Genere: Drammatico/Romantico
Rating: R
AVVISI: Incest.
- Anna e Tim, quando s'incontrarono per la prima volta, avevano vent'anni...
Commento dell'autrice: XD Era una vita che non scrivevo sull’incesto *-* Mh *-* L’ispirazione per questo racconto mi è venuta, strano a dirsi, leggendo un esercizio d’inglese in cui Anna, la protagonista, aveva incontrato il fratello maggiore (che però non si chiamava Tim XD era un innominato XD) solo a venti anni, proprio per via di tutta la faccenda con la madre a Londra ed il padre in Cecoslovacchia. L’esercizio, di poche righe, si concludeva con lei che diceva “quando lui pronunciò la parola ‘mamma’ mi sentii furiosa: quella è MIA madre, non la TUA!” e che poi comunque i rapporti si erano aggiustati e lei adesso lo sentiva regolarmente per telefono. Ecco tutto XDDD Mi aggrappo a qualsiasi cosa, pur di scrivere XDDD
Rating: R
AVVISI: Incest.
- Anna e Tim, quando s'incontrarono per la prima volta, avevano vent'anni...
Commento dell'autrice: XD Era una vita che non scrivevo sull’incesto *-* Mh *-* L’ispirazione per questo racconto mi è venuta, strano a dirsi, leggendo un esercizio d’inglese in cui Anna, la protagonista, aveva incontrato il fratello maggiore (che però non si chiamava Tim XD era un innominato XD) solo a venti anni, proprio per via di tutta la faccenda con la madre a Londra ed il padre in Cecoslovacchia. L’esercizio, di poche righe, si concludeva con lei che diceva “quando lui pronunciò la parola ‘mamma’ mi sentii furiosa: quella è MIA madre, non la TUA!” e che poi comunque i rapporti si erano aggiustati e lei adesso lo sentiva regolarmente per telefono. Ecco tutto XDDD Mi aggrappo a qualsiasi cosa, pur di scrivere XDDD
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ATTENZIONE, il racconto parla in modo esplicito di un rapporto incestuoso fra fratelli, quindi non leggete se non siete sicuri che la cosa non vi offenda!
Era una bella giornata, io ed Anna eravamo uscite quella mattina di buon’ora ed eravamo andate un po’ in giro da turiste a Londra. Non si può dire di conoscere bene la propria città prima di averla visitata tutta con gli occhi di una straniera. Era stato divertente, moltissimo, vedevo il volto della mia amica disteso per la prima volta da quando era incinta.
Esauste, ci fermammo in un McDonald’s vicino ai Kensington’s Gardens e prendemmo due menu completi, sedendoci ad un tavolo fuori dal locale spinte dalla duplice voglia di fuggire dal puzzo di fritto tipico della catena di fast-food più diffusa nel mondo e di goderci il caldo sole di luglio.
Nonostante tutte le rimostranze quando s’era presentata da suo padre e sua madre con un figlio di ignoti in grembo e la seria decisione di tenerlo, Anna sembrava felice della sua situazione. Aveva il tipico sorriso dolce delle madri, che sembra elevarle ad un livello spirituale incommensurabilmente distante da quello di tutti gli altri comuni mortali. Ero felice per lei ed allo stesso tempo la invidiavo. Ovviamente, era perché non avevo idea di quale fosse la sua storia. Io e lei ci conoscevamo da tre anni, avevamo frequentato per un certo periodo la stessa facoltà universitaria, ma paradossalmente ci eravamo avvicinate solo quando lei l’aveva abbandonata ed aveva preso a fare la baby-sitter. Lavorava di pomeriggio presso la famiglia che abitava sul mio stesso pianerottolo e quindi spesso bussava da me quando il bambino era talmente irrequieto che aveva bisogno di aiuto per tenerlo a bada, e passavamo un po’ di tempo insieme; tuttavia, non eravamo mai state particolarmente in vena di confidenze, eppure ero curiosa nei suoi confronti. Avevo conosciuto un’altra madre single, nella mia vita, e ricordavo benissimo di non averla vista neanche una volta raggiante come invece appariva Anna tra un sorriso nervoso ed un sospiro malinconico. Nonostante la tensione che doveva provare, Anna era felice di quel bambino.
*
Successe quando la vidi imbambolarsi di fronte alla scena di un padre con due figli, qualche tavolo più in là rispetto a noi. Dall’espressione che fece, così commossa e rassegnata, capii subito che doveva avere a che fare col padre di suo figlio.
- E’ un uomo sposato? – chiesi facendomi coraggio e dando prova di invidiabile sfacciataggine.
Lei si voltò verso di me mostrandosi stupita e, per qualche momento, impaurita. Due secondi dopo, già sorrideva dolcemente annuendo.
- Ed ha figli?
- Due bellissime bambine… sette ed otto anni…
Spalancai gli occhi.
- Le conosci?
Lei annuì.
- Sono un po’ come sorelline, per me… voglio loro molto bene…
Non seppi cosa dire o come rispondere. Immaginai la sua sofferenza nel guardare quelle bambine, nel sorridere loro, nell’abbracciarle, nel mostrarsi tenera.
- Le conosci da molto tempo?
- Qualche anno, si…
- Oh… allora quando tu e lui avete… ecco…
- Si, loro c’erano già. C’erano quando ci innamorammo e c’erano anche quando ci conoscemmo.
Il mio sguardo doveva essere terribilmente eloquente, perché lei scoppiò a ridere.
- Ti va se te lo racconto? – chiese prendendomi in giro. Io annuii e lei riprese a parlare. – E’ una storia un po’ lunga, però.
Io guardai l’orologio, erano le tre del pomeriggio. Quel giorno, decisi, non avevo nulla da fare.
*
La storia cominciava ancora prima della nascita di Anna, con una donna di nome Mila e suo marito Theodor. I due avevano un bambino di nome Tim ed abitavano in Cecoslovacchia. Quest’uomo e questa donna di separarono quando Tim aveva tre anni. Lui rimase col padre. Nel frattempo, Mila conobbe un uomo, Peter, un inglese che si trovava nella sua città per lavoro.
Nel giro di due anni, in Cecoslovacchia scoppiò il finimondo. Nel 1968, infatti, il governo comunista russo reagì molto violentemente all’azione del movimento indipendentista cecoslovacco. Quello non era più un luogo sicuro. Peter convinse Mila a trasferirsi a Londra con lui prima che fosse troppo tardi, facendo leva sul fatto che lei fosse nuovamente incinta. Mila cercò di portare con sé Tim, ma non ci fu modo di convincere il padre con le buone ed i tempi di una vertenza giudiziaria per l’affidamento erano incredibilmente lunghi; troppo lunghi. Mila partì senza il figlio.
A Londra era tutto diverso; era l’Inghilterra, c’era tanto da imparare e tanto da fare, la lingua, la casa, il lavoro. Mila non riuscì più a mettersi in contatto con Theodor e quindi non seppe più niente di Tim. Tornare nel suo paese natale sarebbe stato troppo pericoloso ed adesso aveva un’altra vita in grembo, che sarebbe sbocciata di lì a pochi mesi. Era Anna.
*
In una freddissima serata invernale di venti anni dopo, Anna si stava preparando per uscire quando squillò il telefono. Scocciata, si avvicinò all’apparecchio e rispose trattenendo il fastidio.
- Hallo, Anna Wood’s here.
Dall’altro capo del telefono rispose un uomo in inglese incerto.
- Buonasera, scusi l’orario. Sono Tim.
- Tim? E chi è? – non ricordava di conoscere nessuno con quel nome.
- Scusi, lei non è la signora Mila?
- No, è mia madre.
- …
- Pronto?
- S-Si… allora… tu sei… la figlia…
Lei sbuffò, già stufa della conversazione.
- Senta, vuole che gliela chiami?
- Se non è un disturbo… si, grazie…
Roteò gli occhi, quasi disgustata da quella gentilezza eccessiva, ed andò a chiamare sua madre senza neanche salutare.
Quando lei, finalmente, rispose al telefono, Anna credette davvero che sarebbe caduta, che si sarebbe accartocciata su sé stessa come se l’avessero messa sul fuoco. Istintivamente, quando la vide aggrapparsi al mobiletto su cui poggiava il telefono, corse a soccorrerla, reggendola per le spalle.
- Mamma? Mamma, che ti dice?
Mila le fece un gesto con la mano, come a dirle di non preoccuparsi, e ritornò a portare la sua attenzione sulla cornetta.
- Sei proprio tu? Non posso crederci, no davvero! Come stai? Oh, come sono felice! Ma come mi hai trovata? Oh, si, capisco. E dove sei adesso, intendo, dove vivi? Davvero?! Non dirmelo! Oh!!! Due nipotine! Oh, cielo, sono così… così… felice, così felice! Mi sembra impossibile! Sono stata… così preoccupata, per tutto questo tempo… mi… mi dispiace tanto, ma la situazione e poi tuo padre… oh, hai ragione, lo so… mi scuserò a dovere quando ci vedremo…
Subito dopo sua madre prese a parlare di valigie, biglietti aerei, settimane e giorni mancanti alla partenza, in una profusione di “come sei gentile, ma non devi preoccuparti!”.
Sua sorella Nikki, quindici anni, tornò in quell’esatto momento.
- I’m back! Che succede Annie? – chiese stupita vedendo la madre commossa al telefono.
Anna le fece segno di fare silenzio e la ragazzina andò a salutare il padre nell’altra stanza, facendo spallucce.
Qualche secondo dopo, sua madre interruppe la chiamata ed andò in salotto per comunicare con tutta la famiglia.
- Era Tim. – annunciò come se questo da solo dovesse bastare a schiarire le idee confuse di tutti.
Peter si mosse sulla poltrona.
- Tim… lui?
Lei gli sorrise allegra, annuendo, e lui si rilassò.
Poi, Mila si rivolse alle sue due figlie in attesa.
- Anna, Nikki… Tim è vostro fratello…
- COOOOSA?! E da dove salta fuori??? – urlò la più giovane balzando letteralmente in piedi.
La madre raccontò allora della Cecoslovacchia, del primo marito, di quel figlio controvoglia abbandonato e finalmente ritrovato; si liberò del peso sulla coscienza che l’aveva schiacciata per vent’anni e finalmente si lasciò cadere sul divano, sollevata.
- Capite bene perché non ve ne ho parlato prima… non sapendo dove fosse e neanche… - si interruppe un attimo, esitante - …se ci fosse ancora… avrei soltanto rovinato la tranquillità di questa famiglia senza ottenere altro…
Nikki ed Anna la guardarono attonite per molti secondi.
- Comunque, noi tre andremo a trovarlo a Praga, dove vive. Staremo lì due settimane, ospiti a casa sua.
Anna mascherò allora il profondo sconvolgimento provato mettendosi addosso una maschera di indifferenza. Nikki, invece, sembrava entusiasta.
- Non posso crederci, mi sembra di essere in un film!
- E tu, Anna, sei contenta?
- …se fa felice te…
*
Erano entrambe abbastanza nervose.
- Tu come credi che sarà?
- Non lo so. Non m’interessa. Non capisco nemmeno perché siamo dovute venire qui anche noi.
- Accidenti come sei noiosa… io scommetto che sarà il più bello di tutti! Biondo, occhi azzurri, alto e slanciato…
Quando Tim si avvicinò Anna scoprì che le previsioni di Nikki erano sbagliate solo per quanto riguardava il colore degli occhi.
Però, insomma… chi diavolo era quel ragazzo? Che c’entrava con loro e soprattutto che c’entrava con la loro madre? Capelli biondi, occhi castani chiarissimi, pelle diafana tranne per le gote e la punta del naso, arrossate, probabilmente, dal vento gelido che soffiava a Praga quel giorno. Quell’uomo non era per nulla simile a Mila. Non aveva i suoi ribelli capelli castani, che Nikki aveva ereditato, non aveva i suoi occhi verdi, che invece erano passati, uguali, ad Anna, non aveva neanche la carnagione olivastra che era comune ad entrambe. Insomma, era un perfetto estraneo, sotto ogni aspetto.
Sua madre sorrideva dolce. Evidentemente l’aveva riconosciuto.
- Tim…
- Mamma… - disse lui prima di aprire le braccia, tra le quali sua madre scomparve.
Anna si sentì come se le avessero dato un pugno sullo stomaco. Spalancò gli occhi, come se quell’unica parola fosse chissà che insulto, e si voltò per osservare la reazione di Nikki, o più che altro per cercare il lei la conferma dei suoi pensieri. E riusciva solo a ripetersi “ma che cazzo di diritto ha quest’uomo di chiamare ‘mamma’ mia madre?”. Sua sorella, però, non sembrava condividere niente di quello che le rimbombava in testa. Piuttosto, nonostante il suo sguardo fosse visibilmente nervoso, aveva una punta di eccitazione, una sorta di curiosità bambina in fondo agli occhi. Anna non la sopportò. In mezzo a tutta quell’assurda ma apparentemente normale gioia, era l’unica a sentirsi il cuore stretto in una morsa d’acciaio?
*
Anna tornò a guardarmi. I suoi occhi erano stati come assenti mentre parlava del primo incontro con suo fratello e solo adesso tornavano ad acquistare lucentezza.
