Fandom: Originali
Genere: Romantico, Erotico, Introspettivo.
Rating: NC-17.
AVVISI: Angst, Incest, Het, Slash (accennato), Femslash.
- Pezzettini sparsi della vita di Manila prima e dopo gli eventi del COW-T #5.
Note: Quest'anno è tornato il Sillabario di Mari di Challenge! Un'iniziativa di qualche anno fa, che avevo amato molto durante la sua prima edizione e che ho continuato ad amare finché Def non ha deciso di farla rispuntare come un simpatico fungo. Quest'anno, mi sono detta, voglio scrivere mille sillabari diversi, ed uno voleva essere su Manila, la Veggente protagonista delle intro del COW-T. Il secondo turno della Fandom League mi è venuto in aiuto col suo prompt, "partita", che nella sua agghiacciante bruttezza indica comunque anche il participio passato femminile del verbo partire, e-- come dire. Non esiste una parola migliore, per definire Manila. Fra tutte quelle che ho usato in questo sillabario, "partita" resta la più appropriata XD
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SHE BURNS LIKE THE SUN, AND I CAN’T LOOK AWAY

(α)вιℓєиє

Lo vede per la prima volta nel cortile del Palazzo di Cristallo. I suoi genitori non ci sono, probabilmente sono a colloquio con la Veggente, la sua bella mamma avvolta in veli impalpabili, la fronte cinta di fiori di campo. Manila ha quattro anni e non sa esattamente cosa faccia la mamma quando le porte della Sala delle Udienze si chiudono e resta sola con chi è venuto a cercare il suo consiglio. Non lo sa e in questo momento non le importa nemmeno. Abilene è tanto più interessante, così piccolo e gracile, seduto sul bordo di pietra di una grande fontana spenta.
Ha capelli lunghissimi, molto più biondi dei suoi, raccolti in alto sopra la testa. Ne sfugge solo una ciocca sottile che scivola in un'onda morbida lungo il suo collo e poi si appoggia sulla sua spalla. Il vento ne fa ondeggiare appena la punta arricciata.
E' così carino. Ma ha un'aria così triste.
- Ciao. - gli dice. Sembra più piccolo di lei. Quando le solleva gli occhi addosso Manila vede che sono chiari come i suoi, ma più profondi.
Ha labbra bellissime, più belle delle sue, arricciate in un broncio insoddisfatto.
- Ciao. - risponde.
Ha una voce così dolce.
- Sei triste? - gli chiede Manila, piegando appena il capo.
Per un istante, ad Abilene brillano gli occhi.
- Non me l'ha mai chiesto nessuno. - dice.
Manila sbatte lentamente le lunghe ciglia.
- E quindi? - insiste, - Non hai una risposta?
Abilene scuote silenziosamente il capo.
Manila sospira, le mani sui fianchi nell'atteggiamento perplesso che prende in prestito da suo fratello maggiore.
- Ti va di giocare con me? - prova.
Il volto di Abilene si illumina tutto insieme, mentre sulle sue labbra si apre un sorriso.
Annuisce. Una risposta che può dare.

(в)α¢ισ

E' di Abilene il suo primo bacio. Potrebbe essere di chiunque, ma forse Manila ha già deciso dieci anni fa che sarebbe stato suo, che doveva essere suo, per quella tristezza così profonda nei suoi occhi, per le parole che non riesce a pronunciare, per i capelli che continua a portare lunghissimi e legati alti sulla testa, per i vestiti ogni giorno più colorati, ogni giorno più leggeri, ogni giorno dal taglio più femminile.
Metacomet splende di una bellezza giovane e ribelle, Cyprian la colpisce con la sua forza straripante, Vesper ha il fascino oscuro e misterioso di chi sorride solo agli angoli della bocca, ma Abilene, con i suoi lineamenti delicati, con le sue labbra color pesca, con la grazia che gli addolcisce i tratti del viso anche quando è nervoso e a disagio, è Abilene il suo primo amore -- be', il primo dopo il Primo, ed è a lui che Manila decide di donare le proprie labbra.
E' un pomeriggio uguale a tanti altri, uguale a tutti quelli che l'hanno preceduto, probabilmente uguale a tutti quelli che lo seguiranno. Sdraiati sul letto in camera sua, Manila ed Abilene si stringono e basta. Ogni tanto, le mani di Abilene le scivolano addosso, accarezzandole i fianchi, assaggiandone la curva in punta di dita.
- Sei così bella. - dice Abilene, la sua voce gronda dolore nonostante cerchi di non darlo a vedere.
Manila si volta verso di lui. Gli accarezza una guancia, chiude gli occhi e gli sfiora le labbra con un bacio. Abilene si lascia sfuggire un sospiro tremulo e ricambia il bacio, che si fa scivoloso, caldo e bagnato.
Quando finisce, si guardano negli occhi per qualche istante. Quelli di Abilene sono pieni di lacrime.
- Non devi dirmelo per forza. - dice Manila.
Abilene annuisce, grata.

(¢)уρяιαи

Cyprian la spinge contro una parete, premendosi tutto contro di lei. Manila può sentire la sua erezione addosso, e la sola idea le fa mancare il fiato.
- Come devo fare con te? - le sussurra Cyprian sulle labbra, baciandola affamato, - Lo fai apposta.
- Non faccio niente. - ribatte Manila, ma parla in un ruggito trattenuto a stento, a voce bassissima, agitando i fianchi contro i suoi, invitandolo ad avvicinarsi ancora.
Cyprian piega le labbra in un sorriso divertito.
- Ti ho capita, sai? - dice. Le sue mani la sfiorano con tutta la dolcezza di cui non c'è traccia nei suoi baci. - Non credere che non lo sappia. Mi hai preso in trappola. Con quegli occhi da cerbiatta e quelle labbra di zucchero. Ti farai rincorrere per sempre, ogni tanto ti lascerai prendere, ma non potrò mai catturarti.
Manila gli stringe le braccia attorno al collo, sciogliendosi in un gemito quando sente le sue dita affondarle fra le gambe, scostando il tessuto umido delle mutandine.
- Se lo sai, - ansima, schiudendosi per lui, - Perché me lo lasci fare?
- Mia piccolissima, - dice lui teneramente, - Non ho scelta.
Manila chiude gli occhi, gettando indietro il capo mentre lui la masturba svelto. Si lascia andare alla sensazione travolgente, se ne lascia sommergere come fosse un'onda, come lei fosse sabbia. Sente il proprio corpo farsi granelli minuscoli, disperdersi fra i flutti.
"Non ho scelta," ripete la voce di Cyprian nella sua testa. Sarà poi vero?, si chiede lei. Pensa a suo fratello. Alla tensione dolorosa nel bassoventre quando lo guarda. Pensa al viso dolcissimo di Abilene e a quanto è cambiato negli anni, e a tutto il dolore che i suoi sorrisi ancora nascondono.
Nessuno di loro ha davvero una scelta. E' un pensiero spaventoso.

