Fandom: RP: Musica
Personaggi: ,
Storia appartenente alla serie Jung Und Nicht Mehr Jugendfrei, prequel di Eine Kugel Reicht.
Genere: Introspettivo.
Pairing: Bushido/Fler (accennato).
Rating: R
AVVERTIMENTI: Language.
- "Sollevo gli occhi nei suoi. Non lo so, se è tutto chiaro. Potrei rivederlo?"
Commento dell'autrice: In realtà inizialmente questa shot non doveva neanche esistere XD L’ispirazione per scrivere è arrivata quando mi è capitato sotto gli occhi il commento in cui Fedy diceva che le sarebbe piaciuto vedere il momento in cui Anis aveva insegnato a Patrick come sparare. [AVVISO PUBBLICO] Questo, a riprova del fatto che, anche se a rispondere mi pesa il culo, i vostri commenti li leggo ancora con piacere ed amore XD Perciò cercate di perdonarmi e, se volete, fatevi sentire ancora <3 [/AVVISO PUBBLICO] Comunque! XD Fedy ha chiesto ed io ho praticamente eseguito, tutto qua. Poi i due deficienti mi sono sfuggiti di mano, hanno fatto cose, detto robe ed alla fine ciò che emerge con più prepotenza da questa shot è che il german rap, nell’universo della Saga, è minato alla base dal suo signore e padrone e dal di lui collega. Essendo entrambi gai fino al midollo, la situazione attuale di SE non sembra più tanto incomprensibile, suppongo. XD
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
Shot Through The Heart
#11 Cinnamon Apple Spice


- Allora, - mi fa, con la sicurezza di un generale o chissà che altro è convinto di essere in quella testa di tunisino del ghetto, - qui si mangia non più tardi dell’una, perché la Mama deve prendere la pillola per il cuore, chiaro, ragazzino? – io annuisco lentamente, guardandolo fisso, e penso che quest’uomo ha una Heckler in mano, che io reggo fra le dita la mia Smith & Wesson e concludo che è surreale che, di fronte al plotone di bottiglie vuote che mi ha sistemato davanti al muro del cortile sul retro di casa sua, quest’uomo mi parli della pillola per il cuore di sua madre, presentandomela pure come il motivo per il quale dobbiamo darci una mossa. – Ottimo. – riprende quindi, scostandosi per lasciarmi osservare bene la fila di bottiglie, - Quelli sono i tuoi bersagli. Ora-
- Aspetta, aspetta… - mi passo una mano sulla fronte, confuso, - Senti, chiariamo che io non l’ho mai tenuta una pistola in mano, okay?
Lui inarca un sopracciglio ed indica la Smith & Wesson con un cenno del capo.
- Sì, va be’, a parte il tenerla in mano e basta. – preciso scrollando le spalle e sollevando la mano che regge l’arma, come a fargli vedere quanto male la sto tenendo, - Non c’ho mai sparato. Cioè, non so nemmeno da dove cominciare. E poi è scarica.
Anis rotea gli occhi e me la tira via di mano, dopo aver infilato con disinvoltura la Heckler in tasca. La tocca un po’ qui e un po’ lì – non riesco nemmeno a seguire con sicurezza i suoi movimenti – se la rigira fra le mani ed il tamburo rotola fuori dal corpo centrale, pieno di proiettili. Lui mi guarda ancora, ed inarca un altro sopracciglio.
- …io non l’ho caricata. – mi giustifico, guardando altrove.
- Sì, infatti l’ho caricata io. – precisa lui, - Prima di regalartela. Ma non l’hai nemmeno guardata bene?
Fisso gli occhi su un angolo del giardino. Proprio a ridosso del muro, s’è accumulato un mucchietto di foglie ingiallite ormai secche. C’è qualche formica che fa la spola da un lato all’altro del giardino, un piccolo plotone che si muove alla ricerca di una preda, magari sotto le foglie hanno messo su un formicaio.
