Fandom: Originali
Genere: Introspettivo, Romantico, Drammatico, Fantasy.
Rating: NC-17
AVVISI: Angst, Incest, Het, Lemon.
- Delphine ha diciott'anni, ed è l'Oracolo delle Quattro Terre da quando ne aveva sedici, ma tutta la sua intera vita l'ha vissuta fra le stanze scavate dalla Natura nelle viscere della sua grotta di montagna e la piccola spiaggia dell'isola sulla quale la montagna sorge. Tutto cambia, però, quando riceve la visita di Demetrios, un giovane proveniente dalla vicina Città dei Cavalieri...
Note: Io sono una donna pessima XD Comunque, niente, questo è il mio tributo alla Veggente del COW-T, un personaggio che ho coccolato tantissimo e che soprattutto ho adorato scrivere, anche se a piccoli pezzi ogni volta. Questa versione del personaggio in realtà è molto più cupa di quella che potete trovare nelle intro del gioco, ma non è importante XD Il punto era riuscire a scrivere qualcosa che la celebrasse (essendo io l'unica ad amarla XD) e che potesse partecipare alla settimana bonus del COW-T :3
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RIDDLES OF THE HEART

Il sole era ancora alto nel cielo, quando il ragazzo si presentò a Delphine. La sua pelle era calda di sole e salata di mare, poteva sentirlo a dispetto dello spazio che li separava. Per lei, abituata a vivere costantemente segregata all’interno di quella grotta, concedendosi di uscire solo alla sera per i consueti rituali in onore di sua madre la luna, suo padre il cielo e sue sorelle le stelle, quelle sensazioni erano già troppo forti, perfino fastidiose. La sua pelle, sempre fresca e morbida a causa dell’ombra e dell’umidità nella caverna, percepiva il tepore di quella del ragazzo come una minaccia, e i suoi occhi ormai abituati al buio provavano un vivo fastidio nel posarsi sui toni ambrati della sua pelle da marinaio.
- Chi sei? – gli domandò freddamente, assisa sul proprio trono di pietra, - Dov’è il tuo capo villaggio? Sei troppo giovane per presentarti al mio cospetto, ragazzo. Il tuo viso – commentò, aguzzando la vista per scrutarlo più attentamente, - è ancora liscio come quello di un bambino.
- Senza offesa, Oracolo, - rispose il ragazzo, apparentemente privo del normale timore e dell’usuale reverenza con cui i rappresentati dei popoli delle isole circostanti si rivolgevano a lei, - ma voi non siete più grande di me. Anzi, ho ragione di credere perfino il contrario. Per tale motivo, ho ritenuto di potervi visitare io stesso, e se avrete la bontà di ascoltarmi—
- Non intendo farlo. – lo interruppe immediatamente lei, alzandosi in piedi in un gesto secco, - In tanti anni vissuti in questa grotta, mai nessuno aveva osato disturbarmi per questioni che non concernessero il popolo o la guerra. È inaccettabile.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, stringendosi nelle spalle come a volersi in qualche modo proteggere dal suo sguardo.
- Leggete nella mente? – domandò timoroso, - A questo punto sono forti i vostri poteri?
- Non leggo nella mente di nessuno, ragazzo. – ribatté lei con evidente fastidio, - La mia dote è una e una sola, ed è la capacità di ascoltare le stelle, la luna e la brezza della notte. Esse sussurrano la verità alle mie orecchie, dipingono il futuro davanti ai miei occhi, suggeriscono ai miei sensi il futuro delle nazioni, ma non mi permettono di scrutare fra i pensieri nascosti degli uomini.
- E allora come fate a sapere che si tratta di una questione personale? – chiese il ragazzo, sciogliendo i muscoli tesi di spalle e braccia e tornando a farsi avanti. Delphine sbuffò infastidita, sollevando la lunga tunica bianca ed argentata perché non la impacciasse nei movimenti mentre, silenziosa come una pantera, gli scivolava accanto e passava oltre la sua figura, per imboccare un tunnel sulla cui soglia si fermò un secondo, voltandosi a guardarlo.
- Se fosse stata una questione riguardante il villaggio dal quale provieni, sarebbe venuto il capo a parlarmi. – rispose con ovvietà, - Essi non indossano mai toghe corte al ginocchio e le loro guance non sono mai lisce. I loro capelli, quando ancora ci sono, sono candidi e corti, non scuri e lunghi come i tuoi. Segno di anzianità, segno di rispetto. Tu sei appena un bambino, non avrai più di—
- Vent’anni, Oracolo. – disse lui, muovendo un passo nella sua direzione, probabilmente intenzionato a seguirla. Delphine, oltraggiata, sollevò repentinamente una mano, e quel gesto fu sufficiente ad inchiodarlo sul posto.
- Non importa. – tagliò corto, - Torna a casa tua, ragazzo. Mi ritiro nelle mie stanze. Mi auguro, per il tuo bene, di non ritrovarti qui fuori, quando ne sarò uscita.
Addentrandosi nelle profondità del lungo tunnel che, scavando all’interno delle viscere della montagna, portava alla stanza più calda e asciutta della caverna, quella all’interno della quale riposava e viveva la maggior parte della sua solitaria vita, Delphine non poté che ammettere almeno con se stessa che il ragazzo, nonostante fosse comunque in torto, aveva avuto ragione su un punto.
Era più vecchio di lei.
*
Delphine aveva compiuto diciott’anni meno di un mese prima, ed era diventata l’Oracolo già a sedici anni, con la morte di Nausicaa, sua maestra e oracolo precedente. Era stata lei a crescerla, lei a raccontarle tutto ciò che la riguardava, tutto ciò che riguardava il mondo, l’universo intero, i movimenti dei pianeti e delle stelle, i capricci delle maree, i segreti che, uno spruzzo dopo l’altro, il mare sussurrava alla luna, solleticandola e corteggiandola e, molto più raramente, accarezzandola lì dove la sua curva si faceva più dolce e più intima, lì dove uno schizzo d’acqua poteva generare fertilità. O bambine, bambine come lei. Le figlie della notte, così le aveva sempre chiamate Nausicaa. Figlie del mare e della luna, nate dalla loro unione con la speciale capacità di riuscire a comprendere la voce della Natura. Con lo speciale dovere di vederne il futuro.
Parecchi erano i vantaggi di quella vita. La possibilità di non doversi dibattere fra i problemi terreni che assillavano le esistenze dei comuni mortali, ad esempio, o la straordinaria longevità che aveva lasciato andare Nasicaa solo al compimento dei centoquindici anni e che avrebbe probabilmente portato via ad una simile età anche lei, per non parlare dell’ovvia posizione di prestigio nella quale il solo essere una veggente la poneva. Ma assieme ai vantaggi arrivavano sempre anche gli svantaggi, ed uno di questi era la solitudine, l’impossibilità di sentire una voce amica o anche solo familiare a parte quella dei rappresentati dei popoli che periodicamente venivano a visitarla per chiederle di intercedere con questo o quell’altro dio per favorire il villaggio di appartenenza, almeno fino a quando la notte non avrebbe deciso di donarle una figlia, un’altra bambina che avrebbe magari trovato in riva al mare, addormentata dentro il mezzo guscio di un’enorme conchiglia a pochi passi dal bagnasciuga, proprio come Nausicaa aveva trovato lei.
La visita del ragazzo, così inaspettata, aveva portato il germoglio del dubbio a fiorire nella sua mente. Perché il vento non l’aveva avvisata del suo arrivo? Spesso accadeva, quando qualche capo villaggio si presentava al suo cospetto per un favore. Pur non avvisandola dell’imminente arrivo della persona, gli dei sussurravano al suo orecchio le vicende dei villaggi sulle isole più grandi che circondavano l’isolotto sul quale lei viveva, e spesso da quei racconti Delphine poteva ricavare le informazioni che le servivano per provare ad indovinare quando il visitatore sarebbe arrivato. Se dal villaggio dei maghi giungevano notizie di bufere di neve, era molto probabile che presto il loro capo si sarebbe fatto vivo per chiederle di intercedere presso il Dio del Tuono, implorando per un po’ di pietà e promettendo sacrifici in suo onore per propiziare la fine del maltempo in modo da non devastare i raccolti. E se invece dall’alto dei territori angelici, in cima ai monti sui quali le creature alate amavano rifugiarsi, giungeva notizia di un’epidemia, o di una moria di infanti, era logico supporre che presto un rappresentante del popolo sarebbe giunto sulla soglia della sua grotta per chiederle consiglio su come compiacere gli dei per fermare quel male oscuro.
Quella volta, invece, nessuna voce l’aveva avvisate, nessun dio s’era fatto sentire per metterla nelle condizioni di predire l’arrivo di quel giovane. E questo la preoccupava, perché poteva significare soltanto una cosa: forse gli dei e le forze della Natura non si fidavano più di lei abbastanza da sussurrarle confidenze come avevano fatto fino a poche settimane prima.
Il patto andava rinnovato.
Dopo essersi sommariamente stiracchiata e sistemata la tunica sul petto e sui fianchi, si sollevò dal proprio giaciglio e tese l’orecchio. Il rumore del mare era forte, doveva esserci vento, e probabilmente anche alta marea. Era un bene, erano quelle le notti in cui i poteri delle forze della Natura si facevano enormi, e ogni angolo dell’isola risuonava della voce degli dei.