(∂)ιѕρєттσ

Lacros chiude la porta e Manila deglutisce a fatica, fissandolo dal letto. La sua espressione è indecifrabile. Potrebbe essere arrabbiato, o solo infastidito, o niente di tutto questo. E' impossibile capire cosa provi Lacros -- non quando non è lui stesso a renderlo esplicito, e d'altronde non lo fa quasi mai, specialmente non con lei.
- Dunque, chi è? - chiede. C'è una vibrazione stonata nella sua voce usualmente così calma ed ora invece carica di irritazione. Qualcosa si gonfia nel petto di Manila. Si gonfia e si gonfia, sbocciando come un fiore. Una sensazione di trionfo del tutto fuori luogo, priva di basi, di reali motivazioni. Eppure è lì, le tende i sensi, la rende perspicace. Capisce immediatamente di cosa suo fratello sta parlando, e arriccia le labbra in un sorriso divertito.
- Chissà, - risponde, stringendosi nelle spalle, - Forse Abilene. Forse Cyprian. Sono quelli con cui mi hai vista più spesso, no?
- Ti ho vista spesso anche col giovane dell'Incanto, e con Vesper del Crepuscolo. - insiste lui. La sua voce così profonda e dura crea un contrasto delizioso con i lineamenti così sereni del suo volto. Manila vorrebbe alzarsi in piedi, raggiungerlo dove si trova, a quattro passi dal letto, e mettergli le mani addosso. Solo per vedere se può riuscirci. A fargli cambiare espressione.
- Cosa t'importa? - gli domanda con un sorrisetto, - Sai che non ho intenzioni serie con nessuno di loro, no?
Per un istante, Lacros stringe i pugni lungo i fianchi, e Manila trema, chiedendosi se questo sarà abbastanza, se questo lo costringerà a muoversi, ad avvicinarsi, a fare qualcosa.
Invece tutto sfuma in un secondo, quando Lacros abbassa lo sguardo e, chiudendo gli occhi, sospira stancamente.
- Lo fai apposta, Manila? - domanda pacato.
La risposta, naturalmente, è sì.

(є)тєяиαмєитє ιи fυgα

Scappa perché ha raggiunto il punto di non ritorno, perché non ne può più. Scappa perché sente il vento soffiarle alle spalle, perché lo sente sospingerla verso orizzonti nuovi, differenti, perché le stanze del Palazzo di Cristallo sono diventate troppo strette, e quelle degli appartamenti di Lacros troppo dolorose per lei. Scappa perché è il momento, semplicemente, perché è nella sua natura, perché è così per tutte le veggenti o future tali, perché all'improvviso sa che è ciò che vuole, perché la protezione dei suoi genitori non è più abbastanza, anzi, se ne sente soffocata. Scappa perché si vuole in pericolo. Si vuole a rischio. Perché vuole crescere e non potrà mai farlo finché resta intrappolata nell'abbraccio a maglie strette dei suoi familiari.
La prima landa è fumosa e primitiva, le entità che la circondano sono come prive di visi, sbuffi di fumo, armate infinite di uomini senza volto. Angeli, cavalieri, maghi, vampiri, non sono che nomi, nomi senz'anima, ma la musica cambia quando arriva in Città. La Città con le sue bande rivali e i fiumi di sangue che scorrono per le strade. La Città è Antonio, la Città sono Dimitri e Miguel, la Città è bellissima, dalla Città fugge non appena può.
Approda sulle sponde di un paese diverso, un paese pacifico. Porta lei il sangue, la guerra, porta anche il divertimento. E' un gioco crudele, ma è il suo gioco, e si fa alle sue regole. Regole che stabilisce giorno dopo giorno perché non le piace sentirsi imbrigliata, anche quando è lei stessa a scegliere la qualità della corda.
Comincia subito a pensare che fuggirà presto anche da lì. Che quello non è il suo posto, può solo adattarsi alla forma del contenitore, come l'acqua, ma presto strariperà. Goccia dopo goccia, certamente strariperà.
E poi. All'improvviso. Fermat.

(f)єямαт

Ha spalle larghe e possenti, forti braccia lasciate scoperte dalla casacca dagli orli un po' sdruciti, e capelli ribelli che piovono ai lati del suo viso, incorniciandone gli zigomi alti, la mascella squadrata e gli occhi piccoli ma espressivi, dalla forma lievemente allungata.
La guarda con occhi da cacciatore, occhi famelici. Istintivamente, Manila si stringe nelle spalle, indietreggia di un passo, cerca di proteggersi stringendosi in un abbraccio che si scioglie subito, però, quando nota la somiglianza fra l'uomo che la scruta e suo fratello Lacros.
Trattiene il respiro, smettendo di arretrare. Rilassa le braccia, solleva lo sguardo. Lo fissa negli occhi verdi dello sconosciuto e aspetta che sia lui ad avvicinarsi. Lui lo fa, come lo fanno tutti, lo fa perché, per qualche motivo, lo fanno tutti. A Manila sembra di sentire ancora la voce di Cyprian in un'eco indistinta, un sussurro nel vento. "Mia piccolissima, non ho scelta." Non ne ha una Manila, appena depositata su questa montagna aspra e nuda dal vortice del tempo e dello spazio che si agita turbinando nel minuscolo ciondolo che porta al collo, e non ne ha una nemmeno lo sconosciuto, che si ferma a un passo da lei, deglutisce e continua a guardarla.
- Chi sei? - le domanda in una lingua sconosciuta che comunque, come sempre, Manila comprende senza difficoltà.
- Chi sei tu? - ribatte lei. Lo sconosciuto risponde.
- Fermat. - dice in un soffio, - Mi chiamo Fermat. - Poi si interrompe. I muscoli delle sue braccia sono tesi, e Manila sa che vorrebbe sollevarne una, sfiorarle una guancia con le dita. L'unico motivo per cui non lo fa è che la conosce ancora da troppo poco. Non abbastanza per lasciarsela scappare, però. - Vieni con me, - dice, - Al mio villaggio.
Sorridendo, Manila lo segue.

