Fandom: Originali
Genere: Introspettivo, Fantasy.
Rating: R
AVVISI: Angst, Femslash.
- "Di giorno, la veggente non usciva mai dalla propria grotta."
Note: Ah, questa storia XD In realtà nasce totalmente a caso, semplicemente perché mi sono innamorata in maniera pesante della Veggente del COW-T, nata inizialmente solo come una roba figa per introdurre l'iniziativa più figa del mondo (modestia, where art thou?), ma man mano che ne scrivevo nelle varie intro in ogni post mi andavo innamorando sempre più di questa ragazzina capricciosa e perennemente annoiata sempre chiusa in questa grotta, e alla fine ho finito (ripetizioni ftw) per decidere che ci avrei scritto su.
L'occasione è finalmente arrivata durante la sesta settimana, nell'intro della quale la Veggente s'è scontrata con una vampira particolarmente indisponente che mi ha dato il la per imbarcarmi in questa shottina senza pretese ma alla quale sono un sacco affezionata, scritta per la Missione 2 su prompt mare
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THERE’S A WORLD OF SHINY PEOPLE – BUT ONLY SOMEWHERE ELSE

Di giorno, la veggente non usciva mai dalla propria grotta. Non che fosse oberata di impegni, non che fosse costantemente circondata da persone in cerca del suo consiglio, ma l’idea di abbandonare casa sua quando al di fuori infuriava la battaglia – e al di fuori era un concetto molto vago e omnicomprensivo in maniera quasi disturbante, dal momento che la guerra non aveva trincee e non aveva campi di battaglia, ma si limitava ad essere ovunque, in ogni luogo, in ogni cortile, in ogni spiaggia, all’interno ed all’esterno di ogni forte e nelle piazze di ogni paese in quel regno disastrato e ormai prossimo al crollo – era semplicemente inammissibile. Non ne aveva paura – nessuno avrebbe mai osato anche solo pensare di ferirla; o toccarla, per quel che valeva – ma l’idea la disturbava comunque. Nella sua caverna, fra le sue mappe delle stelle e dei pianeti, stesa sul suo triclinio o in piedi, piegata sul suo miracoloso specchio d’acqua – si suoi occhi sulle vite delle moltitudini di cui già conosceva ogni dettaglio passato, presente e futuro – si sentiva più a suo agio.
Supponeva semplicemente di non essere molto adatta al mondo, cosa che d’altronde non la stupiva, soprattutto pensando al fatto che in quella grotta, dalla sua maestra, la vecchia veggente che l’aveva preceduta, era stata cresciuta senza mai avere la possibilità di uscire, libertà che s’era presa da sola, una notte, dopo la sua morte.
Era una delle sue prime notti da veggente, dormire le sembrava impossibile anche se allora il mondo era in tregua. Il malcontento dei popoli cresceva, al pari delle loro sofferenze, e lei, attraverso il proprio specchio magico anche semplicemente nell’odore e nel sapore umido dell’aria, lo sentiva. La tensione si stava accrescendo e prima o poi sarebbe scattata e, come un elastico, avrebbe colpito tutte le estremità che avevano contribuito a crearla. E sarebbe stata devastante. Forse perfino per lei.
Era stato per questo motivo che, quella notte, era uscita, scoprendo a pochi passi dalla propria grotta una piccola spiaggia appartata, niente più di una minuscola insenatura nel profilo accidentato dell’isola sulla quale viveva, ed era agitata dagli stessi sentimenti che, anche quella notte, si accingeva a ripetere lo stesso piccolo e innocuo rituale, uscendo dalla grotta e seguendo la luna lungo il sentiero fino alla spiaggia. Erano passati così tanti anni, da quella prima volta, ma quel luogo era immutabile, come lei. Cristallizzata nel tempo dentro un corpo da adolescente in fiore, lo stesso corpo col quale sarebbe morta, invecchiata senza che la sua pelle ne mostrasse un segno, quando il suo tempo fosse giunto.
Il sentiero era scosceso, ma non ebbe paura di imboccarlo. Ne conosceva ogni asperità come conosceva le curve piene del proprio corpo. Giunse fino alla spiaggia e sfilò i sandali, camminando lentamente verso la riva godendo della sabbia fresca che le solleticava la pianta dei piedi, infilandosi fra le sue dita e scivolando via al passo successivo.