Raggiunse il ricco cassettone in legno che le era stato donato da una delle nobildonne del popolo dei cavalieri dopo che, con una profezia, aveva predetto che suo figlio si sarebbe distinto in battaglia e non sarebbe morto prima di dare un erede maschio alla sua famiglia, e da uno dei cassetti tirò fuori un pugnale avvolto in un fazzoletto bianco finemente ricamato. Lo svolse, osservandolo brillare di riflessi di fuoco alla luce delle torce accese in ogni angolo a rischiarare l’ambiente. Il manico di pesante cristallo e la fine e affilatissima lama in mithril brillarono per un attimo del bagliore delle stelle, prima che lei si decidesse ad impugnarlo e poi nasconderlo fra le pieghe della lunga veste che indossava, per poi voltare le spalle alla propria stanza ed imboccare il tunnel fino all’entrata della caverna.
Il ragazzo, naturalmente, era scomparso. Fuori dalla grotta, la notte era grande e scura. Delphine non ne aveva paura. Con un sorriso, sfilò i calzari e si avventurò a piedi nudi sulla piccola spiaggia antistante la caverna, cercando di trattenere il desiderio infinito che aveva di gettarsi a mare ancora vestita, tanto era forte la voglia di lasciarsi cullare un po’ dal tiepido abbraccio del padre che l’aveva messa al mondo prima che Nausicaa la trovasse.
Dominò il proprio istinto con fermezza, come Nausicaa le aveva insegnato a fare per tutte le pulsioni del corpo e dell’anima che, per un motivo o per l’altro, non era opportuno che un Oracolo riuscisse a soddisfare, e giunta in riva al mare appoggiò per qualche istante il pugnale sulla sabbia per sfilarsi di dosso la tunica, lasciandola ricadere a terra con un fruscio appena udibile sotto il ruggito delle onde che, adesso, sembravano avventarsi furiosamente sul bagnasciuga nel tentativo di riuscire ad afferrarla per le caviglie sottili e trascinarla fra i flutti.
- Eccomi, padre. – disse a bassa voce, il sorriso che le si allargava sulle labbra mentre i suoi occhi si facevano opachi e ben presto si ingrigivano come coperti da una patina protettiva. Era questa la sensazione che cercava mentre, dopo essersi chinata a recuperare il pugnale, entrava in acqua un passo dopo l’altro, sentendo le onde risalire lungo le sue gambe come le mani di un amante affamato. Sentirsi un tutt’uno con la Natura, percepire le sue mani farsi strada sulla sua pelle, attorno a lei, dentro di lei, lasciarle spazio fra le gambe perché potesse possederla con la furia del mare in tempesta infiammandole lo spirito e il corpo, elevandola verso il cielo fra le braccia dei cavalloni spumosi che si scavalcavano l’uno con l’altro abbattendosi sulla spiaggia in una sinfonia di scricchiolii, gemiti e ringhi animaleschi che si insinuavano sempre più profondamente dentro il suo corpo, rinvigorendo il suo legame con gli dei.
Persa nell’estasi, rovesciando il capo all’indietro, la schiena piegata a formare un arco perfetto mentre la pallida luce della luna si rifletteva sulla pelle chiarissima e bagnata dei suoi seni e del suo ventre, Delphine sollevò il suo pugnale e stese l’altro braccio, lasciando scivolare la punta della lama sulla pelle umida dal polso all’interno del gomito, pressando a sufficienza per aprire un lieve squarcio ma non abbastanza da ferire le vene annidate più in profondità. Subito, il sangue prese a scorrere, scivolando in rivoli sempre più ampi lungo il suo braccio e poi piovendole addosso come durante un temporale, imbrattandole il ventre e il petto. Delphine sollevò il braccio e poi piegò il polso all’altezza della propria bocca, e bevve un sorso del proprio stesso sangue prima di immergere il braccio in acqua, il corpo vibrante di piacere e del dolore provocato dal vivo bruciare della ferita attaccata dalla salsedine.
- Il sacrificio di sangue è compiuto! – gridò, la voce rombante come un tuono, volgendo il proprio sguardo vuoto alla luna, - Parlami, madre! Tua figlia ti invoca!
E fu proprio mentre la luna sembrava sorriderle materna che qualcosa o qualcuno la strappò all’abbraccio del padre, afferrandola per le spalle e trascinandola via di peso. Delphine spalancò gli occhi, improvvisamente cosciente, e strillò, accecata dal dolore al braccio. Si dimenò, scalciando ed agitandosi disperatamente mentre il suo rapitore la afferrava più saldamente per la vita con un braccio e cercava di tenerla ferma con l’altro.
- Ma che cosa avete fatto?! – disse lo sconosciuto, e la voce era quella di un ragazzo, - Siete ferita!
- Lasciami! – gridò Delphine, piantando le unghie nell’avambraccio del miscredente, - Come hai osato interrompere il rituale?! Possano gli dei maledirti! Possa la furia degli elementi abbattersi su di te, fare strage della tua famiglia, devastare il tuo villaggio, possa tu— ah!
Il ragazzo la gettò in terra, stremato, accasciandosi sulla sabbia al suo fianco, ansante. Il mare, in un ringhio sommesso, sembrò ritirarsi, sconfitto.
- Sareste sicuramente morta. – ansimò lo sconosciuto, cercando di riprendere fiato. Delphine lo guardò, cercando di fare mente locale. Era il ragazzo che era venuto a chiederle udienza quella mattina. Dunque, non era ripartito. – Quanto a maledire la mia famiglia, fossi in voi ci penserei bene.
- Perché? – domandò lei, aggrottando le sopracciglia, senza riuscire a trovare le forze per mettersi quantomeno a sedere. Il braccio le stava dando il tormento. Il bruciore sembrava divorarla da dentro, come una malattia sconosciuta. Non sarebbe riuscita a rimanere presente a se stessa ancora per molto.
- Perché ne fate parte anche voi. – sussurrò il ragazzo, ravviandole una ciocca di capelli bagnati sulla fronte. Ma lei non riuscì a sentirlo. Era già svenuta.
*
Riprese conoscenza solo molte ore dopo, e nello scrutare il soffitto della propria stanza all’interno della caverna non si stupì: pensò di essersi addormentata ed aver sognato tutto, compreso il rituale, e probabilmente quel sogno era stato in realtà voluto dagli dei stessi, che magari in quel modo avevano cercato di suggerirle che fosse arrivato il tempo di rinnovare il patto che la legava a loro. Ma man mano che i minuti passavano Delphine tornava sempre più presente a se stessa, e non passò molto tempo prima che riuscisse a ricostruire passo dopo passo tutto quello che era successo: aveva dormito, sì, poi s’era svegliata, aveva recuperato il proprio pugnale ed era andata in riva al mare, dove il rituale, o almeno parte di esso, aveva avuto luogo, finché quel ragazzo spuntato dal nulla non era arrivato ad interromperlo.
Le bruciava il braccio. Provò a sollevarlo per dargli un’occhiata, ma lo ritrovò completamente avvolto in un pesante bendaggio talmente stretto da mozzarle la circolazione dell’avambraccio intero. Dovette aprire e chiudere le dita un paio di volte per riuscire a svegliarle, e si concesse una smorfia infastidita mentre le sentiva formicolare a causa del sangue che aveva ripreso a scorrere sotto la pelle grazie al movimento al quale le aveva costrette.
- Vi siete svegliata. – disse il ragazzo. Delphine si voltò a guardarlo, aggrottando le sopracciglia e storcendo le labbra in segno di disgusto e offesa.
- E tu sei ancora qui. – disse tetra, - Le mie maledizioni non ti sono sembrate sufficienti? Posso ben inventarne di peggiori. – lo minacciò, - E più efficaci.
- Sareste morta, se non vi avessi salvato! – disse il ragazzo, alzando la voce. I suoi occhi sembravano brillare di una luce più intensa, adesso, ma era probabile che fosse solo un effetto ottico causato dalla danza delle fiamme delle torce nelle sue iridi castane.
- No, morirò se non allenti questa fasciatura il prima possibile! – ritorse lei, alzando a propria volta la voce e porgendogli il braccio, - Guarda le mie dita, stanno già perdendo colore!
Il ragazzo sembrò arrossire all’improvviso, mentre si alzava dalla sedia sulla quale aveva preso posto e si avvicinava al letto, inginocchiandosi sul pavimento ed adagiando il braccio di Delphine sul materasso di pagliericcio per svolgere la fasciatura e riavvolgerla meno strettamente.
- Mi dispiace. – disse contrito, - Ma non sono un cerusico. Non sapevo come richiudere la ferita e perdevate molto sangue.
- La ferita si sarebbe richiusa da sola, se mi avessi lasciato portare a compimento il rituale mistico, come è sempre successo. – spiegò lei, sollevando il braccio ora che era nuovamente in grado di piegarlo e controllando che le dita stessero cominciando a riprendere colore. – Cosa ci fai ancora qui? Ti avevo detto esplicitamente di non farti più vedere.
- Non potevo andare via senza essere riuscito a parlarvi. – le disse a bassa voce, restando inginocchiato accanto al letto e sporgendosi verso di lei per cercare di attirare la sua attenzione, - Voi dovete ascoltarmi.