- Non hai ancora capito, vero? – mi chiese sorridendo amaramente. – Non ti biasimo. D’altronde, è qualcosa a cui la gente pensa raramente, ecco perché tutto sommato sono abbastanza tranquilla.
Tornò ad immergersi nel racconto, senza lasciarmi il tempo di metabolizzare queste ultime sue parole.
Quando andò a prenderle all’aeroporto, Tim non era solo; aveva portato con sé la moglie e le due figlie.
Inid aveva più o meno venticinque anni ed era bionda come Tim, ma aveva gli occhi azzurri. Era una bella donna dall’aspetto elegante e dal sorriso gentile. Kirsten ed Isabel, rispettivamente quattro e tre anni, erano le due bambine più carine sulla faccia della terra: gote paffute, lunghi e liscissimi capelli splendenti raccolti in due code morbide dietro la nuca ed occhi castani screziati di pagliuzze dorate. Sorridevano sempre. Nikki ne fu subito attratta. Anna, invece, provò per loro la stessa sensazione di distacco lievemente rabbioso che provava per Tim.
Mentre sua madre e sua sorella si trastullavano con le piccole facendo conoscenza con Inid, lei rimase in disparte, vicino ai bagagli. Ben presto, Tim le si avvicinò. Lei si sentì immediatamente infastidita.
- Ciao! – disse lui allegramente, - Tu sei Anna, la ragazza con cui ho parlato al telefono, vero?
Lei annuì senza parlare. Lui continuò.
- Bè, piacere dunque! Sono Tim, tuo fratello! – disse ridacchiando mentre le porgeva la mano. Lei rimase ad osservare quell’arto pallido, quasi sicuramente congelato, non più coperto dal guanto che, in occasione di quelle assurde presentazioni, era stato sfilato, e la voglia di stringerlo era pari a zero. Non si mosse, e dopo un po’ lui, capendo l’antifona, si ritrasse leggermente, visibilmente imbarazzato. Lei lo guardò fredda per qualche secondo.
- Tu non assomigli molto a me e Nikki. Anzi, non ci assomigli per niente.
Lui ridacchiò ancora.
- Bè, d’altronde abbiamo due padri diversi!
Lei annuì. Continuò a parlare solo dopo aver sfornato il più odioso dei suoi sorrisi di scherno.
- Si, ma tu non assomigli per nulla neanche alla mamma.
*
Anna rise, mentre io la guardavo sconvolta.
- Davvero hai detto una cosa del genere a quel povero ragazzo?!
- Già… non è un bel modo di presentarsi al proprio fratello…
- Mh… half-brothers… sembra la storia di un fumetto! – ridacchiai ironica.
- Già… - rispose lei annuendo. Il suo sorriso implicava chiaramente che c’era dell’altro, per cui la incitai a proseguire nel racconto.
Mi disse che, ovviamente, Tim rimase sconvolto ed infastidito da quelle sue prime parole, ma fece buon viso.
- Posso comprenderti… - sorrise tranquillo, - Non dev’essere facile, vero?
Lei non rispose, rimase a guardare sua madre e sua sorella felici, sentendosi in tumulto.
*
- Fai il parrucchiere?! – esclamò Nikki entusiasta quando lo venne a sapere. – Forse riuscirai a domare questa mia zazzera! – rise. Lui rise con lei.
- Sono sicuro di potercela fare, tu dammi solo un’opportunità!
Lei annuì sorridendo.
Anna guardò fuori dalla finestra, disgustata. Tutti si erano accorti del suo pessimo umore, ed erano a disagio. Lei era interiormente soddisfatta di questo.
Inid prese la parola, in un inglese stentato.
- Sarete stanche, immagino… venite, vi mostro la stanza per la notte…
Anna seguì il gruppo con riluttanza, pregustando però già il momento in cui avrebbe dimenticato quell’orribile giornata concedendosi al sonno.
*
- Non mi sembrava vero di potermi andare finalmente a coricare! – ridacchiò Anna stringendosi nelle spalle. Io risi con lei.
- Bè… non eri proprio partita col piede giusto con tuo fratello!
- Già… tra l’altro mi ero fatta di lui l’idea di un incredibile mollaccione! Non aveva neanche pensato di rispondere alla mia provocazione all’aeroporto! Non mi piaceva il suo carattere, un motivo in più per non sopportare quella situazione. Però… - il suo sguardo si fece malinconico, mentre rovistava fra i ricordi - …mi sbagliavo.
Quella stessa notte lo scoprì.
Aveva voglia di dormire ma non aveva sonno. Nel letto matrimoniale, in cui dormiva con sua madre, stava scomoda; trovava il materasso duro, le lenzuola fredde e tutto l’insieme decisamente poco confortevole.
Si alzò, sbuffando infastidita, ben decisa ad andare in esplorazione della casa, tanto per fare qualcosa. Il freddo pungente la convinse però a fermarsi in salotto, accucciandosi sul divano. Abbracciò le ginocchia e vi nascose il viso cercando di trattenersi dal piangere.
- Non riesci a dormire?
Sollevò il viso spaventata, provando a distinguere nel buio la figura che già aveva assegnato a Tim per via della voce. Lo vide sulla porta, indossava una maglietta bianca a maniche lunghe ed un paio di pantaloni grigi. Evidentemente un completo da notte. Anna cercò di ricomporsi, assumendo subito un’espressione sarcastica.
- Neanche tu, vedo.
- Potrei dirti di si, ma la realtà è che ti ho aspettata sveglio.
- …?
- Questo non ti fa sentire un po’ in colpa?
- Per nulla.
- …capisco. Tentativo fallito. Ma che ti ho fatto?
Lei strinse i pugni, sentendo la rabbia crescerle dentro.
- Cosa mia hai fatto? Ma chi sei?! Che diamine vuoi dalla mia vita? Perché ti intrometti?! Quella è mia madre, tu non l’hai mai vista e pretendi di…
- Pretendo cosa?
La sua freddezza la zittì.
- Sai, Anna, quando ero piccolo c’era una donna che mi rimboccava le coperte ogni fine settimana che passavo con lei; quella donna mi chiamava “amore”. Ne ho un ricordo talmente vivido che quando sono immerso nel silenzio lo risento. Io ho vissuto per vent’anni senza il conforto di mia madre: lei non c’era quando feci diciotto anni, quando presi il diploma, quando mi laureai, quando mi sposai, quando nacquero le mie figlie. Ed adesso tu stai cercando di rovinare il momento in cui, finalmente, dopo aver quasi estorto nome e cognome a mio padre ed avere indagato per tutta l’Europa per trovarla, posso riabbracciarla. Questo non mi piace. Sono rammaricato per la tua sofferenza ed è scontato che io ti dica che il pensiero di avere delle sorelle mi rende davvero felice, ma quello che ti sfugge è che se tu ci fossi o meno per me non farebbe alcuna differenza. Solitamente non sono così sgarbato, ma il tuo atteggiamento di oggi si è tirato addosso questo mio discorso. Non m’interessa di nulla, io ho ritrovato mia madre.
Anna rimase attonita a guardarlo, senza riuscire a trattenere le lacrime di rabbia che le bruciavano gli occhi.
Lui si alzò dal divano e si diresse di nuovo verso la porta. Quando lo vide attraversarla, Anna si rese conto che doveva dire qualcosa, se non voleva rimanere lì sconfitta.
- Io non riesco comunque a vederti come un fratello. Non sei mio fratello!
Lui si voltò. La guardò senza espressione.
- Mi dispiace. – disse, ma i suoi occhi non erano quelli di un uomo dispiaciuto: mantenevano la stessa freddezza che avevano mentre le parlava pochi secondi prima.
Tutto inutile. Era sconfitta comunque.
*
- Senza offesa, eh… ma penso che tuo fratello avesse ragione…
Anna mi guardò sorridendo imbarazzata.
- Si, lo so… ma vai a governare la gelosia del cuore di una stupida…
Ridacchiammo insieme per un po’, prima che lei riprendesse il suo racconto.
Il giorno dopo, mi disse, aveva un paio di occhiaie talmente evidenti che sua madre si spaventò.
- Non hai dormito bene?
- Tranquilla mamy, è che ho il ciclo e mi sento un po’ debole…
- Oh, cielo! Abbiamo portato gli assorbenti? Aspetta che controllo…
- No, mà, tranquilla ce li ho io nella mia borsa!
Non riuscì a guardare in faccia Tim, quella mattina. E la cosa le pesò ancora di più, perché avrebbe voluto fargli vedere che le sue parole della notte l’avevano lasciata indifferente. Ma non era così. Si sentiva schifosamente in colpa. E lui le sembrava così superiore… lei non poteva neanche immaginare cosa significasse vivere senza la propria madre, senza il sangue del tuo sangue… cinque anni… a cinque anni già ricordi… ricordare il volto di sua madre, il suo calore, senza mai poterla abbracciare… no, NO, non poteva cominciare ad immedesimarsi, non poteva cominciare a capirlo, lui era l’uomo che cercava di portarle via sua madre! Lo odiava, lo odiava…
- Va tutto bene, Anna?
Sollevò lo sguardo e lo trovò a pochi centimetri da lei.
- Cosa vuoi? – chiese sgarbatamente quando si accorse di essere sola con lui in cucina.
- Non hai finito il tuo caffellatte, c’è qualcosa che non va?
- Ma perché fai il finto tonto? Certo che c’è qualcosa che non va, hai dimenticato il nostro piccolo scontro notturno?
- Veramente è stato un mio monologo, non è che tu avessi chissà che argomenti con cui controbattere…
- Te l’ho detto: non ti sento come se fossi mio fratello, quindi il pensiero di poter avere la madre in comune mi… mi disgusta! Mi hai anche trattata malissimo!
- Tu sei stata peggiore, ammettilo. E poi questo fatto che non mi senti come un fratello è una balla: ci verresti a letto con me se fossi l’ultimo uomo sulla faccia della terra e tu avessi una voglia matta di farlo?
- Ovviamente no!
- Vedi?
- MA E’ PERCHE’ MI STAI SUL CAZZO!!!
- Naaaah… è il richiamo del sangue…!
Mosse qualche passo verso la porta, furiosa.
- Tu sei un cretino integrale! Dove sono tutti?
- Le bambine sono andate a scuola, mia moglie è a fare la spesa con mamma e Nikki ha insistito per accompagnarle… io apro la parrucchieria di pomeriggio, oggi, perciò siamo soli soletti… vuoi darmi una prova che non mi vedi come un fratello…? – disse sbottonando il primo bottone della camicia e facendole un occhiolino divertito.
- PIANTALA di fare umorismo su questo, ok? – strillò lei arrossendo. Lui sbuffò.
- Inglesi… se non è il vostro umorismo non vi fa ridere, eh?
- Ah, ma vaffanculo.
Uscì dalla stanza bene intenzionata a non rivederlo. Sapeva che sarebbe stato impossibile.
*
- Vi siete divertiti tu e Tim oggi?
Anna sbuffò contrariata.
- Mamma, lo detesto!
Nikki alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo.
- Cosa? Ma è un GRANDE!
- Solo perché ti ha fatto i boccoli come piacciono a te!
- Non è questo!
- Ed allora cosa…?
- Piantatela di urlare, tutte e due… Anna, perché detesti tanto Tim?
Sua madre sembrava infastidita, ma lei non cedette.
- E’ un maleducato, mamma, ed ha un pessimo senso dell’umorismo. E poi non è affatto dolce e remissivo come sembra!
- Non è che sei semplicemente gelosa? – chiese Nikki senza più staccare gli occhi dal libro.
- NON SONO GELOSA!!!
- Ti ho chiesto di non urlare, per favore! Anna, l’unica maleducata qui sembri tu: ti comporti da isterica, sei sgarbata e scorbutica! Perché fai così?
Non rispose, strinse i pugni.
- Sai da quanto tempo non vedo tuo fratello?
Scattò in piedi.
- Non è il mio cazzo di fratello! – urlò sbattendo la porta.
*
- Ripensandoci oggi me ne vergogno molto. Quell’ostinazione disgustosa… volevo che fosse un viaggio disastroso, che mia madre tornasse a casa con la certezza assoluta di non voler mai più mettere piede a Praga…
Annuii interessata. Il racconto andava avanti da un bel po’, ma io ero tutto meno che annoiata.
- Però ci sono delle cose di cui ti rendi conto all’improvviso, come uno schiaffo inaspettato. Stavo facendo soffrire tutti. Stavano tutti male ed anche io ero profondamente insoddisfatta ed infastidita.
Due giorni dopo il burrascoso litigio con sua madre, aveva trovato Tim in cucina, voltato di spalle verso l’entrata e rivolto col viso verso il lavandino. Non si sarebbe interessata, se non l’avesse sentito chiaramente piangere.
- Cosa diavolo…?
Lui si voltò a guardarla. Gli occhi pieni di lacrime esprimevano tristezza e rabbia assieme. La rabbia era tutta nei suoi confronti.
- Spero che tu sia contenta ora!
Si strinse nelle spalle, un po’ intimorita dalla sua voce minacciosa. Subito riprese il controllo.
- Non capisco di cosa parli.
- Non lo capisci? Ma certo!
Lui sorrise amaramente, gli occhi rossi ancora colmi di lacrime.
