Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Davide/Mario.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Hurt/Comfort, Slash.
- Nella notte in attesa dell'operazione al menisco di Davide, Mario cerca di consolarlo come può.
Note: Fic nata quasi istantaneamente in un paio di giorni, come reazione al drama del mio povero Bimbo malconcio (ç_ç), che starà fermo fino a gennaio, povero amore. E poi Chià voleva del Santonelli Hurt/Comfort, e sia mai che io non soddisfi le richieste delle fangirl =P
Pairing: Davide/Mario.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Hurt/Comfort, Slash.
- Nella notte in attesa dell'operazione al menisco di Davide, Mario cerca di consolarlo come può.
Note: Fic nata quasi istantaneamente in un paio di giorni, come reazione al drama del mio povero Bimbo malconcio (ç_ç), che starà fermo fino a gennaio, povero amore. E poi Chià voleva del Santonelli Hurt/Comfort, e sia mai che io non soddisfi le richieste delle fangirl =P
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Royal Blue
19. Royal blue
Il buio della stanza è dello stesso identico azzurro delle loro maglie, e gli occhi di Davide non hanno un colore perché Mario non riesce ad identificarlo. Potrebbe dire che hanno il colore delle lacrime, perché quelle sì, riesce a vederle benissimo, ma le lacrime sono trasparenti, un colore non ce l’hanno, prendono quello della superficie su cui scorrono; e sarebbe rosa – il rosa intenso della pelle di Davide – se ci fosse la luce accesa, sarebbe rosa o lievemente aranciato dalla luce giallastra dell’abat-jour sul comodino, ma visto che è tutto spento e l’unica luce che c’è è quella della luna che viene da fuori tutto è semplicemente azzurro, la stanza, la pelle di Davide, le sue lacrime e quindi forse anche i suoi occhi.
Davide è arrivato dal Lussemburgo direttamente in Pinetina, perché sono tutti lì ma soprattutto perché è lì il dottor Combi, che è stata anche la prima persona in assoluto che l’ha visto, assieme al mister. Mario in genere si sveglia verso le nove, ma stamattina s’è svegliato alle sette perché sapeva che Davide sarebbe arrivato al centro sportivo verso le otto, e voleva esserci. Perciò ha puntato la sveglia, ha aperto gli occhi in tempo, s’è dato una sciacquata veloce, ha buttato giù un litro di caffè per tenersi in piedi senza crollare addormentato nel primo angolo disponibile e s’è andato a piazzare praticamente all’entrata, sui gradini, avvolto nel suo giubbotto e con la sciarpa alta a nascondere quasi completamente il viso, e il cappellino così calato sulla fronte da lasciare visibili solo gli occhi.
Il mister era già lì, le braccia incrociate e il suo impermeabile marrone tanto largo che lo fa sembrare rotondo, i capelli lievemente scompigliati dal vento freddo della prima mattina. “Che ci fai qua?” gli ha chiesto, fissandolo impietoso, “Torna a dormire, non ti voglio stanco agli allenamenti.” “Pensavo di aspettare Davide”, ha risposto lui, stringendosi nelle spalle, “Pensavo di-“ “Pensavi male”, l’ha interrotto il mister, atono. “Torna a dormire.”
Mario non ha insistito – perché con Mourinho per finire relegati in panchina basta anche molto meno – ed è tornato in camera. Naturalmente non s’è riaddormentato – come avrebbe potuto? Solo guardare il letto vuoto e ancora rifatto di Davide gli dava l’ansia. In realtà anche solo pensare a Davide, in generale, gli dava l’ansia. Aveva visto la partita, se l’era cavata benone ed anche i ragazzi erano stati bravi, Mario era stato soddisfatto di tutti loro mentre, fra una pausa e l’altra, cercava di zittire le due vocine maligne che da un lato gli dicevano “eh, in fondo è solo il Lussemburgo” da un lato e “però guardali, giocano così bene quando tu non ci sei” dall’altro. Aveva visto anche il brutto fallo che gli avevano fatto poco prima della fine del primo tempo, però, e non riusciva a stare tranquillo se solo visualizzava il modo tremendo in cui quel giocatorucolo della domenica lussemburghese gliel’aveva atterrato lì, prendendo proprio il ginocchio destro. Quella gamba aveva già abbastanza riempito di rogne tutta la prima parte del campionato di Davide, non c’era bisogno di insistere – non in un momento così delicato, soprattutto.
