Genere: Introspettivo, Drammatico.
Pairing: Kurt/Blaine.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Angst, Slash, Future!Fic, Spoiler, Song-fic.
- "Alla fine, si può dire che Kurt e Blaine abbiano avuto una relazione normale per metà anno, e un complesso sistema di torture per i restanti sei e mezzo."
Note: Ho riflettuto a lungo sulla possibilità di piazzare o meno un bell'OOC lì in mezzo ai warning, ma alla fine ho preferito non farlo. Tenete presente che si tratta di una future!fic e che prende delle caratteristiche "particolari" del Klaine che sono state mostrate in questo inizio della s3, e le estremizza. Tipo, tantissimo. Siate preparati. XD
Comunque, ho scritto questa storia perché volevo tanterrimo scrivere su questo argomento. XD Ebbene sì, il Klaine mi piace solo angst. E siccome sono io, non poteva essere angst normale, no, doveva essere uno psicodramma terrificante montato attorno alla canzone per bambini più inquietante ever. Beeeene. *sosopira*
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THE CAT CAME BACK

Old Mr. Johnson had problems of his own
He had a yellow cat that just wouldn't leave him alone
He tried and he tried to give the cat away
He gave it to a little man going far away
But the cat came back the very next day
Yes, the cat came back, they thought he was gone,
But the cat came back, he just wouldn't stay away

Kurt ricorda il momento. Il momento esatto. Ogni mattina, quando si guarda allo specchio e cerca di convivere col mostro che è diventato, ricorda quel momento preciso, impresso a fuoco nella sua memoria, e si ricorda che ne vale la pena. Che è stato per quel singolo momento che è diventato ciò che è adesso, e che il solo riportare alla memoria quell’istante – il brivido che gli è corso lungo la schiena, la scarica di piacere che per un secondo gli ha annebbiato perfino la vista – è ancora sufficiente a stringergli lo stomaco in una morsa di dolorosa eccitazione, come se da quel giorno non fossero passati che pochi minuti. Quindi deve valerne la pena per forza. Se è ancora così bello, se lo riempie ancora tanto, deve valere la pena per forza.
È stato in occasione dei provini per West Side Story. È stato allora che ha cominciato a capire le dimensioni del potere che aveva su Blaine, cosa poteva ottenere incurvando appena le labbra in una smorfia di disappunto, o indurendo lo sguardo a sufficienza da farlo sentire in difetto. È stato quando un fremito delle sue ciglia è stato sufficiente a fare in modo che Blaine rinunciasse non solo alla parte di Tony, ma anche all’idea stessa di provarci, perfino al pensiero di potersela in qualche modo meritare più di lui.
Non è servito altro che un fremito delle sue ciglia, e Blaine era in ginocchio.
Kurt ricorda perfettamente la scarica di adrenalina che gli ha attraversato tutto il corpo nel rendersi conto di quanto in alto fosse situato il piedistallo sul quale quella situazione lo poneva. La ricorda con un’intensità particolare perché è venuta inaspettata, la più incredibile delle sorprese. Blaine aveva già ceduto a qualche ricatto morale, prima di quel momento, non ultimo quello che l’aveva portato a convincere in un baleno i suoi genitori dell’assoluta necessità di consentirgli un trasferimento lampo dalla Dalton al McKinley, ma in quell’occasione Kurt aveva dovuto effettivamente chiedergli di fare qualcosa per lui e per loro, perciò, nel momento in cui Blaine si era alla fine trasferito, Kurt non aveva avuto modo di rendersi conto della potenza di ciò che era accaduto. Aveva insistito per tutta l’estate!, era semplicemente una questione di tempo, prima che Blaine accettasse, sarebbe stato allucinante il contrario. Ma la rinuncia al provino per un ruolo da protagonista nel musical della scuola era stata un qualcosa di completamente diverso, perché a Blaine poteva ragionevolmente non interessare di quale fosse la scuola nella quale si sarebbe diplomato, ma Kurt era consapevole di quanto invece fosse importante per lui ottenere un ruolo come quello. Era stato un sacrificio doloroso, quello di Blaine.
E Kurt non aveva dovuto nemmeno chiederglielo. Era semplicemente bastato che lasciasse trasparire quanto sarebbe stato deluso, triste e arrabbiato se il ruolo fosse stato assegnato a lui invece che a sé, e questo era stato sufficiente perché Blaine prendesse la propria decisione.