L’acqua era scura, ma calma. L’idea del suo abbraccio tiepido la riempì di desiderio per un attimo, ma rinunciò ai propri propositi immediatamente, quando percepì una presenza ostile alle proprie spalle. Si limitò a camminare avanti e indietro sul bagnasciuga, giocando a inseguire le onde lente che accarezzavano la spiaggia col languore di un amante pigro e stanco.
- Mostrati. – disse, quando si fu annoiata. La vampira non aspettò oltre. – Ancora tu? – domandò la veggente, scoccandole un’occhiata infastidita da sopra la spalla, - Pensavo fossi ripartita ieri.
- Ho deciso di fermarmi un paio di giorni, invece. – rispose prontamente lei, avvicinandosi al punto in cui la veggente si trovava, le mani sui fianchi ed un divertito sorriso sul volto.
- Mi domando perché. – ribatté la veggente, spostando i lunghi capelli biondi su una spalla e trattenendoli fra le dita per impedire al vento di scompigliarli, - Non c’è niente, in questo posto. – si interruppe appena, voltandosi per guardarla, - A parte me.
Sulle labbra della vampira si allargò un sorriso ampio e, in qualche modo, perfino cordiale, per quanto spaventoso. La punta dei suoi canini premeva contro le labbra tese abbastanza da fare capolino. La veggente avrebbe dovuto sentirsi intimorita, forse, ma il rumore delle onde del mare che le rimbombava nelle orecchie la cullava, dandole modo di non perdere la calma.
- Allora è possibile che sia rimasta per te. – concesse la vampira in una risposta sibilata mentre le girava attorno, esattamente come, un paio di giorni prima, la veggente aveva girato attorno a lei per donarle l’incantesimo che gli dei avevano voluto fosse lanciato in favore della sua oscura razza. In quella occasione, la vampira aveva cercato di seguire i movimenti della veggente, il piroettare dei suoi veli bianchi e leggeri come nuvole, le onde morbide dei suoi capelli inondati dai riflessi rossastri del fuoco delle torce disseminate lungo le pareti della grotta, ma in quel momento, a parti invertite, la veggente non provò a fare lo stesso. Non provò a girare su se stessa, non provò neanche a seguire con gli occhi la lenta danza vagamente predatoria della vampira attorno a lei. Restò immobile, le braccia pallide lungo i fianchi che giocavano a nascondino fra gli sbuffi candidi della tunica che indossa, e guardò la luna, madre, sorella e complice di entrambe, illudendosi di vederla sorridere bonaria nella sua direzione.
- Sei rimasta per uccidermi? – chiese piano, la voce soffice, quasi sognante.
La vampira si avvicinò, appoggiando entrambe le mani sulle sue spalle e lasciandole poi scorrere fino a metà delle sue braccia, dove la sua presa si fece improvvisamente ferrea, sia per impedirle di allontanarsi che per spingersela contro, premendosi contro di lei con tanta forza da conficcarle le cinghie e le fibbie che chiudevano la lunga giacca di pelle che indossava nella pelle bianca della schiena, lasciata scoperta dalla scollatura della tunica.
- Se fosse? – le domandò all’orecchio. La pelle della veggente bruciava sotto le sue dita.
- Nessuno ha mai osato toccarmi. – rispose in un ansito reso incerto da un tremito così profondo da scuoterla fin delle profondità del corpo. – Chi ti ha mandata?
- Nessuno. – sorrise sibilante, seguendo con la punta del naso il profilo curvo del suo collo e della sua spalla, - Suppongo potresti chiamarla iniziativa personale.
- Perché? – insistette la veggente, continuando a restare immobile.
- Perché non ho bisogno dei tuoi incantesimi. – quasi ringhiò la vampira, affondando le dita nella carne tenera delle sue braccia fino a lasciare sulla sua pelle lunghi solchi ancora più bianchi, mentre il rosso infuocato dei suoi capelli, a causa del vento, si riversava in lunghe ondate sulla tunica della veggente, come in una cascata di sangue, - Perché, anche se ne avessi bisogno, non li vorrei. Perché non sono un burattino nelle mani di nessuno, perché non lascerò che mi usiate per indebolire un avversario, perché la mia vita – soffiò minacciosa, stringendo ulteriormente la presa nel sottolineare la parola, così stonata fra le labbra di una della sua specie, - non è soggetta al comando di nessun dio.
