Genere: Erotico, Introspettivo.
Pairing: Dave Strider/Rose Lalonde.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Het, Incest, Angst, AU, Lemon.
- "Se esistono, al mondo, i luoghi dell'anima, Rose è senza dubbio il suo."
Note: Non ho giustificazione alcuna, per questa storia tremenda XD A parte che mi piacciono le AU e mi piace tantissimo il Dersecest. Son cose.
No, okay, in realtà, dal momento che quest'anno palesemente sto provando a calarmi nelle profondità di abissi sempre più profondi e oscuri con tutta la roba che scrivo, volevo provare a trattare l'incest in un modo differente rispetto al solito. Cioè, non sono mai pulitissima, quando scrivo storie incest, perché sono abbastanza convinta che alla base di un legame fraterno che si sviluppa in questo modo debba esserci di base una certa morbosità e anche un po' di non starci per niente con la testa, ma come è vero questo è vero anche che spesso e volentieri parlo di altri aspetti della relazione piuttosto che della morbosità in particolare, mentre qui è questo che ho voluto fare. Parlare dell'attaccamento morboso e delle relazioni di potere. In qualche modo. Non so se quello che dico abbia un senso, ma amen \O/
La storia partecipa alla Sagra del Kink 2.0 @ kinkmemeita su prompt esibizionismo preso dal Menù Veneziano, e filla il prompt #63 (Pericolo seducente) della challenge indetta da 500themes_ita.
Pairing: Dave Strider/Rose Lalonde.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Het, Incest, Angst, AU, Lemon.
- "Se esistono, al mondo, i luoghi dell'anima, Rose è senza dubbio il suo."
Note: Non ho giustificazione alcuna, per questa storia tremenda XD A parte che mi piacciono le AU e mi piace tantissimo il Dersecest. Son cose.
No, okay, in realtà, dal momento che quest'anno palesemente sto provando a calarmi nelle profondità di abissi sempre più profondi e oscuri con tutta la roba che scrivo, volevo provare a trattare l'incest in un modo differente rispetto al solito. Cioè, non sono mai pulitissima, quando scrivo storie incest, perché sono abbastanza convinta che alla base di un legame fraterno che si sviluppa in questo modo debba esserci di base una certa morbosità e anche un po' di non starci per niente con la testa, ma come è vero questo è vero anche che spesso e volentieri parlo di altri aspetti della relazione piuttosto che della morbosità in particolare, mentre qui è questo che ho voluto fare. Parlare dell'attaccamento morboso e delle relazioni di potere. In qualche modo. Non so se quello che dico abbia un senso, ma amen \O/
La storia partecipa alla Sagra del Kink 2.0 @ kinkmemeita su prompt esibizionismo preso dal Menù Veneziano, e filla il prompt #63 (Pericolo seducente) della challenge indetta da 500themes_ita.
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RITUAL UNION
Gli si avvicina di soppiatto, silenziosa come una gatta, come sempre. Dave sente tutti i muscoli del proprio corpo tendersi nello sforzo di non voltarsi verso di lei, e fanno quasi male, tanto sono rigidi. Il collo bloccato, le spalle immobili, le braccia rigide, le dita strette con forza attorno alla ringhiera, tutto il suo corpo è proteso in avanti, i suoi occhi fissano con ostinazione la massa indistinta e colorata di persone che si agitano confusamente al ritmo della sua musica sulla pista da ballo sottostante; tutto di lui, ogni fibra del suo corpo, ogni arto, ogni cellula, rifugge con forza il corpo di Rose, anche solo il pensiero del suo tocco.
Tutto di lui, ogni fibra del suo corpo, ogni arto, ogni cellula, mente.
Dave sente la carezza evanescente delle sue labbra contro la nuca, e rabbrividisce, il viso contratto in una smorfia di disgusto.
- Stammi lontana. - sibila cattivo, le nocche bianche e le dita che tremano per lo sforzo. La sbarra di ferro alla quale si stringe ha cambiato temperatura. Era gelida, prima, ma ora la frizione contro la sua pelle l'ha riscaldata. E' perfino fastidiosa. Dave sa che, quando allontanerà le mani, attaccato alla pelle sarà rimasto l'odore penetrante del ferro. E poi Rose lo laverà via col proprio.