Minimo sforzo. Massimo risultato. Era davvero troppo allettante perché si potesse pretendere che lui rinunciasse all’opportunità di continuare su quella strada.
È più difficile, invece, riuscire a capire quando questa sia diventata una questione di cattiveria. Perché lo è, adesso lo è, adesso non è più una questione di potere, o se lo è ancora non lo è di certo nella stessa misura in cui lo era prima.
Kurt non vuole più ottenere niente, da Blaine. A ventitré anni, fidanzato più o meno ufficialmente ormai da sette, non c’è nient’altro che Blaine possa dargli, niente che Kurt non abbia già visto, masticato, digerito, niente di cui non si sia già riempito lo stomaco fino a scoppiare – niente che, a questo punto, non lo nausei violentemente. Ed è così da un po’, ormai, ma Kurt non saprebbe dire da quando. Non ricorda più il momento in cui fare o dire qualcosa per mettere Blaine in difficoltà ha smesso di essere un modo per sentirsi unico, potente, importante, e sia diventato semplicemente un modo per sentirsi cattivo.
Kurt si guarda allo specchio e non vede altro, ora. La cattiveria. I suoi occhi ne sono pieni, il periodo in cui poteva dire di stare comportandosi crudelmente perché almeno così sarebbe stato più semplice ottenere qualcosa che voleva è così lontano che quando Kurt ci ripensa sembra il ricordo di un’altra vita. Tutto ciò che cerca adesso, quando ferisce Blaine, è quella scintilla di dolore che gli vede brillare in fondo agli occhi. È tutto quello di cui gli importa. Non gli importa di ottenere ciò che chiede, non gli importa di sapere che ogni rinuncia di Blaine è importante perché esiste solo in quanto modo per farlo contento, no. Tutto quello che vuole è sentire il dolore di Blaine, vederlo chiaramente nella sua espressione, sentirlo nel tono della sua voce, sapere di essere stato lui a causarlo.
Fargli male gli piace da impazzire, perché Blaine non è capace di fermarlo. Non è capace di porgli un freno – non lo è mai stato – non è neanche in grado di allontanarsi davvero da lui. È sempre Kurt ad allontanarlo, sempre, ogni volta, quando si è saziato della sua espressione triste e rassegnata al punto da trovarla nauseante; allora lo manda via, litiga con lui con tanta forza da farsi sentire per tutto il quartiere, spaventare i vicini, magari spaccare qualche vaso, e poi lo butta fuori di casa. Ma Blaine torna sempre. Torna ogni volta, ed ogni volta che lo rivede Kurt fa fatica a trattenersi, perché il piacere malato che lo pervade ogni volta che lo vede ritornare, sempre più mesto e afflitto, è tale da fargli bruciare la pelle addosso.
Le migliori scopate che si sono fatti hanno avuto luogo dopo cose come questa. Dopo i litigi e le porte sbattute in faccia, dopo le ore che Blaine passa seduto su una panchina nel parco di fronte all’appartamento che condividono perché ha paura di tornare a casa prima di essere certo che siano passate abbastanza ore per fargli sbollire la rabbia, dopo tutto questo Blaine torna a casa e ogni volta i suoi occhi parlano di un dolore sconfinato e senza via d’uscita, e quel dolore fa tremare Kurt fin dentro le ossa, gli permette di abbandonarsi alle mani di Blaine con un trasporto che mai hanno visto in altro modo, ed ogni volta, ogni dannata volta, Blaine si convince che fare l’amore sia un modo per chiedere scusa, per fare pace, per lasciarsi tutto alle spalle.
E non immagina nemmeno che per Kurt non è affatto così.

He gave it to a little boy with a dollar note
He told the boy to take the cat up river on a boat
The boat turned over and was never found,
And now they drag the river for the little boy who drowned
But the cat came back the very next day
Yes, the cat came back, they thought he was gone,
But the cat came back, he just wouldn't stay away

Stavolta è stato per colpa di sua madre. Kurt detesta la signora Anderson, anche se non ha nessun motivo per farlo. Probabilmente è così solo perché l’ha conosciuta in un momento in cui la sua relazione con Blaine si era già consolidata sui binari sbilanciati della guerra emotiva che Kurt le ha imposto fin quasi dall’inizio. Alla fine, si può dire che Kurt e Blaine abbiano avuto una relazione normale per metà anno, e un complesso sistema di torture per i restanti sei e mezzo, per cui era anche inevitabile che, nel momento in cui avrebbe conosciuto i genitori di Blaine, l’impressione che ne avrebbe avuto sarebbe stata comunque distorta dalla situazione in cui stava vivendo.
