Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Mario/Davide.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Slash.
- Certe domande preferiscono restare sospese, non ricevere mai una risposta. Perché certi rapporti, quando li chiarisci, perdono consistenza.
Note: Storia scritta per la seconda edizione del Challenge Trimestrale di dietrolequinte, su prompt Tra l'amicizia e l'amore c'è la distanza di un bacio, che è una frasaccia da Bacio Perugina, di un anonimo per giunta (cioè le frasi che i creatori dei bigliettini scrivono quando non sanno cosa ficcarci, una roba di una tristezza che non si racconta), ma spero che la fic in sé possa valere qualcosina di più. A parte il Quintino che mi permetterà di guadagnare. In realtà, comunque, l'ho scritta facendo tesoro di tutti i deliri santonelliani sproloquiati su Twitter, ed a questo proposito vorrei ringraziare sia Ary che Jan, anche se poi alla fine le due scene che avevo promesso loro non ci sono \o/ *si suicida* Mi spiace, ma la storia è andata diversamente, quindi alla fine ci sono dei dettagli di cui avevamo parlato ma non le scene in sé X'D Prometto che scriverò delle shot apposite. Fino ad allora, mondo, fatti bastare ciò che c'è \o/ *va a morire*
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To Define Is To Limit
Tra l'amicizia e l'amore c'è la distanza di un bacio.


La prima volta succede una notte che Mario torna a casa dopo una serata intera passata fuori. Davide è rimasto ad aspettarlo finché ha potuto – non per altro: è che Mario s’è dimenticato di avvertire che non sarebbe tornato per cena, o forse neanche gli è passata per l’anticamera del cervello la possibilità di farlo, e lui aveva preso un paio di pizze ed affittato un film, e insomma – imbronciandosi sempre di più man mano che il tempo andava passando, che poi è una cosa che gli hanno sempre detto tutti, che quando è scontento gli si allunga il broncio col passare dei minuti, e qualche volta gli succederà che il broncio arriverà a sfiorare per terra e la sua bocca non tornerà più normale e sarà come avere una proboscide.
E insomma, a un certo punto un po’ perché aveva paura di ritrovarsi addormentato sul divano e con una proboscide in più l’indomani mattina, e un po’ perché aveva sonno davvero, ha mollato sul tavolo la pizza panna e salsiccia di Mario e s’è trascinato stancamente verso il letto, ciabattando scontento. Non che sia riuscito proprio a dormire, naturalmente, tant’è che quando Mario è rientrato in casa l’ha sentito – la porta che si apriva e si chiudeva, i suoi passi strascicati lungo il corridoio, le risatine al telefono con qualche sconosciuto o sconosciuta – e s’è perfino spaventato quando l’ha sentito aprire la porta di camera propria, invece che della sua.
Ha tenuto gli occhi socchiusi, in modo da poterlo guardare senza che, nella penombra, Mario potesse accorgersi che lo stava facendo. L’ha osservato spogliarsi distrattamente, lasciar ricadere maglietta e jeans sullo schienale della sedia accanto alla scrivania dopo aver scalciato via le scarpe fino a far colpire loro la parete di fronte, ed ha trattenuto il respiro per un tempo immenso quando Mario s’è lasciato cadere sul letto, non esattamente al suo fianco, praticamente sopra il suo corpo.
- …Mario? – esala, seriamente spaventato dalla possibilità di morire a trattenere il respiro ancora un po’ più a lungo. Mario mugola un verso vagamente sorpreso, senza premurarsi di alzare il capo dal cuscino, proprio accanto al suo viso, mentre Davide, ormai con gli occhi del tutto aperti, pensa distintamente di non aver mai visto una notte più nera di quella che vede sulla sua pelle scurissima adesso. – Mario, sei nel mio letto. – prova ad aggiungere, deglutendo pesantemente. Mario annuisce.
- Sì, me ne sono accorto in ritardo. – sbuffa, sollevandosi lentamente e stampandogli un bacio asciuttissimo sulle labbra. – Buonanotte. – biascica, prima di tornarsene placidamente a dormire.
Davide prova a dirsi che era più addormentato che sveglio, mentre accadeva. Prova a dirsi che Mario dev’essersi sbagliato, che forse era un po’ ubriaco, che la stanchezza, che la confusione, che il buio, l’impossibilità di prendere decentemente la mira, che sicuramente voleva baciarlo sulla guancia e probabilmente è solo scivolato, ma ormai è successo, e non può fingere che invece così non sia stato.

