Genere: Romantico/Drammatico/Malinconico/Triste
Pairing: Sana/Akito
Rating: PG13
AVVISI: Het, Lime.
- Sana e Akito. Frammenti di convivenza. Frammenti di separazione.
Commento dell'autrice: Accidenti se è stato difficile riprendere in mano Kodocha dopo l’ultima volta XD Personalmente, ritengo questo manga un’opera splendida. Per molti versi, ha segnato la mia vita XD L’ultima volta che ho scritto qualcosa su Kodocha (ed era “Many ways”, quindi neanche tanto tempo fa XD) ero felice come lo ero stata poche volte prima (e anche dopo XD). Allora amavo una persona 9_9 Che amo ancora ma che non sento più XD Non sto bene (e si vede XD), ma passerà. Pensavo sarei stata peggio, comunque. Significa che sto crescendo.
Finora, nelle fic su Kodocha che ho scritto, Sana e Akito erano dei ragazzini (“Brothers…?”) oppure degli adulti che agivano con l’incoscienza e la leggerezza dei ragazzini (“Back to reality”, soprattutto, ma anche la stessa “Many ways”). L’intento di questa fic era che agissero da adulti punto e basta. In verità Akito è molto infantile XD Mi rendo conto che la fic è un po’ episodica e che i pezzettini non sono granché connessi l’uno con l’altro. In realtà ogni pezzettino è un po’ come se fosse un drabble (mini-fic). Per questo, chiedo scusa ^^ ma è così che mi è venuta ç_ç
Scritta in due tempi, abbastanza di getto, ascoltando “Slave to love” di Brian Ferry.
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Slave To Love


Solleva lo sguardo e la vede. Dorme ancora. La luce del sole che entra da fuori – la serranda è aperta – filtra attraverso la tenda rosa e rende rosata anche l’aria. Passa anche attraverso gli animaletti ricamati che decorano il tessuto leggero, proiettandoli sul muro di fronte. Akito solleva una mano e per un attimo il cagnolino scompare. Quando il braccio torna a distendersi sul materasso al suo fianco, il cagnolino ricompare e si confonde con la carta da parati ad elefantini.
Il bambino nascerà fra sei mesi, ma la camera è già pronta. Ci hanno messo un divano-letto perché potrebbe diventare la camera degli ospiti, oltre che quella del bambino, una volta che sarà abbastanza grande da poter dormire da solo – e poi comunque non si sa mai, un lettone di servizio può sempre servire.
La guarda ancora. Si chiede quando si sveglierà e contemporaneamente realizza che non riuscirà mai ad abituarsi alla sua bellezza, né a quel suo sorridere mentre dorme, che lo spiazza sempre e gli rompe il respiro. Ma va bene, perché è una sensazione splendida.
Da quando sa che è incinta, non fa che fantasticare su come sarà il bambino. Sa di essere un bell’uomo, ma vorrebbe che il piccolo, di lui, non avesse niente; vorrebbe che somigliasse tutto a sua madre. Vorrebbe che avesse i suoi occhi nocciola, i suoi capelli chiari e lisci. Vorrebbe che avesse le sue labbra sottili e il suo fisico asciutto. Lo vorrebbe così perché sarebbe come amare Sana di volte, in sua moglie e in suo figlio, però il figlio farebbe anche parte di lui. Non sa spiegarlo, ma sa che sarebbe fantastico.
Si rigira un po’ fra le lenzuola. C’è un buon profumo nell’aria. Lo riconosce, è il profumo di Sana. Vorrebbe che suo figlio avesse lo stesso profumo. Però lo sa, che odorerà di pannolini, latte e creme idratanti.
La cosa non lo disturba più di tanto.
*

- Il momento in cui mi hai chiesto di sposarti, te lo ricordi?
- Ovviamente. Ma ho rimosso i particolari scabrosi.
- Tipo il fatto che eri nudo?
- Quello non è un particolare scabroso.
- E quali sono i particolari scabrosi, allora?
- Ti dico che li ho rimossi. Che mi chiedi?
La osserva sbuffare e guardare fuori dalla finestra con fare annoiato. Sa quanto le piace sentirsi raccontare quel momento. Sospira.
- Tu dovevi partire l’indomani e io ero incazzato.
Lei si volta, sorride splendida. Poggia il mento sulle mani e i gomiti sul tavolo. Lo ascolta con aria sognante.
- Siccome avevamo litigato, per una stronzata, avevi anticipato la partenza. Saresti stata via due settimane invece che una sola. E io lo odiavo. Mi stavo facendo il bagno e cercavo di non pensarci.
- E ci riuscivi?
- No. E poi ad un certo punto mi sono reso conto che mi scocciava da morire che tu te ne andassi in un altro appartamento, a casa tua, per cambiarti, e che non avessi qui il cassetto con la tua biancheria. Così sono uscito dalla vasca e sono venuto in cucina, dove stavi preparando il caffè.
- E poi?
- E poi ti ho detto la prima cosa che mi è passata per la testa.
- Cioè?
Avrebbe potuto mangiarselo di baci, quel sorrisetto di bimba.
- Cioè “mi sposi?”.
Rise allegra. I soliti campanellini della sua voce gli riempirono le orecchie.
- E poi?
- Mi sono accordo che ero nudo e tu ti sei messa a ridere. Come adesso. – dice, dandole un pizzicotto sulla guancia, ma lei non smette. E va bene così.
- E poi?
- Sono scappato via. Però mentre scappavo sono scivolato e sono caduto. E mi sono rotto il naso.
- Avevi detto di avere dimenticato i particolari scabrosi! – dice lei con un’ultima risata cristallina.
Lui sbuffa e non la guarda più. È imbarazzato da morire.
La cosa non lo disturba più di tanto.
*

