com è finita, ma quella che Dave sta guardando adesso non è pubblicità. Non ci assomiglia neanche. È uno di quegli spot elettorali che ultimamente stanno andando sempre più spesso, in tutte le fasce orarie. Quello della coach Sylvester è più invasivo di un viral video.
Questo però non è lo spot elettorale della coach Sylvester. Appartiene a qualcun altro. Dello stesso stampo, si direbbe, a giudicare dalla cattiveria, ma decisamente non è lei. Lei non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. No, non a Santana.
- Dave… - lo chiama suo padre, inarcando un sopracciglio e indicando lo schermo, perplesso, - Non è quella tua amica? – domanda.
Dave deglutisce a fatica, stringendo il cartone dell’aranciata fra le mani così forte da schiacciarlo.
*
Non la sveglia lui, aspetta che sia lei a svegliarsi da sola. Adesso che sa cos’è successo, immagina che Santana abbia bisogno di riposarsi, o comunque sia di dormire. Se una cosa simile accadesse a lui, Dave sa che non avrebbe la minima voglia di stare sveglio, di tenere costantemente gli occhi aperti su un mondo che lo guarda con sospetto, magari perfino con schifo. Soprattutto, non sopporterebbe di doversi guardare allo specchio da solo, e cosa ancora peggiore, non riuscirebbe a sopportare gli sguardi pieni di pietà di chi “lo capirebbe” e deciderebbe di “restargli vicino”.
Ora, lui capisce Santana. E vuole starle vicino. Ma al contempo non vuole che Santana lo trovi fastidioso e irritante come lui sa che farebbe a parti invertite, perciò lascia che sia lei a tornare da lui, coi suoi tempi. Come d’altronde ha sempre fatto.
Santana apre gli occhi solo mezz’ora dopo, stiracchiandosi appena per poi tornare a rannicchiarsi su un fianco, tirandosi la copertina di lana che Dave le ha steso addosso fin sotto al mento. Gli sorride, le labbra che si piegano appena nella luce della luna ancora bassa sul cielo che filtra attraverso le imposte, rischiarando la stanza in strisce oblunghe che vanno sfumandosi sempre di più tanto più si allontanano sulla parete di fronte al letto.
- Che ore sono? – domanda con un mezzo sbadiglio. Dave le sorride a propria volta.
- Quasi ora di cena. – le risponde, e Santana si lascia andare ad un mugolio piagnucoloso davvero poco da lei.
- Pensi che potrei restare qui, per stasera? – gli domanda, - Adoro come cucina tuo padre.
Lui le sorride ancora. Si solleva dalla sedia dove è rimasto seduto fino ad adesso e si sposta sulla sponda del letto, allungando una mano a scostarle una ciocca di capelli dal viso.
Poi la sua espressione si fa grave, quasi solenne, venata da una tristezza profonda e palpabile, e Santana sa già cosa Dave sta per dire, prima ancora che lui sia riuscito a formulare il pensiero nella propria mente.
- Abbiamo visto lo spot, Tana. – le dice in un sospiro, e lei si irrigidisce, chiudendo le dita come tenaglie attorno alla coperta.
Non sa cosa le abbia dato l’illusione di poter credere che nascondendosi in casa di Dave, nel suo letto, fra le sue braccia, in qualche modo il tempo potesse fermarsi, o tutte le cose che la facevano soffrire potessero sparire. Forse perché in realtà era quello che succedeva quando lui stava ancora al McKinley e fingevano di stare insieme: la sua presenza allontanava le dicerie, le minacce, lasciandosi andare ad un bacio o due in macchina nel tentativo di scacciare via le voci dalla testa e dallo stomaco, prima ancora che dai corridoi, Santana poteva ancora illudersi che fosse tutto a posto, tutto normale, come al solito.
Ma questa casa, pur con le sue pareti spesse e solide, non può bastare a tenere fuori la realtà. E Santana si sente stupida per averci anche solo creduto.
- …è una catastrofe. – sussurra abbassando lo sguardo, gli occhi che tornano a riempirsi di lacrime. Non vorrebbe piangere, sente di aver già pianto abbastanza, per oggi. Sente di aver già sofferto abbastanza. E si sente ancora più stupida quando si accorge di non riuscire a smettere. Credeva di essere più forte di così. Credeva di essere invincibile. Non era vero.
- Tana… - mormora Dave, sollevandola di peso dal letto e stringendosela contro, avvolgendole le braccia attorno alle spalle sottili, già scosse dai singhiozzi, - Non preoccuparti. Si sistemerà tutto. Andrà meglio. – mente, un sussurro dopo l’altro fra i suoi capelli scomposti che adesso hanno lo stesso profumo del cotone fresco di bucato delle sue lenzuola. Santana scuote il capo perché non ci crede, ormai non crede più a niente, ma Dave non si ferma. Continua a bisbigliarle bugie, perché non importa che qualcosa sia vero, l’importante è che Santana riesca a crederci, e lui la costringerà a farlo, fosse anche solo prendendola per stanchezza. – Sistemeremo tutto. – le dice, guardandola negli occhi e annuendo lentamente, - Te lo prometto. C’è sempre una soluzione.
Santana si asciuga le lacrime, ed annuisce più per imitazione che perché si senta davvero convinta.
- Dimmi che posso restare. – insiste, strofinando il viso contro la sua maglietta, - Tuo padre è gentile. Non dirà niente di cattivo, vero? – domanda speranzosa.
Dave sa che suo padre non si permetterebbe mai di fare una cosa simile, ed annuisce con la certezza di poter promettere a Santana che, finché resterà in quella casa, loro sapranno come proteggerla.
Al mondo di fuori penseranno domani. Non sembrerà più semplice, forse, ma ad affrontarlo saranno in due.
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