- No, io non devo. – rispose freddamente lei, mettendosi a sedere, - Mi hai sottratta al mio rituale. È un sacrilegio. Il mio pugnale sacro si è perso fra i flutti. È un altro sacrilegio. Sai cosa dovrei fare? Dovrei ucciderti, qui ed ora. Dovrei prendere la mia spada e trafiggerti, e offrire il tuo sangue agli dei per espiare il tuo peccato mortale.
- Vi prego… - uggiolò lui, tenendosi la testa fra le mani, - Vi prego, Delphine, voi dovete—
- Non chiamarmi col mio nome! – strillò immediatamente lei, afferrandolo per un braccio e strattonandolo violentemente, - Come osi?! Non ti sei neanche presentato, eppure ti permetti di usare il mio nome di battesimo?! Sono l’Oracolo, per te! Niente di più, e niente di meno!
- Io mi chiamo Demetrios. – si presentò lui, lo sguardo basso. E poi, come se si trattasse di un segreto, a bassa voce aggiunse: - E quello non è il vostro nome di battesimo.
Delphine lo lasciò andare, fissandolo con rabbia.
- Che cosa hai detto? – chiese tagliente. Demetrios inspirò profondamente e poi sollevò lo sguardo, fronteggiando il suo così pieno d’odio da bruciargli sul viso.
- Delphine non è il tuo nome di battesimo. Il tuo vero nome è Sophie. – si inumidì le labbra, esitando appena prima di proseguire, - E sei mia sorella.
- …adesso basta! – gridò Delphine, gettando le gambe giù dal letto in un movimento repentino ed afferrando nuovamente il ragazzo per un braccio, costringendolo ad alzarsi in piedi, ed osservandolo mentre, di fronte al suo corpo lasciato nudo dalle coperte che le erano scivolate via di dosso nel movimento, distoglieva lo sguardo, arrossendo imbarazzato, - Ho sentito sciocchezze a sufficienza, per oggi! Esci immediatamente da questa caverna! Abbandona quest’isola e torna a casa tua, se vuoi avere salva la vita, o l’ira degli dei si abbatterà su di te molto più violentemente di quanto adesso stia facendo la mia!
- Aspettate… - cercò di fermarla Demetrios, opponendo alle sue spinte tutta la resistenza che poteva, - Delphine, dovete… Sophie, ascoltami!
- Non chiamarmi Sophie! – gridò ancora lei, spingendolo fino a farlo cadere per terra ed afferrandolo per i capelli per trascinarlo di peso fuori dalla grotta, mentre sul suo bendaggio cominciavano ad affiorare macchioline di sangue lungo una linea vagamente dritta. La ferita sul braccio stava riaprendosi, ed il dolore che scaturiva da quel taglio non faceva che rendere la sua rabbia ancora più cieca e violenta.
- Sophie! – urlò lui, afferrandola per un polso per cercare di fermarla, - Stai ricominciando a sanguinare!
- Smettila! – strillò la veggente, lasciandolo andare per coprirsi le orecchie con entrambe le mani, chiudendo gli occhi con tanta forza da vedere bianco e farsi dolere le tempie, - Smettila, smettila, smettila! Non voglio sentirti! Smettila di chiamarmi Sophie, vai via, lasciami sola!
- Sophie! – insistette lui, alzandosi in piedi ed afferrandola per le spalle, - Non comportarti da bambina, devi ascoltarmi! Ho viaggiato a lungo solo per venire qui da te, sperando di poterti parlare! È stato dunque un viaggio vano, il mio?
- Basta! – singhiozzò lei, le gambe che cominciavano a cedere mentre grosse lacrime gonfie di stanchezza rotolavano lungo le sue guance arrossate, - Basta, ti prego, non voglio sentire!
- Sophie, ti scongiuro, ascoltami. – disse lui, più dolcemente, - Mia madre Eleni e mio padre Artemas mi hanno parlato di te, di una sorella che avevo e di cui non ricordavo niente. Mi hanno detto di averla perduta, un giorno, di averla lasciata alla nutrice perché col suo latte se ne prendesse cura, visto che mia madre già non ne aveva avuto a sufficienza per me e rischiava di non avere per lei neanche quel poco che mi aveva dato alla nascita…
- No… - pigolò Delphine, riprendendo a scuotersi e dimenarsi per cercare di sottrarsi alla sua stretta, - No, non voglio sentire!
- Quella bambina fu rapita… Sophie, ascoltami! – ripeté lui, stringendola con rinnovata forza per le spalle mentre lei ricominciava ad urlare, la voce ormai arrochita dai nervi e dal pianto, - E non ne abbiamo più saputo niente fino a quando mia madre non ha ricevuto in sogno la visita della Dea della Luna che le rivelava che sua figlia era ancora viva… ed eri tu, Sophie.
- No! – strillò Delphine, scuotendo il capo con tanta forza da far turbinare attorno alla testa i lunghi capelli biondi ancora umidi di mare e crespi di salsedine, - No, stai mentendo! Non voglio sentire, stai mentendo!
- Sta’ buona! – disse lui, stendendola nuovamente sul letto e cercando di tenerla ferma utilizzando tutto il proprio corpo, mentre lei strillava sempre più forte e gli tempestava il petto di pugni sempre più deboli, - La prova, Sophie, ho la prova. Quella bambina aveva una voglia a forma di mezzaluna sull’interno della coscia sinistra. – scivolò con una mano fra le sue gambe, cercando di convincerla a schiuderle ed ottenendo in cambio solo cieca resistenza. Per un minuto, i suoi pugni tornarono a farsi più forti, mentre lui li accoglieva tutti sul proprio petto senza fare una piega, la mano ancora immobile fra le sue cosce, a premere lievemente per invitarle a separarsi senza per questo doverle forzare a farlo. – Era proprio qui. – disse in un sussurro, la mano che risaliva appena, affondando nel solco che le sue gambe producevano così serrate attorno al suo polso, ed accarezzando distrattamente alla cieca il punto vago in cui la voglia avrebbe dovuto trovarsi.
Lentamente, carezza dopo carezza, il corpo di Delphine si fece più debole, così come le sue proteste. Le forze l’abbandonarono e le sue gambe si dischiusero, centimetro dopo centimetro, permettendo a Demetrios di guardare ed accarezzare anche con gli occhi ciò che fino a quell’istante aveva soltanto percepito con l’immaginazione sulla punta delle dita.
La voglia era lì. Demetrios la sfiorò ancora una volta e poi si scostò dal corpo della sorella, rotolando giù dal materasso e rimettendosi in piedi, imbarazzato.
- Chiedo perdono, Sophie. – disse dopo essersi schiarito la voce, - Non sapevo in che altro modo convincerti.
Delphine piangeva ormai in silenzio, gli occhi spalancati e vuoti ed il corpo abbandonato come senza vita. Demetrios sospirò, chinandosi su di lei e coprendola con cura, prima di lasciarle un lieve bacio sulla fronte e rimettersi dritto.
- Vattene via. – sibilò lei, e la sua voce sembrava provenire dalle profondità della caverna invece che dal suo corpo, - Non voglio vederti mai più.
Demetrios sospirò, scuotendo il capo.
- Ti lascio un po’ da sola per riflettere. – le disse in tono rassicurante, - Sarò qui fuori, in riva al mare, quando vorrai venire a parlarmi. Non ti lascerò qui da sola.
Delphine chiuse gli occhi ed altre due lacrime scivolarono lungo le sue guance, rotolando fino al cuscino sul quale il suo capo era poggiato e finendo intrappolate fra le fibre della fodera.
Non gli disse che, in tutti gli anni che aveva passato da sola in quella grotta, non aveva mai sofferto come nei pochi minuti che invece aveva passato con lui. Non c’era bisogno di dirlo ad alta voce. Demetrios lo sapeva già.
*
Uscì che già albeggiava. S’era avvolta in una delle proprie lenzuola, drappeggiandosela attorno alle spalle e ai fianchi come una tunica, ed aveva percorso a piedi nudi tutto il tunnel che la separava dall’uscita della grotta. Il terreno pietroso e irregolare le aveva ferito la pianta dei piedi, scorticandole la pelle sotto le dita e sui talloni, ma non le era importato. Il braccio bruciava ancora così violentemente da impedirle quasi di accorgersi di qualsiasi altra cosa.
La sabbia fresca era stata per un attimo di sollievo alle sue ferite, ma poi, quando i granelli avevano cominciato ad insinuarsi dispettosi nei tagli ancora aperti, il dolore aveva preso a tormentarla anche lì, e stare in piedi non era più stata un’opzione.
Non ci aveva messo molto ad individuare Demetrios. Seduto in riva al mare, appoggiato di spalle allo scafo della propria barca, sonnecchiava come un bambino ostinato che non volesse addormentarsi. La sua testa ciondolava aritmicamente, penzolando verso il basso fino a sfiorargli il petto e poi all’indietro fino a sfiorare il legno scheggiato delle assi che, sostenendo il suo peso, gli impedivano di rovinare lungo disteso sulla sabbia. Gli si avvicinò, stringendosi addosso il lenzuolo per ripararsi dalla brezza del mattino che schiaffeggiava la spiaggia ed anche il suo viso. Il mare sembrò ritrarsi al suo passaggio, e Demetrios quasi non si accorse della sua presenza finché non la vide sedersi sulla sabbia al suo fianco.
- Immagino che avrai molte domande da pormi. – le disse, dopo essersi schiarito la voce. Delphine si strinse nelle spalle. – Io ne avrei. – insistette Demetrios, - In realtà ne ho anche adesso.