La pancia è tanto rotonda che quando la guarda riesce a vedere solo lei. Invade tutto il suo campo. Gli fa dimenticare tutte le altre cose.
Ha paura, quando pensa che per tutto il resto della sua vita vorrebbe non vedere altro che Sana e il suo ventre gonfio.
Ha paura, ma la cosa non lo disturba più di tanto.
*

Sana ha un modo ingenuo di fare l’amore. Gli si getta fra le braccia, fiduciosa, ad occhi chiusi e labbra scostate. Non apre gli occhi un secondo, né quando lui la tocca, né quando la penetra, né quando viene, né quando esce; per tutto il tempo, le palpebre abbassate e i lineamenti rilassati la fanno sembrare come in trance.
Anche lui vorrebbe poter andare in trance così, quando lo fanno. Però almeno uno di loro due dovrà pur tenere gli occhi aperti, no? E comunque lui non riuscirebbe mai a smettere di guardarla, sapendo di averla proprio lì davanti a un centimetro.
Potrebbe farle ciò che preferisce. Finisce sempre a fare ciò che sa lei vorrebbe. Inutile dirlo.
La cosa non lo disturba più di tanto.
*

Non ha occhi che per il piccolo. Da quando è nato, quattro mesi fa, la casa è tutto un risuonare di “Nao! Nao!”. Che poi è il suo nome.
Oh, sì. Sana è riuscito a piegarlo, alla fine. Aveva giurato a sé stesso che mai, mai suo figlio avrebbe portato quel nome, neanche se fosse stata l’unica possibilità. Piuttosto lo lasciava innominato.
Ma Sana vince sempre. E Akito non sa per quale motivo lo abbia voluto chiamare Naozumi. Sinceramente, non gli interessa. Non vedono quell’uomo da dieci anni, ormai. Neanche lo sentono più. Sana sembrava averlo completamente rimosso dalla memoria. Evidentemente era solo un’impressione.
Gli scoccia ammetterlo, ma ha sempre avuto una paura assurda di Naozumi. Perché ha sempre saputo che se solo Sana gli avesse dato una possibilità, lui si sarebbe fatto amare follemente, e altrettanto follemente l’avrebbe amata. Akito ringrazia ogni giorno la scarsissima furbizia di sua moglie. Perché sa di non essere il marito perfetto, sa di essere stronzo, cupo, irascibile e prepotente – anche se alla fine vince sempre lei, quante gliene fa passare prima di dichiararla vittoriosa?
Sana non ha occhi che per il bambino.
Che è tutto suo padre, accidenti a lui.
- E’ bello il nostro Nao, vero? Ti somiglia tanto.
Scrolla le spalle.
- Strana concezione hai, del bello.
- Secondo me tu sei bellissimo.
Lo bacia.
Sì, sì, ok, bellissimo. Ma lei lo è di più.
- Sai quanto ho desiderato che venisse così uguale a te?
Non parla, guarda il bebè che dorme tranquillo.
- Sarà come amare due Akito. Te e lui.
Sconvolto, la fissa.
- Scusa. È un ragionamento idiota…
Idiota, sì. Sono idioti tutti e due, allora.
La abbraccia, si sente d’improvviso molto sereno e tranquillo.
E d’improvviso, anche il fatto che si chiami Naozumi, beh, non lo disturba più di tanto.
*

A volte la convivenza gli sembra un’impresa impossibile. Ci sono giorni in cui lui e Sana non fanno che litigare, dalla mattina alla sera. E se anche non urlano, perché non vogliono che il piccolo si spaventi, fanno male anche quelle mezze parole infastidite sibilate tra i denti, accompagnate da un sorriso ironico e triste.
Sana è oscenamente brava a farlo sentire una merda fatta e finita. Seppure lui si renda conto che la maggior parte delle volte che litigano lo fanno perché lei, sbadata com’è, ha sbagliato qualcosa di importante tirandosi addosso i suoi rimproveri, quando la vede infuriata, con gli occhi lucidi e le mani strette a pugno, non può fare a meno di pensare che forse la colpa un pochettino è anche sua. E basta pensare questo per un attimo che comprende che si addosserebbe il peso del mondo se potesse servire a farla sorridere di nuovo.
Per questo, è sempre lui che si prende la colpa di tutto. E ogni litigata finisce con un perdono, sì, ma è sempre lei a perdonarlo.
Siccome sa perfettamente che è uno dei tanti sacrifici che si fanno per amore, e siccome sa altrettanto bene che anche lei si sacrifica in continuazione, la cosa non lo disturba più di tanto.
*