- Stamattina mamma è venuta da me e mi ha detto che è stata molto felice di vedermi, ma che visto il clima che si è creato qui è meglio per voi tre tornare in Inghilterra! Ha detto che presto andrà a comprare i biglietti e che potrò andarla a trovare quando voglio ma che forse non è il caso che lei venga più a Praga, visto quanto la cosa ti fa soffrire!
Era completamente sconvolta.
Era quello che aveva sempre desiderato da quando aveva messo piede in quel posto… ed adesso che lo otteneva le sembrava assurdo.
Tutte le lacrime di Tim, i suoi occhi rossi, la sofferenza di sua madre…
Pensò a Nikki. Era impensabile che lei non soffrisse per quella situazione al limite del normale, eppure si sforzava, aveva visto il bene di Tim e probabilmente si sarebbe comportata decorosamente anche se non l’avesse visto. Quella sorellina adolescente di stava comportando in maniera più matura di lei, che era già una donna!
- Non posso credere che tu faccia una cosa del genere! Io ho chiesto solo due settimane per poter stare con mia madre, e tu hai distrutto tutto prima ancora che cominciasse! Ti odio!
Anna uscì dalla cucina di gran corsa, come se stesse inseguendo qualcosa. Pregava perché lo stato d’animo di quel momento non l’abbandonasse e le permettesse di aggiustare tutto. Doveva trovare sua madre!
- Mamma!
La trovò seduta su una piccola poltrona in camera da letto. Lei non disse nulla e si limitò a guardarla, stupita.
- Mamma, cosa hai detto a Tim?
La donna abbassò lo sguardo ed Anna seppe che aveva capito.
- Anna, è meglio così davvero, forse…
- NO! – si affrettò ad interromperla. – No! Non… non devi… io… sono un’egoista, mi sono comportata talmente male che provo disgusto per me stessa! Mamma, è giusto che tu stia anche con lui, e lui ha diritto di stare con te, forse più di me, quindi… ti prego… perdonami e restiamo qui a Praga…
Sua madre, mi disse, letteralmente si sciolse in lacrime. Le rivolse il sorriso più bello che le avesse mai visto sul volto e la ringraziò come se in quel “grazie” fosse rinchiusa tutta la sua anima.
Un pianto tanto felice non l’aveva mai creduto possibile.
*
Avevo quasi i brividi per la curiosità. Più Anna proseguiva col racconto più mi sembrava che si allontanasse dall’obiettivo principale, ovvero svelarmi l’identità del misterioso padre di suo figlio, ma certo non potevo interromperla e dirle “ok, ho capito, vai al sodo dunque!”, perciò rimasi silenziosa in ascolto.
Mi disse che quella sera, nonostante il freddo quasi polare, c’era un bel cielo e si vedevano tante stelle, perciò si imbacuccò per bene ed andò a fare una passeggiata nel cortiletto che circondava il palazzo. Era quadrato, abbastanza spoglio, ma girando il primo angolo a sinistra si entrava in un piccolo giardinetto riparato, con qualche albero e molte aiuole colorate. C’era anche una panchina verde, di quelle antiche in ferro battuto, piena di ghirigori. Anna si sedette, inspirando a fondo l’odore acre dell’erba bagnata. Quanto tempo passò? Cinque minuti, forse, prima che sentisse chiamarsi per nome?
Istintivamente si alzò in piedi, nel momento esatto in cui Tim la raggiunse nel giardino.
- Anna! Ti ho cercata tanto!
Sorrise imbarazzata, come a volersi scusare. Lui la guardò con occhi incredibilmente dolci.
- Non so come ringraziarti…
Lei rise, ancora imbarazzata.
- Non devi! Non mi sono comportata bene, io devo farmi perdonare!
Tim sorrise rassicurante, avvicinandosi a lei.
- Insomma, io sono fatta così, perdo spesso la bussola, ma per fortuna la ritrovo sempre!
- E’ un bene! E poi… devo scusarmi anche io per come ti ho trattata quella notte… e la mattina dopo… ed anche oggi!
- Bè, quello che hai detto lo pensavi, vero?
- …intendi il “ti odio”?
Lei annuì, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi sinceri.
- …bè, si… insomma, in quel momento stavi per distruggere tutto…
- Fa nulla! Dico sul serio! Anche io, parecchie volte… - si sedette sulla panchina, - …ti ho detestato sul serio… eri “colui che voleva distruggermi la vita”…
- E adesso… non lo sono più?
- …mia madre se ne sarebbe davvero tornata in Inghilterra, anche se con te è felice. Io soffro… perché ho paura di quello che potrebbe decidere mia madre se si accorgesse che qui con te sta meglio che con noi a Londra… o che… vuole più bene a te…
Si fermò d’improvviso, accorgendosi di avere la gola bloccata da un’incredibile quantità di lacrime.
- Che scema sono…
Il freddo si fece sentire ancora di più sulle guance già bagnate e le pungeva gli occhi, aiutato dal pianto che le si congelava addosso. Una sensazione spiacevolissima.
Ma qualcun, qualcuno la mitigò. Tim le si sedette accanto e l’abbracciò, circondandola di calore amico e confortante, e lei si lasciò andare, si aggrappò al suo cappotto scamosciato beige e pianse, pianse per moltissimi minuti, i capelli che le ondeggiavano ad ogni soffio di vento. Era la prima volta che lei e Tim stavano così vicini. Tra le sue braccia si sentiva tranquilla, al sicuro. Era dunque questo un abbraccio fraterno? Ma perché fino a quel momento si era negata una meraviglia simile? Era forse stupida?
Smise di piangere, ormai consolata, ed aspirò il suo profumo senza pensare a niente. Sapeva tanto di buono.
Lui si staccò da lei così in fretta che il vento la schiaffeggiò in pieno viso. E non si allontanò e basta, si alzò perfino dalla panchina facendo due passi indietro verso un albero. Al suo posto rimaneva solo una lieve traccia del suo odore.
Lei lo guardò, senza capire. Sembrava spaventato, o almeno tremendamente scosso.
- Tim…?
- Scu-Scusa. – biascicò lui prima di svanire dietro l’angolo lasciandola sola e stordita.
*
- Comportamento strano per un fratello, eh? – ridacchiò Anna chinandosi lievemente verso di me, come se volesse farmi chissà che confidenza.
- Bè, un po’… prima ti consola e poi si allontana come se l’avessi morso! – risposi io divertita. Lei sorrise. Poi continuò a raccontare.
I successivi cinque giorni furono parecchio strani. Anna era tutto sommato tranquilla, sua madre e sua sorella si godevano la permanenza e tutto filava liscio. Tim, però, se sfuggiva. Non le era più capitato di trovarsi sola in una stanza con lui e non aveva più avuto modo di parlargli, se non per quelle poche chiacchiere scambiate la mattina o al suo ritorno dal lavoro. Ogni tanto lei si era sentita strana, un po’ triste, rassegnata, come quella sera in giardino, e, non sapeva perché, l’unica persona con cui si sentiva libera di poter confidarsi era Tim… ma se lui le stava così distante…
C’era anche un’altra cosa strana: la sensazione, sempre vividissima, delle sue braccia a stringerla, del suo profumo ad ipnotizzarla, del suo calore ad avvolgerla.
Si chiese, e me lo disse con un certo imbarazzo, se sensazioni del genere fossero normali nei confronti di un fratello. Le sue parole furono che ormai aveva deciso di accettarlo per quello che era, in fondo aveva per davvero metà del suo sangue. Pensò che semplicemente le mancasse l’abbraccio fraterno che si erano scambiati nel giardino, perciò fece di tutto per ritrovarsi da sola con lui e scoprire perché diamine la teneva così lontana.
L’occasione le si presentò mentre Inid, un lunedì mattina, stirava davanti alla televisione. Sua madre la aiutava a piegare magliette e camicie e Nikki si scompisciava dalle risate davanti ad un assurdo programma locale di cui non capiva una parola perché, ovviamente, era in ceco. Lui doveva essere in casa da qualche parte, il lunedì lavorava solo di pomeriggio. Anna andò alla sua ricerca, stanza per stanza. Niente in cucina, niente in salotto, vuoti entrambi i bagni, solo aria nelle camere da letto… c’era una sola stanza ancora da controllare, lo studio di Tim. Solitamente quando si chiudeva lì dentro era per leggere e quindi non voleva essere disturbato; lei non se ne preoccupò ed aprì la porta senza neanche bussare.
- Tim! Volevo…
Le morirono le parole in bocca, mentre lo osservava fare quasi un salto in alto per sorpresa e spavento, poi arrossire repentinamente e tirarsi su i pantaloni senza neanche riuscire ad abbottonarseli per via delle mani tremanti.
Insomma, l’aveva beccato a masturbarsi nella stanza come un qualunque adolescente.
- Scu-Scusami! – balbetto arrossendo e chiudendo la porta. Solo che, nella confusione mentale, dimenticò di chiudere anche sé stessa fuori dalla porta. Lui la guardò, senza dire nulla. Lei realizzò ed arrossì di più, ma cercò di essere spiritualmente presente a sé stessa.
- Bè… tanto ormai penso che tu abbia finito…
- …si. Pensavo solo di darmi una sistematina prima di parlare con te…!
- Fa nulla… no? – sorrise, cercando di far sparire il rossore dalle guance. – Dai, abbottonati quei pantaloni…
Lui annuì, sorridendo imbarazzato. Quando ebbe finito, lei gli si avvicinò, appoggiandosi poi alla scrivania in legno scuro.
- Ma che diamine facevi??? – gli chiese ridendo, ormai serena.
- Devi per forza chiedermi spiegazioni?
- Eh si, fratellone, o finirò per ricattarti con la mamma!
- …insomma, è chiaro quello che stavo facendo, lo vuoi spiegato nei dettagli? Mamma avrebbe dovuto parlartene molto tempo fa…
- Si, ma dico… Inid è una così bella donna, e ti ama tanto, e tu sei un bell’uomo, non credo che se glielo avessi chiesto ti avrebbe rifiutato…!
- …sssi, forse, ma ci sono cose di cui… ehm… insomma, è meglio non informare la propria moglie…
- …che c’è, Timmy, ti piace un’altra…?
- Insomma, in un certo senso sarebbero fatti miei!
- …mamma! Sai che poco fa, quando sono entrata in studio…
- Aaaah! Insomma, Anna, non posso dirtelo!
- E perché? Qua non conosco nessuno, non potrei danneggiarti in nessun modo!
- Senti, Anna, non è proprio il caso che…
- …mamma…!
La afferrò per i polsi con entrambe le mani, bloccandola contro una delle tre librerie della stanza. Uno scaffale sporgente quasi le si conficcò nel fianco e lei si fece male.
- Ahi…! Tim, ma che cazzo…?
- Zitta! Se ti dico che è meglio che tu non sappia devi credermi sulla parola! Perché sei entrata qui dentro?
Si arrabbiò sul serio.
- Perché sono GIORNI che mi eviti! Che cavolo, mi era sembrato di sentirti VICINO quella sera in giardino!
Lo sentì irrigidirsi e stringere di più la presa.
- Cazzo, Tim, mi fai male! Cosa ho detto?!
- Ma che… porca troia, Anna, ripensando a quella sera non… non ti viene in mente nulla?
- No, NULLA a parte il fatto che dopo ti sei allontanato…!
- …
- E’ successo qualcosa durante quell’abbraccio?
- …
- Cosa, Tim?
- …
- …
- …
- Tim, che ti passa per la testa?
Era un po’ spaventata, adesso. Il profumo di Tim la circondava interamente, era tanto buono da paralizzarla. Avrebbe voluto chiudere gli occhi ed aspirare, e nient’altro.
Era un clima strano. C’era una strana cosa fra loro due. Lei lo capì d’improvviso. Per quanto si fosse potuta sforzare, non sarebbe mai riuscita a vederlo come un fratello. Nulla di ciò che aveva provato al suo cospetto era considerabile come un sentimento fraterno. Se ne rendeva conto lì, in quel momento, mentre lui la stringeva e la pressava contro quella libreria spigolosa.
- Anna…
- …si…
- …io non lo so se ce la faccio, a dirlo…
- …
Lo sentì avvicinarsi di più e, catturata dalla sua presenza, chiuse gli occhi.
Si sfiorarono soltanto. Un semplice contatto di labbra, talmente lieve da poter sembrare innocuo… ma quell’innocuo contatto fece tremare loro le gambe, ed Anna si sentì cedere.
Non riuscirono ad avvicinarsi di più, sebbene lo desiderassero entrambi.
- Voi… cosa… cosa state facendo?
Nikki stava sulla soglia dello studio ed anche le sue gambe sembravano stare per cedere.
*
Guardai Anna sconvolta. Non avevo parole. L’uomo con due figlie, dunque, era Tim… suo fratello…? Ma questo voleva dire che… che…
- Anna…
- …
- Questo è… è incesto…
Lei abbassò lo sguardo, mortificata.
- Tu… lo sai che l’incesto è… è peccato, vero? Lo… lo dice anche la legge… e questo bambino potrebbe essere…
Sollevò lo sguardo, fiera.
- E’ figlio mio e di Tim. E’ e sarà solo questo.
Ero sempre stata abituata a considerare l’incesto come qualcosa di sporco, credo fosse perché avevo ricevuto dai miei una ferrea educazione cattolica che guardava con ammirazione alle leggi della religione senza contemplare eccezioni di sorta. Non posso omettere di aver guardato Anna con occhi diversi, dopo quella dichiarazione, ma volevo comunque conoscere il resto della storia, perciò rimasi ad ascoltare.