- Io non sono una persona curiosa. – disse lei, - Ma risponderò alle tue domande, se vorrai pormele. Non c’è molto altro che sappia fare. Rispondere alle domande è il mio unico compito.
Demetrios si inumidì le labbra, annuendo distrattamente.
- Cos’è che stavi facendo, prima, in mare?
Delphine sorrise appena, accarezzando con lo sguardo la superficie dell’acqua.
- Era un rituale sacro. – spiegò, - Io non sono altro che una sacerdotessa, in fondo. Solo che, invece di dedicare la mia vita all’unico scopo di servire un solo dio del pantheon, l’ho dedicata ad udire la voce di tutti loro, e della Natura che è madre loro e nostra. Questo, però, posso farlo solo quando il mio legame con loro è stretto e forte. E tale legame, di tanto in tanto, va rinvigorito. – scrollò le spalle, - Compio sacrifici di sangue allo stesso modo in cui li compiono anche i capi dei vostri villaggi. Solo che loro utilizzano sangue di agnello, o di altre bestie consacrate, mentre io uso il mio.
Demetrios ascoltò con molta attenzione, annuendo di tanto in tanto.
- E ne vale la pena? – chiese quindi, scrutandola incuriosito, - Per cosa, poi? Per udire il sussurro del vento? Non è che un soffio d’aria fra le pareti della tua grotta.
- D’altronde, - ribatté Delphine con un mezzo sorriso, - anche la tua voce non è che un soffio d’aria fra le pareti della tua gola.
Demetrios ristette qualche secondo, colpito dalla considerazione.
- Sembri crederci profondamente. – disse quindi, - Non ti nascondo che io invece ho parecchie difficoltà a credere nell’importanza dell’intervento divino nelle vite degli uomini. O… a credere nell’esistenza degli dei, in realtà. – aggiunse con un mezzo sospiro, - I miei genitori non fanno che rimproverarmi, per questo.
- Ed hanno ben ragione di farlo. – annuì Delphine, - Le divinità non sono meno reali della luna e delle stelle, o della sabbia che puoi toccare con le dita. – spiegò, giocando con le mani fra i granelli pesanti d’acqua di mare e di umidità notturna, - E questo perché tutte queste cose sono state create dagli dei. Come me e te, come tutto il resto. C’è un pizzico di divinità in ognuno di noi. Un pizzico dello splendore del creato brilla negli occhi di noi tutti.
- È un modo molto romantico di vedere la realtà. – ridacchiò amaramente lui, stendendo le gambe per sgranchirsele e stiracchiandosi pigramente, - È evidente che le tue mani non hanno mai conosciuto il peso di un’accetta, o di un aratro a versoio. Forse la penseresti diversamente se, come me, avessi passato i primi dieci anni della tua vita a cogliere pomodori in estate, e gli ultimi dieci a seminare i campi perché quei pomodori da raccogliere potessero nascere.
- Non posso rispondere a questo. – aggrottò le sopracciglia lei, stringendo le ginocchia al petto, - Non è mai stata la mia vita, quella.
- Ma avrebbe dovuto. – annuì Demetrios, - Al fianco dei nostri genitori. Al fianco di tuo fratello. Sophie, tu—
- Non parliamo di questo. – lo interruppe severa, alzandosi in piedi. I lineamenti del suo viso, tesi e nervosi, si sciolsero in un breve sorriso quando tornò a rivolgersi a lui, tendendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi. – Dormi con me. – disse, - Non ho chiuso occhio, stanotte, ed è evidente che anche tu sei stanco. E io non ho sentito calore umano sulla pelle per troppo tempo, per non chiederti di darmene un po’ adesso.
Demetrios strinse la sua mano nella propria, accettando l’aiuto ed alzandosi in piedi.
- Me lo chiedi come una sorella lo chiede ad un fratello? – domandò incerto, mordicchiandosi un labbro. Delphine abbassò lo sguardo, inspirando profondamente.
- Te lo chiedo come lo chiederei a mio fratello se potessi accettare di averne uno, sì. – annuì, tornando a guardarlo. – E tu, come un fratello che può accettare una sorella che non crede in lui, pensi di poterlo fare?
Demetrios sorrise appena, accarezzandole il viso e ravviandole una ciocca di capelli dietro un orecchio.
- Sì, penso di sì. – annuì, lasciando che lei stringesse nuovamente la sua mano, intrecciando le proprie dita con le sue per condurlo di nuovo all’interno della grotta e lungo il tunnel fino alla camera da letto.
Una volta lì, la sola vista del letto fu sufficiente per cancellare quelle poche remore che ancora lo infastidivano: tra i preparativi per il viaggio e il viaggio stesso, per non parlare dell’ultima notte passata all’addiaccio sulla spiaggia, non dormiva da tre giorni.
Sbadigliando profondamente, si liberò delle vesti logore che indossava, talmente impregnate d’acqua salmastra da esserglisi quasi irrigidite addosso, come un’armatura, e scivolò fra le coperte, mentre Delphine si affaccendava per la stanza, muovendosi pigramente attorno al letto e verso l’enorme cassettone che occupava quasi un’intera parete. La sua ombra lunga e scura si proiettava sul letto, proprio accanto a Demetrios, nel posto che, fra pochi istanti, avrebbe occupato il suo corpo.
- Che stai facendo? – le chiese con un filo di voce, gli occhi pesanti e la testa già affondata per metà nel cuscino.
- Brucio un po’ di incenso. – rispose lei con un sorriso rassicurante, - Ci aiuterà a riposare meglio.
Demetrios annuì senza pensarci. L’odore dell’incenso già cominciava a diffondersi per la stanza, rilassando i suoi sensi ed aiutandolo a distendersi meglio, rilasciando tutta la tensione accumulata negli ultimi giorni.
Si consentì di chiudere gli occhi ed addormentarsi solo quando sentì il calore rassicurante di sua sorella Sophie al proprio fianco.
*
Il Dio del Mare le si presentò per la prima volta sotto forma umana. La sua pelle era chiara, quasi trasparente, e Delphine poteva vedere affiorare il reticolo sottile delle sue vene e dei suoi capillari soprattutto in corrispondenza dei polsi, del collo e delle caviglie. Non ebbe il tempo di stupirsi della stranezza di quella visione – il Dio del Mare le si era presentato in sogno così di rado, ed ogni volta era stato sotto forma di un’onda, più spesso di un enorme dragone verde e azzurro, mai con l’aspetto di un uomo nel fiore degli anni – che l’essere immediatamente le si avvicinò, scrutandola con severità. Era altissimo, e molto più grande di un uomo normale, sebbene la sua statura non fosse equiparabile a quella dei giganti della cui esistenza si favoleggiava nei libri di mitologia antica dei quali la biblioteca della sua maestra Nausicaa era piena.
Quando l’essere sollevò una mano, Delphine fu quasi spaventata da quanto fosse grande. Le accarezzò una guancia e, al suo tocco, la veggente rabbrividì, scossa da quanto fosse fredda e umida la sua pelle. Allo stesso tempo, però, l’odore fortissimo di mare e di sole che avvolgeva la sua persona le strinse lo stomaco in una morsa bollente, avvincendola con tanta forza e così all’improvviso da impedirle di trattenere il gemito che, sbocciando nel fondo della sua gola, fiorì sulle sue labbra, portandola a dischiuderle.
Il Dio la degnò solo di una mezza occhiata, prima di chinarsi su di lei e baciarla profondamente, con foga, stringendola alla vita con un braccio mentre l’altra mano scivolava lungo la sua coscia, disegnando una traccia umida e lievemente vischiosa dal suo ginocchio ai suoi fianchi. Delphine gemette ancora, sentendosi come immersa in acqua fin sopra i capelli. Le mancava l’aria, e per quanto tentasse di allontanarsi dal Dio per riprendere fiato tutti i suoi sforzi sembravano vani. Lui le lasciava modo di scostare le labbra dalle proprie per qualche secondo, fra un bacio umido e aperto e l’altro, ma l’aria che Delphine riusciva ad inspirare, facendole spazio a forza nei polmoni apparentemente ingolfati d’acqua, non sembrava mai sufficiente per smettere di annaspare come stesse annegando.
- Abbandonati a me. – disse il Dio. La sua voce era cupa e rombante come l’eco che l’acqua produceva rifluendo nelle profondità della sua grotta durante l’alta marea. – Abbandonati a me, Sophie.
- Sì… - ansimò lei, schiudendo le cosce e lasciandosi accarezzare da quelle dita così umide e così grandi, - Sì, mio signore… Sono tua figlia, tua sorella, tua sposa. – deglutì a fatica, gettando il capo all’indietro e inarcando la schiena con un urlo di piacere quando le dita del Dio forzarono la sua apertura, frugando profondamente dentro di lei. – Sono tua.
Non si accorse nemmeno che lui continuava a chiamarla Sophie.
*
Spalancò gli occhi sul soffitto della caverna, rischiarato dalle luci delle torce. Riusciva a vederlo bene, nonostante i capelli di Demetrios fossero ovunque. Come il suo corpo, steso sul suo fino a coprirlo quasi del tutto. Come le sue dita, affondate fra le sue cosce, dentro di lei. Le mancò il fiato per un secondo, spalancò gli occhi, appoggiò le mani alle sue spalle e, inorridendo, lo allontanò lievemente da sé, fermamente intenzionata a sferzarlo con un’occhiata talmente severa e disgustata da fargli passare di mente qualsiasi altro osceno proposito avesse in serbo per lei, per loro due, quella notte.