Come faccio a dire ad Anis che il giorno del mio compleanno sono tornato a casa, ho posato la pistola nel cassetto e non l’ho più toccata? Anche nei giorni successivi, quando l’ho guardata, non ho osato allungare le mani e non l’ho nemmeno sfiorata. Una pistola, per quanto bella, resta una pistola. È una cosa che può uccidere degli esseri umani. Quando l’ho riposta nel comodino, quella sera, ho sentito un brivido scorrermi lungo la schiena ed ho capito che era paura. È per paura che non l’ho toccata. Quindi non lo sapevo che Anis ci aveva messo i proiettili dentro. E forse, se l’avessi saputo, non solo non l’avrei più toccata, ma non l’avrei nemmeno più guardata.
Anis non mi dice niente, ma lo vedo che si è offeso. Guarda la pistola, richiude il tamburo, la sistema con tutta la calma e l’attenzione del mondo e, ovviamente, tiene il muso. Io sospiro. Voglio dire, non è che volevo offenderlo. Lo so che me l’ha regalata lui e gli è costata un sacco e si aspettava, non lo so, che strillassi di gioia e pretendessi di usarla immediatamente, perché lui un po’ è così con le cose che lo esaltano. Tipo, io l’ho visto anche con me. Da quando mi ha conosciuto, ha sempre preteso la mia attenzione completa e totale, ed anche quando cerca di controllarmi – e quindi sta sempre buttato a casa mia, mi segue ovunque eccetera – io lo so che non è solo una questione di controllo, è soprattutto l’essere preso dal momento che lo spinge a comportarsi così. Si aspettava che fosse lo stesso per me e la Smith & Wesson, ma non ha messo in conto la possibilità che io potessi funzionare diversamente. Io sono già innamorato di questa signorina, però faccio fatica a dirlo ad alta voce. Deve darmi un po’ di tempo.
- Quindi… - biascico, un po’ a disagio, - cos’è che devo fare esattamente?
- Per quello che ti frega, - sbotta lui, puntando la pistola contro una bottiglia a caso, il braccio teso e gli occhi bene aperti, - potevo anche darti un libretto d’istruzioni e lasciarti imparare da solo, invece di prepararti tutto qui dietro casa mia invitandoti pure a pranzo. Magari avresti preferito.
Roteo gli occhi, andandogli vicino e guardando la direzione verso la quale punta la pistola, per cercare di capire che bottiglia sia nel mirino.
- Non è vero. – commento, - Solo che non mi aspettavo… è stata una cosa improvvisa. È quella azzurra?
- Sì. – risponde sbrigativamente lui, - E non parlarne così, non ti ho chiesto di sposarmi. È una pistola, è bella, è un regalo importante ed è importante che a fartelo sia stato io, ma al di là di quello che vuol dire fra noi è una cosa che ti servirà. Quindi prendila sul serio.
- La sto prendendo sul serio. – gli faccio notare, aggrottando le sopracciglia, - Anche troppo.
- Non esiste troppo. – scrolla le spalle lui. Ed è un attimo. Poi succede qualcosa – che io nemmeno capisco – e l’attimo dopo la bottiglia azzurra è in frantumi. Mi accorgo dello sparo solo quando ne sento risuonare l’eco nel cortile e giù in strada, e resto lì accanto a lui, le labbra dischiuse e gli occhi spalancati, a fissarlo come se non l’avessi mai visto prima. E in effetti un po’ è così. Non l’avevo mica mai visto sparare. L’indice che preme il grilletto, la sua pelle che diventa più chiara a causa della pressione e poi torna subito del suo colore quando molla la presa, i tendini delle sue dita che si contraggono e poi rilasciano la tensione, la spalla che scatta appena per attutire il rinculo dello sparo. Sono tutti particolari che noto e ricostruisco dopo, quando l’eco si assopisce e l’unica traccia di ciò che è successo sono i cocci di vetro e il proiettile conficcato fra un mattone e l’altro nel muro.
- Dunque. – dice a bassa voce, abbassando l’arma, - Questo è in sostanza tutto quello che c’è da fare. Sollevi il braccio, - mi mostra, tornando a puntare un’altra bottiglia, - carichi, - e pressa il pollice contro il cane, tirandolo verso il basso con un click, - miri, - i suoi occhi concentratissimi sull’obiettivo brillano quasi, - bang. – e parte un altro colpo. Stavolta, ad andare in frantumi è una bottiglia di un verde anonimo, e il proiettile si pianta per terra, nel cemento armato. Dalla pistola cade una cartuccia vuota, al primo sparo non l’avevo notata cadere. La maglietta strettissima che Anis indossa tira sui suoi addominali tesi ed io distolgo lo sguardo. – È tutto chiaro?
