Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Giampaolo Pazzini/Riccardo Montolivo, Giampaolo Pazzini/Antonio Cassano.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Slash.
- Fra presente e passato, il diciannove giugno di Giampaolo Pazzini.
Note: Questo tweet è tutto ciò che vi serve per capire perché questa storia sia nata XD Titolo rubato alla canzone omonima dei Placebo.
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Special Needs


Si rigira il cellulare fra le mani, seduto sul letto in camera. Non lo guarda, però: sa che, se lo facesse, i suoi occhi volerebbero svelti da una lettera all’altra, sulla tastiera; comporrebbero parole in potenza che poi le sue dita sentirebbero il bisogno fisico di mettere in atto. Non può guardarlo, guardarlo è troppo pericoloso.
 
“Abbiamo detto basta,” Antonio gli sorride addosso, Giampaolo gli morde via un bacio dalle labbra, “Oh, Pazzo,” ride ancora lui, “abbiamo detto basta.”
 
Guarda il calendario, invece. Lippi ne ha distribuito uno ad ognuno di loro, ha detto di appenderli in camera. In corrispondenza delle date esatte sono segnate delle enormi croci rosse. Stanno a significare partita. Ce n’è una domani.
 
“Non sarà più così semplice,” prova Giampaolo, rigirandosi fra le mani l’orlo del lenzuolo che, peraltro, copre solo lui, perché Antonio l’ha scalciato via ed è rimasto steso sul materasso con le mani dietro la nuca, completamente nudo, completamente a suo agio, “quando sarai sposato con Carolina.”
“Non sarà più così semplice?” Antonio ride, lanciandogli un’occhiata ironica, “Non sarà più. E basta.” E poi sospira, vagamente più serio, per quanto serio possa essere uno come lui. “Ne abbiamo già parlato, no? Non è che t’ho mai preso in giro. No?”
 
“Sei emozionato?”, scrive in un messaggio, e lo invia prima di potersene pentire. La risposta arriva una ventina di minuti dopo, tempo sufficiente da farlo impazzire d’ansia – e d’imbarazzo, perché cos’è? una ragazzina innamorata che tempesta di sms il tipo che le piace? Santo Dio – e a dargli l’impressione che Antonio avesse ben di meglio da fare che non stare a badare al cellulare, o a lui. D’altronde, si dice stancamente prima di leggere, oggi si sposa.
 
“No, no,” è l’imbarazzo che parla, non la sua voce. La sua voce non dovrebbe tremare così. “Era per dire.”
“Per dire cosa?” ridacchia Antonio, un po’ più nervoso di prima, un po’ meno calmo. Ma non si allontana da lui, perché è sempre sincero, e mentirebbe se dovesse dire che sentire Giampaolo accanto, percepirne il calore sul braccio, gli dà fastidio. Perché così non è.
“…non lo so nemmeno io,” ammette lui, con altrettanta sincerità, sbuffando rumorosamente. “Confondi sempre tutti così, tu?”
Antonio ride ancora, voltandosi su un fianco ed appoggiandosi sul gomito, per sollevarsi un po’ e guardarlo dall’alto. “Sì,” risponde, e Giampaolo si sente avvampare, si stringe nelle spalle e distoglie lo sguardo.
 
“Dovrei chiederlo io a te,” è il messaggio di risposta di Antonio, “domani giocate.”
Giampaolo si morde un labbro, fa per rispondere, picchietta un po’ coi polpastrelli contro il tastierino del cellulare e poi si rompe le palle e, semplicemente, lo chiama. Antonio non risponde subito, però. Lascia squillare quattro, cinque volte. E quando risponde, la sua voce è divertita ma in un certo senso anche preoccupata.
- Ma Pazzo, - gli dice ironico, - sei una cosa assurda.
Giampaolo mormora qualcosa di incomprensibile, qualcosa che un senso in realtà non ce l’ha nemmeno nella propria testa. Una serie di mugolii confusi, una lagna priva di particolari valenze, forse solo una protesta per il modo in cui Antonio riesce sempre a farlo sentire preso in giro senza neanche dovercisi impegnare a fondo.
 
“Adesso non fare quella faccia,” gli dice Antonio, ridendo come un ragazzino, “È troppo facile, così.”
“Ma sei uno stronzo,” protesta lui, però un po’ ride a propria volta. “Non sono un cazzo abituato ad avere a che fare con post-scopate simili,” si lascia sfuggire quindi, del tutto soprapensiero, “con Riccardo era diverso. È diverso.”
 
- È che mi mancavi. – soffia alla fine, in uno sbuffo imbarazzato. Antonio ride.
- Ma non ne abbiamo già parlato, di questa cosa? – chiede. Giampaolo sbuffa ancora.
- Sì, sì. – ammette, - Ma non puoi mancarmi? In generale? Cioè, non rientra nei miei diritti civili o che? Oltre a – esita un po’, - tutto il resto, intendo, siamo anche amici, no?
- Quindi ti senti amichevolmente nostalgico e basta? – chiede Antonio.
- Forse! – dice lui, convinto. Ci riflette anche, amichevolmente nostalgico suona bene. Non suona compromettente, almeno. – Sì, esattamente quello. Amichevolmente nostalgico.
Antonio ride ancora. Giampaolo può immaginarlo chiaramente scuotere il capo, magari appoggiarsi ad una parete mentre porta una mano al fianco.
- Ma non c’è nessuno che ti si scopi, là, Pazzo? – sgancia alla fine, e la bomba gli esplode nella testa.
 