Non riuscì a guardarlo, però, perché Demetrios aveva gli occhi chiusi. Di più, le sue palpebre erano talmente serrate e pesanti da non lasciare dubbi su quella che era la realtà dei fatti: dormiva. Sognava. Come aveva dormito e sognato lei fino a quel momento. La sua visione, il Dio del Mare, quelle dita umide e scivolose, quella pelle così bagnata e salata di mare… non era il sapore del suo dio, quello. Era il sapore di Demetrios.
- Fermo! – gridò, premendo con più forza le proprie dita contro le sue spalle. Demetrios spalancò gli occhi, il respiro accelerato e affannoso, e perse immediatamente la propria presa sui suoi fianchi. Il suo corpo, che fino a quel momento le era sembrato così pesante, tanto da soffocarla, tornò all’usuale leggerezza dei suoi magri vent’anni, e fu semplice ribaltarlo e spingerlo oltre il bordo del letto.
Stringendosi al petto il lenzuolo, sudata, scarmigliata e sconvolta, Delphine lo osservò rotolare sul pavimento ed afferrare istintivamente i propri vestiti abbandonati su una spoglia seggiola poco distante, per coprire la propria nudità. Il fuoco delle torce illuminava le sue guance di bagliori rossastri, e gli faceva brillare gli occhi, che la scrutavano ansiosi e sgomenti, scuri ed enormi.
- Sophie—
- Non chiamarmi così! – gridò ancora lei, stringendosi il lenzuolo al petto con rinnovata decisione, - Come hai osato mettermi le mani addosso? Sono una sacerdotessa vergine! Sei mio fratello! Questo è ben più di un sacrilegio, questo è un abominio, contro gli dei, contro la Natura, contro l’ordine intero dell’universo!
- Scusa! – disse lui, inginocchiandosi al sui capezzale come un penitente di fronte al suo trono di pietra, - Perdonami, io non— non ero cosciente, credevo—
- Non m’importa cosa credevi! – strillò Delphine, arrossendo e distogliendo lo sguardo perché il rimprovero che stava facendo a lui avrebbe dovuto essere valido in primo luogo per lei. – Vattene via. – concluse in un mezzo singhiozzo sconvolto, coprendosi il volto col lenzuolo, la vergogna e l’imbarazzo che le bruciavano sulla pelle al punto che, se avesse potuto, se la sarebbe volentieri strappata di dosso come un vestito logoro e vecchio.
Non lo vide andare via, ma nel momento in cui l’odore fortissimo della sua pelle abbandonò la stanza, seppe che non l’avrebbe più rivisto, e per la prima volta desiderò poter tornare indietro, e ricominciare tutto da capo.
*
Non credeva che avrebbe più avuto il coraggio di uscire dalla propria grotta, ed invece dopo qualche ora passata nella più totale solitudine, a non ascoltare altro che il suono delle gocce di umidità che, negli anfratti più vicini alla scogliera della caverna, dal tetto si precipitavano fino al pavimento, infrangendosi al suolo con uno schiocco netto come il suono di uno schiaffo, non riuscì a tollerare oltre di rimanere confinata in quel posto.
Si alzò in piedi, concedendosi una smorfia schifata quando, muovendo i primi passi a piedi nudi attorno al letto, si sentì sporca e appiccicaticcia fra le cosce. Tracce tremendamente evidenti del passaggio delle dita di Demetrios sul suo corpo le erano rimaste addosso. Bruciavano. Le davano il tormento.
Recuperò una brocca d’acqua e si ripulì con cura, passando la delicata spugna naturale con cui si lavava su tutta la superficie del proprio corpo, gemendo di piacere al morbido contatto con la sua pelle bisognosa di carezze e premure. Si sentiva così indolenzita, così turbata. Non era mai stata così in ansia, in tutta la sua vita.
Sciacquò anche i capelli, ancora gonfi e pesanti d’acqua di mare. Lavò via il sale ed intrecciò alle ciocche tornate lisce e lucide alcuni fiori che aveva raccolto un paio di notti prima lungo la scogliera. Fiori semplici, nati sulla pietra e, contro ogni previsione, sbocciati fino a riempire l’aria del loro profumo.
Indossò la tunica ed i calzari e, zoppicando lievemente per le ferite ancora aperte sotto le dita, si incamminò lungo il tunnel, soffermandosi per un attimo sulla soglia della caverna, abbagliata dalla luce del sole, prima di uscire sulla spiaggia, cercando di schermarsi il viso con un braccio. Non doveva essere molto più tardi di mezzogiorno, e l’aria era piena solo del suono dolce delle onde che s’infrangevano contro il bagnasciuga, e di quello più acuto e stridulo delle urla dei gabbiani a pesca sul pelo dell’acqua.
Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di abituarsi a tutta quella luce. I colori della natura erano sgargianti e violenti, quasi insopportabili, ma bellissimi.
Quasi insopportabile, ma bellissimo. Fu la stessa cosa che pensò nel posare gli occhi sulla figura di Demetrios, immobile accanto alla propria barca, ad una decina di metri da lei.
- Cosa ci fai ancora qui? – disse, gelida come l’inverno, pietrificata dove si trovava, a pochi passi dall’ingresso della sua caverna. Demetrios le si avvicinò molto lentamente, dandole modo di vederlo meglio man mano che avanzava. Era bagnato fradicio. Fra le mani stringeva il suo pugnale sacrificale, quello che credeva di aver perso fra i flutti durante il rituale che lui aveva interrotto. Si muoveva barcollando, quasi schiacciato dal peso della propria stanchezza. Non doveva essere riuscito a riposare serenamente, come d’altronde non era riuscita lei.
Crollò in ginocchio appena le fu giunto abbastanza vicino. Delphine lo guardò, terrorizzata, stringendosi nelle spalle ed affondando entrambe le mani fra le pieghe della propria tunica, stringendo il tessuto fra le dita con tanta forza da farsi diventare le nocche bianche, aggrappandovisi come se dalla saldezza della sua presa dipendesse la sua stessa vita. Demetrios sollevò le braccia tremanti, stringendola alla vita e nascondendo il volto contro il suo ventre. Le sue lacrime bagnarono immediatamente il tessuto leggero della sua tunica, rendendolo ancora più impalpabile e trasparente.
- Volevo andare via. – le confessò, sciogliendosi in singhiozzi, - Sono salito sulla mia barca e ho preso il largo, ma a qualche decina di metri dalla costa ho visto un bagliore in fondo al mare. Non so come sia stato possibile, ma sembrava mi stesse chiamando. Così mi sono tuffato, e… - strinse la presa sui suoi fianchi, mentre la lama in mithril le sfiorava la coscia attraverso la tunica, attraversando il tessuto come fendendo semplice aria e graffiandole la pelle, - e quando sono riemerso stringevo questo fra le dita. È il tuo pugnale, lo riconosco. – sollevò lo sguardo, cercando i suoi occhi. Delphine, cuore e polmoni stretti in una morsa tanto stretta da mozzarle il respiro, ricambiò l’occhiata, accarezzandogli lievemente una guancia e sfiorando con attenzione la pelle bruciata dal sole. – Forse i tuoi dei vogliono tenermi prigioniero su quest’isola, per punirmi. – disse, la voce ridotta ad un sussurro appena udibile.
- Spero di no, Demetrios. – rispose lei, concedendosi un sorriso stanco, - Perché in questo modo punirebbero entrambi.
*
Demetrios s’era immediatamente steso di nuovo a letto. Era così debole da non riuscire più a reggersi sulle proprie gambe. Delphine bruciò subito un po’ d’incenso, osservandolo rilassarsi fra le coperte, i vestiti nuovamente ammonticchiati sulla seggiola accanto al letto. Erano in condizioni talmente pietose da meritare di essere presi, portati fuori e bruciati in un piccolo rogo, ma non avrebbe saputo cos’altro dargli per coprirsi a parte le proprie lenzuola, perciò mise da parte il pensiero e si limitò a raggiungerlo a letto, stendendosi al suo fianco.
Non dormiva, ma il suo corpo era tanto pesante da affondare quasi nel materasso, le braccia stese lungo i fianchi, gli occhi serrati e le labbra dischiuse. Delphine si sistemò su un fianco, avvicinandosi progressivamente a lui fino a circondare la sua testa con un braccio, accarezzandogli i capelli su una tempia e sfiorando la sua guancia col petto. Nel sentirla così vicina, Demetrios si voltò immediatamente verso di lei, sfiorandole un seno con la punta del naso attraverso la tunica. Delphine provò a ripetersi che quel calore che sentiva avvolgerle il ventre doveva essere causato dall’imbarazzo, e non dal desiderio. Non riuscì a convincersi, però.
- Prima… - disse lui a bassa voce, premendo il viso nell’incavo dei suoi seni, - Non mi sono accorto che stavo toccando te. Ho sognato. Ho avuto… una specie di visione, credo. Era una donna senza volto, bionda, e così profumata. Si è spogliata di fronte a me, mi ha accarezzato. Quando mi ha stretto fra le sue dita… - inspirò profondamente, sollevando un braccio per girarglielo attorno alla vita, tirandosela contro per potersi nascondere più profondamente contro il suo petto, - Ho pensato solo che dovevo averla.