*

La seconda volta succede una sera che Mario lo invita a uscire con i suoi amici. Non è ancora mai successo, lui e Mario sono usciti insieme qualche volta, ma più che altro da soli, giusto per una bevuta tranquilla quando sapevano di dover tornare a casa presto causa allenamento mattutino l’indomani, perciò Davide è molto emozionato all’idea di poter finalmente conoscere il famoso Anthony e tutto il resto della cricca, visto che Mario non fa che parlare continuamente di loro.
Per questo motivo, s’è vestito meglio che ha potuto ed ha passato tipo tre ore in bagno a rifarsi le sopracciglia. S’è acconciato i capelli con un po’ di gel, s’è infilato un berretto sulla testa, le scarpe migliori e la cintura più vistosa possibile e tutto questo perché, appena uscito dal bagno, Mario potesse guardarlo, strabuzzare gli occhi e poi dirgli con tono quasi offensivamente calmo “Davide, sembri una troia arrapata.”
- Ma come ti permetti?! – protesta inorridito, stringendosi nelle spalle quasi in posa difensiva e guardandolo come volesse prenderlo a coltellate con gli occhi.
- Ma è la verità! – insiste Mario, girandogli attorno ed afferrandolo per le spalle per costringerlo a voltarsi e guardarsi nello specchio sull’anta dell’armadio. – Vedi, - gli dice, restando dietro di lui. Davide dovrebbe fissare il proprio riflesso, e invece fissa il suo. – i pantaloni sono bassi il giusto, - commenta, strattonandoli anzi ancora un po’ lungo i fianchi, - ma la camicia è troppo corta. Cioè, ti si vedono già le mutande e se alzi le braccia, - lo afferra per i polsi e costringe il suo corpo a seguire le direttive della sua voce. E Davide lo lascia fare come se dentro fosse vuoto e il suo respiro fosse l’unica cosa in grado di riempirlo, - ecco, vedi? – annuisce compitamente Mario, lasciandogli scivolare le dita lungo la linea un po’ curva della vita, - Ti si vede tutto. Cioè, è come prendere a sbattere il culo in faccia alla gente, non si fa. È da troia arrapata, appunto. – lo guarda dritto negli occhi e sorride. – Ora puoi anche abbassarle, le braccia.
Davide le lascia ricadere lungo i fianchi con un tonfo morbido, e quando Mario s’allontana lo segue con lo sguardo, aggrottando pensoso le sopracciglia mentre le labbra gli si arricciano nel solito broncio offeso con una naturalezza quasi disturbante.
- Ho capito cosa intendi, - gli dice, - ma potresti anche imparare a dirle un po’ meglio, le cose.
- Mh? – chiede Mario, rovistando all’interno del proprio armadio alla ricerca di qualcosa da prestargli, - Perché? Ti sei preso male?
- Sì! – sbotta lui, allargando le braccia ai lati del corpo. Può ancora sentire sui polsi la pressione delle dita di Mario, - Non si dà della troia alla gente.
Mario ridacchia, recupera un paio di jeans, una maglietta bianca e un gilet nero e torna verso di lui.
- Ma non ti ho dato della troia, ti ho detto solo che lo sembravi. – lo rassicura, come se una dichiarazione del genere potesse rassicurarlo, e quando si sporge in avanti Davide è abbastanza sicuro che Mario voglia solo consolarlo, o scusarsi per averlo offeso, o chissà cos’altro, ma certamente non baciarlo sulle labbra. E invece è esattamente ciò che succede. – Metti questi, - gli dice, poggiando i vestiti sul letto e poi dandogli le spalle per abbandonare la stanza sempre sorridendo, come non fosse successo niente, - io ti aspetto di là.
Davide osserva la porta chiudersi, e poi il suo sguardo si sposta sui vestiti di Mario, sul materasso. Le sue dita, invece, salgono fino ad accarezzarsi le labbra, e lì, molto a lungo, restano.