Quando staccherà le mani da lì sarà per spostarle sui fianchi di Rose. Quando accadrà sarà perduto. Un'altra volta. Non deve accadere.
- Non riesco a capire perché sei sempre così cattivo con me. - sussurra Rose, la sua voce è un veleno al miele che scivola lentamente nelle orecchie di Dave. Goccia dopo goccia lo stordisce, gli addormenta i sensi, e Dave si sente già cedere.
Chiude gli occhi, cercando di allontanarsi da lei, se non col corpo, almeno coi pensieri. Si concentra sul ritmo familiare della musica, sul battere ossessivo e sempre uguale delle percussioni, sul vibrato profondo della linea di basso e sulla cantilena ipnotica del testo, ma non è abbastanza. Le mani di Rose risalgono lungo i suoi fianchi, pesanti e minacciose come artigli.
Il pensiero vaga verso posti e tempi lontani. Dave prova a fermarlo, ma è come un'onda innescata dalla presenza stessa di Rose, l'alta marea che produce dentro di lui come la Luna sugli oceani.
Un giardino, sole d'agosto, un bambino seduto per terra, è lui. Il sole si riflette sul biondo dei suoi capelli. Dave, come fosse uno spettatore esterno, si osserva più piccolo di vent'anni, e quei raggi lo abbagliano senza pietà. Si guarda giocare con la terra, costruire un piccolo fortino per i soldatini di plastica. Li dispone in ordine sulle mura. Poi usa i peluche come giganti assassini. Li guarda, e li odia adesso come li odiava da bambino. Le loro espressioni grottesche, ridicole, i loro colori sgargianti. Lo terrorizzavano già allora. Li usava sempre come i cattivi delle fiabe. Sconfiggendoli, si sentiva più forte. Era l'unico modo per esorcizzare la paura.
Se riuscisse a sconfiggerla... se solo ci provasse...
La voce di Rose. Distante, ma reale. E' come una cantilena. Racconta una storia - sua sorella ha sempre raccontato storie; è brava a farlo, è brava a mentire - e Dave la segue con attenzione. Ogni cosa che dice, ogni evento che Rose racconta, Dave lo mette in scena con soldatini e peluche.
Rose parla di guerre, di mostri, di giganti crudeli. Di sangue.
A Dave fanno paura i racconti di sua sorella, ma allo stesso tempo lo affascinano.
A Dave fa paura sua sorella, ma allo stesso tempo...
La pressione della mano di Rose sulla spalla. Le sue dita piccole, affusolate, così pallide. Le unghie rosa, i polpastrelli morbidi e delicati. Dave guarda i propri, coperti di graffi e sporchi di terra. Rose non gioca con la terra. Rose gioca solo con le parole. Rose gioca solo con lui.
Non ha mai smesso.
Ogni tanto il suo volto si sovrappone a quello di Rose. Quando succede, Dave sa di dover spegnere i ricordi. E' diventato bravo a farlo, è diventato bravo a fermarsi in tempo, a smettere di scavare prima di trovare qualche scheletro sepolto senza cura nella terra bagnata.
Dave non ricorda niente di sua madre, quasi niente, in realtà, ma qualcosa è rimasto, solo che non è un'immagine né una sensazione né un suono o l'idea di un abbraccio, no, è l'odore chiaro, abbagliante dell'alcool.
Sua madre beveva, e questo l'ha uccisa.
Sua madre è morta, e questo ha ucciso la sua famiglia.
La sua famiglia è morta, e questo ha ucciso Rose.
Ed ora il fantasma di Rose è qui, e vuole uccidere anche lui.
Rose era la preferita di papà.
Forse papà era il preferito di Rose, ed era questo a urtarlo tanto.
Non c'è mai stato niente di salutare, nella sua relazione con sua sorella.
Dei gemelli si dicono tante cose. Spesso si parla di telepatia. Dave non è sicuro che una cosa del genere esista. In certi momenti, guardare Rose è impossibile. E' così indecifrabile da fare paura. La paura lo imbarazza, e Dave distoglie pudicamente lo sguardo, quando accade, perché si vergogna.
