Genere: Triste, Romantico.
Pairing: Bill/Tom.
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash, Incest, Onesided.
- Il bello degli alberghi è che c'è sempre qualcuno a ripulire ciò che lasci sporco al posto tuo. Lo sporco che hai nella testa, invece, quello devi ripulirlo sempre da solo.
Note: I ringraziamenti doverosi per tutto questo vanno a:
Ana, che ormai è fonte inesauribile di puro fangirling <3
I Placebo, per aver creato “Ask For Answers” che, oltre ad essere bellissima, dà senso e titolo (“these bonds are shackle free” <3) a questa storia, che altrimenti sarebbe TOTALMENTE priva di entrambi XD
Caska, per avermi aiutata a risolvere un periodo terribilmente complicato in un momento in cui da sola non sarei mai riuscita a venirne fuori ç_ç!!!
E infine Nausicaa212 XD Anche se lei probabilmente neanche lo sa. Ma l’ispirazione per il fatto delle “prime notti in posti nuovi” l’ho presa dalla sua storia, Estate da sogno. (la cosa mi strazia come Bill è straziato dal fatto che gli piacciano i Keane XD).
Storia scritta per la serie delle 52 flavours >3 Ormai ne ho scritte ben sei X333 *donna che non è arrivata a nulla ma le piace pensarlo*
Tutto sommato questa robina mi piace :O È’ triste, è angsty, e poi Bill è puccio ç_ç E il fatto che tutto questo sia un’indiretta dichiarazione d’amore profondo e spassionato nei confronti di Tom non mi turba nemmeno un po’ XD
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SHACKLE FREE

“Get through this night, there are no second chances.
Give up this fight, there are no second chances.
These bonds are shackle free”.
Placebo – Ask For Answers

Si lasciò cadere esausto sul materasso, ed accarezzò le lenzuola fresche di pulito con entrambe le mani bene aperte, assaporandone la morbidezza con soddisfazione.
Degli alberghi adorava i camerieri, la moquette rossa, gli ascensori dorati e sempre profumati e soprattutto le lenzuola pulite ogni giorno senza dover essere lui a cambiarle. Non che occuparsi delle faccende domestiche lo infastidisse particolarmente – anche perché, se avesse dovuto lasciare quell’incarico nelle mani di suo fratello Tom, avrebbe vissuto in qualcosa di troppo simile ad un porcile per potersi ritenere soddisfatto – ma era terribilmente piacevole entrare in un luogo bellissimo e confortevole all’interno del quale potevi riposarti senza problemi, sapendo che nella mattinata, mentre eri fuori a divertirti o a lavorare, qualcun altro sarebbe arrivato per mettere tutto in ordine al posto tuo.
Bill non era un ragazzo viziato.
Ma essere servito e riverito lo riempiva di brividi piacevoli.
L’unica cosa che non sopportava, di tutto quello spostarsi continuo di albergo in albergo, era che ogni prima notte passata in un posto diverso era una notte di sonno perduto.
Né lui né Tom riuscivano a dormire, quando toccavano per la prima volta un letto nuovo.
Era una cosa terribilmente frustrante.
Soprattutto in due casi.
Se l’indomani mattina si ritrovava con quattro ore ininterrotte di session fotografiche – interviste – esibizioni live – session di autografi.
E se non poteva passare la nottata giocando con Tom.
Per inciso, la situazione quella sera sembrava rispecchiare in pieno la seconda ipotesi.
Si rigirò sul copriletto di raso e osservò suo fratello in attenta contemplazione dell’armadio.
- Certe volte penso che tu sia più vanitoso di me, Tom…
Tom si limitò ad un mezzo sorriso, senza staccare gli occhi dalla quantità infinita di magliette e pantaloni enormi che pendevano dalle grucce.
- Potresti anche truccarti, già che ci sei. Posso farlo io, se vuoi.
Stavolta suo fratello si lasciò andare ad una risata aperta e libera, scuotendo il capo e separandosi finalmente dall’armadio, per andare a gettarsi sul letto accanto a quello di Bill con un enorme sospiro stremato.
- Mi sa che stasera esco così come sono. – sbottò, scollando lievemente le spalle.
Bill lo guardò e pensò che non trovava nulla che non andasse in lui.
Che avrebbe potuto tranquillamente uscire coi pantaloni al contrario e la maglietta arrotolata attorno al collo come una sciarpa, e sarebbe stato comunque perfetto.
Immaginava dovesse essere qualcosa che avesse a che fare con la dannata sicurezza che Tom riusciva a sprizzare da tutti i pori come fosse naturale, mentre lui per sentirsi sicuro il minimo indispensabile per poter uscire di casa senza nascondere il viso fra le braccia doveva ricoprirsi gli occhi di trucco e montare i capelli come la panna – per non parlare dei vestiti.