Al telefono, Davide era stato vago. “Mi fa male, sì,” aveva ammesso, “e no, non lo so se è grave, Mà. Non ne ho idea”, ma il suo tono di voce era abbastanza cupo da far presagire guai.
Lesione del menisco esterno del ginocchio destro. Un mese e mezzo di stop. E un intervento cui sottoporsi il prima possibile, perché la lesione non è poi così smodatamente grave ma “il Bambino, qui, di certo non vuole prolungare i tempi del fermo, no? Certo che no”, e quindi al più presto diventa domani mattina, e Davide – che ha ancora addosso l’odore diverso della divisa della Nazionale – sta immobile nel proprio letto, adesso sfatto e disordinato apposta per accogliere le sue forme spigolose al meglio, una gamba piegata ed una distesa e gli occhi – che hanno il colore delle lacrime, che prendono quello della sua pelle, che ha quello della stanza, che è l’azzurro regale della notte – fissi davanti a sé, vuoti e muti.
A Mario si stringe il cuore, perché Davide non è certo un chiacchierone, parlare non gli piace perché non sa farlo, nel senso che sbaglia sempre un mucchio di cose – tempi, modi, toni – e finisce per fare un sacco di cazzate oggettivamente evitabilissime, e Mario ne sa qualcosa, visto che ha lo stesso identico difetto. Solo che Davide è di gran lunga più intelligente di lui, perciò di parlare evita. Quello che ha da dire, generalmente, lo dice appunto con gli occhi, ed è per questo che è così triste osservarli adesso così spenti e persi. Non dicono niente, anche se purtroppo questo non significa che non ci sia niente da dire.
Mario si solleva dal proprio letto e si siede su quello di Davide, quasi in punta, per evitare di toccargli la gamba. Davide non la ritrae, un po’ perché scostarla gli farebbe male ed un po’ perché si fida di Mario, e sa che starà attento nel muoversi.
- Ezequiel – comincia un po’ impacciato, spostandosi sul materasso per trovare una posizione più comoda, - sta un po’ meglio?
Davide lascia andare una mezza risatina nervosa, appoggiandosi con la schiena sul cuscino sollevato contro la testiera.
- Hai visto con che occhio nero ha giocato ieri? – chiede, invece di rispondere, - Sei stato uno stronzo.
- Ehi, mi sono scusato. – borbotta Mario, incrociando le braccia sul petto, - Non è colpa mia se la scena era equivoca.
- Mi stava solo passando il sapone. – gli fa notare Davide, con un’altra risatina, stavolta meno nervosa e più genuinamente maliziosa, - Non eravamo neanche vicini.
- Ti stava toccando.
- La sua mano ha sfiorato la mia mentre appunto mi passava il sapone. – precisa Davide, annuendo compitamente. – Comunque-
- Comunque quello che ho visto ho visto, e come ho reagito ho reagito. – sbotta Mario, scrollando vigorosamente le spalle e guardando altrove, quasi offeso da questa plateale mancanza di gratitudine. E che poi sia una gratitudine meritata o meno non è importante, almeno non quanto il fatto che lui senta di volerla.
- …comunque, - riprende Davide, più dolcemente, - mi ha fatto piacere. Non mi era mai successo che qualcuno facesse a pugni per me. Certo, - annuisce con una piccola smorfia, - ora, per l’intero spogliatoio dell’Under-21, sono la tua ragazza. Ma ci faremo l’abitudine.
Mario ride, e solleva un braccio. Davide è un po’ impacciato nel muoversi, si sposta appena e cerca subito una nuova posizione stabile. Si accovaccia contro di lui socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare prima dal sollevarsi ed abbassarsi repentino del suo petto e poi dal suo movimento più dolce, quando riprende a respirare normalmente, esaurita l’ilarità del momento.
- Ti fa ancora molto male? – chiede, accarezzandogli lentamente i capelli corti sulle tempie.
- In questo momento no, - risponde sinceramente Davide, - ma sono sotto antidolorifici, quindi anche se saltassi in piedi e cominciassi a ballarmi sul ginocchio probabilmente non sentirei niente comunque. È per questo che cerco di tenerlo fermo, - spiega con competenza, - se lo muovo, non sento come lo sto muovendo. Ho paura di peggiorare le cose, a muovermi male.
Mario annuisce e continua ad accarezzargli i capelli. In una situazione normale, già stargli tanto vicino l’avrebbe portato a ribaltarlo sul letto e divorarlo di baci in un nanosecondo, ma la situazione in cui si trovano non è normale, e Mario ha l’impressione di accarezzare una lastra di vetro sottilissima, tanto gli pare fragile Davide sotto i polpastrelli, perciò misura ogni tocco con coscienza, cercando di farsi sentire senza farsi sentire troppo.