(g)ισ¢σ

Di fronte ai capovillaggio riuniti in conclave, Manila spiega le regole del suo gioco. Le spiega distrattamente, senza badare ai dettagli, e quelli piovono fuori dalle sue labbra con la naturalezza forzata dall'abitudine. E' già la terza volta che dirige le danze, e non c'è niente di diverso ad attenderla in questo mondo, niente -- niente a parte il battito del cuore che accelera, e la temperatura corporea che si alza, ed una tensione dolorosa che le stringe lo stomaco ogni volta che i suoi occhi si posano sulla figura di Fermat, ogni volta che lo sfiora anche solo con un pensiero, un'idea.
Il tempo la aiuta a vedere le differenze con Lacros, a rimettere le cose in prospettiva. A ricordare che suo fratello ha occhi più chiari e più grandi, capelli più corti e più biondi, che è, forse, appena un po' più giovane di quest'uomo, che non possiede la sua calma innata, e curiosamente nemmeno la sua passionalità esplosiva.
Manila si lascia proteggere da quelle differenze minuscole. Ne fa uno schermo, lo schermo dietro cui si difende. No, non lo voglio solo perché gli assomiglia tanto. No, no, lo voglio proprio per tutto ciò che c'è di diverso in lui. Ciò che li distingue.
Ma la notte, quando Fermat la stringe, Manila chiude gli occhi e si lascia trasportare da braccia che non sono le sue, perdendosi in baci che non gli appartengono. E le si spezza il cuore, perché ne è innamorata. Di quest'uomo calmo e potente, di quest'uomo dalla pazienza incrollabile, di quest'uomo che la stringe con la forza di mille valanghe, di quest'uomo è innamorata per davvero, e non per quanto sia simile a Lacros, ma davvero per quanto da lui è diverso.
Lo ama perché è diverso.
Ma non è per questo che resta.

(н)σνєя¢яαfт

- Vieni con me, - dice Fermat. Come sempre, Manila è incapace di dirgli di no. Lo segue a bordo dell'hovercraft sul quale solcano le acque pacifiche e scure del Mare Interiore, approdando su un'isola a un centinaio di miglia dalla costa. Isola di Varvaree, la chiama Fermat. Vuol dire "tesoro nascosto", le spiega mentre la accompagna attraverso la popolosa città di Nuryev. - Sai perché? - le chiede. Lei scuote il capo e lui sorride, enigmatico. - Te lo farò vedere.
E' giorno di mercato a Nuryev, e le strade sono invase da bancarelle e uomini, donne e bambini in egual numero. Non c'è un centimetro di spazio libero, si cammina ammassati l'uno all'altro, avvolti nel profumo intenso delle spezie e delle primizie in vendita sui tradizionali ripiani di legno.
Fa caldo, ma a Manila non importa. I commercianti descrivono a gran voce le caratteristiche della loro merce, i bambini ridono giocando per le strade, gli uomini e le donne contrattano sui prezzi, la mano di Fermat è chiusa con fermezza e gentilezza attorno alla sua e Manila si concede di seguirlo, per una volta, senza correre e senza rincorrerlo, camminando al suo fianco, assorbendo le descrizioni del luogo e le spiegazioni che lui le fornisce ogni volta che qualcosa di curioso accade intorno a loro.
La giornata trascorre veloce e pacifica, e giunta la sera Fermat la accompagna nel sottosuolo, mostrandole la parte nascosta di Varvaree, le splendide sale scavate nella roccia e illuminate dalle più pregiate Vatral che le viscere delle montagne abbiano mai offerto al popolo Crest.
Seduti in riva a un laghetto artificiale, Fermat e Manila si abbracciano a lungo. Lui le regala un senwia, lei lo prende in giro, lo accusa di essere troppo melenso, di essersi attaccato troppo.
Dovrebbe accusare anche se stessa.

(ι)иѕαzιαвιℓє

Sulla riva del lago, Manila si lascia ricadere in grembo a Fermat. Chiude gli occhi e lo abbraccia, cingendogli le spalle con forza. Lui fa lo stesso, stringendole le braccia attorno alla vita e premendo il volto nell'incavo del suo collo, respirandole addosso. Il suo respiro caldo le accarezza la gola, dandole i brividi.
- Sei nervosa. - le dice. Non è una domanda. La disturba che abbia imparato a conoscerla così bene, nel corso degli ultimi mesi. Si pente di non essere stata più saggia, di essersi esposta troppo, di aver lasciato aperte per lui tutte le porte. Fermat si è insinuato in una crepa sul muro che credeva di avere innalzato attorno al suo cuore, e adesso, come un'infiltrazione d'acqua, sta sciogliendo le fondamenta della sua casa.
Manila non risponde. Si stringe a lui con forza maggiore, e poi si tira indietro, ma solo per baciarlo. Lo sente sorridere contro le sue labbra e quel sorriso la innervosisce, la costringe ad allontanarsi da lui per guardarlo negli occhi.
- Smettila. - gli dice, - Non ti ho mai dato il permesso di comportarti così.
- Così come, Manila?
- Con condiscendenza, - risponde lei, - Come se sapessi tutto di me.
Il sorriso di Fermat si allarga appena. Non dice che si comporta come se sapesse tutto di lei perché, anche se così non è, così sembra. Sarebbe superfluo, e Manila già lo sa. Si sporge a sfiorarle le labbra con un altro bacio, invece, mentre le lascia scivolare le mani sotto l'orlo della gonna, accarezzandole i fianchi.
- Manila, Manila, - sospira stancamente, - Quanto scappi. Scappi sempre.
- Sono sempre qui, invece. - ribatte lei, chiudendo gli occhi.
Le carezze di Fermat si fanno più audaci.
- Sì, - le sussurra, - Ma per quanto ancora?