Più probabilmente, e più semplicemente, i suoi occhi non riuscivano a vedere Tom per quello che era – un diciottenne come tanti, sempre pronto a divertirsi, rilassato, felice – e ne facevano una creatura misteriosa dotata di ogni potere soprannaturale, qualcosa che lo rendesse brillante, speciale, sempre a suo agio.
Odiava, odiava quando Tom usciva, lasciandolo solo in albergo.
- Vuoi venire con me, stasera?
E stare a guardare mentre amoreggi con una biondina random tutta impegnata a mostrarsi davanti alle macchine fotografiche dei paparazzi assieme a Tom Kaulitz dei Tokio Hotel?
No, grazie.
- Sono un po’ stanco, in realtà. – borbottò con un sorriso stentato.
Tom sorrise e lo guardò.
- Tanto non dormirai comunque.
Cercò di fermare il tremito lungo la schiena, e socchiuse gli occhi.
- Perché non resti con me? – azzardò, - Potremmo guardare un po’ di tv o magari-
- Cheee? Ma io voglio uscire!!!
Si affrettò ad agitare una mano, ridacchiando.
- Sì, lo so, scherzavo!
- Daaai, veramente Bill, esci con me! Ti assicuro che non è noioso! Balliamo un po’, beviamo qualcosa, rimorchiamo un paio di ragazze e-
- Non mi piace ballare, e poi lo sai che non bevo.
- …e le ragazze?
Quelle mi interessano ancora di meno.
- Davvero, sono stanco.
- Io se anche fossi stremato al punto da non riuscire a sollevare un braccio, riuscirei comunque a trovare la forza per andare a rimorchiare. – commentò ridacchiando.
Sì, lo so, pensò lui, e non so, sinceramente, se è un’abitudine che apprezzo o meno.
- Va be’. – concluse Tom, rimettendosi in piedi e sistemandosi la maglietta e i pantaloni, - Orario?
Girò appena il capo per controllare la sveglia sul comodino.
- Undici meno un quarto.
- Oooh. È già tardi. Comunque, se ti viene sonno, non aspettarmi per forza. Io non so neanche se torno.
Rispose con un altro sorriso debole, salutandolo con la mano.
Tom uscì dalla camera in perfetto silenzio, e silenziosa rimase l’aria fino a quando non tornò.
*
La presenza di Tom era continuamente accompagnata dal rumore. Non poteva esistere Tom in una stanza senza che attorno a lui si propagasse ogni genere di suono, che fosse il fruscio degli abiti esagerati che continuava a indossare, o il grip della suola di gomma delle sue scarpe da tennis contro il pavimento, o il trillo allegro della sua risata, o il bip dei videogiochi dietro ai quali passava delle ore, o il mugolio tranquillo della sua voce quando canticchiava il ritornello di qualche canzone fra le labbra.
Forse per questo motivo Bill aveva sempre avuto la chiara sensazione che fosse Tom quel qualcosa di speciale che riempie la vita e che le persone cercano incessantemente da quando nascono a quando muoiono.
Tom riempiva gli spazi. Li riempiva tutti. Nessuno sguardo era silenzioso, nessuna voce era priva di movimento, tutto era collegato, tutto era armonico, musicale. Non c’era nessun vuoto nella sua vita. Non c’era niente di irrisolto. Qualsiasi cosa mancasse a lui, era perfettamente ritrovabile in Tom.
Non sapeva se questo fosse da considerarsi normale perché erano gemelli.
Ma aveva la chiara percezione che, se c’era un motivo per il quale avrebbe dovuto considerare quello che provava per lui “anormale”, era il fatto che il suo sentimento per Tom conservasse ben poco di ciò che di fraterno c’era stato fra loro, e si spostasse sempre di più, sempre più pericolosamente verso tutt’altro tipo di sensazioni.
Scoprirlo era stato assolutamente traumatico, come immaginava dovesse esserlo per qualsiasi cosa, quando ti sembra assurda e non avevi mai pensato che potesse succedere a te. Rendersi conto di essere innamorato di suo fratello l’aveva scosso, e allo stesso modo l’aveva scosso, ad esempio, rendersi conto che, per quanto la cosa gli sembrasse disgraziata e disonorevole, gli piacevano i Keane.
Era stata una cosa sconvolgente, sì.
Ma non era stato un dramma.
Ne era venuto a capo.
Aveva cominciato ad abituarsi.
Come con tutto.
Era assurdo, sì, e lo era perché era senza motivo, senza pregi e, soprattutto, senza speranza.
Ma era.
Le cose che sono, restano.
Le cose che sono te le porti dietro.
Lui si portava dietro suo fratello, il suo pensiero, l’amore per lui, e ci era abituato. Non era stata una cosa diluita nel tempo, ci si era abituato subito. Più tempo o meno tempo non gli sarebbero serviti a niente. Non avrebbero attenuato neanche per un soffio tutto quello sconvolgimento emotivo, quel rimescolarsi di interiora, quel tremore di arti.
Più tempo o meno tempo sarebbero stati niente.
Superato il momento, aveva superato il problema.
Il problema, sì, ma non le complicazioni.