Sollevo gli occhi nei suoi. Non lo so, se è tutto chiaro. Potrei rivederlo?
- Sì… penso di sì. – annuisco confusamente, tendendo la mano. – Posso provare, se vuoi.
- Sì, - ride appena lui, - siamo qui per questo. – e mi consegna la pistola. La lascio lì, sul palmo, e la guardo un po’ da ogni lato prima di stringerla fra le dita cercando di imitare la presa salda di Anis, puntandola contro una bottiglia a caso, lì di fronte al muro.
- Tienila stretta. – dice Anis, scivolando dietro di me ed allungando un braccio a coprire il mio, teso, per tutta la sua lunghezza, poggiando la mano sulla mia e guidando le mie dita perché aderiscano bene all’impugnatura, - E non ti distrarre. Quando spari… - mi parla direttamente all’orecchio, sfiorandomi il lobo con le labbra ogni volta che le muove, - stai facendo qualcosa di molto grande, ragazzino. È una cosa che devi assaporare, perché stringi fra le dita la vita intera di un uomo. Tutto quello che ha, tutto quello che sa, tutto quello che ama, per un secondo è tuo, perché sei tu a deciderne il futuro.
Io annuisco piano, deglutendo, e quando mi muovo a disagio, spostando il peso da un piede all’altro, sento Anis che mi si pressa contro con più forza e trattengo il fiato perché non riesco ad ammettere neanche con me stesso cosa sto sentendo. Da parte sua nei miei confronti o da parte mia nei suoi.
- Sono… solo bottiglie. – ironizzo, cercando di alleggerire la tensione. Anis ride – mi ride addosso – e io tremo.
- Adesso sì. Ma oggi o domani potrebbe essere una persona. Quindi non pensarle come fossero bottiglie. Pensale come se fossero già esseri umani. – sospira e mi indica una bottiglia trasparente con un cenno del capo. – Quello è un figlio di puttana. Fa entrare di nascosto senegalesi e namibiane in Germania, ma poi le costringe a prostituirsi per strada. E coi soldi ricavati compra cocaina che poi rivende alle feste dei ragazzini ricchi. Lui è pulito, ma chissà quanti ne sono morti a causa della sua merda. Forse più di quanti ne siano morti a causa della nostra.
La mia mano si stringe attorno al manico con più forza, ed io aggrotto le sopracciglia. Anis sorride.
- Però ha una moglie che ama, - continua, - e un figlio per cui farebbe di tutto. Riesci a vederlo mentre lo porta al parco, la domenica? Riesci a vederlo spingere il passeggino sul ponte, fra i viali, mentre sua moglie gli cammina al fianco, stringendolo al braccio?
Mollo la presa e le dita di Anis si serrano sulle mie, rinsaldandola.
- Sai tutte queste cose – sussurra – e devi sparare comunque.
Deglutisco ancora, lasciandomi un po’ andare contro di lui. Cazzo, Anis, non mi stai rendendo le cose facili per nulla.
- Dritto. – mi rimprovera lui, e per costringermi a rimettermi composto mi tira una spinta col bacino che è proprio l’ultima cosa che dovrebbe fare in questo momento. Trattengo il fiato nella gola ed obbedisco, comunque, tornando a stringere per bene la pistola. – Allora. Quel bastardo lì, - e indica ancora la bottiglia trasparente, - tu devi farlo fuori. E devi farlo fuori perché te lo sto chiedendo io. Nessun altro motivo, non lo odi, non ti ha fatto niente, magari potrebbe anche esserti amico in futuro. Ma io ti sto chiedendo di ammazzarlo. Quindi tu ora devi ammazzarlo.
- …solo perché me lo chiedi tu? – biascico, e mi rendo conto di essere del tutto senza voce. Ma non è che non ci sia, è che non riesce a uscire.