Non è telepatia, no. E' condivisione. E' la consapevolezza profonda di essere nati dalla stessa piccola massa, di essersi divisi in due per un capriccio genetico. La biologia c'entra poco. Dave sa di non condividere niente con Rose in quel senso, sa di non essere nato dalla stessa identica cellula, ma non importa. Perché è così lo stesso. Non esiste nulla di suo che non sia anche di Rose.
Non esiste niente di Rose che lui non vorrebbe per sé.
Rose aveva occhi da adulta incastonati in un volto da eterna bambina, ed era bellissima. Dave a volte si sorprendeva a guardarla all'improvviso, consapevole di averla fissata per minuti interi senza mai lasciarsi distrarre. Era particolare, bella come una bambola, il caschetto di capelli biondi le cui punte sfioravano appena il collo, la pelle di un bianco rosato abbagliante, il corpo minuto, i movimenti naturalmente eleganti. Dave era un bambino goffo, troppo alto per la sua età, troppo magro, coi piedi troppo grandi, le labbra sempre piegate in un broncio infastidito.
Quando papà era andato via, per qualche settimana - poco meno di un mese, in realtà - erano stati ospitati in un orfanotrofio, un bel posto, gestito dalle suore, nonne gentili e premurose che si occupavano di loro per la totalità del loro tempo, le figure più materne che Dave avesse mai incontrato sulla propria strada, e fin dall'inizio era stato chiaro per tutti che Rose sarebbe stata la prima ad andarsene. Molte delle coppie che venivano in visita la puntavano senza la minima esitazione, attratte dalla sua bellezza così perfetta e dalla luce particolare dei suoi occhi scuri, ma si ritraevano quasi tutte con imbarazzo evidente quando venivano a sapere che aveva un gemello. La maggior parte di loro non era interessata ad adottare due bambini, e l'idea di prendere solo lei lasciando lui indietro li metteva a disagio, motivo per il quale alla fine rinunciavano, dirottando verso un'altra scelta, ma era evidente che si trattava solo di una questione di tempo. Dave lo sapeva, se lo sentiva nelle ossa.
Anche Rose lo sapeva. Rose sapeva sempre un sacco di cose. Aveva sempre un sacco di strane sensazioni che poi, per un motivo o per l'altro, diventavano sempre realtà. Per prenderlo in giro, gli diceva che la carenza di cervello in lui era motivata dal fatto che in lei invece era stato riversato il doppio dell'intelligenza, ecco perché capiva sempre le cose anche molto prima che accadessero.
Rose leggeva negli sguardi della gente. Sapeva che tutte quelle persone che venivano in visita la volevano. Volevano lei e la sua bellezza e la sua naturale educazione e i suoi modi gentili e quel sorriso affabile che sbocciava improvviso e discreto come i fiori al primo sole della primavera, e sapeva che prima o poi sarebbe arrivato qualcuno al quale non sarebbe importato del fatto che lei avesse un gemello. Qualcuno che l'avrebbe portata via.
Una notte - dormivano insieme, vicinissimi, avevano avvicinato i loro lettini nel dormitorio per poter restare a chiacchierare sottovoce e guardarsi negli occhi fino a notte fonda; poi lei si addormentava, e Dave continuava a guardarla, sentendosi stringere il cuore in maniera netta, dolorosa - lei gli aveva detto "non preoccuparti, perché anche quando andrò via tornerò a cercarti".
Non le aveva creduto. Era la promessa di una bambina che si ostinava contro ogni legge genetica a crescere anzitempo, alle sue orecchie di bambino ancorato disperatamente all'infanzia non era suonata come niente più di un appello disperato, una di quelle cose che gli adulti dicono ai bambini senza crederci, nella speranza che una menzogna possa rassicurarli.
Si era sbagliato.
Inizialmente aveva pensato che anche il ricordo di Rose sarebbe scomparso, assorbito dai nuovi genitori e dalla nuova vita quotidiana, come nel tempo era facilmente scomparso anche il ricordo di mamma e papà, ma non era mai successo. Rose era persistente, il suo profumo era ovunque, riconosceva il suo viso nei volti degli altri.
