Genere: Introspettivo.
Pairing: Bill/Bushido, Bill/Tom.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Incest, Language, Slash, Violence.
- Il circolo vizioso di un desiderio indecente e inesauribile.
Note: Okay XD È un disastro e me ne rendo conto da sola, perché non è abbastanza densa e non è abbastanza spiegata, suppongo. Probabilmente le manca qualcosa, il punto è che io non saprei cos’altro aggiungerci, perciò, insomma, penso resterà un figlio nato a metà, così. Non che sia incompleta XD È conclusa, ma probabilmente non me la sono gestita bene.
È figlia di un bisogno, questa storia. Fondamentalmente del mio bisogno di buttar fuori un po’ di cattiveria. Puntualmente mi capita, e quindi escono cose come questa, che sono sullo stesso filone di cattiveria gratuita di storie che conoscete benissimo e che per certi versi sono un po’ il mio segno distintivo nel fandom, perché le oneshot così, un po’ crude, un po’ disilluse, sono una cosa che sento molto mia. Questa è più piccola e meno, forse, consistente rispetto alle altre, ma batte su un tema che mi è caro, è che è quello della sostituzione affettiva.
Tra l’altro il fandom è un po’ fissato sull’idea del “vado con Bushido perché non posso avere mio fratello”, volevo provare a ribaltare i ruoli e vedere che ne veniva fuori.
A voi decidere se ho fatto bene o male XD
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TEUFELSKREIS

Tom è bellissimo. Tom è un maschio. Tom mi prende come un maschio.
Questi sono i tre motivi per i quali mi lascio scopare da mio fratello, punto. E lo faccio, oh, sì, lo faccio, ma non c’entra l’amore e non c’entra neanche l’attrazione fisica. Soprattutto, non c’entra il piacere, perché non è ciò che vado cercando.
Cercherò di essere chiaro, anche se so che maggiore è la chiarezza maggiore è anche la schiettezza. E maggiore è la schiettezza, maggiori sono le possibilità di tirarti addosso l’odio universale. Nessuno vuole sentirsi dire la verità. Io, però, la dico lo stesso, perché sono costretto a mentire così spesso e per così tante cose, nell’ambito privato e professionale della mia vita, che trattenermi anche di fronte allo specchio mi sembrerebbe allucinante, oltre che molto stupido. D’altronde, le confessioni uno può farle solo così: in solitaria. Se non vuole vedersi sfumare attorno la felicità come un miraggio, s’intende.
Io voglio bene a Tom. Sarebbe impossibile non volergliene, per me, per tutte le ragioni che vado sbandierando in giro e che sono completamente sincere, perché voglio bene a Tom in maniera così assoluta da non potere mentire a riguardo.
Gli voglio bene così tanto da potere mentire a lui, però.
Tom, oltretutto, è un ragazzo delizioso. Te ne accorgi quando lo vedi, quando gli parli, perfino quando entra nella stanza; tutto intorno a lui brilla perché Tom è positivo in maniera quasi insostenibile. Ride sempre, è sempre pronto a fare qualcosa, sempre pronto a mettersi in gioco. È una persona meravigliosa. E con me è sempre gentile.
È del tutto impossibile non volergli bene, davvero.
Ma non mi piace. Non è la persona che sogno la notte. Non è la persona che vorrei mi stringesse, anche se da lui mi lascio stringere.
Mi lascio stringere per tre motivi, che sono quelli di prima.
Tom è bellissimo, ed io non mi concedo mai meno del meglio.
Tom è un maschio, ed è un maschio ciò che voglio, anche se non è lui.
E Tom mi prende come un maschio, soprattutto. Mi prende e mi fa male esattamente come un maschio.
Esattamente come farebbe lui.
Ma lui non lo fa.
Per lui esisto solo come una specie di complemento d’arredo, una cosa che può usare finché gli torna comoda ma smette di avere un’incidenza nella sua vita nello stesso momento in cui gli toglie gli occhi di dosso.