- Solo perché te lo chiedo io. – annuisce lui. – Occhi aperti, devi vederlo bene l’uomo che uccidi. Guardalo negli occhi e lascia che ti guardi lui. Sei in assoluto la persona più importante della sua vita. Sua moglie, i suoi figli, sua madre, non sono niente. Tu sei il suo Dio, perciò lascia che ti guardi bene e guardalo bene anche tu. E poi – la sua voce è solo un sussurro sulla mia pelle. Io sto guardando la bottiglia e sto vedendo un uomo senza volto. L’uomo che devo uccidere. Perché me l’ha chiesto lui. Lui che non vedo ma sento addosso. Ovunque. Ovunque, Dio, è ovunque. – E poi spara, ragazzino.
Le sue dita si chiudono sulle mie, io presso il grilletto, il proiettile parte e va a conficcarsi sulla parete. La bottiglia non la prende nemmeno di striscio, ovviamente. In compenso, i miei polmoni sono esplosi il mio cuore è in due. Non mi è mai successo di sentirmi così. Non saprei nemmeno dire esattamente cosa sia successo, ma so per certo che quando la sua mano s’è stretta attorno alla mia, quando me lo sono sentito tutto addosso, qualcosa s’è conficcato nel mio cuore, proprio nel centro, e sono state le sue dita a spingerlo in fondo, e quello ora è lì, come una specie di enorme spilla da balia, e non si muove. Mi fa male anche respirare. Perciò immagino che i miei polmoni siano esplosi. E che il mio cuore sia in due.
- Mancata. – sorride Anis, così vicino che quasi sento la pressione del suo sorriso sulla mia stessa faccia. – Dovremo riprovare.
- Troppo… - annaspo, perché questa situazione è insostenibile e mi fa male il petto, - Sei troppo vicino.
Lui si scosta appena, ma non si allontana veramente, e mi guarda incuriosito.
- Troppo vicino? – chiede a bassa voce. Sembra non capisca davvero. Io so di essere arrossito e so anche che quello che sto per dirgli è anche più palese di quello che di solito mi azzardo a dire a me stesso, ma non posso proprio evitarlo, perché se gli permetto di restare lì dov’è ancora per un solo secondo esploderò.
- Sei troppo vicino. – ripeto quindi, la sua mano è ancora stretta sulla mia ed i miei occhi sono ancora fissi sulla bottiglia intatta, - Mi dai i brividi. Mi confondi. Allontanati, per favore.
Sono stato talmente chiaro che non posso pensare, davvero, non posso credere che non abbia capito cosa sto cercando di dirgli. Quindi, quando stringe la presa sulla mia mano, quando solleva un braccio e mi allaccia alla vita, quando la sua mano scivola casualmente contro il mio fianco e quando mi tira contro di sé, e cazzo, quando sento che oltre il tessuto ruvido e spesso dei jeans è duro come pensavo non l’avrei mai sentito, so che anche lui sta cercando di dirmi qualcosa. Solo che lui non riesce ad essere esplicito come lo sono io, non riesce o non vuole, e probabilmente è meglio così, perché io già non capisco più niente e se solo lui si azzarda a darmi un cazzo di via libera, anche se non so nemmeno per cosa, io la follia la faccio. Lo so che la faccio. Perciò, Anis, spostati. Per favore.
E lui si allontana, come mi sentisse parlare. Scioglie la stretta attorno ai miei fianchi e si allontana, lasciandomi andare anche la mano.
- Non farci caso. – mi dice. Penso che una persona normale, al posto suo, si sarebbe come minimo scusata. Lui non lo fa, però. E questo vuol dire che non è dispiaciuto affatto. E che io uscirò pazzo molto presto.
Annuisco confusamente e deglutisco, stringendo la pistola con entrambe le mani e puntando nuovamente la bottiglia.
- Okay. – riprende lui, e si volta a guardarmi, ma stavolta non mi tocca. – Capito tutto, quindi? Miri, premi, attento al rinculo, la spalla non tenerla troppo rigida, o ti farai male.
Io annuisco, ma sono teso per i cazzi miei e non è facile rilassarmi, in queste condizioni.