Alla fine, invece di continuare a sperare che lei andasse via, si era rassegnato a lasciarla restare lì, sempre presente ma un po' in penombra, nascosta fra le pieghe della sua mente, silenziosa ma perfettamente visibile com'era sempre stata.
Ed era stato proprio allora che Rose aveva deciso di cominciare a cercarlo. E, ovviamente, l'aveva trovato.
C'era qualcosa di pericoloso in sua sorella. Dave aveva sentito fin da subito il bisogno quasi fisico di allontanarsi da lei contrapporsi a quello disperato di stringerla al più presto fra le braccia.
Era stata un'ondata di desiderio improvviso, irrefrenabile, gli era divampato dentro bruciando ogni cosa in pochi secondi. Turbato da quella sensazione mai provata prima, per molti secondi Dave era rimasto semplicemente a fissarla, consapevole del fatto che Rose dovesse aver sentito almeno un'eco di quelle fiamme.
Lei si era avvicinata, lo aveva abbracciato stretto, gli aveva accarezzato i capelli. Poi si era allontanata e l'aveva osservato a lungo, riempiendosi gli occhi della sua immagine fino a lasciargli tempo a sufficienza di scorgersi nel riflesso delle sue pupille.
"Ti ho cercato così a lungo," gli aveva sussurrato addosso, "Sono così contenta di vederti," aveva continuato, appoggiandogli entrambe le mani sul petto.
Seduto sul letto in camera propria, Dave aveva sentito sulla pelle il calore dei suoi polpastrelli nonostante i vestiti, aveva percepito la forza della sua presenza e, deglutendo, le aveva detto "Sarebbe meglio che non ci rivedessimo più."
Aveva sempre dato per scontato che anche per Rose fosse la stessa cosa, anche perché lei non ne aveva mai fatto mistero. Gli era sempre stata molto vicina, appiccicata. Avrebbe dovuto essere fastidiosa, forse, ma non lo era mai diventata. Dave percepiva un forte senso di appartenenza nei confronti del corpo di sua sorella. C'era una gravità particolare che li spingeva ad incontrarsi, anche senza malizia, fin da piccoli.
Quando mamma era ancora viva, ed entrambi vivevano ancora coi loro genitori, in quella grande casa col giardino in periferia, spesso in piena notte Rose sgattaiolava fuori dalle coperte e dalla propria stanza e percorreva in piccoli passi ansiosi il corridoio che separava le loro camere, intrufolandosi in quella di Dave silenziosa come un alito di vento. Era un'abitudine che aveva preso da quando i loro genitori avevano deciso che erano diventati troppo grandi per continuare a condividere una stanza. "State crescendo," aveva spiegato loro la mamma, mentre papà spostava le cose di Rose in lunghi viaggi avanti ed indietro per il corridoio, "Avete bisogno dei vostri spazi."
Per qualche motivo, i loro corpi non avevano mai sentito alcun bisogno di spazi differenti che non fossero quelli che già condividevano. Dave si era posto per qualche giorno una serie di domande sul perché di quell'improvviso cambiamento che nessuno dei due aveva richiesto, e poi la risposta era arrivata da sé, negli occhi preoccupati con cui la mamma li osservava interagire l'uno con l'altra, nel nervosismo che scorreva sulla pelle di papà quando si ritrovava ad osservarli giocare o parlare fra loro.
Erano strani, sbagliati, insieme facevano paura. Troppo vicini, troppo legati, troppo propensi a fermarsi all'improvviso nel mezzo di un gioco per guardarsi negli occhi e sfiorarsi lentamente da sopra i vestiti. Abbracci troppo lunghi e troppo stretti per poter essere sostenuti con lo sguardo.
Era la cosa più naturale del mondo, per loro. Ma solo per loro.
Rose si intrufolava in camera sua e Dave scostava le coperte, spostandosi lateralmente sul materasso per farle posto. Lei si sdraiava al suo fianco, si nascondeva contro il suo petto. Sotto le coperte, intrecciavano le gambe e si muovevano lentamente l'uno contro l'altra per minuti interi, solo per sentirsi meglio. Solo allora, soddisfatti e rassicurati, si addormentavano.
Durante la notte, papà entrava in camera. Prendeva Rose in braccio e la portava nuovamente in camera propria. Dave faticava a lasciarla andare.