- Hai paura? – chiede dopo un po’, osservando con la coda dell’occhio il suo profilo sempre uguale nel buio.
- Sì. – risponde Davide, dopo un momento di esitazione, - Un mese e mezzo è lungo. Già giocavo poco, mi era sembrato di cominciare a riprendermi un po’ con le ultime partite dell’Under-21, questa sfiga non ci voleva proprio. – sospira, - Al momento, almeno, abbiamo tutti una nuova certezza. A gennaio, non andrò da nessuna parte. Chi vuoi che se lo prenda un catorcio così acciaccato, con un ginocchio del tutto inutilizzabile?
- Ehi. – cerca di fermarlo Mario, costringendolo a sollevare il viso e guardarlo negli occhi, - Guarda che non sta mica finendo il mondo. È solo… - cerca le parole, e nel frattempo pensa che tanto per cominciare dovrebbero organizzare dei corsi di formazione per imparare a consolare le persone; tanto per continuare, poi, che anche in un caso del genere, lui un patentino simile non riuscirebbe a prenderlo mai e poi mai. – È solo un inconveniente. – dice con la maggiore convinzione di cui è capace, lui che non sa nemmeno come si sveglierà domani mattina, se avrà voglia di partire per l’Australia o legarsi all’Inter con un contratto pluridecennale. – Presto tornerà tutto a posto. – annuisce decisamente, cercando di convincere prima se stesso e poi, se avrà fortuna, anche Davide.
Lui lo guarda per qualche secondo con aria indecifrabile. I suoi occhi ormai sono asciutti, ma riescono comunque a brillare nel buio come diamanti. Lo fanno impazzire, gli occhi di Davide, perché non hanno senso. Non sono netti, non sono definiti, se li guardi da due angolazioni diverse, non hanno nemmeno lo stesso colore rispetto al minuto precedente.
- Niente da fare. – sorride il ragazzo, scuotendo lievemente il capo, - Non sei proprio bravo a consolare la gente, tu.
- Almeno ci ho provato. – borbotta Mario, tornando ad appoggiarsi contro la parete e chiudendo gli occhi, mentre sente di nuovo addosso la pressione di Davide che, in movimenti lenti e misurati, cerca di ritrovare l’incastro perfetto delle loro braccia e dei loro petti – lasciando per una volta le gambe fuori dal nodo – per sistemarsi contro di lui.
- È che si vede che hai paura anche tu. – sorride lui, parlandogli sulla pelle in un sussurro sottilissimo, - Sei un disastro, comunque-
- Comunque sei uno stronzo, Dio mio, hai sempre da ridire! – si lagna Mario, tirandogli uno scappellotto offeso contro la nuca, ma la sua offesa sfuma e svanisce del tutto quando Davide ride ancora e si volta a cercare le sue labbra.
- …comunque mi fa piacere. – sorride, tornando ad appoggiarglisi addosso e fissando un punto a caso nel buio di fronte a sé, e Mario pensa che dovrebbe lasciarlo finire di parlare più spesso. – Sia che tu sia così preoccupato, sia che tu abbia provato a consolarmi. Sei carino. Sei… - sospira, - sempre un sacco carino, con me. E io ti do un mucchio di problemi.
- Non che io te ne dia di meno. – biascica Mario, platealmente imbarazzato, cincischiando con l’orlo della coperta che si china a recuperare dai piedi del letto, perché possa coprire entrambi, - Diciamo che siamo problematici entrambi.
Davide annuisce con un’altra mezza risata, e non risponde. Quando parla ancora, lo fa solo per chiedergli di restare al suo fianco.
- Dormiamo insieme? – dice, il tono calmo, non piagnucoloso né sommesso, sembra che stia meglio e Mario se ne compiace. Davvero.
- Ci stendiamo? – chiede Mario, accennando il movimento e scivolando per qualche centimetro sul materasso, ma Davide si ritrae appena, un po’ spaventato.
- Preferisco stare seduto. – dice annuendo, come a voler dare a Mario l’impressione di stare solo agendo in via precauzionale, non perché è spaventato a morte come invece è. – Ti dispiace?
Mario scuote il capo e si rimette dritto contro la testiera del letto, stringendoselo contro e continuando a fissare il buio azzurro della stanza. Nessuno dei due chiuderà occhio per tutta la notte.