(נ)υggєяиαυт

- Andrai via, - le dice, - Ma già lo so. Come potrei non saperlo? Amore mio, non faccio altro che guardarti. Non faccio altro che guardarti e aspettarti e seguirti ovunque. Certo che andrai via. E pensi che non lo sappia? E' tutto ciò a cui penso. Ogni volta che mi avvicino, che ti bacio, che ti sfioro. Ogni volta penso che potrebbe essere l'ultima, ma lo faccio lo stesso. Ho provato a fermarmi -- oh, tu non te ne sei mai accorta, delizia, gioia, amore mio, non lo sai, ma ho provato a resisterti, ho cercato di imparare a non tornare. Ma guardami. Non faccio che tornare indietro. E sai perché? Perché, amore, sei una forza inarrestabile. Sei la gravità. Sei la luna nel cielo al mattino. Sei il raggio verse un istante prima che il sole tramonti. Sei l'attimo di lucidità prima del dolore, sei il calore sulle dita prima della carezza. Sei il momento magico che capita una volta nella vita. Sei la risata che ti scoppia dentro quando ti metti a cavallo sulla striscia di terra in cui non piove se guardi a sinistra e viene giù il diluvio se guardi a destra. Sei il fenomeno straordinario che quando capita ti convince di essere stato l'unico a cui potrà mai capitare una cosa simile. Ma, - sorride più dolcemente, sfiorandole una guancia, - Sei già capitata a tante altre persone, Manila, vero? E come sei capitata a loro sei capitata a me, e capiterai a tanti altri dopo di me. Non importa. Lo capisco. Non sono egoista. Non ti ruberei mai a nessun altro. Puoi smetterla di guardarmi con quest'aria triste, amore mio, puoi smetterla di sentirti in colpa nei miei confronti. Quello che accadrà già lo so. L'ho già accettato.
Già. Ma io no.

(к)є∂νєѕєм

La lingua Crest è dolce, o forse è solo Fermat che trova sempre il modo di farla suonare tale. Hanno venti parole differenti per definire i rapporti d'amore, perché i loro uomini e le loro donne si uniscono in combinazioni sempre nuove e variabili, e sono un popolo preciso, loro, hanno bisogno di un glossario ampio abbastanza da abbracciarle tutte.
Nei momenti di calma, quando dividono il letto e Manila gli si drappeggia addosso e chiude gli occhi fingendo di dormire mentre cerca di ritrovare la via di casa seguendo il battito tranquillo del suo cuore, Fermat la chiama "Kedvesem". E' il primo amore travolgente, le ha spiegato accarezzandole i capelli. Quello che non dura mai.
"Da come parli, sembra quasi che tu mi voglia mandare via," gli ha detto Manila, aggrappandosi alle sue spalle come a uno scoglio in mezzo al mare in tempesta.
Fermat ha sorriso dolcemente. Ha sorriso tristemente. "Amore mio, non voglio affatto. Mi preparo e basta."
- E' servito? - gli chiede adesso, rifiutandosi di guardarlo (e comunque non lo vedrebbe, con gli occhi così pieni di lacrime), - Sei pronto?
Fermat le si avvicina. Le accarezza una guancia. Le sue dita tremano, e Manila riesce solo a stento a trattenere l'impulso di stringere la sua mano fra le proprie, baciarne le nocche, i polpastrelli, il palmo, implorarlo di fare qualcosa per tenerla ancorata al suolo, per impedirle di partire.
- No. - risponde sinceramente lui, sospirando affranto, - No. Speravo che sarebbe servito. Speravo che sarei stato pronto. Speravo che sarebbe stato facile lasciarti andare.
- E non lo è?
Manila solleva lo sguardo. Davvero, riesce a malapena a distinguere i contorni del suo viso.
Fermat si china su di lei.
- Vederti andare via mi devasta.
La bacia. Manila continua a piangere, silenziosamente.

(ℓ)æитσи

- Tuo fratello mi ha chiesto di farmi trovare qui.
Manila trema di rabbia per un solo istante, e poi, chiudendo gli occhi e ripensando a Fermat, cerca la pace che il suo ricordo le ha lasciato nel cuore. (Tanto doloroso è stato separarsi da lui, tanto dolce e confortante è diventata la sua memoria quando è riuscita a mettere un po' di distanza emotiva fra di loro. Va meglio, adesso. Il viaggio l'ha aiutata. Il vortice del tempo ci riesce sempre -- niente le schiarisce le idee allo stesso modo.)
Avrebbe dovuto aspettarselo, pensa. Non che realizzarlo renda la consapevolezza in alcun modo meno dolorosa. Ma può caricarsi di una parte della colpa, può ripetersi che avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto essere pronta.
(La voce di Fermat le ripete che prepararsi è l'ultima cosa da fare, quando si vuole essere pronti. Manila sceglie di ignorarlo. Non ha bisogno di una ramanzina, non adesso. Neanche dall'unica persona dalla quale sarebbe disposta ad accettarla.)
- Avrebbe potuto scomodarsi quantomeno a mandarmi i suoi saluti. - ribatte acida.
Lænton stira sulle labbra un sorriso nervoso, e Manila lo odia con un fuoco che la consuma dall'interno. Sa che lui non la odia affatto, anzi, ma il dettaglio non riesce a farla sentire in colpa.
- Li manda, infatti, - dice lui, - Ora vieni. Lascia che ti porti a palazzo.
Lei schiocca la lingua, infastidita.
- Non tornerò a casa, - dice, - Ripartirò comunque fra qualche giorno. Non voglio restare. Non voglio chiasso. Andrò da qualcun altro.
- Chi, mia piccolissima? - sospira paziente Lænton.
- Non sono affari tuoi.
Lui sorride ancora.
- Dovrò pur dire qualcosa a tuo fratello. - si giustifica blandamente.
Manila scrolla le spalle e riflette. Da Cyprian ed Abilene, Lacros la troverebbe subito.
Serve qualcun'altro.

(м)єтα¢σмєт

Metacomet la accoglie col solito sorriso spavaldo, la camicia semiaperta sul petto e i capelli biondi in una massa confusa sopra la testa.
- Sei in ritardo. - le dice.
Manila inarca un sopracciglio.
- Mi aspettavi? - domanda fredda. Invece di irritarsi o di sentirsi scoraggiato dalla sua alterigia, Metacomet scoppia a ridere.
- Sempre, mia piccolissima, - dice, avvolgendole le braccia attorno alla vita ed attirandola a sé, parlandole sulle labbra, - Sempre.
Vinta dalla sua sicurezza e dai suoi modi sempre così affettati eppure, allo stesso tempo, così spontanei, Manila piega le labbra in un sorriso arricciato agli angoli e si appoggia al suo petto con entrambe le mani.
- Sei ridicolo. - dice, anche se non può fare a meno di ricambiare i suoi baci, - Non potevi in alcun modo sapere che sarei arrivata oggi. O che sarei venuta qui.
- Non importa. - sorride ancora lui, sospingendola dentro casa, - Doveva succedere, prima o poi. Anche se fossi stato l'ultimo della lista--
- Non lo sei.
- Oh, - il suo sorriso si allarga, - Non hai ancora visto Vesper, dunque?
Manila sospira, stringendosi nelle spalle.
- Vesper è più complicata di voialtri tre scemi, - spiega, - Con voi si può scherzare. Lei è una cosa seria.
- Davvero? - domanda lui, - E perché?
Manila si ferma in mezzo al corridoio, voltandosi a guardarlo.
- Sono qui, - gli dice, - E tu vuoi metterti a parlare di Vesper?
Metacomet ride ancora, scuotendo il capo.
- Per niente. - risponde, - Ero solo curioso. Ma mi è passato subito.
Manila sorride soddisfatta, rilassandosi.
- Allora, - chiede, le mani sui fianchi, lanciando un'occhiata tutta intorno a sé, - Cosa fate da queste parti per divertirvi?
Metacomet sorride, e la prende per mano.