*

La terza volta sa di brodo di pollo. È passato uno sproposito di tempo dalla seconda volta, e Davide ha potuto comodamente ripensare al fatto più e più volte, digerirlo e poi eliminarlo come una scoria fastidiosa, perciò quando succede è ancora più spaventoso.
Tornando a Milano dopo la partita contro il Siena, in aereo, Mario s’è sentito male. Ha bevuto una birra ghiacciata, gli è venuto mal di stomaco ed è rimasto per tutto il tempo rannicchiato sul proprio sedile mentre di tanto in tanto i compagni gli si avvicinavano per chiedergli se andasse un po’ meglio, provare a consolarlo con qualche carezza tenera sul viso o sulla testa e prenderlo un po’ in giro perché “avrai pure un fisico da paura, Mario, ma sei sempre malaticcio come una femminuccia, ma si può?”.
Davide non gli ha ronzato troppo attorno, non ha voluto infastidirlo più di tanto, anche perché Mario quando non è in forma diventa anche un sacco permaloso, e roba che in genere lo farebbe solo ridere come un cretino è in grado di portarlo ad incupirsi come gli avessero offeso la mamma o chissà che. C’è stato nel momento del bisogno, comunque: l’ha aiutato a portare il bagaglio, tornare a casa – ha guidato lui, dopo uno sproposito di tempo, e come se non bastasse ha potuto guidare la macchina di Mario, una figata che neanche le continue raccomandazioni preoccupate di Mario seduto accanto a lui hanno potuto rovinare – e poi mettersi a letto. È rimasto con lui fino a quando non s’è addormentato, poi è andato in cucina e ha messo l’acqua sul fuoco, col pollo, le cipolle, le carote e il sedano.
Quando Mario si sveglia, lui è già seduto lì accanto al letto, sorridente e con una zuppierina di brodo di pollo fra le mani, armato di cucchiaio.
- Come stai? – gli chiede. Mario lascia andare un lamento poco chiaro. Davide immerge il cucchiaio nel brodo e glielo porge.
- Che fai, m’imbocchi? – chiede a propria volta Mario, scorbutico. Probabilmente non si aspetta che Davide semplicemente annuisca, come invece accade, perché la sua reazione al suo lento movimento della testa in su e in giù è stranita. Inarca un sopracciglio, lo guarda a lungo. E poi schiude le labbra e si lascia imboccare. – Un po’ meglio. – sospira quindi alla fine, rispondendo ad una domanda che Davide, ormai, ha perfino quasi dimenticato. – Che figura di merda, eh?
- Be’, sei stato un po’ ridicolo, sì. – ridacchia Davide, - È buffo, finisci sempre a stare male per cose assurde. Ti prendi una febbre ed è la fine del mondo perché in pratica non ti si può curare, che sei allergico all’universo, poi bevi una birra e quasi ti congestioni… - ride ancora, stringendosi nelle spalle ed imboccandolo un altro po’, - È divertente.
- Be’, grazie. – sbuffa Mario con una smorfia, - È esattamente quello che avevo bisogno di sentirmi dire.
- Però… - continua Davide, abbassando lo sguardo mentre mescola distrattamente il brodo, più per darsi qualcosa da fare che perché serva davvero, - intendo, è una cosa dolce. Cioè, tu sei davvero fortissimo, è dolce che però tu abbia questi punti deboli da bambino. Poi penso a me che ho una salute di ferro e – sorride più faticosamente, dandosi una bottarella al ginocchio destro, - e poi ho lui che non mi lascia in pace un secondo. È buffo anche questo, alla fine.
Davide non riesce a sollevare lo sguardo perché parlare del dannato ginocchio lo deprime sempre un casino. È consapevole di aver praticamente perso un anno a causa sua, e il pensiero di essere riuscito a guadagnarsi un posto nell’Under-21 – anche se c’è chi potrebbe considerarlo un declassamento, dopo la Confederations Cup, ma Davide riesce a vedere la differenza fra l’andare coi grandi restando in panchina ed andare coi piccoli giocando ogni singola partita, e può solo esserne grato – solo per poi farsi spaccare il ginocchio e mandare a puttane il resto della stagione, una stagione già spettacolare, e che può solo migliorare, lo rattrista enormemente.
Può sentire gli occhi di Mario addosso, comunque: lo stanno scrutando decisi, come volessero tirargli fuori dal corpo qualcosa che le parole non potrebbero esprimere altrettanto efficacemente. Resta comunque immobile quando sente le lenzuola frusciare, il corpo di Mario scivolargli accanto sul materasso, il suo calore avvicinarsi. E le sue guance prendono fuoco quando due dita di Mario gli sollevano il mento e gli posano sulle labbra un altro bacio. Una consolazione, forse. Un “ti capisco”, o un “ti sono vicino”. Ma espresso comunque labbra contro labbra, ed è già il terzo.
Mario si allontana poco dopo, e torna a stendersi sul letto, voltandosi dall’altro lato e chiudendo immediatamente gli occhi. Davide cerca di non fare rumore mentre esce dalla stanza portando con sé quel che resta del brodo di pollo, poco dopo.