- Demetrios… - gemette lei, premendogli una mano contro il petto nel tentativo di allontanarlo, - Cosa stai facendo?
- Era il tuo profumo, quello che sentivo. – rispose lui, la voce distante, quasi un’eco di sonno. – Lo sento anche adesso. Sembra parlarmi. Mi suggerisce cosa dovrei fare, e Sophie, sono cose che non potrei ripeterti ad alta voce neanche se potessi nascondermi in un buco profondo fino al centro della Terra, per farlo.
- Ti prego… - sussurrò lei, piegando appena il capo e lasciando che i suoi stessi capelli scivolassero a coprirle il viso rosso di vergogna, - Io non posso… noi siamo fratelli…
- Adesso ci credi? – domandò Demetrios, gli occhi ostinatamente chiusi mentre, stringendola con forza, la obbligava a restare immobile mentre lui ribaltava le loro posizioni, costringendola a stendersi sul materasso con tutto il peso del proprio corpo ed insinuando un ginocchio fra le sue cosce, - Fino a poche ore fa eri restia perfino ad accettare di poter considerare l’ipotesi di avere un fratello, e adesso è a questo che ti aggrappi con tanta forza per impedirmi di toccarti?
- Demetrios, per favore… - mugolò lei, le gambe che, indipendentemente dalla sua volontà, si schiudevano docili, aprendosi alle sue carezze, - Non sembri nemmeno tu…
- Ma tu quasi non mi conosci. – insistette lui, lasciando scivolare il ginocchio contro di lei in una carezza esasperatamente lenta, - Come puoi dire cosa sia da me? Come puoi chiamarmi fratello? Sophie, tu non mi conosci.
- Non chiamarmi Sophie. – gemette lei, piegando indietro il capo mentre l’onda dei suoi capelli biondi si spargeva sul cuscino.
- Tu non conosci neanche te stessa. – disse lui, abbandonandosi ad un mezzo sorriso di scherno mentre, le orecchie piene dei suoi ansiti gonfi di voglia e piacere, sostituiva le proprie dita al ginocchio, accarezzandola più velocemente, - Sei così bagnata… - le sussurrò all’orecchio, prima di scivolare lungo il suo collo con la punta della lingua mentre forzava la sua apertura con la punta di un dito, - Posso vederti mentre fai la stessa cosa, tutta da sola nella tua grotta, la luce delle torce che ti infiamma la pelle…
- Demetrios! – si lamentò lei, chiudendo con forza gli occhi e serrando le cosce attorno al suo polso senza che questo potesse impedirgli di affondare le dita ancora per un paio di centimetri, costringendola ad un mugolio spezzato di paura e piacere. – Io non l’ho mai fatto, mai. – piagnucolò, sollevando un braccio per coprirsi il viso.
- Bugiarda. – soffiò lui, entrando ancora per qualche centimetro dentro il suo corpo prima di ritrarre le dita e cominciare poi a muoverle ritmicamente dentro e fuori di lei, mentre col pollice la accarezzava esternamente, riempiendole il corpo di brividi arresi, - Un milione di volte l’hai fatto e un milione di volte avresti voluto che a farlo fosse qualcun altro. Che le tue dita fossero quelle di qualcun altro, o che non fossero dita affatto.
- No… - gemette lei, gli occhi gonfi di lacrime che cominciavano già a rotolare lungo le sue guance piene e rosse come mele, - No, ti prego, non farlo. Sono una sacerdotessa. – singhiozzò disperata, coprendosi il volto anche con l’altro braccio. Demetrios sorrise, gli occhi ancora chiusi. Non li aveva mai aperti.
- No, non lo farò. – la rassicurò, scivolando lungo il suo corpo con la lingua mentre allontanava le proprie dita dal suo sesso, afferrandola saldamente per le ginocchia e costringendola a schiudere nuovamente le gambe con un movimento tanto improvviso da costringerla ad un urletto impaurito, - Ma voglio darti un assaggio di quello che ti sei persa tutte quelle volte in cui ti sei toccata da sola e ti sei fermata prima di venire perché le sensazioni che stavi provando ti stavano facendo paura. Voglio darti un assaggio di quello che avresti potuto provare se a toccarti nel modo in cui ti lasciavi toccare dal mare non fosse stata acqua, ma la lingua di un uomo.
- Demetrios! – quasi gridò lei, affondando le unghie nelle sue spalle per cercare di fermarlo ma rimanendo sostanzialmente immobile quando lo sentì scivolare con la testa fra le sue gambe, i capelli che le solleticavano la pelle e le mani che continuavano a tenerla ben salda da sotto le ginocchia, per impedirle di muoversi anche qualora avesse voluto. Ma non voleva, ed era esattamente quello il problema.
Lo sentì sfiorare la sua intimità con la punta del naso, inspirando con forza il suo odore prima di cominciare ad accarezzarla lentamente con la lingua, le mani che si spostavano dalle sue ginocchia per risalire lungo le cosce, soffermarsi brevemente sui fianchi e poi continuare il loro viaggio verso l’alto, fino alla curva piena dei suoi seni, che strinse fra le dita senza delicatezza, torturandone i capezzoli stringendoli fra il pollice e l’indice. Delphine gemette e pianse, il bacino che, quasi fosse animato di vita propria, ondeggiava lentamente al ritmo con cui la lingua di Demetrios prima la accarezzava e poi si spingeva dentro di lei, così umido e caldo da ricordarle il dio che era venuto a visitarla durante quel sogno di qualche ora prima. Forse non era un dio, si disse, forse era una punizione. I suoi dei la stavano punendo per l’empietà dei suoi desideri, per tutte quelle volte in cui s’era accarezzata da sola e poi davvero si era fermata in preda ai brividi di piacere e di paura, tutte quelle volte di cui Demetrios sembrava essere al corrente, mentre ciò non era possibile, perché lui non era mai stato lì prima di quel momento, perciò la spiegazione non poteva essere che quella. Gli dei lo stavano usando, stavano usando il suo corpo, la sua bocca, le sue labbra e la sua lingua per punire lei.
Piangendo, strinse le cosce attorno alla sua testa, incrociando le gambe sulla sua nuca mentre perdeva entrambe le mani nel groviglio disordinato e sudato dei suoi capelli scuri, spingendosi con foga verso di lui ed abbandonandosi a gemiti sempre più profondi e liquidi mentre lui tornava a stringerle i fianchi fra le dita per aiutarla a sollevare il bacino abbastanza da consentirgli di spingere sempre più profondamente la propria lingua dentro di lei, ricoprendola di baci e chiudendo le labbra con la forza di un bacio simile a un morso attorno a quel punto nascosto e allo stesso tempo esposto dal quale sembravano partire tutti i brividi che le scuotevano il corpo fin quasi a farle perdere il senno.
Venne con violenza, la schiena inarcata fino a farle male, il collo piegato all’indietro e le gambe talmente tese da tremare per il dolore di un crampo che la colse subito dopo l’orgasmo e si dissolse solo quando si decise a sciogliere i muscoli, lasciando finalmente libera la testa di Demetrios per abbandonarsi come senza vita fra le lenzuola, ansante e sconvolta, tutto il corpo imperlato di sudore e gli occhi tenuti aperti a fatica, ancora velati di piacere e confusione.
Demetrios la guardava, atterrito. Aveva finalmente aperto gli occhi. Delphine non avrebbe saputo dire quando.
- Non andare via… - provò a sussurrare, allungando un braccio verso di lui. Ma lui non riuscì a sentirla, e forse, anche se ci fosse riuscito, dopo aver afferrato le proprie cose sarebbe scappato comunque.
*
Gli girava la testa, era confuso e decisamente intontito. L’odore dell’incenso e quello, altrettanto intenso, del corpo di sua sorella sembravano perseguitarlo, se li sentiva ancora attorno e addosso, come se non si fosse mai mosso da quella stanza. Ed invece erano ormai dieci minuti che vagava per i tunnel, e secondo i suoi calcoli avrebbe già dovuto essere in spiaggia. Eppure, guardando dritto davanti a sé, non riusciva a vedere altro che il corridoio roccioso che stava attraversando, e che sembrava chiudersi in fondo in una curva cieca. Forse c’era qualcos’altro, dopo quell’angolo, o forse ad attenderlo c’era solo una parete. Forse sarebbe rimasto prigioniero di quella caverna, forse quegli stessi dei la cui autorità non riusciva a riconoscere e la cui esistenza non riusciva ad accettare l’avevano spiato mentre costringeva Sophie ad aprirsi per lui, forse avevano sentito le parole oscene con le quali aveva stuzzicato i suoi sensi, forse adesso intendevano punirlo, condannandolo a vagare per sempre per quelle grotte, senza mai più rivedere la luce del sole.
Non era per quello che era arrivato fino all’isola della veggente. Voleva solo ritrovare sua sorella, convincerla a tornare a casa e dare una mano alla famiglia, ora che sicuramente, con tutte le offerte che il popolo le aveva fatto, era così ricca. I campi non rendevano più come un tempo, suo padre aveva provato a cambiare settore, dedicarsi al bestiame, ma gli affari non erano andati bene, alcuni vitelli acquistati non avevano reso adeguatamente e tutto si era fatto ancora più difficile. Il suo impiego come garzone nella bottega del fabbro non gli consentiva di mandare avanti gli affari di casa, e i suoi genitori erano ormai così vecchi che il solo pensiero di doverli vedere ogni mattina alzarsi ed uscire per andarsi a spaccare la schiena per campi ormai irrimediabilmente aridi e secchi gli spezzava il cuore.