(и)σииα

Si assicura che Lacros sia in viaggio. Lo chiede a Lænton perché sa che lui non mentirà a riguardo -- non ne avrebbe motivo, d'altronde, né ne trarrebbe alcun vantaggio.
S'intrufola al Palazzo di Cristallo come una ladra, quasi se ne vergogna, quasi dimentica che, in fin dei conti, è casa sua. Tutti i suoi pensieri sono concentrati su Metacomet. "Fai presto," le ha detto, "So che sarà una cosa breve, questa fra noi. Non intendo perdermene un attimo."
(Funziona così, lei. L'amore è un incendio. Una fiamma che si innalza altissima e arde intensa per giorni, settimane o mesi, e poi si consuma, esaurendosi in un mucchio di polvere.
Ad eccezione di Lacros. La cui fiamma non si è mai spenta.)
Deve solo prendere un paio di cose. Ha nostalgia di alcuni gioielli, specialmente dell'anello che le ha lasciato sua nonna. Manila non l'ha conosciuta, ma ha raccolto il suo spirito dentro di sé quando la nonna è morta mentre lei veniva alla luce.
In camera sua, recupera l'anello e lo indossa. Poi resta ferma qualche istante, osservandone i riflessi aranciati nel bagliore infuocato del tramonto.
La mano di suo fratello si posa sulla sua spalla qualche istante dopo. Manila trasale, ma non si allontana. Trattiene il respiro per qualche secondo mentre sente il cuore esploderle nel petto e poi, altrettanto naturalmente, calmarsi, e poi sospira pesantemente.
- Quella megera di tuo marito mi ha mentito. - dice.
- Ti prego, - sospira Lacros, - Non chiamarlo così.
Manila si volta a guardarlo. Lacros è così vicino che può vedere ogni dettaglio del suo viso, leggere la tristezza nei suoi occhi.
- Mi sei mancata da impazzire, - dice Lacros, - Dio, Manila. Mi sei mancata da impazzire.
Manila si morde l'interno di una guancia, cercando di non piangere.

(σ)яgσgℓισ

Si abbandona fra le sue braccia, respirando profondamente, come fosse appena riemersa da millenni di apnea. Lacros profuma di casa e famiglia, profuma di cose dolcissime, della colazione con mamma e papà, della torta di bacche del deserto che spesso papà le preparava quando da piccola si sentiva triste, degli abbracci caldi e carichi di affetto in cui ogni tanto Lacros la avvolgeva quando era tutto più semplice e tutto questo desiderio non esisteva, non si era ancora incancrenito fino a diventare questa massa di dolore nero e lancinante che si allarga come una macchia sui loro volti ogni volta che sono insieme.
Manila stringe le dita attorno al tessuto morbido della maglia che Lacros indossa. Si aggrappa a lui e perde ogni capacità di ragionare lucidamente. Come ogni volta, quando lui la sfiora, lei smarrisce il senso del limite, si trasforma in un concentrato di voglia, non c'è niente, niente, dentro di lei, a parte la voglia, la fame che ha di lui, il senso di completezza assoluta che la investe quando pensa che se solo facessero quel passo minuscolo che ancora li separa dal traguardo allora sarebbe tutto perfetto, tutto esattamente come dev'essere.
Piega il capo verso l'alto. Si fa coraggio, e cerca le sue labbra.
Ma Lacros si tira indietro, allarmato, stringendole le mani attorno alle spalle e reggendola saldamente, solo per tenerla a distanza.
- No, - le dice, - Manila, te l'ho già detto. No.
Il dolore le esplode dentro affilato come la lama di un coltello. La attraversa tutta, squarciandola dall'interno. Sa che da fuori è impossibile vederlo e lo rimpiange. Vorrebbe potersi aprire. Mostrare a suo fratello il suo cuore lacerato dal rifiuto. Chiedergli se sia orgoglioso di se stesso, del male che le fa.
Non versa una lacrima, ma solo per orgoglio.

(ρ)αятєиzα

Prepara sbrigativamente una borsa, e non sa nemmeno perché lo sta facendo. Non ne avrebbe bisogno, preferisce viaggiare leggera, con nient'altro oltre i vestiti che indossa. Il nuovo mondo mi darà ciò che mi serve, è questa la sua prima regola. Non portare niente con sé, lasciarsi alle spalle tutto quello che possiede.
Pensando che così prima o poi dovrà comunque tornare.
Non vuole lasciarsi indietro niente, stavolta, vuole portare ogni cosa con sé. Tutto ciò a cui tiene, almeno. Riempie la borsa di vestiti, di braccialetti, di fermagli ed elastici e veli. Tutto quello che aveva portato a casa di Metacomet, tutto quello che Metacomet avrebbe provveduto a raccogliere in un pacchetto da far recapitare al Palazzo di Cristallo una volta che fosse partita, perché Lacros potesse mettere tutto a posto in camera sua, ad attendere il suo ritorno.
Non stavolta. Stavolta no.
- Manila, - la voce di Metacomet la coglie alla sprovvista, quasi la disturba, la costringe ad alzare lo sguardo, a prendere atto del bruciore che la pizzica sotto le ciglia, a rendersi conto del fatto che c'è qualcosa che non va, - Stai piangendo.
Manila trattiene il respiro.
- Non è vero. - mente per abitudine.
Metacomet scuote il capo, avvicinandosi e accucciandosi al suo fianco. Guarda lei, poi la borsa mezza piena.
- Cos'è successo? - domanda.
Manila abbassa ancora lo sguardo, osservando le sue stesse lacrime cadere sul pavimento come grosse gocce di pioggia. Non vuole rispondere. Non vuole parlare. Non vuole nemmeno pensarci.
- Stai tremando. - sospira Metacomet.
- Lasciami in pace. - ringhia lei, la voce impossibilmente carica di dolore.
Metacomet sospira ancora, avvolgendola fra le proprie braccia. Le sussurra insensatezze all'orecchio, dondolandola lentamente avanti e indietro.
- E' tutto a posto. - le dice.
"Non è vero," pensa lei.