*

La quarta volta è bagnata, c’è acqua ovunque. Visto che Mario ci stava mettendo un’enormità di tempo ad uscire dallo spogliatoio, Davide è scivolato lungo i corridoi sconosciuti del Bernabéu e l’ha raggiunto, stupendosi di trovarlo ancora sotto la doccia, completamente solo.
- Ma che combini? – gli chiede in una mezza risata, - Sono tutti fuori a farsi intervistare, la conferenza stampa starà già per finire.
Mario non apre gli occhi e non si sposta da sotto il getto d’acqua tiepida. Il suo corpo, ricoperto di goccioline d’acqua e finalmente rilassato, è meraviglioso.
- Lo immaginavo. – annuisce, sorridendo appena, - Volevo prendermi un po’ di tempo per me.
- Volevi lavare via l’onta di non aver giocato? – ridacchia Davide, appoggiandosi sulla parete accanto alla doccia. Mario ride e gli schizza un po’ d’acqua sul viso.
- No, è che continuo a sorridere come un cretino e volevo vedere se stare un po’ tranquillo per i fatti miei poteva farmi smettere. – risponde, scuotendo il capo per scrollarsi un po’ d’acqua dai capelli, - Non posso mica andare in giro con questa faccia.
- È una bella faccia. – commenta Davide, e quando Mario finalmente apre gli occhi per lanciargli uno sguardo strano e un sorrisino ancora più strano, si affretta a correggersi: - Cioè, si vede che sei felice. È bello vederti sorridere così. – prova a metterci una pezza, ma il calore alle guance gli conferma il rossore, e lui sa che Mario non si lascia mai sfuggire particolari di una simile importanza.
- Tu, invece, - dice, tornando ad immergersi sotto il getto d’acqua, - potresti avere una faccia più bella.
Davide si acciglia.
- Stai dicendo che sono brutto? – borbotta offeso. Mario scoppia a ridere.
- Sto dicendo che vorrei vederti sorridere di più. – precisa, e Davide arrossisce ancora, ma riesce, chissà come, a trovare la forza di scrollare le spalle e fingere indifferenza.
- È dura sentirsi questi trionfi addosso e sorridere, quando si sa di non aver contribuito neanche un po’ per ottenerli.
Mario si volta repentinamente a guardarlo, lo stupore talmente evidente negli occhi e sulla piega delle labbra dischiuse che Davide si pente perfino di averla pensata, una cosa simile. I gesti successivi – lui che si allunga verso Davide, lo afferra per il polso, lo trae a sé e poi lo schiaccia contro la parete della doccia, premendo con forza le labbra serrate contro le sue – sono talmente concitati che Davide perde la traccia del loro ordine, non capisce più dove si trova né cosa sta facendo, e non riesce nemmeno a trovare nella propria testa una delle solite motivazioni che in genere lo aiutano a convivere con gesti simili senza doversi arrendere troppo disperatamente a ciò che sono.
- Sono anche tuoi. – gli dice Mario, guardandolo negli occhi dopo essersi allontanato di qualche centimetro. L’acqua cade loro addosso come fossero per strada sotto la pioggia, e il corpo di Mario è così schiacciato contro il suo da rendere tutto ancora più confuso. – Sono tutti e tre anche tuoi.
Quando le labbra di Mario tornano a coprire le sue, non sono più solo labbra. E la sensazione bagnata che Davide sente, quella sensazione bagnata alla quale si aggrappa come da essa dovesse dipendere il ritmo del proprio respiro, non è più solo dovuta all’acqua.