Aveva solo bisogno di una mano. Sperava che Sophie sarebbe tornata a casa con lui. Non aveva mai avuto intenzione di metterle le mani addosso, non aveva mai voluto, eppure ogni volta che si ritrovava vicino a lei tutto il suo corpo andava in fiamme, e quando il profumo della sua pelle s’insinuava nelle sue narici lui perdeva ogni controllo, faceva e diceva cose che mai nella vita si sarebbe permesso di fare e dire, se non si fosse sentito così disperatamente perso.
Perso, sì. Proprio com’era perso in quel momento. Doveva avere imboccato un tunnel sbagliato, non c’era altra spiegazione. Avrebbe già dovuto essere fuori da lungo tempo. Cercando di camminare più velocemente, reggendosi alla parete mentre sentiva il dolore alla testa affievolirsi man mano che l’odore dell’incenso scivolava via dalle sue narici, raggiunse la fine del corridoio, scoprendo che oltre la curva che la pietra disegnava nella pancia della montagna si trovava una piccola apertura che conduceva a quello che, da fuori, sembrava un ambiente piuttosto grande.
Era una biblioteca. La stanza non era enorme – d’altronde le cavità della roccia sembravano naturali, non scavate artificialmente – ma, addossate lungo la parete di fronte all’entrata, avevano trovato posto una serie di librerie in legno ormai parecchio gonfio e maleodorante. Doveva essersi crepato un qualche punto nel soffitto o in una delle pareti, dando via libera ad un’infiltrazione d’acqua, perché i libri riposti sugli scaffali sembravano anche loro in pessime condizioni. I titoli sulle costine erano scritti in una lingua che Demetrios non solo non conosceva, ma non aveva mai visto da nessun’altra parte.
Ad attirare la sua attenzione, comunque, fu più di ogni altra cosa il ricco forziere nascosto in un angolo da una coperta piena di macchie d’umido. Anche dal poco che quella coperta lasciava intravedere era possibile capire quanto quello scrigno dovesse valere. Il piedistallo che lo reggeva era in oro zecchino, la cassa era ricoperta di pietre preziose e perfino il lucchetto, che vide dopo aver gettato via la coperta, al pari del coperchio era tempestato di diamanti tanto grandi da riflettere quasi l’intera superficie del suo volto, quando ci si specchiava dentro.
Visto quanto era ricco l’involucro, Demetrios era certo che ciò che conteneva non potesse essere da meno, e fu per questo che recuperò una pietra piuttosto grande e appuntita dal pavimento e poi cominciò a tempestare il lucchetto di colpi, finché non fu rotto. Cadde a terra con un tintinnio quasi musicale che riecheggiò per la stanza e per tutti i corridoi della grotta. Demetrios lo recuperò e lo infilò nella tasca dei pantaloni che aveva indossato in fretta e furia dopo essere fuggito dalla stanza di Sophie, e poi, con un certo timore, sollevò il coperchio del forziere.
Il contenuto, da principio, lo deluse. Niente pietre preziose, niente gioielli, niente monete, né d’oro e né d’argento. Solo un mucchio di fogli di carta un po’ rovinati dal tempo ma tutto sommato conservati molto meglio di come potessero dire di essere conservati gli altri libri della stanza. Sbuffando, ne prese un blocchetto fra le mani, e impallidì quando si rese conto di cosa aveva realmente trovato: quello era il diario personale che Nausicaa, la precedente veggente, aveva tenuto per tutta la sua vita. Alcuni fogli erano in condizioni peggiori, molto ingialliti e con l’inchiostro sbiadito in più punti, ma il diario era ancora quasi perfettamente leggibile.
Deglutendo, ormai libero dal mal di testa, Demetrios si sedette per terra con una pila di fogli in grembo, e cominciò a leggere. Centinaia di pagine le scorse soltanto, si trattavano perlopiù delle lamentele di una quindicenne costretta a vivere con una vecchia pazza nei meandri di una grotta umida e poco accogliente. Doveva essere stato nell’adolescenza che Nausicaa aveva cominciato a redigere il suo diario, visto che non c’era niente di scritto che risalisse a periodi precedenti, e tenere un diario non doveva essere un’usanza comune, per le veggenti, perché scritto dalla mano di Daphne, colei che aveva cresciuto ed istruito Nausicaa e che spesso ricorreva fra quelle pagine con lo pseudonimo di “vecchiaccia malefica”, non c’era niente.
Man mano che si procedeva con le pagine, il tono con cui il diario era scritto si modificava, talvolta lentamente, talvolta molto più repentinamente. Nausicaa stava crescendo fra le righe del suo diario, e Demetrios cominciò ad interessarsi davvero alla lettura quando Nausicaa, ormai adulta, cominciò a lamentarsi sempre più spesso della sua solitudine e di quanto le mancasse una famiglia. E dei figli.
Lesse piano, ad alta voce. I suoi genitori non erano mai stati in grado di insegnargli a leggere in silenzio.

Oggi, per la prima volta da quando sono arrivata su quest’isola, me ne sono allontanata, per raggiungere la terraferma. Ho pagato uno dei pescatori che spesso vedo intenti a lavorare al largo dalla costa. Sono uscita sulla spiaggia, avvolta in un mantello, e mi sono sbracciata finché non sono riuscita ad attirare l’attenzione del più vicino. Non poteva credere alle sue orecchie, quando gli ho esposto la mia richiesta, ma la mia collana di corallo e perle è stata sufficiente per convincerlo.
Resa irriconoscibile dal cappuccio che avevo calato sul capo, mi sono così recata al mercato della vicina Città dei Cavalieri. Non vedevo così tante persone tutte insieme da anni, e la sola vista di tutte quelle donne, quegli uomini e quei bambini intenti a curare i loro affari in piazza è stata quasi sufficiente, da sola, a farmi perdere i sensi dalla gioia. La normalità della loro vita mi ha commossa come per certuni, immagino, sia commovente immaginare l’imperscrutabile oltre l’oceano. Così perfetta nella nostra mente, così irraggiungibile e inafferrabile per le nostre mani.
Io non avrò mai una vita normale, ma sono andata al mercato, oggi, per rubarne un pezzetto. Ero disposta a tutto pur di tornare qui sull’isola con una bambina, ma purtroppo in piazza non ne erano presenti di abbastanza piccole per mettere in pratica il mio piano. Non potevo certo permettermi di rapire una bambina di sei o sette anni: troppo pesante da prendere in braccio, avrebbe sicuramente reagito nel momento in cui l’avessi afferrata, e se qualcuno avesse notato la mia presenza lì, e quello che volevo fare, sarebbe stato sicuramente un disastro.
Mi sono allontanata dalla piazza, passeggiando silenziosamente per le strade impolverate del villaggio, finché non ho sentito il pianto di un neonato provenire dall’interno di una delle povere case attraverso le quali stavo passando. Mi sono avvicinata alla finestra, spiando la scena che si stava svolgendo all’interno. Una donna cullava un bambino, dandogli il seno, ma il bambino piangeva disperatamente e, dopo aver provato a nutrirsi per un paio di secondi, si allontanava sempre, disperato.
“Ti prego, ti prego, smetti di piangere,” diceva la donna, piangendo a propria volta, “Ti scongiuro, Sophie, fai la brava.”
Sophie. Era una bambina. Immediatamente, ho sentito il cuore accelerare i propri battiti nel mio petto, e seguendo l’istinto mi sono sporta attraverso la finestra, attirando l’attenzione della donna. L’ho salutata, scusandomi per l’intrusione e chiedendole quale fosse il problema. Lei mi ha spiegato che la bambina era nata già da qualche mese, e purtroppo il suo latte era già finito, molto prima che fosse possibile cominciare a svezzarla. Inoltre, non aveva soldi per poter pagare una nutrice, e perciò la bambina, la sua piccola Sophie, stava per morire di fame. Non c’era niente che potesse fare per lei.
È stato come riuscire a vedere per la prima volta concretamente quell’intervento divino di cui sempre andavo favoleggiando nelle mie previsioni. Non che non ci credessi, ma mai, mai, neanche una volta l’intervento degli dei era stato a mio favore. Oggi, invece, lo è stato.
Ho pagato la donna con un sacchetto di monete d’oro, e ho portato via con me la bambina. La donna mi ha riconosciuta, mentre la pagavo il cappuccio mi è scivolato dalla testa, ma le ho chiesto di mantenere il segreto, e so che lo farà. La bambina la crescerò io. Pagherò coi soldi delle offerte il suo nutrimento. È il più bel regalo che gli dei mi abbiano fatto. La chiamerò…


- La chiamerò Delphine… - sussurrò Demetrios, senza fiato, fissando la pagina che teneva fra le dita tremanti. – Delphine… Sophie. – mormorò, - Non è stata rapita, è stata venduta.
- Venduta… - mormorò Delphine, ferma sulla soglia della stanza. Spaventato dalla sua voce, Demetrios si voltò repentinamente a guardarla, stringendo al petto la pagina del diario.
- Sophie, cosa ci fai qui? – domandò, la voce ancora tremante. Lei si avvicinò di un paio di passi, gli occhi distanti e lucidi di lacrime.