Nel sonno, lei si aggrappava con forza al pigiama di papà, o lo stringeva al collo, strusciando il naso contro la sua spalla, adattandosi al suo calore, fra le sue braccia, contro il suo petto ampio nel quale i suoi contorni, nel buio, si nascondevano del tutto.
Dave lo odiava. Bruciato dalla gelosia, lo osservava allontanarsi di spalle dicendosi "se fossi grande abbastanza, mi riprenderei Rose, e lei starebbe sempre con me".
Non aveva mai dimenticato quel furore, quella rabbia cieca, quella sensazione così tremendamente spiacevole di odio assoluto nei confronti del mondo solo perché il mondo poteva facilmente avere ciò che a lui era esplicitamente negato per una ridicola questione genetica della quale comprendeva la gravità nonostante fosse solo un bambino.
Gli erano serviti anni per disintossicarsi. A Rose erano bastati solo cinque minuti per riportarlo indietro.
Rose viene al locale quasi ogni sera. Quando non c'è, Dave si chiede dove sia, e se lo chiede ossessivamente, come non riuscisse a far rientrare il particolare della sua assenza in nessuno schema logico comprensibile. E quindi è come se fosse lì. Rose sa come far pesare la propria assenza, ed a volte il senso di oppressione che Dave percepisce nei confronti del proprio sentimento per sua sorella è molto più pesante quando lei non è lì a sollevarlo con le sue dita aggraziate ed affusolate e le sue mani docili ed esperte.
Rose dà assuefazione, come qualsiasi altra droga. Dave la vuole quando non c'è, ed odia se stesso perché la vuole quando invece c'è.
L'unico momento in cui non ci pensa, in cui il pensiero smette di martellargli dolorosamente il cervello, è quando si toccano, quando si baciano, quando si premono insieme l'una contro l'altro e fanno l'amore. Quando riceve la sua dose, Dave sta bene. E' tutto il prima che lo tormenta, tutto il prima e tutto il dopo.
Le labbra di Rose si chiudono delicate sulla curva del suo collo, succhiando appena, mordendo piano e ricalcando poi i segni dei denti con la punta della lingua. Dave geme, gli occhi fissi sulla folla sotto di lui. Se qualcuno volesse soltanto alzare lo sguardo e cercare di capire cosa succede lì nell'ombra, li vedrebbe, e capirebbe tutto. Il pensiero gli dà un brivido di terrore e piacere insieme, ed è su questo che Rose conta. Sull'oscenità immorale di quel bisogno quasi primitivo, quella smania assoluta non solo di possedersi, ma di mostrare al mondo che sono una cosa sola, l'uno dell'altra.
Il loro è un sentimento sfacciato, privo di filtri. Dave se ne vergogna per questo. Perché, se solo potesse, non esiterebbe a stringere sua sorella, baciarla, scoparla di fronte a folle intere. Per urlare al mondo è mia. E' mia, solo mia. E godersi l'effetto di una rivendicazione di possesso che sogna fin da bambino, nel modo più sporco e intenso possibile.
Rose gli gira intorno, danza nell'ombra come il vento fra gli alberi, sfiorandolo appena ed inchinandosi per scivolare fra le sue braccia. La schiena contro la ringhiera, si preme tutta contro di lui, lasciandogli scivolare gli occhiali da sole giù dal naso. Dave si perde senza speranza negli occhi di sua sorella, e si lascia sfuggire dalle labbra un gemito che suona come un'implorazione.
- Rose, ti prego, no. - esala quasi controvoglia, giusto perché deve, mentre lei si struscia lenta contro di lui. Rose sorride, sfiorandogli le labbra in un bacio più lieve di una carezza.
- Smettila di continuare a respingermi. - gli sussurra comprensiva, - Ti fai solo del male.
- E tu non me ne fai? - quasi già cede lui, la fronte appoggiata contro la sua, gli occhi chiusi perché è meglio non guardarla, - Continui a farmi questo, anche sapendo che non possiamo.
- Ma a me non importa. - la voce di Rose è severa, il suo respiro sicuro contro le labbra di Dave, che torna a guardarla, gli occhi offuscati dal desiderio, - Tu sei mio. E quello che è mio lo prendo. Dovresti farlo anche tu, perché sei come me.