E perciò, siccome lui non mi prende, io mi faccio prendere da Tom.
Non sarei potuto andare da nessun altro, questa è la mia scomoda verità. Io non sono davvero così sexy. Nessun maschio mi salterebbe addosso nel vedermi andare in giro come vado di solito quando sono in casa o quando vago per strada in incognito. Nessun maschio mi salterebbe addosso neanche se mi trovasse nudo sulla soglia della propria camera, temo. Perché io non sono veramente sexy, io sono una maschera di inchiostro creata ad uso e consumo di ragazzine innamorate di un’idea che con me non c’entra niente. L’idea di un mistero.
È sempre stato così. Fin da quando ero minuscolo, ho sempre desiderato che le persone – tutte – mi trovassero in qualche modo attraente. Disturbante, forse, d’accordo, ma io volevo addosso gli sguardi. Era quello il mio obiettivo principale. E non ho mai fallito, in questo senso.
Non era una questione di sessualità. Era una questione di orgoglio. Io ero io e dovevo essere riconosciuto come tale da chiunque. Oppure non ero niente.
Questo è rimasto, per me. David, poi, mi ha limato e perfezionato e reso più accessibile, vendendo di me un’immagine che batteva sul sesso, perché è questo che si vende oggi, ma io non sono davvero sexy. Non lo sono mai stato. Strano. Non sexy. Io. Non sexy.
Avessi anche solo provato ad andare da Georg o da Gustav, avrei preso probabilmente tutte le botte che in questi anni mi sarei meritato per motivi vari ed eventuali e che loro, per bontà e spirito di sacrificio, non mi hanno mai rifilato.
David non era un’opzione, naturalmente.
Se fossi andato da Andreas, mi avrebbe sgamato con la velocità di un fulmine.
Da Tom potevo aspettarmi esattamente la stessa cosa, ma Tom, contrariamente ad Andreas, non è in grado di dirmi no. Ed è esattamente su questo che ho fatto affidamento fin dalla prima volta.
“Tomi, non puoi dirmi no. Non puoi rifiutarti. Ne ho bisogno. Ho bisogno di te, Tomi, ho bisogno di sentirti adesso”.
Una recita perfetta.
E no, non me ne vergogno, vaffanculo, e neanche me ne pento.
Perché ne avevo bisogno davvero. Non di lui, forse, ma lui era tutto ciò che avevo, in ogni caso. Ho imparato presto, facendo questo mestiere, il valore della rassegnazione, dell’accontentarsi di ciò che già si ha. Dell’inseguire il sogno, sì, ma solo fino a quando il sogno non mostra la chiara intenzione di ucciderti. A quel punto, chini il capo e mandi giù.
Io ho chinato il capo. Ho mandato giù Tom.
Non era il sapore che cercavo, ma non era nemmeno un brutto sapore, in realtà.
*
Mio fratello non mi capisce, quando gli grido di spingere più forte. Quando mi aggrappo spasmodicamente alle sue spalle, quando stringo le cosce attorno ai suoi fianchi, quando mi abbatto con violenza su di lui, quando chiudo i denti sul suo collo e mordo come volessi spezzarlo in due, lui non mi capisce e si spaventa. Mi chiede se c’è qualcosa che non va, se mi sta facendo male, se non mi sento a posto.
Io vorrei semplicemente che mi sfondasse. Così, senza pensieri. Che mi spaccasse dentro. Che si facesse sentire fino nello stomaco, nei polmoni, nella gola, nel cervello. Vorrei solo questo.
Perché non so quante volte ho immaginato che al suo posto potesse esserci lui. E, nelle mie fantasie, lui sarebbe esattamente così. Violento e cattivo. Mi farebbe male. Mi farebbe male fin dentro.
È questo ciò che vorrei.
Tom riesce a darmelo solo se lo imploro.