(q)υα∂яσ ∂ι fαмιgℓια

- Cominciavo a temere che anche stavolta non avremmo avuto occasione di salutarci, mia piccolissima, - dice suo padre. Sorride così tristemente che Manila non riesce a trattenere l'impulso di avvicinarsi e abbracciarlo stretto, nascondendo il viso contro il suo collo, inspirandone il profumo. Anche lui, come Lacros, profuma di buono, di cose bellissime, ma il suo è un profumo più pulito, o forse semplicemente Manila ha l'impressione che lo sia perché per lui non prova lo stesso tipo di desiderio. In ogni caso è in grado, anche se solo per pochi istanti, di farla sentire al sicuro, di placare il suo desiderio di fuggire da Tanit, di farla sentire come se a quel luogo appartenesse davvero, e non come fosse una piaga dolorosa al punto da volersela cancellare di dosso col fuoco.
- Sempre in viaggio, la mia bambina, - continua nel mentre suo padre, accarezzandole i capelli, - Proprio come tua madre alla tua età.
Manila solleva gli occhi nei suoi, sorridendo appena.
- Com'era la mamma? - chiede, - Era difficile restare ad aspettarla?
- Pensi che sia difficile restare ad aspettare te, mia piccolissima? - chiede suo padre, retorico.
- Non lo so. - risponde lei, stringendosi nelle spalle, - Lei dovevi sposarla.
- Attendere il matrimonio non mi faceva soffrire, se è questo che intendi, - risponde lui dolcemente, - Sapevo che sarebbe accaduto solo quando i tempi sarebbero stati maturi. Ero preparato.
Manila abbassa lo sguardo, stringendo le dita attorno alla tunica del sovrano.
- Papà, - dice piano, la voce che trema appena, - Durante i miei viaggi ho scoperto che prepararsi non è abbastanza. O almeno... non è abbastanza per me.
Suo padre ride di cuore, tornando ad abbracciarla.
- Mia piccolissima, - dice paziente, - Non è mai abbastanza per nessuno.

(я)єѕтα ¢σи мє

Sceglie di passare da Metacomet anche quell'ultima notte. Ha voglia di stringerlo fra le braccia, di perdersi nel suo profumo selvaggio, di abbandonarsi ai suoi tocchi audaci, alla sua mancanza di vergogna disarmante. Ha voglia di sentirsi nuda di fronte a lui, sotto di lui, ha voglia di farlo per l'ultima volta perché, lo sente sottopelle, non ce ne sarà una successiva.
Lo sa anche Metacomet, forse riesce a percepirlo, e perciò la accoglie sorridendo spavaldo come sempre, senza tradirsi mai, neanche per un istante, almeno, non prima di averle dato ciò che vuole.
La prende di forza, quasi imponendosi su di lei. Poco importa che sia Manila a lasciarglielo fare, ad abbandonarsi alla sua stretta, gettando indietro il capo quando lui affonda dentro di lei da dietro, schiacciandola contro la parete. Si morde un labbro e chiude gli occhi sentendolo scivolare veloce fuori e dentro di sé, sospira e geme ad ogni spinta e sussulta quando lo sente venire, riversandosi dentro di lei in brividi bagnati e bollenti. Non è ancora venuta, e lui lo sa. Si inginocchia dietro di lei. Le stringe i fianchi fra le mani. Poi è solo la carezza umida della sua lingua, e Manila perde ogni controllo sul proprio corpo.
Lo ritrova forse mezz'ora dopo, e per allora è già a letto, e Metacomet la stringe, strofinando il naso contro il suo collo.
- Non devi andare via per forza, - le sussurra addosso, - Resta con me. Dammi una possibilità. Posso essere io quello che vuoi. Posso darti quello che ti serve. Ti giuro, ti giuro che posso.
E lei sa che potrebbe. Si volta per abbracciarlo stretto e mentre inala il suo profumo e le sboccia la primavera nel cuore sa che Metacomet, davvero, potrebbe.
E lei che non vuole lasciarglielo fare.

(ѕ)fєяα ∂ι ¢яιѕтαℓℓσ

Nel ciondolo che porta al collo brilla un mondo nuovo. Manila lo osserva curiosa, cercando di coglierne le particolarità anche se, riflesso nel cristallo, non riesce che a vederne un ritratto d'insieme, vago e indistinto come uno schizzo in carboncino, un appunto preso in fretta e furia per non dimenticare un'idea. E' un mondo dalla natura rigogliosa e carica di frutti, un mondo più civilizzato rispetto a quelli che ha visitato in passato. Anche più pomposo, le sembra di capire, almeno a giudicare dagli enormi palazzi bianchi e dorati che si innalzano per parecchi metri sopra le popolose città.
- E' qui che andrai? - domanda Metacomet, sedendosi al suo fianco. Non ha insistito nel chiederle di restare, ed ora sembra tranquillo, pronto a supportarla qualsiasi debba essere la sua scelta. Manila lo apprezza, e per questo gli sorride, annuendo. - Come si chiama?
- Leda. - risponde.
- Che bel nome, - commenta Metacomet, sbirciando l'immagine nella sfera, - Così dolce. Pensi che ti piacerà?
- Mi piacciono sempre.
- E pensi che troverai qualcuno che ti tenga compagnia, lì?
- Anche questo capita piuttosto spesso, - dice in una mezza risata, alla quale Metacomet risponde con la propria.
- Sai, non riesco a capire, - le dice dopo un po', - Non sono mai riuscito a capire, in realtà. Se voli via per noia, perché devi o perché restare, per qualche motivo, ti fa male.
Manila sospira, ciondolando il capo a destra e a sinistra con aria pensierosa.
- Una combinazione delle tre, immagino, - risponde. Poi ghigna, voltandosi a guardarlo, - Mi conosci troppo bene.
Metacomet ride, scuotendo il capo.
- Non so un accidenti di te, Manila, - la corregge, lasciandole un bacio sulla punta del naso, - Sei un mistero impossibile. Per questo mi piaci.