E lei mi disse che subito, quando Nikki fu uscita dallo studio sbattendo la porta, lei e Tim si guardarono e si separarono.
- Scusa. – si affrettò a dire lui.
- E’ stata anche colpa mia…
Sapeva che sarebbe dovuta uscire da lì alla velocità della luce, correre dietro a sua sorella ed inventare una scusa convincente da propinarle. Ma rimase ferma. Almeno fino a quando Tim non la risvegliò dalla trance.
- Non dovresti…?
- Si! Si…
Uscì dallo studio di gran corsa.
- Nikki! Nikki!!!
- Anna! È successo qualcosa? Tua sorella si è chiusa nella stanza senza spiegarmi niente!
- Non ti preoccupare mà, abbiamo avuto un problemino, ora risolvo!
Corse nella stanza da letto, chiudendosi la porta dietro le spalle. Sua sorella era seduta su una sedia davanti l’entrata del balcone.
- Nikki…
Le si avvicinò lentamente, come avesse paura che potesse scappare via in seguito ad un suo movimento troppo brusco.
- Che vuoi?
Si sedette al suo fianco, rimanendo in silenzio.
- Da quanto va avanti? Ma tu non lo odiavi?
- Così… così mi sembrava, Nikki, non lo so più… non capisco nulla neanche io…!
- Ma non c’è nulla da capire, Anna! Lui è tuo fratello! Non voglio immaginare cosa potrebbe pensare la mamma se…
- Nikki, tu non devi dirle niente!
- Io non VOGLIO dirle niente! Insomma!
- Ah, stai facendo una scenata assurda! Non è successo niente fra me e Tim!
- Non è ancora successo niente, vorrai dire! Vi stavate per baciare!
- E’ stata una stronzata! Può succedere, no?
- L’importante è che non succeda più.
Veramente, avrebbe voluto prendere quella ragazzina e schiaffeggiarla fino a farle capire che il fatto di essere sua sorella non la autorizzava a governarle vita e sentimenti; ma in realtà sapeva bene che aveva ragione. Lei e Tim insieme… impensabile…! Se solo un po’ teneva alla serenità della sua famiglia – e di quella di Tim, come dimenticare! – doveva togliersi dalla testa quell’idea malsana.
- Ti dico… che non è successo niente. Stai tranquilla.
*
La guardai, senza fiatare.
- Hai domande?
Scossi la testa.
- Ti disgusto?
Io mi irrigidii sulla sedia, senza rispondere.
- Avresti ragione. Avevo promesso che gli sarei stata lontana. Lo promisi a mia sorella, quella mattina, e lo promisi anche a me stessa. Eppure, non riuscii a mantenerla, quella promessa.
Mi disse che, dopo quella mattinata in studio, cercò di non vedere più Tim per un po’. Lo incrociò un paio di altre volte, ma non si parlarono. Il momento peggiore fu quando si incontrarono in corridoio e si passarono accanto, imbarazzati e nervosi, senza degnarsi di uno sguardo. Mentre lui le passava vicino si sentì come se le stessero strappando il cuore. Avrebbe voluto afferrarlo per un braccio e non lasciarlo andare mai più. Non lo guardò. Pianse in assoluto silenzio.
Passò tutto il resto del pomeriggio chiusa nel bagnetto di servizio antistante la lavanderia, a piangere chiedendosi se fosse anormale, se Tim provasse lo stesso sentimento, o almeno lo immaginasse. Lo desiderava e basta, cosa poteva farci?
Il suo profumo, il suo calore, quella pelle bianca, quei capelli biondi, perfino quegli anonimi occhi castani. Era amore, quello? O era un desiderio malsano? Forse la sua mente le aveva giocato questo scherzetto per convincerla di non riuscire a vederlo come un fratello. O forse la soluzione era molto più semplice.
Sentì bussare alla porta e si asciugò immediatamente le lacrime, schiarendosi la voce.
- Chi è?
La persona oltre la porta ebbe un attimo di esitazione. Lei rimase in ascolto.
- …sono io, Anna.
Si alzò repentinamente in piedi, schiacciandosi contro il muro di fonte l’uscio, come se stargli il più lontana possibile in linea d’aria potesse servire a qualcosa.
- E’ occupato!
- Si, lo so… ma sento che piangi da un po’… o… stai facendo altro?
Poteva sentirlo imbarazzato, pur senza vederlo. Si avvicinò nuovamente alla porta, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime.
- No… non sto facendo niente…
- Ok… allora mi apri? Parlare così mi sembra assurdo…
Poggiò due dita sulla maniglia, e si prese il tempo di inspirare ed espirare profondamente prima di aprire.
Se lo ritrovò davanti e non riuscì a trattenere un singhiozzo.
- Dai…
Lui entrò nel bagno, chiudendosi la porta alle spalle.
- …smettila di piangere, su!
Lei si sedette sul water chiuso, mentre lui prese posto su uno sgabellino rettangolare nero.
Anna si strinse nelle spalle, continuando a singhiozzare.
- E come faccio a smettere?
- Ma… perché fai così?
- … non hai bisogno di chiedermi il motivo..
- …
Rimasero in silenzio senza guardarsi.
- Scusa, Anna. Non avrei dovuto baciarti.
- Tim, lo volevo anche io. Non è stata solo colpa tua.
- …
- …
- Adesso che facciamo?
- …non lo so. Questo sentimento che provo adesso… non posso certo cancellarlo…
- Già. Ma secondo te è amore?
Sollevò lo sguardo e lo trovò a sorridere imbarazzato. Sorrise anche lei.
- Te lo sei chiesto anche tu…?
- Eh, come si fa a non chiederselo? È una situazione troppo strana!
- Mh… ma tu quando l’hai capito?
- Eh… galeotto fu l’abbraccio in giardino…!
Lei ridacchiò.
- Ma dai! Allora è per questo che ti sei separato da me in quella maniera assurda!
- Si… tu invece?
- Ah, questo lunedì, quando mi hai baciata. Ma aspetta un momentino… se tu l’avevi già capito, allora… quando ti ho beccato in studio a…
- Si, pensavo a te. Cerchiamo di non rivangare ricordi imbarazzanti.
Anna rise, ed anche Tim.
Si avvicinarono, lei poggiò il capo nell’incavo fra la sua spalla ed il mento, chiudendo gli occhi. Quel profumo…
- Te l’ho mai detto che hai un profumo che mi fa impazzire?
Lui rise piano, stringendola di più a sé.
- No, non ne avevi mai avuto l’occasione, credo. Quindi per te è stato il mio profumo?
- Eh?
- Intendo… la “causa scatenante”…
- Ah… si. E per te?
Tim le accarezzò dolcemente il capo.
- I tuoi capelli. Così lunghi, mossi sottili… quella sera, in giardino, si muovevano continuamente. Meravigliosi. Avrei voluto accarezzarli, come adesso, ma ho avuto paura quando ho capito qual era la portata del sentimento che provavo… non volevo che tu te ne accorgessi…
Anche Tim aveva parlato con Nikki. E lei era stata terribilmente dura, con lui più che con lei. Gli aveva dato del pervertito e gli aveva intimato di stare alla larga da sua sorella sotto minaccia di dire tutto a sua moglie.
- Qualcuno dovrà insegnare l’educazione a quella mocciosa, prima o poi… - disse Anna senza preoccuparsi di nascondere il fastidio nella voce.
Rimasero lì abbracciati ancora per un po’. Poi, lui scrollò le spalle.
- Prima o poi dovremo uscire da questo bagno…
Lei sbuffò.
- Si…
Furono le ultime parole che dissero prima di tornare, con falsi sorrisi, dal resto della loro famiglia.
*
- Adesso mi devo fermare. E devo dirti, prima di continuare, che quello che ti ho detto fino ad ora non è niente. Nient’altro che abbracci innocenti. Ma io sono incinta, e non si resta incinta con gli abbracci. Perciò, non proseguire nell’ascolto se ti infastidiscono i racconti che parlano di rapporti incestuosi.
Me lo disse con occhi talmente freddi che neanche riuscii a pensare alla possibilità di andarmene. Deglutii e rimasi seduta. Lei sorrise, dolcissima, prima di continuare.
Per tre giorni, mi disse, lei e Tim approfittarono di ogni momento in cui erano soli per baciarsi e stare vicini. Fecero, però, molta attenzione: Nikki li pedinava praticamente ovunque, e la cosa stava diventando insostenibile.
Per eludere la sorveglianza, Anna una mattina uscì di nascosto ed andò a trovare Tim alla parruccheria.
Lui si dimostrò stupito ma felice, per quella visita. In realtà c’era qualcosa che pesava sul cuore di Anna: le due settimane stavano per finire. Ancora due giorni e poi sarebbe dovuta tornare a Londra e chissà quando lo avrebbe rivisto.
- Ciao!
Gli si avvicinò, e mentre lo baciava affettuosamente su una guancia gli sussurrò in un orecchio “hai un po’ di tempo per la tua amante?”. Mi giurò di averlo visto irrigidirsi tutto, afferrarla per una mano e volare fuori dall’enorme stanzone che era il luogo in cui lavorava, dopo aver lasciato tutto nelle mani di tal biondissima e truccatissima Carla.
- Ci stai pensando anche tu, vero?
Lei fece la finta tonta.
- A cosa?
Si fermarono nel mezzo del marciapiede. Lui le teneva ancora stretta una mano.
- Al fatto che dopodomani vai via.
Anna abbassò lo sguardo, senza rispondere.
- Bè, io ci penso ogni giorno, ogni minuto. So già che mi mancherai da morire.
Non seppe che dire; lo guardò, gli occhi pieni di lacrime. E lui la baciò. Lì, in mezzo ad un’infinita folla di persone. I pochi che li guardarono si limitarono a qualche sarcastico fischio, ma era come se fossero soli, perché nessuno li conosceva. Quando si separarono, appoggiarono fronte contro fronte, intrecciando le dita delle mani.
- Io… - lei parlò con voce rotta dal pianto. - …voglio stare con te…
Si afferrarono stretti, strettissimi. Salirono sulla macchina di Tim e lui guidò fino a casa di un amico. Lei era imbarazzatissima. Suo fratello e l’altro ragazzo, tale Sven dai capelli fucsia, parlarono un po’ in corridoio a bassa voce. Poi Tim tornò da lei, la prese per mano e la condusse in un’assurda camera da letto tappezzata di poster dei Guano Apes. Si guardò intorno, tra lo sconvolto ed il divertito.
Lui ridacchiò imbarazzato.
- So che non è il massimo, ma non posso offrirti di meglio, è l’unico posto che conosco per… ecco…
Gli mise l’indice sulle labbra.
- Sssh… senti Tim. Non so ancora se è amore, ma voglio davvero stare con te. Voglio avere un ricordo più bello, qualcosa che ci unisca più di un semplice bacio. Voglio fare l’amore con te.
E venne completamente invasa da lui. Dal suo profumo penetrante, dalla sua indispensabile presenza. Carezze audaci, baci profondi e lui, lui, solo lui, solo loro, nient’altro. In quella buffa stanza di quell’improvvisato paradiso che era loro esclusiva, per la prima volta furono l’uno dell’altra senza alcun velo.
*
- E’ stato in quell’occasione che sei rimasta incinta?
Erano le prima parole che pronunciavo da circa due ore, e mi fece quasi male la gola.
Lei scosse la testa ridacchiando.
- Ma no! Questo accadeva circa tre anni fa…
Il giorno della partenza si comportarono da bravi bambini: consci del fatto che un addio ispirato a film romantici anni cinquanta sarebbe stato estremamente fuori luogo e sconveniente, in primo luogo per loro, si baciarono su una guancia abbracciandosi stretti.
L’unica, piccola vendetta che si presero nei confronti di Nikki fu squadrarla con un sorrisetto ironico di cui probabilmente lei non capì il senso.
- L’ultima volta che ci siamo visti è stata tre mesi fa. Allora la mia pancia non era evidente come adesso.
Mi raccontò che lei viveva da sola e poteva incontrarsi con Tim a casa sua, quando lui veniva a trovarla, almeno una volta ogni due settimane.
- Non possiamo continuare a vederci così… - mi disse di aver detto lei ironica, ridacchiando fra le lenzuola tre mesi prima.
- Oh, hai ragione, Inid sta cominciando ad insospettirsi riguardo agli improvvisi malori della mamma…
- …
- Ehi…
- Sei un bastardo…
- …
- Tu non combatteresti per stare con me…?
- …
- …amore mio…
- Senti Anna. Io… ho combattuto una guerra contro mio padre che non mi voleva rivelare chi o dove fosse mia madre. È stata una guerra durata più di dieci anni, dall’adolescenza a quando ti ho incontrata, praticamente, ed io… non me la sento di combatterne un’altra. Per di più, non solo questa è una guerra che non possiamo vincere, ma che ci porterebbe inevitabilmente ad una separazione obbligatoria e dolorosa. Senza contare che ho due figlie con Inid, sono ancora piccole, come potrei spiegare loro una cosa del genere?
- Si, tu hai ragione, hai ragione su tutto, ma io…
- Quello che ti sfugge… - la interruppe, con un sorriso seducente. – E’ che a me non interessa vivere questa storia d’amore alla luce del sole. M’interessa viverla con te.