- Più morbido il braccio, Pat. – si allunga appena a toccarmi la spalla e, quando mi sente rabbrividire sotto i polpastrelli, aggrotta le sopracciglia e piega le labbra in una smorfia irritata. – Piantala. – mi rimprovera. – Sii uomo. Riprenditi. – e sappiamo entrambi da cosa devo riprendermi, però solo io so che non è semplice come lui cerca di darmi a intendere. Stronzo.
Mi arrabbio, perché a volte ho come l’impressione che lo faccia apposta ad ignorare quello che mi passa per la testa. Che non lo capisca non è nemmeno un’opzione, quello è ovunque, è soprattutto nel mio cervello, e lo sa perfettamente. Mi sono rassegnato da tempo all’idea. Perciò niente, lui lo sa che cosa sta succedendo, lo sa perché non riesco a rilassarmi, e se ne sta deliberatamente sbattendo i coglioni. Perché poi s’incazza quando le cose non girano nel verso che lui aveva stabilito, ed evidentemente che il mio verso casualmente giri verso il suo è proprio una cosa inaccettabile, quindi eccolo che dà di matto e mi guarda come se gli stessi facendo chissà che torto, ma sai cosa, Anis, sai cosa?, sei tu che mi fai torto, e fai torto a te stesso. E vaffanculo.
Sparo, la bottiglia va in frantumi, il proiettile si conficca nel muro assieme a tutti gli altri ed io, vaffanculo pure a me, finisco seduto per terra.
Siccome non me lo aspettavo – nel senso che, cazzo, il rinculo è forte davvero – rimango lì, con le gambe stese sul cemento sporco di questo fottuto cortile e gli occhi fissi sulla bottiglia in frantumi, e devo avere un’espressione veramente del cazzo. Ma veramente. Sposto lentissimo lo sguardo dalla bottiglia ad Anis e lo trovo che mi guarda con aria allucinata, le labbra dischiuse, tipo come se fossi diventato, non lo so, fucsia fosforescente sotto i suoi occhi, da un momento all’altro. Boh.
E l’attimo dopo eccolo che si piega in due e ride come un cretino, pressandosi una mano sulla pancia, e la sua risata è così forte che riecheggia più degli spari, nel cortile, fra le case, giù in strada e nella mia testa.
- Ma vaffanculo… - borbotto cambiando di nuovo colore e rimettendomi in piedi, - Oh, stronzo, piantala di ridere! – mi lamento, spintonandolo malamente contro una spalla. Lui, ovviamente, se ne frega e continua a ridere, anche quando io la pianto di spintonarlo, che tanto non serve, e mi spolvero i jeans, recuperando la Smith & Wesson da terra ed infilandomela in tasca.
- Hai deciso che per oggi basta? – mi prende in giro asciugandosi una lacrima di divertimento dall’angolo di un occhio, mentre cerca di porre un freno alle dannate risate. Io incrocio le braccia sul petto e guardo altrove.
- Sì. – ringhio, - Mi sono rotto le palle. Domani se ne parla.
Lui si calma ed annuisce, e quando si rimette dritto solleva un braccio e sbircia l’orario sull’orologio da polso che indossa, e che è enorme e pesantissimo, e gli scivola lungo il polso magro fino ad impigliarsi nel punto in cui l’avambraccio si ingrossa appena.
- Perfettamente in tempo per il pranzo. – si compiace, - Corri in casa, la Mama ti ha preparato qualcosa con delle mele e del pepe, io non ho idea di cosa sia ma lei dice che è buono, perciò lo sarà. – mi annuncia, indicandomi con un cenno del capo la porta di casa che dà sul cortile. Io lo guardo interrogativo, inclinando appena il capo.
- Tu non vieni? – chiedo, scrutandolo curiosamente.
Lui si inumidisce le labbra.
- Ho una cosa da fare in un posto, prima. – butta lì, misterioso. E va via prima di me.
La Mama mi ha preparato l’arista di maiale alle mele. È dolce ed è piccante, ed è un sapore che mi piace un sacco. Anis però non so dov’è, in questo momento. E questo mi piace un sacco di meno.
back to poly

Vuoi commentare? »

your_ip_is_blacklisted_by sbl.spamhaus.org