Per me non è un problema. Implorare, dico. Ho implorato anche lui, ma lui, al contrario di Tom, mi ha spezzato il cuore. E questo è successo solo perché io sono il classico stupido che quel muscolo inutile te lo mette in mano anche quando non lo chiedi. Soprattutto quando non lo chiedi.
Io, lui, non ho avuto neanche bisogno di conoscerlo, per mettergli in mano il mio cuore. Dall’alto della mia colossale idiozia mi sono convinto di interessargli davvero. Non per i flirt televisivi o le dichiarazioni gettate al vento quando non ero lì, e nemmeno per gli abbracci e le occhiate languide quando c’incontravamo sul palco.
Ho confuso le luci scure che gli danzavano negli occhi durante gli afterparty per dichiarazioni. Ho confuso il tocco casuale della sua mano in mezzo alla folla per un attestato di desiderio. Ho confuso la gentilezza di un passaggio a casa per un invito a chiedere di più.
Ho confuso il niente col tutto, in poche parole. Ed è una cosa che capita spesso, quando t’innamori senza speranza.
Io non so esattamente di cosa sono innamorato. Se del fatto che lui mi piaccia o se del fatto che m’ero illuso di piacergli anch’io. Non so nemmeno se sia lui il mio obiettivo, non so se trovo attraente la curva della sua schiena o la linea delle sue braccia o la forza delle sue mani o l’intensità del suo sguardo, non lo so. Ci ho perso gli occhi a furia di guardarlo, quello sì, me lo sono impresso nella mente come un marchio a fuoco, anche, riconoscerei il suo profilo fra mille solo perché ormai lo conosco a memoria, d’accordo, ma non so se sia amore.
È una spinta violenta, è irrazionale, mi prende e mi strazia, quando mi assale non va via se Tomi non la butta fuori a calci facendosi strada di prepotenza dentro il mio corpo.
Se questo è amore, fa schifo davvero.
Io, comunque, ho implorato. Ho implorato perché non mi riportasse a casa, ho implorato perché mi tenesse con lui e gli ho rubato un bacio che è stata l’unica cosa che sono stato in grado di prendermi prima di vedermi letteralmente scaraventato fuori dalla BMW col fiatone, i capelli scomposti ed il gelo umidiccio del marciapiedi a filtrare attraverso il tessuto leggero dei jeans estivi.
Ho sbagliato, a prendermi quel bacio.
Su ciò che non sai puoi fantasticare.
Quello che conosci lo usi come termine di paragone, purtroppo.
E Tom ci prova, ma le sue labbra non sono mai abbastanza calde. I suoi fianchi non sono mai abbastanza forti. Le sue spalle abbastanza larghe o la sua pelle abbastanza ruvida.
Non c’è davvero niente in lui che possa ricordarmi ciò che voglio. Io chiudo gli occhi e inghiotto, inghiotto, inghiotto, perché il sapore non è quello ma almeno è un sapore. Perché posso accontentarmi, in fondo, e quando Tom spinge abbastanza forte un po’ ci credo. Stringo forte le palpebre e ci spero. Che ci sia lui fra le mie cosce, che ci sia lui sul mio petto, che ci sia lui fra le mie dita.
Odio dover aprire gli occhi sul respiro mozzo di mio fratello, le mani perse fra i suoi capelli e le gambe indolenzite intrecciate alle sue. Odio aprire gli occhi ed accorgermi che è un falso. Che mi sono dato a un falso. Mi sono concesso a un falso. Mi sono svenduto a un falso.
Io non ho idea di cosa passi per la mente di Tom quando mi scopa.
Io non lo voglio sapere.
Non è affar mio.
Ed è il motivo per cui non gli dico cosa passa per la mia quando imploro una spinta più profonda.
Lui è solo mio, almeno nella mia testa. Tom non deve vederlo. Non deve neanche immaginarlo, oppure io lo perdo. Perdo entrambi. Perdo lui che mi scivola via dai sogni e perdo Tom che mi scivola via dal cuore.