*

Mario è andato a San Siro con la squadra, a festeggiare coi tifosi. La testa di Davide già ciondolava in aereo, perciò ha preferito tornarsene a casa a dormicchiare in attesa del suo ritorno. D’altronde, s’è detto, adagiandosi mollemente fra le coperte e poggiando la testa sul cuscino con un respiro di sollievo, avrà altre occasioni per festeggiare coi tifosi, occasioni che, nonostante le parole di Mario, potrà affermare di sentire più proprie.
Quando Mario torna a casa sono le sette passate, il sole è già alto nel cielo e Davide, con gli occhi socchiusi, ne osserva i raggi giocare fra le tende tirate in camera. Sa che Mario entrerà dalla porta, se la richiuderà alle spalle, attraverserà il corridoio e, quando entrerà nella sua stanza, stavolta non sarà per errore. Perciò lo accoglie schiudendo gli occhi e sorridendogli, quando lui, finalmente, arriva.
- Era bello San Siro? – chiede, la voce ancora impastata dal sonno. Prima di rispondergli, Mario si prende qualche secondo in cui, semplicemente, lo osserva. Davide è spaventato dall’intensità di quello sguardo, dall’enorme quantità di affetto che ci sente dentro. Non s’è mai sentito osservato così da nessuno che non fossero i suoi genitori o suo fratello quando, da piccolino, lo andava a guardare giocare nel Ravenna. Uno sguardo del genere, però, quando arriva da Mario, ha implicazioni totalmente diverse, e per quanto Davide ne sia spaventato fin quasi al terrore non riesce a nascondere il formicolio tutto particolare che lo scuote interamente quando il sorriso di Mario si apre e lui comincia a spogliarsi.
- Bellissimo. – gli risponde, - Pieno come un uovo. Ed erano tutti felici. Avresti dovuto vederli.
- Avrò altre occasioni. – lo tranquillizza lui, sorridendogli sereno. E poi, in un impeto infantile e del tutto ridicolo, solleva le braccia. Come volesse farsi sollevare in braccio o chissà che altra stronzata.
Mario ridacchia, gli si avvicina, sbottona i pantaloni e si siede sul bordo del letto, stringendolo a sé. Davide si appoggia contro il suo petto. È caldo, e il suo respiro si adegua quasi naturalmente al battito del suo cuore che riesce a sentire attraverso la cassa toracica.
Quando chiude gli occhi e li riapre, vede solo il nero della sua pelle. Sa che di fuori è giorno, ma per lui è ancora notte.
- Ma che cosa diavolo sta succedendo? – chiede, con una risatina vagamente nervosa.
Mario lo stringe più forte, e invece di parlarne, lo bacia ancora. E Davide si accorge che una risposta, in realtà, non gli serve nemmeno.
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