Le mani di Dave si staccano dalla ringhiera, le dita dolenti per lo sforzo, e scivolano lente lungo i fianchi di Rose, sollevando la gonna già corta sulle sue cosce di madreperla.
- Tu sei mia. - le sussurra addosso, i fianchi che dondolano contro i suoi mentre Rose dischiude le gambe per fargli posto contro di sé, e solleva una mano per accarezzargli una guancia.
- E allora prendimi. - gli risponde in un soffio, un gemito che le sboccia sulle labbra quando la sua erezione, che preme imponente contro il cavallo dei pantaloni, sfiora il tessuto già umido di voglia delle sue mutandine.
Rose si solleva da terra, arrampicandosi selvaggia lungo il corpo di Dave e stringendogli le gambe attorno ai fianchi per ancorarsi al suo corpo. Frenetico, lui la bacia, forzando le sue labbra con la lingua e cingendole la vita con un braccio per tenersela premuta contro, mentre con la mano libera si insinua fra le sue cosce, scostando le mutandine in un movimento spiccio, quasi brusco. Non la spoglia, non la assaggia ovunque, non la copre di baci e carezze, perché quello che sono, quello che fanno, non c'entra niente con la tenerezza, forse nemmeno con l'amore. E' l'impeto rabbioso e irrefrenabile di tornare una cosa sola. Dave vuole solo essere dentro di lei, adesso, e lei vuole solo che lui lo faccia, e getta indietro il capo, inarcando la schiena sinuosa mentre lui, slacciando i pantaloni ed abbassando la zip per liberare la propria erezione, sfiora la sua intimità con le nocche, eccitando il suo desiderio.
Scivola dentro di lei in un movimento fluido, quasi senza attrito. Il suo corpo ha un incastro speciale, dentro quello di Rose, le appartiene come un pezzo indipendente ma strettamente connesso del suo stesso organismo. Se esistono, al mondo, i luoghi dell'anima, Rose è senza dubbio il suo.
Si muove svelto dentro e fuori da lei, stringendosela contro mentre lei fa lo stesso. Nell'ombra, non si distinguono più i loro contorni. Dave fatica ad identificare i punti di contatto fra i loro corpi. Lo sono tutti, e nessuno di loro lo è, perché un contatto può essere tale solo fra due oggetti distinti. Loro si perdono e si mescolano l'una dentro l'altro, i punti di contatto sono punti di fusione, vibrano all'unisono, le voci che intonano la medesima sinfonia soffocata di ansiti e sospiri mentre vengono l'uno dentro l'altra, l'una attorno all'altro, confondendosi al punto da dimenticare perfino dove si trovano. Ed in un attimo, quell'angolo buio che sovrasta lo spettacolo multicolore di tutte quelle persone diverse che ballano al ritmo della stessa musica, quei pochi centimetri addossati a quella ringhiera, quel perimetro minuscolo che i loro corpi uniti insieme occupano, è uguale ai due letti che avvicinavano all'orfanotrofio per fingere che fossero uno solo, è uguale al letto in camera di Dave nel quale Rose sgattaiolava furtiva in piena notte, è uguale alle cullette talmente vicine da potersi sfiorare le dita fra le assi di legno, è il grembo materno, dove già vivevano insieme in pochi centimetri stretti in un abbraccio che la vita non sarebbe mai stata in grado di sciogliere.
Rose si prende il proprio tempo, prima di allontanarsi da lui. Gli accarezza i capelli e il viso, rassicurandolo mentre aspetta che il ritmo del suo respiro si faccia più regolare. Gli bacia la fronte, le guance, il naso, le labbra, il mento, le tempie. Poi scivola via dal suo abbraccio, osservandolo senza pudore mentre, pesante di vergogna, Dave si riveste sbrigativamente.
- Ti prego, - quasi singhiozza lui, quando la sente allontanarsi di qualche passo, - non tornare più. Quello che abbiamo non mi basta, e se è tutto quello che posso avere, allora non lo voglio.
Dandogli le spalle per abbandonare la stanza, lei nemmeno gli risponde.