Ha conosciuto i signori Anderson in occasione del suo terzo Natale in compagnia di Blaine. Aveva già capito l’anno prima, quando Blaine si era premurato di fargli sapere quanto fosse entusiasta all’idea di passare le feste nuovamente in compagnia di Burt e Carole, che lui non si sentiva così a suo agio all’idea di presentargli la propria famiglia, ed aveva già deciso che, l’anno successivo, fosse anche solo per capire se Blaine lo amava abbastanza da superare il proprio imbarazzo per fare le presentazioni ufficiali, sarebbe riuscito ad ottenere quantomeno un invito a cena. Per questo, quando i tempi erano stati maturi, aveva suggerito a Blaine l’idea di passare il Natale coi suoi; Blaine si era irrigidito e gli aveva chiesto se fosse davvero così importante, Kurt aveva sorriso e gli aveva risposto “certo che no”. Dopodiché, aveva aspettato fino a sera ed aveva cominciato a mettergli il broncio. Il broncio era diventato un ostinato silenzio, e quando alla fine, dopo cinque notti di gelo e cinque giorni di saluti rivolti a malapena e giusto per educazione, Blaine lo aveva guardato con l’aria di un condannato pronto a camminare fino al patibolo sulle ginocchia e poi gli aveva chiesto “è per il Natale, vero?”. Kurt non aveva avuto bisogno neanche di rispondergli. E, naturalmente, non era stato necessario ribadire la proposta di passare il Natale in casa Anderson: Blaine aveva chiamato i suoi ed organizzato il tutto quella sera stessa.
A quel punto, però, a Kurt non interessava più per niente conoscere i genitori di Blaine. Passare il Natale con loro non era una questione di piacere, ma di pura ostinazione. Era un privilegio che gli serviva ottenere, ma finiva tutto lì, la sua vittoria si era già esaurita, e Kurt stesso avrebbe preferito mille volte continuare a passare il Natale con suo padre come sempre, ma ormai la promessa era stata fatta, e d’altronde non c’era nessun motivo per cui Kurt non dovesse quantomeno scomodarsi per andare a guardare in faccia l’uomo e la donna il cui figlio stava – consciamente o meno – torturando ormai da anni, e che, con tutte le probabilità, sarebbero diventati i suoi suoceri.
Il signor Anderson s’era salvato dal suo odio. Non per qualche merito particolare, semmai il contrario, per un demerito piuttosto imponente, quello di non essere ancora riuscito, nonostante tutto, a venire a patti con l’omosessualità del figlio. Per tutta la durata della cena, il signor Anderson era rimasto in disparte, spiccicando sì e no una parola ogni venti minuti, più spesso un grugnito generico che avrebbe potuto essere di approvazione ma, la maggior parte delle volte, dava l’impressione di non esserlo affatto, e questo suo tenersi così ostinatamente in disparte aveva incontrato l’approvazione di Kurt, il quale con lui non voleva avere niente a che fare – più per testardaggine infantile che per qualsiasi altro motivo – e pareva aver trovato terreno fertile in questo anche dalla sua parte.
La signora, invece, era stata una questione completamente diversa. Adelina Anderson aveva immediatamente cercato di far sentire Kurt come a casa propria. Aveva sorriso, posto domande sempre e soltanto educate e discrete, s’era complimentata per la sua bellezza e il suo fascino, gli aveva fatto i complimenti anche per la sua breve carriera teatrale già in ascesa, augurandogli di poterlo vedere presto dal suo palco d’onore al Gershwin Theatre, e non si era risparmiata dal raccontare con materna dolcezza alcuni deliziosi episodi dell’infanzia di Blaine, di cui tutti avevano riso insieme in un clima rilassato e perfino familiare.
Kurt l’aveva detestata istantaneamente. L’aveva trovata appiccicosa, affettata, dai modi così anacronisticamente aristocratici da rasentare l’idiozia, ed aveva istintivamente sperato che potesse morire presto, in modo da non dovere avere a che fare con lei troppo a lungo.