*
- Così, alla fine non gli ho detto niente della gravidanza. Lo sento regolarmente ma non lo vedo da un bel po’. E forse è un bene. Però…
Anna era rimasta abbastanza allegra e tranquilla per tutto il tempo del racconto, ma dopo quel ‘però’ gli occhi le divennero lucidi e parlò con voce più incerta.
- …però sono spaventata. Perché fra quattro mesi questo bambino nascerà, e se fosse biondo come lui, se avesse i suoi occhi castani… se avesse anche solo una piccola, minuscola malformazione… Nikki capirebbe… TUTTI capirebbero… tutto finirebbe… ed io… non voglio… assolutamente…
La guardai. Come accartocciarsi su sé stessa. Piegata, la fronte tra le mani e le lacrime che le scendevano copiose sulle guance. Pensai a quello che aveva passato; a quello che ancora la aspettava. E desiderai non aver mai usato uno sguardo di disgusto nei suoi confronti. In nessun caso, per nessun motivo, per nessun fottutissimo dogma, l’avrebbe meritato.
That Strange Thing About Us
Era una bella giornata, io ed Anna eravamo uscite quella mattina di buon’ora ed eravamo andate un po’ in giro da turiste a Londra. Non si può dire di conoscere bene la propria città prima di averla visitata tutta con gli occhi di una straniera. Era stato divertente, moltissimo, vedevo il volto della mia amica disteso per la prima volta da quando era incinta.
Esauste, ci fermammo in un McDonald’s vicino ai Kensington’s Gardens e prendemmo due menu completi, sedendoci ad un tavolo fuori dal locale spinte dalla duplice voglia di fuggire dal puzzo di fritto tipico della catena di fast-food più diffusa nel mondo e di goderci il caldo sole di luglio.
Nonostante tutte le rimostranze quando s’era presentata da suo padre e sua madre con un figlio di ignoti in grembo e la seria decisione di tenerlo, Anna sembrava felice della sua situazione. Aveva il tipico sorriso dolce delle madri, che sembra elevarle ad un livello spirituale incommensurabilmente distante da quello di tutti gli altri comuni mortali. Ero felice per lei ed allo stesso tempo la invidiavo. Ovviamente, era perché non avevo idea di quale fosse la sua storia. Io e lei ci conoscevamo da tre anni, avevamo frequentato per un certo periodo la stessa facoltà universitaria, ma paradossalmente ci eravamo avvicinate solo quando lei l’aveva abbandonata ed aveva preso a fare la baby-sitter. Lavorava di pomeriggio presso la famiglia che abitava sul mio stesso pianerottolo e quindi spesso bussava da me quando il bambino era talmente irrequieto che aveva bisogno di aiuto per tenerlo a bada, e passavamo un po’ di tempo insieme; tuttavia, non eravamo mai state particolarmente in vena di confidenze, eppure ero curiosa nei suoi confronti. Avevo conosciuto un’altra madre single, nella mia vita, e ricordavo benissimo di non averla vista neanche una volta raggiante come invece appariva Anna tra un sorriso nervoso ed un sospiro malinconico. Nonostante la tensione che doveva provare, Anna era felice di quel bambino.
Successe quando la vidi imbambolarsi di fronte alla scena di un padre con due figli, qualche tavolo più in là rispetto a noi. Dall’espressione che fece, così commossa e rassegnata, capii subito che doveva avere a che fare col padre di suo figlio.
- E’ un uomo sposato? – chiesi facendomi coraggio e dando prova di invidiabile sfacciataggine.
Lei si voltò verso di me mostrandosi stupita e, per qualche momento, impaurita. Due secondi dopo, già sorrideva dolcemente annuendo.
- Ed ha figli?
- Due bellissime bambine… sette ed otto anni…
Spalancai gli occhi.
- Le conosci?
Lei annuì.
- Sono un po’ come sorelline, per me… voglio loro molto bene…
Non seppi cosa dire o come rispondere. Immaginai la sua sofferenza nel guardare quelle bambine, nel sorridere loro, nell’abbracciarle, nel mostrarsi tenera.
- Le conosci da molto tempo?
- Qualche anno, si…
- Oh… allora quando tu e lui avete… ecco…
- Si, loro c’erano già. C’erano quando ci innamorammo e c’erano anche quando ci conoscemmo.
Il mio sguardo doveva essere terribilmente eloquente, perché lei scoppiò a ridere.
- Ti va se te lo racconto? – chiese prendendomi in giro. Io annuii e lei riprese a parlare. – E’ una storia un po’ lunga, però.
Io guardai l’orologio, erano le tre del pomeriggio. Quel giorno, decisi, non avevo nulla da fare.
La storia cominciava ancora prima della nascita di Anna, con una donna di nome Mila e suo marito Theodor. I due avevano un bambino di nome Tim ed abitavano in Cecoslovacchia. Quest’uomo e questa donna di separarono quando Tim aveva tre anni. Lui rimase col padre. Nel frattempo, Mila conobbe un uomo, Peter, un inglese che si trovava nella sua città per lavoro.
Nel giro di due anni, in Cecoslovacchia scoppiò il finimondo. Nel 1968, infatti, il governo comunista russo reagì molto violentemente all’azione del movimento indipendentista cecoslovacco. Quello non era più un luogo sicuro. Peter convinse Mila a trasferirsi a Londra con lui prima che fosse troppo tardi, facendo leva sul fatto che lei fosse nuovamente incinta. Mila cercò di portare con sé Tim, ma non ci fu modo di convincere il padre con le buone ed i tempi di una vertenza giudiziaria per l’affidamento erano incredibilmente lunghi; troppo lunghi. Mila partì senza il figlio.
A Londra era tutto diverso; era l’Inghilterra, c’era tanto da imparare e tanto da fare, la lingua, la casa, il lavoro. Mila non riuscì più a mettersi in contatto con Theodor e quindi non seppe più niente di Tim. Tornare nel suo paese natale sarebbe stato troppo pericoloso ed adesso aveva un’altra vita in grembo, che sarebbe sbocciata di lì a pochi mesi. Era Anna.
In una freddissima serata invernale di venti anni dopo, Anna si stava preparando per uscire quando squillò il telefono. Scocciata, si avvicinò all’apparecchio e rispose trattenendo il fastidio.
- Hallo, Anna Wood’s here.
Dall’altro capo del telefono rispose un uomo in inglese incerto.
- Buonasera, scusi l’orario. Sono Tim.
- Tim? E chi è? – non ricordava di conoscere nessuno con quel nome.
- Scusi, lei non è la signora Mila?
- No, è mia madre.
- …
- Pronto?
- S-Si… allora… tu sei… la figlia…
Lei sbuffò, già stufa della conversazione.
- Senta, vuole che gliela chiami?
- Se non è un disturbo… si, grazie…
Roteò gli occhi, quasi disgustata da quella gentilezza eccessiva, ed andò a chiamare sua madre senza neanche salutare.
Quando lei, finalmente, rispose al telefono, Anna credette davvero che sarebbe caduta, che si sarebbe accartocciata su sé stessa come se l’avessero messa sul fuoco. Istintivamente, quando la vide aggrapparsi al mobiletto su cui poggiava il telefono, corse a soccorrerla, reggendola per le spalle.
- Mamma? Mamma, che ti dice?
Mila le fece un gesto con la mano, come a dirle di non preoccuparsi, e ritornò a portare la sua attenzione sulla cornetta.
- Sei proprio tu? Non posso crederci, no davvero! Come stai? Oh, come sono felice! Ma come mi hai trovata? Oh, si, capisco. E dove sei adesso, intendo, dove vivi? Davvero?! Non dirmelo! Oh!!! Due nipotine! Oh, cielo, sono così… così… felice, così felice! Mi sembra impossibile! Sono stata… così preoccupata, per tutto questo tempo… mi… mi dispiace tanto, ma la situazione e poi tuo padre… oh, hai ragione, lo so… mi scuserò a dovere quando ci vedremo…
Subito dopo sua madre prese a parlare di valigie, biglietti aerei, settimane e giorni mancanti alla partenza, in una profusione di “come sei gentile, ma non devi preoccuparti!”.
Sua sorella Nikki, quindici anni, tornò in quell’esatto momento.
- I’m back! Che succede Annie? – chiese stupita vedendo la madre commossa al telefono.
Anna le fece segno di fare silenzio e la ragazzina andò a salutare il padre nell’altra stanza, facendo spallucce.
Qualche secondo dopo, sua madre interruppe la chiamata ed andò in salotto per comunicare con tutta la famiglia.
- Era Tim. – annunciò come se questo da solo dovesse bastare a schiarire le idee confuse di tutti.
Peter si mosse sulla poltrona.
- Tim… lui?
Lei gli sorrise allegra, annuendo, e lui si rilassò.
Poi, Mila si rivolse alle sue due figlie in attesa.
- Anna, Nikki… Tim è vostro fratello…
- COOOOSA?! E da dove salta fuori??? – urlò la più giovane balzando letteralmente in piedi.
La madre raccontò allora della Cecoslovacchia, del primo marito, di quel figlio controvoglia abbandonato e finalmente ritrovato; si liberò del peso sulla coscienza che l’aveva schiacciata per vent’anni e finalmente si lasciò cadere sul divano, sollevata.
- Capite bene perché non ve ne ho parlato prima… non sapendo dove fosse e neanche… - si interruppe un attimo, esitante - …se ci fosse ancora… avrei soltanto rovinato la tranquillità di questa famiglia senza ottenere altro…
Nikki ed Anna la guardarono attonite per molti secondi.
- Comunque, noi tre andremo a trovarlo a Praga, dove vive. Staremo lì due settimane, ospiti a casa sua.
Anna mascherò allora il profondo sconvolgimento provato mettendosi addosso una maschera di indifferenza. Nikki, invece, sembrava entusiasta.
- Non posso crederci, mi sembra di essere in un film!
- E tu, Anna, sei contenta?
- …se fa felice te…
Erano entrambe abbastanza nervose.
- Tu come credi che sarà?
- Non lo so. Non m’interessa. Non capisco nemmeno perché siamo dovute venire qui anche noi.
- Accidenti come sei noiosa… io scommetto che sarà il più bello di tutti! Biondo, occhi azzurri, alto e slanciato…
Quando Tim si avvicinò Anna scoprì che le previsioni di Nikki erano sbagliate solo per quanto riguardava il colore degli occhi.
Però, insomma… chi diavolo era quel ragazzo? Che c’entrava con loro e soprattutto che c’entrava con la loro madre? Capelli biondi, occhi castani chiarissimi, pelle diafana tranne per le gote e la punta del naso, arrossate, probabilmente, dal vento gelido che soffiava a Praga quel giorno. Quell’uomo non era per nulla simile a Mila. Non aveva i suoi ribelli capelli castani, che Nikki aveva ereditato, non aveva i suoi occhi verdi, che invece erano passati, uguali, ad Anna, non aveva neanche la carnagione olivastra che era comune ad entrambe. Insomma, era un perfetto estraneo, sotto ogni aspetto.
Sua madre sorrideva dolce. Evidentemente l’aveva riconosciuto.
- Tim…
- Mamma… - disse lui prima di aprire le braccia, tra le quali sua madre scomparve.
Anna si sentì come se le avessero dato un pugno sullo stomaco. Spalancò gli occhi, come se quell’unica parola fosse chissà che insulto, e si voltò per osservare la reazione di Nikki, o più che altro per cercare il lei la conferma dei suoi pensieri. E riusciva solo a ripetersi “ma che cazzo di diritto ha quest’uomo di chiamare ‘mamma’ mia madre?”. Sua sorella, però, non sembrava condividere niente di quello che le rimbombava in testa. Piuttosto, nonostante il suo sguardo fosse visibilmente nervoso, aveva una punta di eccitazione, una sorta di curiosità bambina in fondo agli occhi. Anna non la sopportò. In mezzo a tutta quell’assurda ma apparentemente normale gioia, era l’unica a sentirsi il cuore stretto in una morsa d’acciaio?
Anna tornò a guardarmi. I suoi occhi erano stati come assenti mentre parlava del primo incontro con suo fratello e solo adesso tornavano ad acquistare lucentezza.
- Non hai ancora capito, vero? – mi chiese sorridendo amaramente. – Non ti biasimo. D’altronde, è qualcosa a cui la gente pensa raramente, ecco perché tutto sommato sono abbastanza tranquilla.
Tornò ad immergersi nel racconto, senza lasciarmi il tempo di metabolizzare queste ultime sue parole.
Quando andò a prenderle all’aeroporto, Tim non era solo; aveva portato con sé la moglie e le due figlie.
Inid aveva più o meno venticinque anni ed era bionda come Tim, ma aveva gli occhi azzurri. Era una bella donna dall’aspetto elegante e dal sorriso gentile. Kirsten ed Isabel, rispettivamente quattro e tre anni, erano le due bambine più carine sulla faccia della terra: gote paffute, lunghi e liscissimi capelli splendenti raccolti in due code morbide dietro la nuca ed occhi castani screziati di pagliuzze dorate. Sorridevano sempre. Nikki ne fu subito attratta. Anna, invece, provò per loro la stessa sensazione di distacco lievemente rabbioso che provava per Tim.