La veggente gemette appena, le braccia ormai spaventosamente bianche, e la vampira allentò lievemente la presa su di lei, pur senza lasciarla andare.
- Tu combatti contro esseri umani, maghi ed angeli ogni giorno, - osservò non appena le fu riuscito di riprendere fiato e sopire almeno in parte il dolore persistente che le indolenziva le braccia, - eppure ancora non credi?
- Non ho parlato di credere. – ribatté la vampira, la voce venata da una sottile corrente di rabbia, - Ho parlato di decidere. Di scegliere. Io ho scelto di non volerlo fare.
- Hai scelto di fuggire. – precisò la veggente.
- Non dalla battaglia. – ringhiò ancora la vampira.
- Dalle tue responsabilità. – riprese l’altra, allontanandosi da lei in un gesto secco e voltandosi per fronteggiarla direttamente, - È la stessa cosa.
- Io combatterò. – tuonò la vampira, aggrottando le sopracciglia lunghe e sottili, - Ma sarà con queste zanne e con questi artigli, non con la tua sciocca magia.
La veggente le lanciò un’occhiata risentita e corrucciata, stringendo i pugni lungo i fianchi morbidi, la cui curva scivolava dolcemente sotto i veli che la coprivano dal petto ai piedi.
- Qual è il tuo nome? – le chiese dunque, cercando di calmarsi e stendendo nuovamente i lineamenti del viso.
- Cosa t’importa del mio nome? – domandò la vampira, diffidente. La veggente si forzò a modellare sulle labbra rosa e un po’ umide un sorriso rassicurante.
- Se dovrai uccidermi, voglio sapere almeno questo. – rispose.
La vampira sembrò riflettere per qualche secondo, appendendo una mano ad un fianco mentre l’altro braccio restava immobile lungo l’altro.
- Luka. – concesse con distacco, - Ma dovrai ricambiare col tuo.
La veggente sorrise appena, stringendosi nelle spalle.
- Non ne ho uno. – rispose, - Non ne ho mai avuto uno.
La vampira aggrottò le sopracciglia, visibilmente delusa.
- Selene. – disse quindi, indicandola con un cenno del capo. – Sarà questo il tuo nome.
La veggente spalancò gli occhi, schiudendo le labbra, oltraggiata.
- Non ti ho mai dato il permesso di sceglierne uno per me! – protestò, muovendo un passo verso di lei. Luka sorrise, mostrando i denti.
- Che importa? – la prese in giro, - Morirai comunque. Almeno, in questo modo, hai potuto ricambiare la gentilezza che ti ho fatto presentandomi.
- Creatura superba e arrogante. – sbottò irritata la veggente, tenendosi a debita distanza, - Vuoi rinunciare al tuo incantesimo senza neanche tornare a discutere la faccenda dai tuoi? Bene. Non hai bisogno di uccidermi. Posso sottrartelo quando voglio.
Luka scosse il capo, avvicinandosi un passo dopo l’altro.
- Ormai è molto più di questo. – disse, - Ci ho riflettuto, ed ho capito che un modo, per fermare quest’insulsa guerra, esiste.
- E sarebbe uccidermi? – chiese lei, inarcando un sopracciglio e concedendosi una risata sarcastica, - Superba, arrogante e sciocca creatura.
- Sei stata tu a darle inizio. – insistette la vampira, scrollando disinteressatamente le spalle mentre riprendeva a muoversi attorno a lei, gli anfibi borchiati dalla punta quadrata che affondavano nella sabbia ogni volta fin quasi alla caviglia, anche se questo non sembrava togliere grazia ai suoi movimenti felini e fluidi, - La tua morte potrebbe anche riuscire a fermarla. Non hai ancora preso un’allieva da istruire. Se il tuo sangue scorresse adesso, non avresti un’erede. Nessuno in grado di proseguire il tuo lavoro. Questo rimescolerebbe un po’ le carte in tavola. – concluse con una risatina divertita e curiosa.