(т)ιитυяα

Prima di partire, rinfresca la tinta dei capelli. Ferma davanti allo specchio passa le dita fra le ciocche di un rosa pallido e sbiadito, come volesse pettinarle per scioglierne i nodi, ma la magia le scoppietta sottopelle, emerge in bagliori dorati che trasformano quel rosa così chiaro in un rosa più intenso. In pochi minuti non c'è più nessuna traccia di biondo e Manila si sorride soddisfatta. Cerca di darsi coraggio. Un altro viaggio, un altro ancora. Presto sarà lontana da Tanit, da Lacros, dalle sue responsabilità, da tutto. Presto andrà meglio.
- Sei ancora qui? - domanda Metacomet, passando davanti alla porta del bagno e poi fermandosi all'improvviso dopo averla notata, - Manila! Continui a spezzarmi il cuore. Ogni volta che mi abituo all'idea di tornare a casa e non trovarti più, torno a casa e tu non te ne sei ancora andata. Ti prendi gioco di me.
- Mi hai implorato di restare per giorni, - sbuffa lei, - Invece di ringraziare perché continuo a concederti preziosi istanti del mio tempo...
Metacomet sorride dolcemente, avvicinandosi a lei. I loro riflessi si guardano negli occhi e si sorridono.
- Stai bene, - le dice lui.
- No, mi sento uno schifo, - ride lei.
- Intendevo i capelli, - ride anche lui, e si china a lasciarle un bacio un po' umido e un po' infantile su una guancia.
Manila chiude gli occhi e piega il capo, accettando il bacio con un sorriso sereno. In quell'istante, sta bene davvero. Sta bene tutta. Non solo i suoi capelli.
- Sparisci. - le dice allora lui, stringendola in un ultimo abbraccio.
Manila percepisce il calore del suo corpo avvolgerla. Continua a percepirlo anche mentre, lentamente, scompare. Lo percepisce ancora quando, in un battito di ciglia, riappare a tre universi di distanza.

(υ)иισиє

Ha perso, si dice un anno dopo, quando ritorna a casa al fianco di Lacros, che non le parla, non la guarda, non la sfiora, fissa dritto di fronte a sé e prova a convincersi, chissà se ci riesce, di non avere alternative, di aver preso la decisione giusta, di stare facendo il bene del proprio popolo, ed anche il suo.
Se la sua vita è stata una corsa, l'ha persa. Se la sua vita è stata una fuga, è stata catturata. Se è stata una sfida contro il destino, si ritrova sconfitta, legata con catene invisibili e impalpabili, e per questo impossibili da spezzare. (Salti un ostacolo solo se lo vedi. Se è in trasparenza, inciampi.)
- Non sono felice. - dice quando Lacros la lascia di fronte alla sua stanza. Sa che non servirà a niente, ma deve dirglielo. Vuole che lui lo sappia, che lo senta dalla sua voce. Forse è solo l'ennesimo disperato tentativo di fare leva sul suo senso di colpa per costringerlo a lasciar perdere. - Lacros. Non sono felice. Non è questo quello che voglio. Non sono ancora pronta. Non so nemmeno se lo sarò mai. Ti prego. Non costringermi a farlo. Lasciami libera. Lasciami andare.
Lacros la guarda, e Manila non riesce a leggere niente nei suoi occhi. E' sempre stato così indecifrabile, il suo splendido, distante fratello. Così freddo, nonostante si accendesse così facilmente al contatto. (Sempre che Manila riuscisse ad avvicinarsi abbastanza da sfiorarlo.)
"Come fai a non capire?" pensa fra sé, perdendosi nel verde intenso dei suoi occhi, "Come fai a non capire che sarei pronta se davanti a quell'altare ci fossi tu?"
- Il tuo matrimonio avrà luogo fra sei settimane esatte. - dice lui, - Sii pronta.
Manila abbassa lo sguardo, perché non vuole vederlo andare via.

(ν)єѕρєя

Aveva ragione a penare che Vesper sarebbe stata più complessa di tutti gli altri. Vesper è differente. Abilene è colma d'amore, soprattutto adesso che può essere pienamente se stessa, Metacomet è totalizzante, assoluto, Cyprian è travolgente, d'impatto come una valanga, ma Vesper è diversa. Vesper le ricorda Fermat nel modo deciso e ostinato in cui si insinua dentro di lei una goccia dopo l'altra, dandole solo quello che le serve nella quantità minima necessaria perché Manila ritorni ogni volta, cercandone ancora.
Vesper la capisce anche più profondamente, forse perché il suo distacco, quella distanza naturale che è lì, dentro di lei, che non si è imposta sulla sua persona ma è germogliata libera dentro al suo cuore, le rende possibile guardare le cose con oggettività, giudicare le azioni e i sentimenti da un punto sicuro nel quale non può essere raggiunta.
- Tu non vuoi sposarti, - le dice, accarezzandole una guancia dopo averle dato l'orgasmo più profondo della sua vita. Ancora scossa dai tremiti, Manila le si accuccia contro, chiudendo gli occhi e premendo il viso contro i suoi seni morbidi, - Non vuoi sposare me e non vuoi sposare nessun altro. Ma io non voglio essere la gabbia che ti terrà prigioniera per il resto dei tuoi giorni. Tu sei come il vento, Manila. Non ti si piò catturare senza annullarti. Posso chiudere una porta ed impedire a tutti i miei mobili di venire spazzati via, ma fuggirai dalla finestra, e se la finestra e chiusa semplicemente ti spegnerai, ti esaurirai del tutto. Non voglio che accada. Troviamo una soluzione.
- Non ce n'è una, - singhiozza lei. Ha così tanta voglia di piangere. Decide di concedersi il capriccio.
Vesper sorride, accarezzandole lentamente i capelli.
- Mia piccolissima, - dice con sicurezza, - Una soluzione si trova sempre.

(ω)αℓzєя

- Ascoltami, - dice Vesper, conducendola nelle danze, - Credo di aver trovato una via d'uscita.
Manila aggrotta le sopracciglia, seguendola nei movimenti mentre, avvolte nella nuvola vaporosa del tulle dei loro vestiti, volteggiano al centro della pista da ballo. La musica le guida, assieme agli applausi degli invitati raccolti nella Sala Grande per festeggiare il loro fidanzamento.
- Non ce n'è uno, - dice Manila, e poi sospira, - Vesper, ascoltami. Ti sono davvero grata per tutto quello che stai facendo, per come ci stai provando, ma in centinaia d'anni mai nessuna Veggente è riuscita a sfuggire al suo destino.
Il sorriso di Vesper si allarga mentre la stretta del suo braccio attorno alla vita di Manila si fa appena più forte nel sospingerla in una breve piroetta a mezz'aria.
- Vedi, è proprio questo il punto, - spiega a bassa voce, chinandosi a lasciarle un lieve bacio sotto l'orecchio, - Non è che nessuna Veggente sia mai riuscita a sfuggire al suo destino in passato, è che nessuna ci ha mai provato.
Manila si ferma, il corpo improvvisamente pesante, e la fissa con sgomento.
- Cosa...? - esala.
- Continua a ballare, - la esorta Vesper, sorridendo sicura, - Tuo fratello ci sta guardando.
Manila deglutisce e lancia un'occhiata a Lacros, in piedi accanto a Lænton alla periferia della sala da ballo, intento a scrutare i suoi movimenti. Riprende a danzare subito, per non insospettirlo.
- Devi ritrovare il tuo simbolo, - dice Vesper, - Si è spezzato, giusto?
Manila ripensa al suo ciondolo e annuisce lentamente.
- In terra straniera, - risponde pensierosa.
- Ricordi dove?
Un sorriso le germoglia sulle labbra.
- Certo che sì, - risponde.
L'orologio rintocca la mezzanotte. Lænton chiude solennemente le danze. Meno di dieci minuti dopo, Manila è già in viaggio.