Certi segreti vanno custoditi. Certi segreti fanno semplicemente troppo schifo per essere rivelati.
*
Sono un caso disperato, me ne rendo conto.
- Stai bene, cucciolo?
Il mio è proprio un classico caso di circolo vizioso.
- Sì.
Senza uscita. Perché io non voglio trovarla.
- Sei pallido…
La mano di Tom scende dalla mia fronte alla mia guancia, e la stringe lievemente fra le dita prima di chinarsi a baciarmi sulle labbra.
Tom mi bacia perché questo è il suo modo di scusarsi per avermi fatto male.
Io mi lascio baciare perché questo è il mio modo di perdonarlo per non avermene fatto di più.
- Sto bene. – lo rassicuro tirandomi seduto. In realtà ho tutti i muscoli indolenziti e mi fa un po’ male la schiena. Oggi Tomi è stato quasi bravo. Mi chino su di lui e gli sfioro una guancia con le labbra. – Ti amo… - mormoro ad un millimetro dalla sua pelle, e lui si irrigidisce. – Grazie.
Tom si copre gli occhi con l’avambraccio.
- È la prima volta che me lo dici mentre non lo stiamo facendo. – commenta secco, le labbra tese.
Io sorrido.
- Volevo dirti qualcosa di carino. – spiego tranquillamente.
- Io non sono stato carino. – constata lui abbassando il braccio e portando una mano a sfiorare i segni rossi che mi ha lasciato sui polsi mentre li teneva stretti sopra la mia testa, esattamente come gli avevo chiesto. – Guarda qui…
Io sollevo i polsi per guardarli più da vicino. I segni delle dita sono un po’ troppo sottili per ricordarmi i suoi, ma…
- …sono belli. – annuisco con un sorriso. – Così mi resterai addosso fino a domani, no?
Lo sto prendendo in giro. È una cosa orrenda. Sono una persona orrenda.
Tom sorride appena, socchiudendo gli occhi.
- Io ti amo, Bill. – confessa alla fine, sedendosi al mio fianco e sporgendosi a baciarmi sulle labbra.
È tenero.
- Anche-
- No. – mi ferma lui, scuotendo il capo, - Io ti amo. Perciò… va bene. Okay? Non chiedermi più di farti male, io… l’ho capito. D’accordo.
Abbasso lo sguardo, perché non ho altro da fare. Perché mi sento in colpa e mi sento anche felice, ma non riesco a stabilire le quantità, la misura della gioia e la misura della tristezza. È tutto confuso.
- Posso farti male a modo mio. – continua Tom, chinandosi sul mio collo e stringendone teneramente la pelle fra i denti, - Se me lo permetti.
Ed è esattamente quello che non voglio. Non voglio che sia il modo di Tom. Non voglio che sia Tom. Non m’interessa che sia Tom, io voglio un fratello da cui farmi perdonare, non voglio un innamorato che assecondi i miei capricci. Io volevo un pupazzo vuoto che mi si spingesse contro nel letto e poi volevo braccia calde che mi consolassero una volta che il desiderio fosse sparito e mi fosse rimasta in corpo solo la voglia di piangere e urlare. Io non volevo perdere Tom.
Io volevo Bushido, cazzo, cazzo, io volevo Bushido, vaffanculo, e lo voglio ancora.
Mi separo da lui e scivolo sul materasso, fra le lenzuola, rimettendo i piedi a terra.
- Ci vediamo domani. – borbotto senza guardarlo, recuperando i vestiti e dirigendomi svelto verso la porta.
Tom non aggiunge niente. Posso sentirmi addosso il suo sguardo smarrito e mi fa male tanto che vorrei morire adesso.
È tutto sbagliato.
Sono tutto sbagliato.
La mia recita perfetta s’è sfaldata fra le mie mani e non mi resta neanche la polvere. Non mi resta niente. Da questo disastro io non uscirò più.
E forse adesso un po’ mi vergogno, sì. E mi pento, anche.
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