“…Montolivo,” ride Antonio, malizioso, “Ma certo! Ma sono un coglione, come ho fatto a non capirlo prima?”
“Be’, non è che sia una cosa così evidente…” borbotta Giampaolo. E poi, vagamente più preoccupato, aggiunge “Non lo è, vero?”
“No, non lo è,” sghignazza lui, sistemandosi con la schiena sul cuscino per stare sollevato dal materasso, “Però visto che scopiamo da mesi era mio preciso dovere, in quanto amante, risalire all’identità del tuo vero fidanzato.”
 
- …ma perché deve diventare tutto incasinato, con te? – chiede Giampaolo in un mugolio sconfitto, massaggiandosi le tempie, - Volevo solo sapere come ti sentivi, visto che ti sposi fra tipo… non ricordo il fuso orario. Comunque poche ore.
Antonio inspira ed espira, è evidente che sta cercando di trattenersi dal ridere ancora.
- Io sono felice, Pazzo. – risponde, e la sua voce è così serena che a Giampaolo viene da piangere, - Però non so se posso dire lo stesso di te, e questo mi addolora. Seriamente, - insiste, il tono di voce che si fa via via più grave e preoccupato, - ne vieni fuori? Perché sennò sarà un casino.
- Non è mica detto. – protesta lui, cupo, - Magari me ne vado alla Juve.
- Non dire stronzate. – lo riprende immediatamente lui, - ‘Cazzo ci vai a fare a Torino, tu servi a noi e a nessun altro.
Giampaolo annuisce distrattamente. Vorrebbe dirgli che gli piacerebbe servire anche a lui, non solo alla Samp, ma si trattiene.
 
“Sei un coglione,” sbuffa Giampaolo, tirandogli una cuscinata in faccia, “Riccardo non è il mio fidanzato. È una cosa a parte. Lui è diverso.”
“Tutti lo siamo,” scrolla le spalle Antonio, “E quando uno riesce a restare diverso per qualcun altro abbastanza a lungo da farglielo ammettere, allora è più seria del previsto. Lo ami?” chiede con una naturalezza assassina, e Giampaolo scosta lo sguardo.
“Ma che razza di domanda è…” biascica incerto, “Che ne so?”
“Be’, se non lo sai tu, lo saprà lui,” considera Antonio, pratico, “Lui ti ama?”
Giampaolo ci riflette per qualche secondo, assorto.
“Non me l’ha mai detto esplicitamente,” risponde quindi, scrollando incerto le spalle, “quindi non ti saprei dire.”
Antonio si porta una mano alla fronte, scrutando il soffitto con aria esasperata.
“Mado’— Pazzo, lasciati dire una cosa, qui non sono io che ti confondo, sei tu che sei confuso a prescindere.”
 
- Va’, Pazzo, ti saluto. – dice Antonio, improvvisamente frettoloso, - M’è arrivata la mamma di Caro fra capo e collo e sta sclerando per sa Dio che motivo. – ridacchia, - Devo starle dietro. Tu fai una bella figura, domani, mi raccomando, che se non segni te ‘sta squadra di morti di fame viene via già ai gironi.
La telefonata si interrompe prima che Giampaolo riesca a salutarlo. Lui, comunque, resta seduto sul letto, com’è da quando è entrato in camera, d’altronde, e guarda il cellulare con occhi un po’ spenti, osservando il display prima farsi un po’ più scuro e poi spegnersi del tutto.
Quando entra in camera, qualche minuto più tardi, Riccardo lo trova ancora in quella posizione.
- Ohi. – lo saluta, tirando in un angolo il borsone e lasciandosi ricadere sul letto al suo fianco, sospirando stremato, - Cristo, sono distrutto. Disturbo? – chiede, mentre lui si rassegna a metter via il cellulare.
- Nah. – risponde, stendendosi al suo fianco, - Stavo con Antonio. Volevo fargli gli auguri per il matrimonio.
- Povero Cassano. – ridacchia Riccardo, sistemandosi contro il suo fianco mentre le braccia di Giampaolo e tutto il suo corpo si adattano alle sue forme, per contenerle tutte in una stretta del tutto naturale, così semplice da commuoverlo, quasi. – Via, che se è fortunato l’anno prossimo arriva mister Prandelli e la musica cambia, eccome se cambia.
- Magari l’anno prossimo non sarà più interessato lui. – ipotizza, appoggiando il capo contro il suo. Riccardo ride brevemente, divertito.
- Sì, certo. – lo liquida, - Comunque non importa. – aggiunge con una punta d’emozione, - L’importante è esserci ancora noi due.
Giampaolo si allontana un po’ da lui, guardandolo negli occhi per qualche secondo. Non c’è traccia di confusione in quel celeste trasparente, né di alcuna indecisione. Storna lo sguardo perché, se invece nei suoi c’è, non vuole che Riccardo la veda.
 
“Pazzo, e piantala!” borbotta Antonio sulle sue labbra, ma ride e ricambia i suoi baci, perciò Giampaolo non si sente davvero in dovere di fermarsi. “Ma uno quanti no deve dirti per farti capire l’antifona?”
“L’ho capita, l’antifona,” sbuffa lui, sollevandosi appena per poi lasciarsi ricadere seduto a cavalcioni su di lui, allacciandolo al collo ed osservandolo con un certo compiacimento alzare le braccia e poi stringerlo ai fianchi. “Proprio perché l’ho capita, facciamo che questa è l’ultima volta.”
“E poi basta lagne e piagnistei?” chiede Antonio, inarcando un sopracciglio.
“Basta lagne e piagnistei,” conferma Giampaolo, “Lo prometto.”
Antonio non crede a una sola parola, e Giampaolo nemmeno. Ma nessuno dei due si ferma.
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