Usciti da casa Anderson, nell’andare verso la macchina, Blaine gli aveva chiesto cosa ne avesse pensato dei suoi genitori. “Sono deliziosi,” aveva risposto Kurt con un sorriso di plastica, “Ho passato davvero una splendida serata.” Blaine aveva sorriso, i suoi occhi si erano riempiti di luce e le sue mani erano scivolate automaticamente a stringerlo attorno alla vita per un abbraccio affettuoso. Kurt si era immediatamente irrigidito contro di lui, per rimetterlo al suo posto. Blaine si era allontanato di fretta, il sorriso un po’ incrinato, ma tutto sommato ancora contento.
“Sono felice,” gli aveva detto, “Avevo paura di presentarteli. Dal momento che mio padre è… be’, l’hai visto, e mia madre tende un po’ ad essere… be’, hai visto anche lei,” aveva scrollato le spalle con una risatina imbarazzata, “avevo paura che non ti piacessero.”
Kurt aveva sorriso ancora, scosso il capo e accettato il coltello che Blaine gli aveva appena offerto premurandosi perfino di tenerne la lama fra le mani, in modo da potergli porgere direttamente il manico.
Il signor Anderson non è durato molto. Si è spento un anno dopo il loro incontro. Kurt ha presenziato al suo funerale, ha consolato la vedova, è stato vicino a Blaine per due notte di pianto consecutive, poi s’è rotto il cazzo ed è andato a stare dai suoi per due settimane. Quando Blaine, gli occhi ancora rossi per quanto doveva aver pianto per lui, per suo padre, ancora per lui e per tutto il resto, si è presentato a casa, chiedendogli perché fosse andato via, Kurt, gelido come una statua, gli ha semplicemente detto di aver bisogno di un po’ di tempo per se stesso. “Proprio adesso?” gli ha chiesto Blaine, la voce ridotta ad un rantolo spezzato. Kurt non ha nemmeno risposto. È rimasto lì una settimana e poi è tornato, e Blaine lo stava aspettando. L’ha accolto sulla soglia, l’ha abbracciato stretto, ha pianto per ore. Kurt non l’aveva mai visto così prima di quel momento.
In serata, quando si è un po’ ripreso, gli ha chiesto per favore di non rifarlo mai più. Gli ha detto “mi sta bene qualunque cosa, Kurt, qualunque, ma ti prego, non andartene mai più”. E Kurt ha capito che era necessario anche per lui piantare qualche paletto qua e là, se non voleva che il gioco al massacro gli sfuggisse di mano e all’improvviso non gli restasse più niente da massacrare. Perciò ha promesso che non sarebbe più andato via di casa, e da quel momento non l’ha più fatto.
È per questo che adesso è così facile utilizzarlo come un’arma.
La signora Anderson non ha il permesso di venire a casa loro quando vuole. Può farlo se invitata, ma succede raramente. Il fatto è che, da quando il signor Anderson è morto, la signora Anderson passa praticamente l’intera durata della propria giornata sola con se stessa. Blaine fa il possibile e l’impossibile per passare a trovarla ogni volta che può, ma da quando è stato assunto come maestro di canto al conservatorio l’impossibile è diventato il miracoloso, e passare a trovare sua madre dal lato opposto della città, quando già per andare dal proprio appartamento alla scuola di musica perde mezza giornata – ed a Kurt piace così tanto diventare intrattabile quando Blaine sta via per tutto questo tempo – è diventato praticamente una possibilità da escludere.
Sono tre mesi – tre mesi – che Blaine non vede sua madre. Kurt sa perfettamente che se fosse costretto a non vedere suo padre anche solo per la metà del tempo, darebbe di matto. Ma si diverte a tenere lontano Blaine dall’unico genitore che gli sia rimasto con le scuse più assurde e ridicole, sorridendo fra sé ogni volta che lui china il capo e si rassegna a telefonarle e basta, invece di prendere la macchina e correre da lei.
Stavolta, Blaine ha insistito. Proprio perché tre mesi sono tanti, proprio perché palesemente non ce la faceva più, ha implorato Kurt di lasciar venire sua madre a pranzo da loro. “È già pronta, praticamente è sulla porta, ti prego, Kurtsie, solo un paio d’ore, solo per il pranzo, sarà una cosa così veloce che nemmeno te ne accorgerai.”