(χ)-fα¢нє

Dopo il matrimonio (tecnicamente, prima del matrimonio, ma dal momento che il matrimonio non ha più avuto luogo non fa nessuna differenza) sta via solo un paio di settimane. Una parentesi brevissima, quasi irrilevante per lei, ma non sente il bisogno di imbarcarsi in un lungo viaggio, non ancora. Aveva solo bisogno di lasciarsi sedurre dalle tentazioni di una nuova avventura, ma poi, prima ancora che l'avventura avesse realmente inizio, ha sentito il bisogno di tornare a casa.
Trova Lacros in camera sua, seduto sul suo letto. Stringe fra le mani il velo da sposa che Manila non ha mai indossato. Ha un'aria triste, forse in parte anche delusa, ma in maniera infantile, come fosse offeso. Manila sorride e gli si avvicina, posandogli una mano sulla palla. Lui solleva la propria e stringe lievemente le sue dita.
- Sei la vergogna di questa famiglia, - le dice. Manila ride appena, avvolgendogli le braccia attorno alle spalle.
- Scusa, - gli dice, - Avrei potuto parlartene, ma non avresti capito.
- Certo che no, - borbotta lui, sciogliendosi nel suo abbraccio, - Cosa farai, adesso? Prima o poi dovrai sposarti. E' quello che ci si aspetta da te. E' ciò che dice la legge.
- Fratello, - ride lei, premendogli un bacio su una guancia, - Possibile che tu non l'abbia ancora capito? Non m'importa.
Lacros sospira profondamente, chiudendo gli occhi. Manila si sente così serena, così completa da essere in grado di sopportare tutto, anche questa sua ostinata ritrosia, e lo bacia ancora.
- Lacros, - dice, - Ti amo.
Lui rabbrividisce, si tende tutto per un istante, poi si rilassa, espirando col sollievo di chi ha estratto una spina che troppo a lungo gli ha dato dolore.
- Io cento volte tanto, mia piccolissima, - risponde in un soffio.

(у)σ-уσ

Il ciclo riprende come non si fosse mai interrotto, Manila scappa e ritorna, senza soluzione di continuità. A volte sta via dei mesi, a volte solo qualche settimana, a volte su Tanit non si ha nemmeno il tempo di sentirne la mancanza, sta via solo poche ore, e nessuno se ne accorge.
La piccola vita che porta in grembo cresce e cresce, Manila sente il battito del suo minuscolo cuore e sorride. Anche la sua bambina crescerà libera, libera come il vento, e come tale impossibile da arginare. Cambieranno le regole, lei e la sua piccola erede, almeno quelle che potranno cambiare. Proveranno ad adattarsi alle altre, a ribaltarle a loro vantaggio, e continueranno a cavalcare il vortice del tempo, selvagge come amazzoni, inarrestabili.
Sdraiata sul proprio letto, Manila chiude gli occhi e sorride, una mano posata sul ventre già gonfio. Può sentire la sua bambina rispondere alle sue carezze, e il pensiero le riempie il cuore di gioia.
Lacros entra senza bussare e senza chiedere permesso, come al solito. Sbuffa una risata breve e si siede accanto a lei, accarezzandole a propria volta la pancia, sfiorando con la punta del pollice il suo ombelico sporgente e ridendo quando la sente ridere e rannicchiarsi su un fianco.
- Non farmi il solletico, - lo rimprovera bonariamente, - Alla bambina non piace.
- Non piace a te. - ribatte lui sorridendo, - Lei scommetto che ne va matta.
Per qualche istante si guardano e basta, sorridendosi a vicenda. La pressione della mano di Lacros sul suo ventre, poi, si fa appena più insistente.
- Pensi di partire presto? - le domanda.
Manila scuote il capo.
- Pensavo di fermarmi per un po', in realtà, - confessa.
Il sorriso che germoglia sulle labbra di Lacros è bello come l'avanzare inesorabile della primavera.

(z)єиιт

La chiama Celestia perché ha gli occhi azzurri, azzurri come il mare, come il cielo, e crescerà indomabile come il primo ed immensa come il secondo. Sarà la più grande Veggente della storia di Tanit, sarà ricordata nei secoli, amata da tutti, ammirata da tutte le stelle del firmamento, dalle popolazioni di tutti i mondi che un giorno, quando sarà pronta, il vento la porterà a visitare. Quando la stringe fra le braccia, Manila si riempie di orgoglio, e di un senso di completezza che la accompagna in ogni momento della giornata. Non è essere diventata madre a farla sentire così, ma avere avuto una figlia. Sono concetti tanto diversi quanto il giorno e la notte, e tanto Manila rifuggiva il primo tanto invece si sente attratta dal secondo.
Sa chi è il padre, adesso. Non ne rivelerà mai il nome a nessuno, anche se si assomigliano così tanto, nel taglio e nel colore degli occhi e nella sfumatura di biondo dei capelli, che suppone non sarà poi tanto difficile identificarlo quando Celestia sarà cresciuta abbastanza da mostrare quelle somiglianze al mondo intero, e non soltanto all'occhio attento di chi la ama come se stessa.
Il segreto non le pesa, però. Non le pesa più niente, adesso. Si sente libera, libera e grande, assoluta, e niente può fermarla, niente, neanche la linea dell'orizzonte. Si sente pronta a correrle incontro e poi a scavalcarla con un salto.
Stringendo Celestia al petto, Manila guarda in alto, sopra la propria testa. Il sole di Tanit le splende addosso spavaldo e cocente. Che voglia di viaggiare, che voglia di saltare e lasciarsi abbracciare dal vortice.
- Che ne dici, mia adorata? - domanda, guardando la bambina, - Ti va di partire?
Celestia la guarda coi suoi grandi occhi azzurri. E poi, piano piano, sorride.
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