Mentre sua madre e sua sorella si trastullavano con le piccole facendo conoscenza con Inid, lei rimase in disparte, vicino ai bagagli. Ben presto, Tim le si avvicinò. Lei si sentì immediatamente infastidita.
- Ciao! – disse lui allegramente, - Tu sei Anna, la ragazza con cui ho parlato al telefono, vero?
Lei annuì senza parlare. Lui continuò.
- Bè, piacere dunque! Sono Tim, tuo fratello! – disse ridacchiando mentre le porgeva la mano. Lei rimase ad osservare quell’arto pallido, quasi sicuramente congelato, non più coperto dal guanto che, in occasione di quelle assurde presentazioni, era stato sfilato, e la voglia di stringerlo era pari a zero. Non si mosse, e dopo un po’ lui, capendo l’antifona, si ritrasse leggermente, visibilmente imbarazzato. Lei lo guardò fredda per qualche secondo.
- Tu non assomigli molto a me e Nikki. Anzi, non ci assomigli per niente.
Lui ridacchiò ancora.
- Bè, d’altronde abbiamo due padri diversi!
Lei annuì. Continuò a parlare solo dopo aver sfornato il più odioso dei suoi sorrisi di scherno.
- Si, ma tu non assomigli per nulla neanche alla mamma.
Anna rise, mentre io la guardavo sconvolta.
- Davvero hai detto una cosa del genere a quel povero ragazzo?!
- Già… non è un bel modo di presentarsi al proprio fratello…
- Mh… half-brothers… sembra la storia di un fumetto! – ridacchiai ironica.
- Già… - rispose lei annuendo. Il suo sorriso implicava chiaramente che c’era dell’altro, per cui la incitai a proseguire nel racconto.
Mi disse che, ovviamente, Tim rimase sconvolto ed infastidito da quelle sue prime parole, ma fece buon viso.
- Posso comprenderti… - sorrise tranquillo, - Non dev’essere facile, vero?
Lei non rispose, rimase a guardare sua madre e sua sorella felici, sentendosi in tumulto.
- Fai il parrucchiere?! – esclamò Nikki entusiasta quando lo venne a sapere. – Forse riuscirai a domare questa mia zazzera! – rise. Lui rise con lei.
- Sono sicuro di potercela fare, tu dammi solo un’opportunità!
Lei annuì sorridendo.
Anna guardò fuori dalla finestra, disgustata. Tutti si erano accorti del suo pessimo umore, ed erano a disagio. Lei era interiormente soddisfatta di questo.
Inid prese la parola, in un inglese stentato.
- Sarete stanche, immagino… venite, vi mostro la stanza per la notte…
Anna seguì il gruppo con riluttanza, pregustando però già il momento in cui avrebbe dimenticato quell’orribile giornata concedendosi al sonno.
- Non mi sembrava vero di potermi andare finalmente a coricare! – ridacchiò Anna stringendosi nelle spalle. Io risi con lei.
- Bè… non eri proprio partita col piede giusto con tuo fratello!
- Già… tra l’altro mi ero fatta di lui l’idea di un incredibile mollaccione! Non aveva neanche pensato di rispondere alla mia provocazione all’aeroporto! Non mi piaceva il suo carattere, un motivo in più per non sopportare quella situazione. Però… - il suo sguardo si fece malinconico, mentre rovistava fra i ricordi - …mi sbagliavo.
Quella stessa notte lo scoprì.
Aveva voglia di dormire ma non aveva sonno. Nel letto matrimoniale, in cui dormiva con sua madre, stava scomoda; trovava il materasso duro, le lenzuola fredde e tutto l’insieme decisamente poco confortevole.
Si alzò, sbuffando infastidita, ben decisa ad andare in esplorazione della casa, tanto per fare qualcosa. Il freddo pungente la convinse però a fermarsi in salotto, accucciandosi sul divano. Abbracciò le ginocchia e vi nascose il viso cercando di trattenersi dal piangere.
- Non riesci a dormire?
Sollevò il viso spaventata, provando a distinguere nel buio la figura che già aveva assegnato a Tim per via della voce. Lo vide sulla porta, indossava una maglietta bianca a maniche lunghe ed un paio di pantaloni grigi. Evidentemente un completo da notte. Anna cercò di ricomporsi, assumendo subito un’espressione sarcastica.
- Neanche tu, vedo.
- Potrei dirti di si, ma la realtà è che ti ho aspettata sveglio.
- …?
- Questo non ti fa sentire un po’ in colpa?
- Per nulla.
- …capisco. Tentativo fallito. Ma che ti ho fatto?
Lei strinse i pugni, sentendo la rabbia crescerle dentro.
- Cosa mia hai fatto? Ma chi sei?! Che diamine vuoi dalla mia vita? Perché ti intrometti?! Quella è mia madre, tu non l’hai mai vista e pretendi di…
- Pretendo cosa?
La sua freddezza la zittì.
- Sai, Anna, quando ero piccolo c’era una donna che mi rimboccava le coperte ogni fine settimana che passavo con lei; quella donna mi chiamava “amore”. Ne ho un ricordo talmente vivido che quando sono immerso nel silenzio lo risento. Io ho vissuto per vent’anni senza il conforto di mia madre: lei non c’era quando feci diciotto anni, quando presi il diploma, quando mi laureai, quando mi sposai, quando nacquero le mie figlie. Ed adesso tu stai cercando di rovinare il momento in cui, finalmente, dopo aver quasi estorto nome e cognome a mio padre ed avere indagato per tutta l’Europa per trovarla, posso riabbracciarla. Questo non mi piace. Sono rammaricato per la tua sofferenza ed è scontato che io ti dica che il pensiero di avere delle sorelle mi rende davvero felice, ma quello che ti sfugge è che se tu ci fossi o meno per me non farebbe alcuna differenza. Solitamente non sono così sgarbato, ma il tuo atteggiamento di oggi si è tirato addosso questo mio discorso. Non m’interessa di nulla, io ho ritrovato mia madre.
Anna rimase attonita a guardarlo, senza riuscire a trattenere le lacrime di rabbia che le bruciavano gli occhi.
Lui si alzò dal divano e si diresse di nuovo verso la porta. Quando lo vide attraversarla, Anna si rese conto che doveva dire qualcosa, se non voleva rimanere lì sconfitta.
- Io non riesco comunque a vederti come un fratello. Non sei mio fratello!
Lui si voltò. La guardò senza espressione.
- Mi dispiace. – disse, ma i suoi occhi non erano quelli di un uomo dispiaciuto: mantenevano la stessa freddezza che avevano mentre le parlava pochi secondi prima.
Tutto inutile. Era sconfitta comunque.
- Senza offesa, eh… ma penso che tuo fratello avesse ragione…
Anna mi guardò sorridendo imbarazzata.
- Si, lo so… ma vai a governare la gelosia del cuore di una stupida…
Ridacchiammo insieme per un po’, prima che lei riprendesse il suo racconto.
Il giorno dopo, mi disse, aveva un paio di occhiaie talmente evidenti che sua madre si spaventò.
- Non hai dormito bene?
- Tranquilla mamy, è che ho il ciclo e mi sento un po’ debole…
- Oh, cielo! Abbiamo portato gli assorbenti? Aspetta che controllo…
- No, mà, tranquilla ce li ho io nella mia borsa!
Non riuscì a guardare in faccia Tim, quella mattina. E la cosa le pesò ancora di più, perché avrebbe voluto fargli vedere che le sue parole della notte l’avevano lasciata indifferente. Ma non era così. Si sentiva schifosamente in colpa. E lui le sembrava così superiore… lei non poteva neanche immaginare cosa significasse vivere senza la propria madre, senza il sangue del tuo sangue… cinque anni… a cinque anni già ricordi… ricordare il volto di sua madre, il suo calore, senza mai poterla abbracciare… no, NO, non poteva cominciare ad immedesimarsi, non poteva cominciare a capirlo, lui era l’uomo che cercava di portarle via sua madre! Lo odiava, lo odiava…
- Va tutto bene, Anna?
Sollevò lo sguardo e lo trovò a pochi centimetri da lei.
- Cosa vuoi? – chiese sgarbatamente quando si accorse di essere sola con lui in cucina.
- Non hai finito il tuo caffellatte, c’è qualcosa che non va?
- Ma perché fai il finto tonto? Certo che c’è qualcosa che non va, hai dimenticato il nostro piccolo scontro notturno?
- Veramente è stato un mio monologo, non è che tu avessi chissà che argomenti con cui controbattere…
- Te l’ho detto: non ti sento come se fossi mio fratello, quindi il pensiero di poter avere la madre in comune mi… mi disgusta! Mi hai anche trattata malissimo!
- Tu sei stata peggiore, ammettilo. E poi questo fatto che non mi senti come un fratello è una balla: ci verresti a letto con me se fossi l’ultimo uomo sulla faccia della terra e tu avessi una voglia matta di farlo?
- Ovviamente no!
- Vedi?
- MA E’ PERCHE’ MI STAI SUL CAZZO!!!
- Naaaah… è il richiamo del sangue…!
Mosse qualche passo verso la porta, furiosa.
- Tu sei un cretino integrale! Dove sono tutti?
- Le bambine sono andate a scuola, mia moglie è a fare la spesa con mamma e Nikki ha insistito per accompagnarle… io apro la parrucchieria di pomeriggio, oggi, perciò siamo soli soletti… vuoi darmi una prova che non mi vedi come un fratello…? – disse sbottonando il primo bottone della camicia e facendole un occhiolino divertito.
- PIANTALA di fare umorismo su questo, ok? – strillò lei arrossendo. Lui sbuffò.
- Inglesi… se non è il vostro umorismo non vi fa ridere, eh?
- Ah, ma vaffanculo.
Uscì dalla stanza bene intenzionata a non rivederlo. Sapeva che sarebbe stato impossibile.
- Vi siete divertiti tu e Tim oggi?
Anna sbuffò contrariata.
- Mamma, lo detesto!
Nikki alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo.
- Cosa? Ma è un GRANDE!
- Solo perché ti ha fatto i boccoli come piacciono a te!
- Non è questo!
- Ed allora cosa…?
- Piantatela di urlare, tutte e due… Anna, perché detesti tanto Tim?
Sua madre sembrava infastidita, ma lei non cedette.
- E’ un maleducato, mamma, ed ha un pessimo senso dell’umorismo. E poi non è affatto dolce e remissivo come sembra!
- Non è che sei semplicemente gelosa? – chiese Nikki senza più staccare gli occhi dal libro.
- NON SONO GELOSA!!!
- Ti ho chiesto di non urlare, per favore! Anna, l’unica maleducata qui sembri tu: ti comporti da isterica, sei sgarbata e scorbutica! Perché fai così?
Non rispose, strinse i pugni.
- Sai da quanto tempo non vedo tuo fratello?
Scattò in piedi.
- Non è il mio cazzo di fratello! – urlò sbattendo la porta.
- Ripensandoci oggi me ne vergogno molto. Quell’ostinazione disgustosa… volevo che fosse un viaggio disastroso, che mia madre tornasse a casa con la certezza assoluta di non voler mai più mettere piede a Praga…
Annuii interessata. Il racconto andava avanti da un bel po’, ma io ero tutto meno che annoiata.
- Però ci sono delle cose di cui ti rendi conto all’improvviso, come uno schiaffo inaspettato. Stavo facendo soffrire tutti. Stavano tutti male ed anche io ero profondamente insoddisfatta ed infastidita.
Due giorni dopo il burrascoso litigio con sua madre, aveva trovato Tim in cucina, voltato di spalle verso l’entrata e rivolto col viso verso il lavandino. Non si sarebbe interessata, se non l’avesse sentito chiaramente piangere.
- Cosa diavolo…?
Lui si voltò a guardarla. Gli occhi pieni di lacrime esprimevano tristezza e rabbia assieme. La rabbia era tutta nei suoi confronti.
- Spero che tu sia contenta ora!
Si strinse nelle spalle, un po’ intimorita dalla sua voce minacciosa. Subito riprese il controllo.
- Non capisco di cosa parli.
- Non lo capisci? Ma certo!
Lui sorrise amaramente, gli occhi rossi ancora colmi di lacrime.
- Stamattina mamma è venuta da me e mi ha detto che è stata molto felice di vedermi, ma che visto il clima che si è creato qui è meglio per voi tre tornare in Inghilterra! Ha detto che presto andrà a comprare i biglietti e che potrò andarla a trovare quando voglio ma che forse non è il caso che lei venga più a Praga, visto quanto la cosa ti fa soffrire!
Era completamente sconvolta.
Era quello che aveva sempre desiderato da quando aveva messo piede in quel posto… ed adesso che lo otteneva le sembrava assurdo.
Tutte le lacrime di Tim, i suoi occhi rossi, la sofferenza di sua madre…
Pensò a Nikki. Era impensabile che lei non soffrisse per quella situazione al limite del normale, eppure si sforzava, aveva visto il bene di Tim e probabilmente si sarebbe comportata decorosamente anche se non l’avesse visto. Quella sorellina adolescente di stava comportando in maniera più matura di lei, che era già una donna!
- Non posso credere che tu faccia una cosa del genere! Io ho chiesto solo due settimane per poter stare con mia madre, e tu hai distrutto tutto prima ancora che cominciasse! Ti odio!