O meglio, la complicazione. Che consisteva tutta in una cosa molto semplice e assurdamente dolorosa.
Voleva Tom.
E non l’avrebbe mai avuto.
Faceva molto tragico amore, ma in fondo era tutto quello che era. L’unico modo in cui era possibile definirlo. Una cosa che vuoi e non puoi ottenere è un tragico amore sempre e comunque, si tratti dell’ombretto nero ultra-fashion che non riesci a trovare – malgrado tu stia girando da ORE per tutte le profumerie della tua dannata città – o di tuo fratello disteso sul letto sopra o sotto di te o in qualsiasi altro posto desideri purché stia vicino.
Questa era la sua tragedia. Con questa consapevolezza faceva a botte tutte le sere.
Era l’unica cosa alla quale non era ancora riuscito ad abituarsi.
La mancanza.
La sua assenza.
Anche se fortunatamente Tom lasciava poco tempo alla sua solitudine per impadronirsi di lui.
*
Spalancò la porta, accompagnato dal solito trambusto di risatine e strusciamenti vari – doveva essere totalmente ubriaco – e Bill non ebbe neanche il tempo di accorgersi che suo fratello s’era richiuso la porta alle spalle, che se lo vide piombare addosso come un animale stanco e ferito.
Si stupì.
Reputò normale stupirsi per un comportamento simile, amore o non amore, e perciò cercò di riscuotere Tom per riportarlo alla vita.
Lui mugugnò qualcosa che voleva dire “no”.
- Tom, che ti prende…? – chiese lui, quasi preoccupato, cercando di guardarlo in viso nel buio.
Tom continuò a mugugnare, e stavolta sembrò dire “sonno”.
- Il tuo letto è qua accanto… aspetta, va’, che ti do una mano… - disse, provando a prenderlo per le ascelle per aiutarlo ad alzarsi in piedi.
Tom gli si aggrappò addosso come se non avesse avuto altro al mondo.
- Tom…? – si ostinò a chiamarlo.
- Bill… - borbottò suo fratello, - lasciami dormire.
Trattenne il respiro fino a quando non lo sentì completamente abbandonato contro di lui.
E d’improvviso realizzò che quella era tutta la vita di suo fratello.
La vita di Tom si riassumeva in questo. Svegliarsi, lavorare, divertirsi, scopare e, alla fine, tornare da lui. Era una cosa che avrebbe fatto fino a quando fosse stato in grado di reggere i ritmi allucinanti di quella logorante routine, e che quindi si sarebbe protratta praticamente per sempre.
Lui era il materasso.
Tom aveva bisogno di dormire?
Eccolo pronto.
Un riposino pomeridiano?
Non aveva neanche bisogno di chiedere.
Sarebbe bastato cadergli addosso con noncuranza, e lui non avrebbe insistito più di tre secondi per cercare di mandarlo via.
Sarebbe stata sempre la stessa cosa. Sempre. Giorno dopo giorno, per tutta la sua vita.
Era una prospettiva semplicemente spaventosa.
Ammetteva di avere già difficoltà a considerarsi un essere umano vero dopo aver passato anni a resistere all’impulso di saltargli addosso ad ogni occasione minimamente favorevole, e pensare di dover passare l’intera esistenza a cercare di evitare quel pericolo era… no, non solo non era fattibile, non era nemmeno pensabile.
Già stare immobile in quel momento gli sembrava assurdo.
Averlo lì, a portata di mano, e non poter nemmeno allungare un braccio per accarezzargli i capelli, o per liberare due dita incastrate nella manica troppo ampia della sua maglietta, lo distruggeva. Si sentiva franare, si stava frantumando.
E avrebbe dovuto passare tutta la sua vita in queste condizioni?
Dio.
Si assicurò che stesse dormendo.
Lo prese saldamente per le braccia.
Cercò di non inciampare sui suoi pantaloni.
E lo trascinò stancamente sul suo letto, sistemandolo per bene fra le lenzuola, rimboccandogliele fin sotto al mento, perché non prendesse freddo, accomodandogli il cuscino sotto al capo perché non stesse scomodo.
Dopodichè, si sedette al suo fianco.
Si sentiva così pieno d’amarezza che avrebbe potuto sciogliersi.
- Liberami… - mormorò stancamente, - Trovati una ragazza vera, sposati, facci dei figli, dammi dei nipoti… liberami.
Tom continuò a dormire placidamente, nonostante la carezza distratta che lui si prese la libertà di lasciargli sul volto.
Bill cominciò a piangere.
- So che lo farai. – disse piano, chinandosi sulle sue labbra.
Non ebbe neanche il coraggio di sfiorarle.
Si rimise in piedi, fuggendo sul proprio letto e tirandosi le coperte fin sulla testa.
Chiuse gli occhi, li strizzò fortissimo, vide un sacco di nero puntellato da fastidiosissime macchie bianche.
Passò dal pianto al sonno senza nemmeno accorgersene.
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