Kurt ha dato di matto. Ha detto cose prive di qualsivoglia senso o significato, “quella donna non entrerà in casa mia”, “io qui dentro non ce la voglio”, e dal momento che Blaine continuava ad insistere non c’è stato più molto che lui potesse fare, se non ricorrere a quella minaccia, nonostante avesse promesso. “Se viene lei, me ne vado io,” ha detto. “È questo che vuoi, Blaine? Vuoi che me ne torni dai miei?”, ed è stato così bello, così soddisfacente, Dio, il sapore dolcissimo che s’è sentito sulla lingua nell’osservare quell’ultimo briciolo di fiducia negli occhi di Blaine sbriciolarsi senza pietà sotto i suoi colpi. Era l’unica cosa che gli avesse mai promesso, l’unica sulla quale Blaine si fosse permesso di contare. Usandola contro di lui, Kurt ha realizzato di non aver fatto mai niente di altrettanto meschino, di altrettanto gratuitamente crudele. E ne ha goduto.

The man around the corner said he'd shoot the cat on sight
He loaded up his shotgun full of nails and dynamite
He waited and he waited 'till the cat came walking round
And ninety-nine pieces of the man was all they found
But the cat came back the very next day
Yes, the cat came back, they thought he was gone,
But the cat came back, he just wouldn't stay away

Kurt ha cenato da solo, ma ha preparato il pasto anche per Blaine. C’è un piatto di tagliatelle freddo che staziona da ore sulla tavola ancora perfettamente apparecchiata. C’è una metodicità, nel modo in cui Kurt si comporta, che dà alle sue azioni dei tratti ossessivo-compulsivi che a volte lo spaventano. Quando litiga con Blaine, ad esempio, e Blaine esce – ormai non c’è quasi neanche più bisogno che sia lui a buttarlo fuori di casa, Blaine si butta fuori di casa da solo per risparmiargli il disturbo – non capita mai che Kurt si comporti in maniera negligente. Non capita mai che non gli prepari la cena – anche se poi gliela fa trovare fredda –, non capita mai che apparecchi con poca cura, non capita mai che dimentichi di preparare il letto per entrambi. Non lo fa per gentilezza, non lo fa per premura, lo fa solo perché sa che a Blaine fa ancora più male vedere quanta attenzione riservi a particolari e dettagli inutili, così palesemente di facciata, quando invece tratta il suo cuore e il suo affetto come immondizia da gettare via ad ogni occasione propizia.
Quando Blaine rientra, Kurt è seduto sul divano. Ha un piattino di fragole con lo zucchero sulle ginocchia e le mangiucchia distrattamente, guardando un programma idiota in televisione. Ci sono bambini di tutte le età che cantano e la conduttrice – un mascherone abbigliato in un enorme vestito di trine e merletti rosa, con una cascata di boccoli biondi anacronistici e plastificati che le incorniciano il volto paffuto dai lineamenti volgari e rozzi – li presenta ad uno ad uno esaltandone i pregi, fra i cori di intenerita approvazione del pubblico. Kurt sta pensando che c’è stato un periodo, da qualche parte nel suo percorso di vita, in cui avere un figlio, in futuro, era uno dei suoi sogni. Adesso, il solo pensiero di poter condividere un bambino con Blaine lo riempie di rabbia fino a nausearlo, ed è contento che Blaine non abbia mai sollevato l’argomento, perché con i binari sui quali si muove la loro relazione adesso Dio solo sa cosa Kurt avrebbe potuto rispondergli, solo per trovare il modo migliore per spezzargli il cuore un’altra volta, magari utilizzando il bambino come un’arma.
Il solo pensiero di potere arrivare a tanto lo fa rabbrividire. Kurt afferra il telecomando alla cieca e spegne il televisore con uno scatto netto, voltandosi a guardare Blaine, ancora fermo sulla porta che si è chiuso alle spalle cercando di fare il minor rumore possibile, come nella speranza di evitare di attirare la sua attenzione e, pertanto, dover incontrare i suoi occhi.
- Sei tornato. – dice Kurt. È una constatazione che l’uso continuato ha reso stantia, priva di valore. Blaine torna sempre. Tornerà per sempre. – Sei stato a trovare tua madre?
Blaine annuisce silenziosamente, restando dove si trova. Ha gli occhi bassi e le labbra tirate in una smorfia di dolore contegnoso e trattenuto. Sembra intenzionato a non dargli soddisfazione. Kurt non può accettarlo.