Anna uscì dalla cucina di gran corsa, come se stesse inseguendo qualcosa. Pregava perché lo stato d’animo di quel momento non l’abbandonasse e le permettesse di aggiustare tutto. Doveva trovare sua madre!
- Mamma!
La trovò seduta su una piccola poltrona in camera da letto. Lei non disse nulla e si limitò a guardarla, stupita.
- Mamma, cosa hai detto a Tim?
La donna abbassò lo sguardo ed Anna seppe che aveva capito.
- Anna, è meglio così davvero, forse…
- NO! – si affrettò ad interromperla. – No! Non… non devi… io… sono un’egoista, mi sono comportata talmente male che provo disgusto per me stessa! Mamma, è giusto che tu stia anche con lui, e lui ha diritto di stare con te, forse più di me, quindi… ti prego… perdonami e restiamo qui a Praga…
Sua madre, mi disse, letteralmente si sciolse in lacrime. Le rivolse il sorriso più bello che le avesse mai visto sul volto e la ringraziò come se in quel “grazie” fosse rinchiusa tutta la sua anima.
Un pianto tanto felice non l’aveva mai creduto possibile.
Avevo quasi i brividi per la curiosità. Più Anna proseguiva col racconto più mi sembrava che si allontanasse dall’obiettivo principale, ovvero svelarmi l’identità del misterioso padre di suo figlio, ma certo non potevo interromperla e dirle “ok, ho capito, vai al sodo dunque!”, perciò rimasi silenziosa in ascolto.
Mi disse che quella sera, nonostante il freddo quasi polare, c’era un bel cielo e si vedevano tante stelle, perciò si imbacuccò per bene ed andò a fare una passeggiata nel cortiletto che circondava il palazzo. Era quadrato, abbastanza spoglio, ma girando il primo angolo a sinistra si entrava in un piccolo giardinetto riparato, con qualche albero e molte aiuole colorate. C’era anche una panchina verde, di quelle antiche in ferro battuto, piena di ghirigori. Anna si sedette, inspirando a fondo l’odore acre dell’erba bagnata. Quanto tempo passò? Cinque minuti, forse, prima che sentisse chiamarsi per nome?
Istintivamente si alzò in piedi, nel momento esatto in cui Tim la raggiunse nel giardino.
- Anna! Ti ho cercata tanto!
Sorrise imbarazzata, come a volersi scusare. Lui la guardò con occhi incredibilmente dolci.
- Non so come ringraziarti…
Lei rise, ancora imbarazzata.
- Non devi! Non mi sono comportata bene, io devo farmi perdonare!
Tim sorrise rassicurante, avvicinandosi a lei.
- Insomma, io sono fatta così, perdo spesso la bussola, ma per fortuna la ritrovo sempre!
- E’ un bene! E poi… devo scusarmi anche io per come ti ho trattata quella notte… e la mattina dopo… ed anche oggi!
- Bè, quello che hai detto lo pensavi, vero?
- …intendi il “ti odio”?
Lei annuì, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi sinceri.
- …bè, si… insomma, in quel momento stavi per distruggere tutto…
- Fa nulla! Dico sul serio! Anche io, parecchie volte… - si sedette sulla panchina, - …ti ho detestato sul serio… eri “colui che voleva distruggermi la vita”…
- E adesso… non lo sono più?
- …mia madre se ne sarebbe davvero tornata in Inghilterra, anche se con te è felice. Io soffro… perché ho paura di quello che potrebbe decidere mia madre se si accorgesse che qui con te sta meglio che con noi a Londra… o che… vuole più bene a te…
Si fermò d’improvviso, accorgendosi di avere la gola bloccata da un’incredibile quantità di lacrime.
- Che scema sono…
Il freddo si fece sentire ancora di più sulle guance già bagnate e le pungeva gli occhi, aiutato dal pianto che le si congelava addosso. Una sensazione spiacevolissima.
Ma qualcun, qualcuno la mitigò. Tim le si sedette accanto e l’abbracciò, circondandola di calore amico e confortante, e lei si lasciò andare, si aggrappò al suo cappotto scamosciato beige e pianse, pianse per moltissimi minuti, i capelli che le ondeggiavano ad ogni soffio di vento. Era la prima volta che lei e Tim stavano così vicini. Tra le sue braccia si sentiva tranquilla, al sicuro. Era dunque questo un abbraccio fraterno? Ma perché fino a quel momento si era negata una meraviglia simile? Era forse stupida?
Smise di piangere, ormai consolata, ed aspirò il suo profumo senza pensare a niente. Sapeva tanto di buono.
Lui si staccò da lei così in fretta che il vento la schiaffeggiò in pieno viso. E non si allontanò e basta, si alzò perfino dalla panchina facendo due passi indietro verso un albero. Al suo posto rimaneva solo una lieve traccia del suo odore.
Lei lo guardò, senza capire. Sembrava spaventato, o almeno tremendamente scosso.
- Tim…?
- Scu-Scusa. – biascicò lui prima di svanire dietro l’angolo lasciandola sola e stordita.
- Comportamento strano per un fratello, eh? – ridacchiò Anna chinandosi lievemente verso di me, come se volesse farmi chissà che confidenza.
- Bè, un po’… prima ti consola e poi si allontana come se l’avessi morso! – risposi io divertita. Lei sorrise. Poi continuò a raccontare.
I successivi cinque giorni furono parecchio strani. Anna era tutto sommato tranquilla, sua madre e sua sorella si godevano la permanenza e tutto filava liscio. Tim, però, se sfuggiva. Non le era più capitato di trovarsi sola in una stanza con lui e non aveva più avuto modo di parlargli, se non per quelle poche chiacchiere scambiate la mattina o al suo ritorno dal lavoro. Ogni tanto lei si era sentita strana, un po’ triste, rassegnata, come quella sera in giardino, e, non sapeva perché, l’unica persona con cui si sentiva libera di poter confidarsi era Tim… ma se lui le stava così distante…
C’era anche un’altra cosa strana: la sensazione, sempre vividissima, delle sue braccia a stringerla, del suo profumo ad ipnotizzarla, del suo calore ad avvolgerla.
Si chiese, e me lo disse con un certo imbarazzo, se sensazioni del genere fossero normali nei confronti di un fratello. Le sue parole furono che ormai aveva deciso di accettarlo per quello che era, in fondo aveva per davvero metà del suo sangue. Pensò che semplicemente le mancasse l’abbraccio fraterno che si erano scambiati nel giardino, perciò fece di tutto per ritrovarsi da sola con lui e scoprire perché diamine la teneva così lontana.
L’occasione le si presentò mentre Inid, un lunedì mattina, stirava davanti alla televisione. Sua madre la aiutava a piegare magliette e camicie e Nikki si scompisciava dalle risate davanti ad un assurdo programma locale di cui non capiva una parola perché, ovviamente, era in ceco. Lui doveva essere in casa da qualche parte, il lunedì lavorava solo di pomeriggio. Anna andò alla sua ricerca, stanza per stanza. Niente in cucina, niente in salotto, vuoti entrambi i bagni, solo aria nelle camere da letto… c’era una sola stanza ancora da controllare, lo studio di Tim. Solitamente quando si chiudeva lì dentro era per leggere e quindi non voleva essere disturbato; lei non se ne preoccupò ed aprì la porta senza neanche bussare.
- Tim! Volevo…
Le morirono le parole in bocca, mentre lo osservava fare quasi un salto in alto per sorpresa e spavento, poi arrossire repentinamente e tirarsi su i pantaloni senza neanche riuscire ad abbottonarseli per via delle mani tremanti.
Insomma, l’aveva beccato a masturbarsi nella stanza come un qualunque adolescente.
- Scu-Scusami! – balbetto arrossendo e chiudendo la porta. Solo che, nella confusione mentale, dimenticò di chiudere anche sé stessa fuori dalla porta. Lui la guardò, senza dire nulla. Lei realizzò ed arrossì di più, ma cercò di essere spiritualmente presente a sé stessa.
- Bè… tanto ormai penso che tu abbia finito…
- …si. Pensavo solo di darmi una sistematina prima di parlare con te…!
- Fa nulla… no? – sorrise, cercando di far sparire il rossore dalle guance. – Dai, abbottonati quei pantaloni…
Lui annuì, sorridendo imbarazzato. Quando ebbe finito, lei gli si avvicinò, appoggiandosi poi alla scrivania in legno scuro.
- Ma che diamine facevi??? – gli chiese ridendo, ormai serena.
- Devi per forza chiedermi spiegazioni?
- Eh si, fratellone, o finirò per ricattarti con la mamma!
- …insomma, è chiaro quello che stavo facendo, lo vuoi spiegato nei dettagli? Mamma avrebbe dovuto parlartene molto tempo fa…
- Si, ma dico… Inid è una così bella donna, e ti ama tanto, e tu sei un bell’uomo, non credo che se glielo avessi chiesto ti avrebbe rifiutato…!
- …sssi, forse, ma ci sono cose di cui… ehm… insomma, è meglio non informare la propria moglie…
- …che c’è, Timmy, ti piace un’altra…?
- Insomma, in un certo senso sarebbero fatti miei!
- …mamma! Sai che poco fa, quando sono entrata in studio…
- Aaaah! Insomma, Anna, non posso dirtelo!
- E perché? Qua non conosco nessuno, non potrei danneggiarti in nessun modo!
- Senti, Anna, non è proprio il caso che…
- …mamma…!
La afferrò per i polsi con entrambe le mani, bloccandola contro una delle tre librerie della stanza. Uno scaffale sporgente quasi le si conficcò nel fianco e lei si fece male.
- Ahi…! Tim, ma che cazzo…?
- Zitta! Se ti dico che è meglio che tu non sappia devi credermi sulla parola! Perché sei entrata qui dentro?
Si arrabbiò sul serio.
- Perché sono GIORNI che mi eviti! Che cavolo, mi era sembrato di sentirti VICINO quella sera in giardino!
Lo sentì irrigidirsi e stringere di più la presa.
- Cazzo, Tim, mi fai male! Cosa ho detto?!
- Ma che… porca troia, Anna, ripensando a quella sera non… non ti viene in mente nulla?
- No, NULLA a parte il fatto che dopo ti sei allontanato…!
- …
- E’ successo qualcosa durante quell’abbraccio?
- …
- Cosa, Tim?
- …
- …
- …
- Tim, che ti passa per la testa?
Era un po’ spaventata, adesso. Il profumo di Tim la circondava interamente, era tanto buono da paralizzarla. Avrebbe voluto chiudere gli occhi ed aspirare, e nient’altro.
Era un clima strano. C’era una strana cosa fra loro due. Lei lo capì d’improvviso. Per quanto si fosse potuta sforzare, non sarebbe mai riuscita a vederlo come un fratello. Nulla di ciò che aveva provato al suo cospetto era considerabile come un sentimento fraterno. Se ne rendeva conto lì, in quel momento, mentre lui la stringeva e la pressava contro quella libreria spigolosa.
- Anna…
- …si…
- …io non lo so se ce la faccio, a dirlo…
- …
Lo sentì avvicinarsi di più e, catturata dalla sua presenza, chiuse gli occhi.
Si sfiorarono soltanto. Un semplice contatto di labbra, talmente lieve da poter sembrare innocuo… ma quell’innocuo contatto fece tremare loro le gambe, ed Anna si sentì cedere.
Non riuscirono ad avvicinarsi di più, sebbene lo desiderassero entrambi.
- Voi… cosa… cosa state facendo?
Nikki stava sulla soglia dello studio ed anche le sue gambe sembravano stare per cedere.
Guardai Anna sconvolta. Non avevo parole. L’uomo con due figlie, dunque, era Tim… suo fratello…? Ma questo voleva dire che… che…
- Anna…
- …
- Questo è… è incesto…
Lei abbassò lo sguardo, mortificata.
- Tu… lo sai che l’incesto è… è peccato, vero? Lo… lo dice anche la legge… e questo bambino potrebbe essere…
Sollevò lo sguardo, fiera.
- E’ figlio mio e di Tim. E’ e sarà solo questo.
Ero sempre stata abituata a considerare l’incesto come qualcosa di sporco, credo fosse perché avevo ricevuto dai miei una ferrea educazione cattolica che guardava con ammirazione alle leggi della religione senza contemplare eccezioni di sorta. Non posso omettere di aver guardato Anna con occhi diversi, dopo quella dichiarazione, ma volevo comunque conoscere il resto della storia, perciò rimasi ad ascoltare.
E lei mi disse che subito, quando Nikki fu uscita dallo studio sbattendo la porta, lei e Tim si guardarono e si separarono.
- Scusa. – si affrettò a dire lui.
- E’ stata anche colpa mia…
Sapeva che sarebbe dovuta uscire da lì alla velocità della luce, correre dietro a sua sorella ed inventare una scusa convincente da propinarle. Ma rimase ferma. Almeno fino a quando Tim non la risvegliò dalla trance.
- Non dovresti…?
- Si! Si…
Uscì dallo studio di gran corsa.
- Nikki! Nikki!!!
- Anna! È successo qualcosa? Tua sorella si è chiusa nella stanza senza spiegarmi niente!
- Non ti preoccupare mà, abbiamo avuto un problemino, ora risolvo!
Corse nella stanza da letto, chiudendosi la porta dietro le spalle. Sua sorella era seduta su una sedia davanti l’entrata del balcone.