La veggente incrociò le braccia sotto il seno, sottolineando involontariamente nel gesto il lento ondeggiare del suo petto ad ogni respiro.
- Troverebbero qualcuno con cui sostituirmi. – ribatté, - Lo fanno sempre.
- Ma questo richiederebbe tempo. – annuì Luka, - Tempo e collaborazione, perché tutti sanno che la veggente dev’essere scelta perché sia imparziale, e condivisa da tutte le razze. Potrebbero volerci anni. Anni di tregua. E chi può dire che dopo tutti quegli anni la guerra riprenderebbe comunque da dove s’era interrotta?
- Io posso dirlo! – ruggisce la veggente, allargando nuovamente le braccia ai lati del corpo, - Io posso dirlo, perché io l’ho visto accadere! Prima, adesso, e anche dopo! La guerra riprende sempre. La pace non è che una parentesi fra un’ondata di sangue e l’altra.
- E allora qual è la tua brillante soluzione al problema? – ritorse la vampira, avvicinandosi all’improvviso fino a schiacciarsi nuovamente contro di lei, dandole modo di capire di essere arrivata ad un punto oltre il quale non avrebbe più potuto muoversi: mentre il corpo ghiacciato della sua avversaria si premeva contro il suo petto mozzandole il respiro, un abbraccio ugualmente gelato le sfiorava la schiena; era finita di spalle contro un’enorme roccia che le tagliava ogni possibilità di fuga. – Mandarci tutti a morire? Sperare che ci si massacri abbastanza da fare in modo che tutte le razze vengano sterminate, e ne rimanga solo una? E pensi che i sopravvissuti non si dividerebbero un’altra volta? Non creerebbero altre fazioni, non troverebbero comunque un altro modo per ricominciare a combattersi?
- Smettila! – strillò la veggente, piantandole le mani sulle spalle e spingendola per cercare di allontanarla da sé, ottenendo solo il risultato di costringerla a spingersi contro di lei con maggiore forza.
- La guerra – sussurrò Luka, afferrandole il mento fra le dita, - è una parte di questo mondo. C’è sempre stata e ci sarà sempre. Non è ordinando genocidi su larga scala che le impedirai di ripetersi. Ma uccidendo te qui ed ora, Selene, io posso ancora salvare delle vite.
- Non chiamarmi con questo nome. – ribatté lei, stringendo la presa sulle sue spalle, - Ma uccidimi, se è questo che vuoi. Vedi? Non posso fermarti. A nulla vale la mia natura, il mio unico potere è fare da tramite, la mia unica forza sta nei miei occhi e nella mia mente. – si lasciò andare ad un sorriso amaro, distogliendo lo sguardo, - Ben poca cosa, a confronto di zanne e artigli. Dunque, fallo. Salva tutte le vite a cui sembri tanto affezionata. E dopo, getta il mio cadavere nel mare. Con un po’ di fortuna, nessuno lo ritroverà mai, e sarà salva anche la tua.
Luka aggrottò le sopracciglia, allontanandosi in un gesto secco.
- Cos’è questo? – domandò irritata, - Ti stai consegnando nelle mie mani?
- Ho alternative? – ritorse la veggente, avanzando di un passo verso di lei, - Ne ho, quando sembro non averne neanche sul mio nome? Sul mio tempo, sulle mie idee, sul mio ruolo? Uccidimi, Luka. Sono pronta a scommettere su chi ha ragione, fra noi due. Metto sul piatto la mia vita, ce la metto di mia spontanea iniziativa. Prendimi.
- Solo se proverai a combattermi. – ringhiò la vampira, e la veggente scoppiò a ridere, gettando indietro la lunga onda dei propri capelli.
- Combatterti! – esclamò, - Sono solo un essere umano. Vestito di veli e non di metallo. Con poteri che non si tramutano in uragani di fuoco né tempeste di ghiaccio. Sono solo una donna. – concluse, afferrando la scollatura della propria tunica dove si allargava per avvolgerle le spalle e strattonandola con forza per esporre ancora più pelle a quella che già risplendeva perlacea sotto la luce della luna, - Prendimi adesso.