- Bene. – dice quindi, - Così non ci sarà bisogno di invitarla. Mi irrita avere quella vecchia intorno. – conclude, prima di staccare un altro morso dalla fragola che tiene fra le dita.
La linea delle labbra di Blaine si apre in un lamento frustrato e silenzioso, ma non importa che Kurt possa sentirlo, l’importante è che possa vederlo, che possa sapere con certezza che quello ha fatto male, che Blaine sta soffrendo.
Lo sente avvicinarsi, lanciare uno sguardo distratto alla tavola imbandita e poi decidere di ignorarla, per sedersi sul divano accanto a lui. Kurt recupera il telecomando e riaccende la televisione. C’è un bambino che canta, ha la stessa espressione stupidamente estatica che anche Blaine aveva quando, da ragazzino, si metteva a saltare sui mobili e cantava. Blaine era un ragazzo così felice. E Kurt l’ha fatto a pezzi così facilmente.
- Perché mi odi tanto? – domanda con un filo di voce. Kurt non si volta neanche a guardarlo.
- Io non ti odio. – risponde gelido.
- E allora perché mi fai questo? – insiste lui, la voce già incerta che si spezza in un singhiozzo infantile, trattenuto a stento.
Kurt sospira e spegne la televisione col telecomando che regge ancora in mano. Si volta verso di lui ed osserva i suoi lineamenti stanchi, gli occhi arrossati, il labbro inferiore stretto fra i denti. E si chiede “ma io cosa ci faccio qui? Con te?” e non sa darsi una risposta. Ed è la cosa peggiore di tutte. Non saprebbe dare una risposta a Blaine, ma non saperla dare a se stesso è tutto un altro paio di maniche, tutto un altro discorso, tutto un altro livello di cattiveria. Non più contro di lui. Anche contro se stesso.
- Non lo so. – dice, e pensa “non è vero”. Pensa “sì che lo so”. Pensa “è solo che ho paura di raccontarmi la verità”. Una paura che parla di un rapporto sbocciato troppo in fretta, di un sentimento già consumato e fatto a brandelli prima ancora di cominciare a stare insieme, della paura di perdere un treno per aspettarne un altro che magari non sarebbe mai arrivato, della certezza di trovarsi davanti a qualcuno che rappresentava praticamente un principe delle fiabe – e come rinunciare al richiamo? Lui, che non aveva fatto altro che sognare principi azzurri per tutta la propria vita? –, dell’accorgersi troppo tardi di aver sprecato mesi, anni, una vita intera, ingabbiato in una storia che per pura ostinazione aveva continuato a restare insieme senza mai muoversi dal punto in cui era nata.
Sono cose che Kurt sa. Non può dirle a se stesso perché gli fanno paura, e non può dirle a Blaine perché non le capirebbe, avendo vissuto in una realtà praticamente diversa rispetto alla sua nonostante abbiano condiviso il letto la casa la vita per anni, ma Kurt lo sa. E quando dice che non è vero, Blaine legge in fondo ai suoi occhi che si tratta solo di una menzogna, l’ennesima dopo tante. E un altro frammento del suo cuore si sbriciola, e Kurt può quasi vederlo frantumarsi davanti ai suoi stessi occhi. E la scarica di piacere è la stessa di ieri, la stessa di due mesi fa, la stessa di due anni fa, la stessa della prima volta in cui quella scarica, da sola, è stata in grado di farlo sentire grande, e potente, e completo.
- Quindi? – domanda allora, recuperando un’altra fragola dal piattino e rotolandola nella montagnola di zucchero lì di fianco. La sua voce ha un tono quasi di sfida. È certo che faccia male anche quello.
Blaine si morde il labbro un’ultima volta, deglutisce e chiude gli occhi, e poi si siede più compostamente accanto a lui, girandogli un braccio attorno alle spalle per stringerselo contro in una posa artefatta, rigida come quella di una statua. Guardano insieme la televisione, e Kurt sogghigna fra sé, soddisfatto, già pronto a ricominciare da capo.

The H-bomb fell the very next day
The A-bomb fell in the very same way
Russia went! England went! And then the USA
The entire human race was left without a chance to pray
But the cat came back the very next day
Yes, the cat came back, they thought he was gone,
But the cat came back, he just wouldn't stay away
back to poly

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