- Nikki…
Le si avvicinò lentamente, come avesse paura che potesse scappare via in seguito ad un suo movimento troppo brusco.
- Che vuoi?
Si sedette al suo fianco, rimanendo in silenzio.
- Da quanto va avanti? Ma tu non lo odiavi?
- Così… così mi sembrava, Nikki, non lo so più… non capisco nulla neanche io…!
- Ma non c’è nulla da capire, Anna! Lui è tuo fratello! Non voglio immaginare cosa potrebbe pensare la mamma se…
- Nikki, tu non devi dirle niente!
- Io non VOGLIO dirle niente! Insomma!
- Ah, stai facendo una scenata assurda! Non è successo niente fra me e Tim!
- Non è ancora successo niente, vorrai dire! Vi stavate per baciare!
- E’ stata una stronzata! Può succedere, no?
- L’importante è che non succeda più.
Veramente, avrebbe voluto prendere quella ragazzina e schiaffeggiarla fino a farle capire che il fatto di essere sua sorella non la autorizzava a governarle vita e sentimenti; ma in realtà sapeva bene che aveva ragione. Lei e Tim insieme… impensabile…! Se solo un po’ teneva alla serenità della sua famiglia – e di quella di Tim, come dimenticare! – doveva togliersi dalla testa quell’idea malsana.
- Ti dico… che non è successo niente. Stai tranquilla.
La guardai, senza fiatare.
- Hai domande?
Scossi la testa.
- Ti disgusto?
Io mi irrigidii sulla sedia, senza rispondere.
- Avresti ragione. Avevo promesso che gli sarei stata lontana. Lo promisi a mia sorella, quella mattina, e lo promisi anche a me stessa. Eppure, non riuscii a mantenerla, quella promessa.
Mi disse che, dopo quella mattinata in studio, cercò di non vedere più Tim per un po’. Lo incrociò un paio di altre volte, ma non si parlarono. Il momento peggiore fu quando si incontrarono in corridoio e si passarono accanto, imbarazzati e nervosi, senza degnarsi di uno sguardo. Mentre lui le passava vicino si sentì come se le stessero strappando il cuore. Avrebbe voluto afferrarlo per un braccio e non lasciarlo andare mai più. Non lo guardò. Pianse in assoluto silenzio.
Passò tutto il resto del pomeriggio chiusa nel bagnetto di servizio antistante la lavanderia, a piangere chiedendosi se fosse anormale, se Tim provasse lo stesso sentimento, o almeno lo immaginasse. Lo desiderava e basta, cosa poteva farci?
Il suo profumo, il suo calore, quella pelle bianca, quei capelli biondi, perfino quegli anonimi occhi castani. Era amore, quello? O era un desiderio malsano? Forse la sua mente le aveva giocato questo scherzetto per convincerla di non riuscire a vederlo come un fratello. O forse la soluzione era molto più semplice.
Sentì bussare alla porta e si asciugò immediatamente le lacrime, schiarendosi la voce.
- Chi è?
La persona oltre la porta ebbe un attimo di esitazione. Lei rimase in ascolto.
- …sono io, Anna.
Si alzò repentinamente in piedi, schiacciandosi contro il muro di fonte l’uscio, come se stargli il più lontana possibile in linea d’aria potesse servire a qualcosa.
- E’ occupato!
- Si, lo so… ma sento che piangi da un po’… o… stai facendo altro?
Poteva sentirlo imbarazzato, pur senza vederlo. Si avvicinò nuovamente alla porta, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime.
- No… non sto facendo niente…
- Ok… allora mi apri? Parlare così mi sembra assurdo…
Poggiò due dita sulla maniglia, e si prese il tempo di inspirare ed espirare profondamente prima di aprire.
Se lo ritrovò davanti e non riuscì a trattenere un singhiozzo.
- Dai…
Lui entrò nel bagno, chiudendosi la porta alle spalle.
- …smettila di piangere, su!
Lei si sedette sul water chiuso, mentre lui prese posto su uno sgabellino rettangolare nero.
Anna si strinse nelle spalle, continuando a singhiozzare.
- E come faccio a smettere?
- Ma… perché fai così?
- … non hai bisogno di chiedermi il motivo..
- …
Rimasero in silenzio senza guardarsi.
- Scusa, Anna. Non avrei dovuto baciarti.
- Tim, lo volevo anche io. Non è stata solo colpa tua.
- …
- …
- Adesso che facciamo?
- …non lo so. Questo sentimento che provo adesso… non posso certo cancellarlo…
- Già. Ma secondo te è amore?
Sollevò lo sguardo e lo trovò a sorridere imbarazzato. Sorrise anche lei.
- Te lo sei chiesto anche tu…?
- Eh, come si fa a non chiederselo? È una situazione troppo strana!
- Mh… ma tu quando l’hai capito?
- Eh… galeotto fu l’abbraccio in giardino…!
Lei ridacchiò.
- Ma dai! Allora è per questo che ti sei separato da me in quella maniera assurda!
- Si… tu invece?
- Ah, questo lunedì, quando mi hai baciata. Ma aspetta un momentino… se tu l’avevi già capito, allora… quando ti ho beccato in studio a…
- Si, pensavo a te. Cerchiamo di non rivangare ricordi imbarazzanti.
Anna rise, ed anche Tim.
Si avvicinarono, lei poggiò il capo nell’incavo fra la sua spalla ed il mento, chiudendo gli occhi. Quel profumo…
- Te l’ho mai detto che hai un profumo che mi fa impazzire?
Lui rise piano, stringendola di più a sé.
- No, non ne avevi mai avuto l’occasione, credo. Quindi per te è stato il mio profumo?
- Eh?
- Intendo… la “causa scatenante”…
- Ah… si. E per te?
Tim le accarezzò dolcemente il capo.
- I tuoi capelli. Così lunghi, mossi sottili… quella sera, in giardino, si muovevano continuamente. Meravigliosi. Avrei voluto accarezzarli, come adesso, ma ho avuto paura quando ho capito qual era la portata del sentimento che provavo… non volevo che tu te ne accorgessi…
Anche Tim aveva parlato con Nikki. E lei era stata terribilmente dura, con lui più che con lei. Gli aveva dato del pervertito e gli aveva intimato di stare alla larga da sua sorella sotto minaccia di dire tutto a sua moglie.
- Qualcuno dovrà insegnare l’educazione a quella mocciosa, prima o poi… - disse Anna senza preoccuparsi di nascondere il fastidio nella voce.
Rimasero lì abbracciati ancora per un po’. Poi, lui scrollò le spalle.
- Prima o poi dovremo uscire da questo bagno…
Lei sbuffò.
- Si…
Furono le ultime parole che dissero prima di tornare, con falsi sorrisi, dal resto della loro famiglia.
- Adesso mi devo fermare. E devo dirti, prima di continuare, che quello che ti ho detto fino ad ora non è niente. Nient’altro che abbracci innocenti. Ma io sono incinta, e non si resta incinta con gli abbracci. Perciò, non proseguire nell’ascolto se ti infastidiscono i racconti che parlano di rapporti incestuosi.
Me lo disse con occhi talmente freddi che neanche riuscii a pensare alla possibilità di andarmene. Deglutii e rimasi seduta. Lei sorrise, dolcissima, prima di continuare.
Per tre giorni, mi disse, lei e Tim approfittarono di ogni momento in cui erano soli per baciarsi e stare vicini. Fecero, però, molta attenzione: Nikki li pedinava praticamente ovunque, e la cosa stava diventando insostenibile.
Per eludere la sorveglianza, Anna una mattina uscì di nascosto ed andò a trovare Tim alla parruccheria.
Lui si dimostrò stupito ma felice, per quella visita. In realtà c’era qualcosa che pesava sul cuore di Anna: le due settimane stavano per finire. Ancora due giorni e poi sarebbe dovuta tornare a Londra e chissà quando lo avrebbe rivisto.
- Ciao!
Gli si avvicinò, e mentre lo baciava affettuosamente su una guancia gli sussurrò in un orecchio “hai un po’ di tempo per la tua amante?”. Mi giurò di averlo visto irrigidirsi tutto, afferrarla per una mano e volare fuori dall’enorme stanzone che era il luogo in cui lavorava, dopo aver lasciato tutto nelle mani di tal biondissima e truccatissima Carla.
- Ci stai pensando anche tu, vero?
Lei fece la finta tonta.
- A cosa?
Si fermarono nel mezzo del marciapiede. Lui le teneva ancora stretta una mano.
- Al fatto che dopodomani vai via.
Anna abbassò lo sguardo, senza rispondere.
- Bè, io ci penso ogni giorno, ogni minuto. So già che mi mancherai da morire.
Non seppe che dire; lo guardò, gli occhi pieni di lacrime. E lui la baciò. Lì, in mezzo ad un’infinita folla di persone. I pochi che li guardarono si limitarono a qualche sarcastico fischio, ma era come se fossero soli, perché nessuno li conosceva. Quando si separarono, appoggiarono fronte contro fronte, intrecciando le dita delle mani.
- Io… - lei parlò con voce rotta dal pianto. - …voglio stare con te…
Si afferrarono stretti, strettissimi. Salirono sulla macchina di Tim e lui guidò fino a casa di un amico. Lei era imbarazzatissima. Suo fratello e l’altro ragazzo, tale Sven dai capelli fucsia, parlarono un po’ in corridoio a bassa voce. Poi Tim tornò da lei, la prese per mano e la condusse in un’assurda camera da letto tappezzata di poster dei Guano Apes. Si guardò intorno, tra lo sconvolto ed il divertito.
Lui ridacchiò imbarazzato.
- So che non è il massimo, ma non posso offrirti di meglio, è l’unico posto che conosco per… ecco…
Gli mise l’indice sulle labbra.
- Sssh… senti Tim. Non so ancora se è amore, ma voglio davvero stare con te. Voglio avere un ricordo più bello, qualcosa che ci unisca più di un semplice bacio. Voglio fare l’amore con te.
E venne completamente invasa da lui. Dal suo profumo penetrante, dalla sua indispensabile presenza. Carezze audaci, baci profondi e lui, lui, solo lui, solo loro, nient’altro. In quella buffa stanza di quell’improvvisato paradiso che era loro esclusiva, per la prima volta furono l’uno dell’altra senza alcun velo.
- E’ stato in quell’occasione che sei rimasta incinta?
Erano le prima parole che pronunciavo da circa due ore, e mi fece quasi male la gola.
Lei scosse la testa ridacchiando.
- Ma no! Questo accadeva circa tre anni fa…
Il giorno della partenza si comportarono da bravi bambini: consci del fatto che un addio ispirato a film romantici anni cinquanta sarebbe stato estremamente fuori luogo e sconveniente, in primo luogo per loro, si baciarono su una guancia abbracciandosi stretti.
L’unica, piccola vendetta che si presero nei confronti di Nikki fu squadrarla con un sorrisetto ironico di cui probabilmente lei non capì il senso.
- L’ultima volta che ci siamo visti è stata tre mesi fa. Allora la mia pancia non era evidente come adesso.
Mi raccontò che lei viveva da sola e poteva incontrarsi con Tim a casa sua, quando lui veniva a trovarla, almeno una volta ogni due settimane.
- Non possiamo continuare a vederci così… - mi disse di aver detto lei ironica, ridacchiando fra le lenzuola tre mesi prima.
- Oh, hai ragione, Inid sta cominciando ad insospettirsi riguardo agli improvvisi malori della mamma…
- …
- Ehi…
- Sei un bastardo…
- …
- Tu non combatteresti per stare con me…?
- …
- …amore mio…
- Senti Anna. Io… ho combattuto una guerra contro mio padre che non mi voleva rivelare chi o dove fosse mia madre. È stata una guerra durata più di dieci anni, dall’adolescenza a quando ti ho incontrata, praticamente, ed io… non me la sento di combatterne un’altra. Per di più, non solo questa è una guerra che non possiamo vincere, ma che ci porterebbe inevitabilmente ad una separazione obbligatoria e dolorosa. Senza contare che ho due figlie con Inid, sono ancora piccole, come potrei spiegare loro una cosa del genere?
- Si, tu hai ragione, hai ragione su tutto, ma io…
- Quello che ti sfugge… - la interruppe, con un sorriso seducente. – E’ che a me non interessa vivere questa storia d’amore alla luce del sole. M’interessa viverla con te.
- Così, alla fine non gli ho detto niente della gravidanza. Lo sento regolarmente ma non lo vedo da un bel po’. E forse è un bene. Però…
Anna era rimasta abbastanza allegra e tranquilla per tutto il tempo del racconto, ma dopo quel ‘però’ gli occhi le divennero lucidi e parlò con voce più incerta.
- …però sono spaventata. Perché fra quattro mesi questo bambino nascerà, e se fosse biondo come lui, se avesse i suoi occhi castani… se avesse anche solo una piccola, minuscola malformazione… Nikki capirebbe… TUTTI capirebbero… tutto finirebbe… ed io… non voglio… assolutamente…
La guardai. Come accartocciarsi su sé stessa. Piegata, la fronte tra le mani e le lacrime che le scendevano copiose sulle guance. Pensai a quello che aveva passato; a quello che ancora la aspettava. E desiderai non aver mai usato uno sguardo di disgusto nei suoi confronti. In nessun caso, per nessun motivo, per nessun fottutissimo dogma, l’avrebbe meritato.