Luka ringhiò profondamente, di gola, tornando a incastrarla fra se stessa e la roccia. Il suo profumo, la sua paura, la sua tristezza, erano tutte tentazioni troppo forti. Se anche in quel momento fosse stata capace di realizzare che morderla e ucciderla avrebbe potuto essere troppo pericoloso, o controproducente, dubitava che sarebbe riuscita a fermarsi.
- Tu vuoi morire. – sussurrò a pochi centimetri dal suo viso, scrutando il fondo acquoso dei suoi occhi azzurri coi propri, neri come la pece. – Perché?
- No, ti sbagli. – scosse il capo la veggente, - Io non voglio morire. Ma io non ho una scelta. Ciò che gli dei hanno dato a voi, a tutti voi, l’hanno tolto a me. Io sono qui e non posso scappare. Io vedo il passato, il presente e il futuro, e non posso rifiutarmi. Io sono il tramite dei loro consigli e delle loro profezie, e non posso ignorare il loro canto quando rimbomba nelle mie orecchie tanto forte da stordirmi. Io sono qui… - concluse, piegando il capo per esporre il collo, - e non posso allontanarti da me. Non posso impedirti di uccidermi. Non ho altra scelta. Per cui, fallo, e fallo in fretta. – sorrise appena, un’ombra di tristezza negli occhi e sulle labbra, - Ti do il permesso di chiamarmi Selene, da quando sarò morta fino a che vorrai ricordarmi.
Luka ringhiò ancora, strattonando le pieghe della sua veste per scoprire una volta per tutta la curva morbida della sua spalla. Sotto la sua pelle bianchissima il sangue scorreva veloce, rombando nelle sue vene. Era un richiamo esaltante, l’idea di tenerla fra le proprie braccia e poter decidere della sua vita e della sua morte quando lei stessa, non più di pochi mesi prima, aveva fatto esattamente la stessa cosa senza per questo doversi preoccupare di doversi anche sporcare le mani, riscaldava il suo corpo gelato dall’interno.
Quando affondò i denti nel suo collo, accogliendo in punta di lingua il sapore metallico del suo sangue caldo, le orecchie che lentamente si riempivano dei suoi gemiti di dolore e di confuso piacere, lo fece con l’intenzione di non lasciarla andare finché non fosse stata del tutto dissanguata. Strinse le proprie braccia attorno alla sua vita sottile con forza sempre maggiore, le premette violentemente una gamba fra le sue, costringendola a schiuderle, incurante dei segni rossi che le cinghie che ricoprivano i suoi vestiti lasciavano sulla pelle morbida e liscia delle sue cosce, e godette degli ansiti che le strappava dal petto assieme al respiro e alla forza ogni volta che succhiava con più forza dalle minuscole ferite che i suoi canini avevano prodotto lacerando la sua pelle e la sua carne, e fu proprio per questo, perché credeva davvero che l’avrebbe uccisa, che quando si scostò lo fece di scatto, con rabbia, incredula prima di tutto nei propri stessi confronti.
La veggente scivolò lungo la parete rocciosa fino ad accasciarsi per terra, ansimante. La sua tunica era macchiata di sangue, come la sua pelle attorno alle ferite e sulla scia dei lunghi rivoli che le gocce, che ancora ne fuoriuscivano, percorrevano, rotolando pesanti fino all’incavo fra i suoi seni.
Luka si pulì la bocca col dorso della mano, leccandolo poi in un gesto lento e quasi languido.
- Tornerò. – disse cupa, inerpicandosi per il sentiero che riportava all’altopiano fra i boschi del quale aveva trovato rifugio il giorno prima.
- Perché non mi hai uccisa…? – ansimò la veggente, posando una mano sul collo per coprire le ferite e cercandola con occhi persi e offuscati. Luka si fermò a metà strada, voltandosi a guardarla. Così arresa, sola e piccola che avrebbe potuto spezzarle il collo in un solo gesto.
- Perché voglio rivederti, Selene. – disse soltanto, prima di sparire con un salto oltre un dislivello del terreno.
Raggomitolata contro la roccia e nuovamente stretta nell’abbraccio scrosciante della voce del mare, la veggente strinse le ginocchia al petto e nascose il viso dietro gli avambracci incrociati, concedendosi la libertà di piangere un po’.
Rientrò solo all’alba.
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