Bene attento a non addormentarsi, scruta la porta con occhi apertissimi e orecchie pienamente ricettive. La casa, senza Sana e Nao, gli sembra talmente vuota da essere inutile.
È scioccante, se ci pensa. Questa sensazione di non valere nulla se non in loro funzione è pericolosa, molto. Perché, cosa dovrebbe fare se per caso fra loro finisse? Se succedesse una disgrazia e si lasciassero? Se per forza di cose dovessero non vedersi più? Se capitasse una di quelle cose assurde che capitano a centinaia di migliaia di persone nel mondo, un’incomprensione, un litigio furioso, un tradimento fortuito, una stronzata qualsiasi, e se poi loro si lasciassero, di lui cosa resterebbe?
Come una macchia nel loro passato, una macchia che farebbero sparire presto, perché loro sono indipendenti. Nao sta crescendo, Sana è cresciuta. Lui invece è rimasto lo stesso, sempre. Dagli anni lontani in cui, diavolo com’era, implorava il suo angelo perché lo tirasse fuori dalla merda, non era cambiato di una virgola. È sempre lì a fare affidamento su di lei, anche solo sulla sua semplice presenza, o su un suo sorriso, per ogni cosa.
E la cosa non l’ha mai disturbato più di tanto, fino ad ora.
*

Sicuramente è stata colpa sua se le cose tra loro sono finite in maniera così schifosa.
Insomma, sapeva perfettamente che, una volta portata a termine la gravidanza e tornata quella di prima, Sana sarebbe tornata al lavoro, e lui avrebbe ricominciato a vederla così raramente da stare male.
Però forse nel suo delirio egoistico aveva sperato che lei, che so, rinunciasse al lavoro per stare sempre con lui e il bambino. Come una bella famiglia felice che non si separa mai. Perché cazzo, lui aveva un estremo bisogno di non separarsi mai da lei.
Lei che non è riuscita a capire. Che l’ha guardato sempre più sconvolta ad ogni nuova assurda scenata, che alla fine ha fatto le valigie e gli ha gridato in faccia che poteva sognarselo di distruggerle l’esistenza in questa maniera, e che poteva sognarsi anche che sarebbe rimasta lì un minuto di più, lasciando che Nao ascoltasse ancora le loro litigate furiose.
Non si è mai sentito solo come adesso che vive nell’appartamento che un tempo era stato di tutti loro, e che ora è vuoto e impolverato.
Ci sono stanze che non apre più. Come ad esempio la loro camera e quella del bambino. Preferisce dormire sul divano, e la sua vita si risolve tutta lì, nel tragitto divano-cesso-cucina-divano e così via daccapo.
Alla fine, almeno su una cosa aveva avuto ragione. Sul fatto che una volta rimasto solo sarebbe stato come morire continuando a vivere – straziante e inevitabile.
Forse perché sta tornando lo stronzo ghiacciato che era un tempo, la cosa non lo disturba più di tanto.
*

- Come hai convinto tua madre a farmi venire qui oggi?
- Non ho avuto bisogno di convincerla. Sai come ragiona lei. È molto aperta. E oggi era il compleanno di Nao, non avrebbe mai potuto impedire al padre di vedere il figlio.
- Mi stai dando un’immagine sentimentale di tua madre che non avrei mai sospettato.
Lei ride. Che risata tetra. Lo disturba, lo disturba moltissimo. Più di tutto il resto. Anzi, è l’unica cosa che lo disturbi veramente: averle fottuto tutte le sue belle risate.
- Tre anni. – dice, e la sua voce è pesante, - Nao si sta facendo grande.
Per lui, “tre anni” vuol dire solo “sono due anni che non mi risvegliò più con te al mio fianco”. Sa che è un pensiero orribile. Non può farci nulla.
Sana gli si avvicina e gli sorride.
- Ti accompagno a casa.
- Ho la macchina.
- Meglio, così dopo mi puoi riportare qui.
La guarda a lungo.
- Non sai quanto sei cambiata.
- Invece lo so perfettamente.
Arrivano all’appartamento, e quando varcano la soglia lei storce il naso.
- Che puzza, Akito! Dalla una lavata, ogni tanto!
- Non ho tempo per queste cose. – conclude spingendola verso il divano a facendola sdraiare.
Sarà la milionesima volta che succede una cosa simile, da quando lei è andata via di casa. Ne hanno già parlato spesso, sa che è solo una scopata, una fra le loro mille scopate, non la prima e di certo non l’ultima; sa che non avrà la benché minima conseguenza, Sana è stata sempre molto chiara con lui; sa che il fatto finiscano sempre così, e così spesso, dipende solo dal fatto che, semplicemente, non possono stare lontani l’uno dall’altra; la qual cosa, chiaramente, non lo disturba affatto.
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