- Sono uscita a cercarti. – spiegò, - In spiaggia non c’eri, ma c’era la tua barca. Ho pensato che ti fossi perso dentro la caverna, e quando sono rientrata ho sentito la tua voce e ne ho seguito il suono. Non entravo in questa stanza da almeno cinque anni. – concluse, inginocchiandosi al suo fianco. Il profumo della sua pelle era fortissimo, ma in quella stanza così umida, e con tutta l’agitazione che quella nuova scoperta gli aveva messo addosso, Demetrios riuscì a trattenere quantomeno l’istinto di baciarla, e si limitò a inclinarsi appena verso di lei, sfiorando la sua spalla nuda con la propria. – È questo, quindi, il motivo per cui sono qui. – disse lei, indicando il foglio con un cenno del capo. Demetrios annuì, abbassando lo sguardo, e le labbra di Delphine si tirarono in un ghigno triste e disilluso. – Mi aveva sempre detto di avermi trovata sulla spiaggia, in una conchiglia. Mi aveva sempre detto che era così che nascevano le veggenti. Generate dal mare e dalla luna, figlie della notte.
- Sophie—
- E invece mi ha comprata. – continuò lei, ignorandolo, le mani strette a pugno sulle ginocchia. Stava singhiozzando. Quando Demetrios si azzardò a guardarla in volto, vide che piangeva.
- Ti prego, non fare così. – disse, lasciando cadere il foglio per sollevare entrambe le mani ed accarezzarle dolcemente il volto, il capo e le spalle. Avrebbe voluto poterla consolare meglio, ma non c’era nient’altro che potesse dire senza mentirle, e supponeva che altre bugie fossero proprio l’unica cosa di cui la sua piccola Sophie non avesse bisogno, in quel momento.
Lei si separò da lui con gentilezza qualche istante dopo, rivolgendo la propria attenzione al cumulo di pagine ancora conservate nello scrigno. Ne prese una manciata, tenendole ferme con una mano e sfogliandole velocemente con l’altra, soffermandosi solo su quelle in cui i suoi occhi riuscivano a cogliere un particolare di un certo interesse. Demetrios la vide sorridere ancora più amaramente, dopo poco, fermandosi a leggere una pagina con particolare attenzione.
- “Oggi ho portato per la prima volta Delphine nella sala dei rituali.” – lesse ad alta voce lei, - Me lo ricordo, quel giorno. “L’ho fatta sedere sul trono e poi le ho detto di rilassarsi. Ho bruciato un po’ d’incenso e poi l’ho lasciata sola. Quando sono tornata, è stato quasi divertente vederla così turbata e sconvolta. Non aveva la minima idea di che nome dare a tutte le sensazioni che aveva provato durante la trance. Ora è troppo piccola, per capire, ma più avanti, col tempo, riuscirà. Le ho regalato un po’ di bastoncini d’incenso, le ho detto che sono tutti per lei. Con un po’ di fortuna, sarà curiosa abbastanza da utilizzarli anche da sola. Ben presto, le proprietà particolari di quegli incensi le renderanno sempre più facile il raggiungimento dell’estasi mistica, e richiamare le visioni non sarà un problema, per lei.” Capisci? – disse in un mezzo singhiozzo, - Era l’incenso. È sempre stato l’incenso. Io non ho mai visto né sentito niente. Anche noi due… - aggiunse abbassando lo sguardo ed arrossendo vistosamente, - Era l’incenso anche allora. Il motivo per cui agivi così sconsideratamente, il motivo per cui mi volevi… è solo l’odore dell’incenso.
- No, Sophie. – scosse il capo Demetrios, afferrandola per le spalle e scuotendola lievemente, - Non è così. Io ti voglio anche adesso, davvero. Anche se sei una sacerdotessa—
- Non sono una sacerdotessa. Non sono niente.
- Sei una sacerdotessa, invece! – insistette lui, - Non sei nata dal mare e dalla luna e non sei figlia della notte, forse, ma sei una sacerdotessa, sei l’Oracolo delle nostre terre, sei la veggente, è così. E nonostante questo, e anche se sei mia sorella, io ti voglio. Anche adesso, io ti voglio. Anche adesso, ti farei cose che non riuscirei a ripeterti ad alta voce guardandoti in faccia. – disse, arrossendo a propria volta. – Il solo pensiero di poterti avere mi fa avvampare, come puoi non vederlo?
- È l’odore dell’incenso! – ripeté lei, scuotendo il capo, - Lo uso da anni per favorire… io credevo… mi aveva spiegato che non faceva altro che rilassare la mente e predisporre il corpo a ricevere la voce degli dei… - si coprì il viso con entrambe le mani, singhiozzando talmente forte da scuotersi ogni volta come fosse vittima di un terremoto con epicentro nel suo petto, - È solo l’odore dell’incenso che ti fa parlare così. Non sono io. Non vuoi me. Non mi vorrai mai, nessuno mi vorrà mai. Io non sono niente. Non sono una donna, non sono una sacerdotessa, non sono figlia di nessuno né sarò mai madre di nessuno. Sono e resterò sempre solo una stupida.
Demetrios si morse con forza un labbro, stringendo la presa delle mani attorno alle spalle gracili di sua sorella. Si alzò in piedi, trascinandola con sé, e continuò a trascinarla anche fuori dalla stanza, lontano da quel dannato diario, attraverso le gallerie che portavano verso il tunnel principale. Adesso, l’odore dell’incenso si era affievolito quasi del tutto, e nonostante ciò che Sophie sembrava pensare con tanta ostinazione Demetrios era convinto che non fosse più colpa della sostanza stupefacente che l’incenso conteneva, se i suoi pensieri continuavano ad essere quelli che erano, e se le sue voglie nei confronti di Sophie erano ancora tanto forti.
Ricordava la strada per il tunnel. Fu facile raggiungerla, fu facile, in pochi minuti, ritrovarsi sulla spiaggia. Era di nuovo notte, una brezza fresca e frizzante si sollevava dal mare ed accarezzava i loro corpi impregnati dell’umidità della grotta.
- Vieni con me. – le disse, riprendendo a trascinarla dietro di sé, verso il mare.
- Demetrios…? – lo chiamò lei, la voce ormai ridotta a un sussurro flebilissimo, appena udibile, - Che hai intenzione di fare?
Non le rispose. Entrò in acqua per primo, strinse forte le dita attorno al suo polso sottile e la condusse subito dietro di sé, continuando ad avanzare fra i flutti sordo alle sue lacrime ed anche al richiamo della prudenza, che lo invitava a non allontanarsi troppo dalla riva, visto il buio che li avvolgeva. La notte era priva di luna. Il mare era una lastra placida e quieta. Come fatto di cristallo scuro, li circondava senza quasi farsi sentire. Ed era un bene che fosse così, che né il mare né la luna potessero far sentire osservata Sophie. Erano solo loro due, in quel momento. Non c’era nient’altro, oltre loro.
Si voltò verso di lei, osservando brevemente il modo in cui l’acqua le aveva appiccicato addosso la veste ormai trasparente. Era così bella che avrebbe potuto prenderla lì, in quel momento, senza badare a nulla. Già si vedeva scivolare lungo i suoi fianchi con le mani e premersi contro di lei, invitarla a schiudere le cosce e poi affondare nel calore umido del suo corpo. Ne aveva tanta voglia da sentirsi consumato dall’interno, ma si trattenne. Si bagnò le mani, invece, e poi le utilizzò per ripulire Sophie. Le passò fra i suoi capelli sottili e resi crespi dall’umidità notturna, le passo sul suo collo, sulle sue spalle, sulle sue labbra, sulle sue guance e sui suoi seni. Poi le si avvicinò, chiudendo gli occhi e sporgendosi verso di lei per sfiorare con la punta del naso il profilo del suo viso, inspirando con forza il suo odore.
- Non sai d’incenso. – le disse quindi, allontanandosi per sorriderle ed accarezzarle uno zigomo, - Ed io ti voglio ancora come ti volevo prima.
Delphine si mordicchiò il labbro inferiore, inarcando le sopracciglia verso il basso e poi rilasciando un sospiro stremato quando decise che non le importava più niente, niente di nulla, che non fossero le mani di Demetrios addosso. Era così semplice, in fondo. La prima decisione che riusciva a prendere, la prima decisione che potesse concedersi da quando era venuta al mondo, portava sulla lingua il sapore di suo fratello, e non riusciva a sentirsi neanche in colpa per questo.
Demetrios se la strinse addosso, sollevandola quel tanto che bastava per permetterle di cingergli la vita con le gambe. Le strinse i fianchi fra le dita, tornando verso la riva, ed una volta riemerso dal mare la stese sul bagnasciuga, trovando immediatamente posto fra le sue cosce dischiuse e liberandola il più velocemente possibile della tunica pesante d’acqua attaccata al corpo. Delphine gemette con forza, sentendosi finalmente libera di farlo, strusciando il proprio bacino contro il suo e guidando la sua mano fino alla propria intimità, muovendosi in sincrono con le sue dita quando lui cominciò ad accarezzarla lentamente, prima all’esterno e poi sempre più profondamente. E fu lei stessa, qualche secondo dopo, ad allontanare la sua mano, tornando a premersi contro di lui e scivolando prima con un ginocchio e poi con le dita sopra la sua erezione, ancora costretta dentro i suoi pantaloni.
Demetrios rilasciò un ringhio frustrato e carico di voglia.
- Sophie… - la chiamò, la voce roca di desiderio, spingendo i pantaloni giù lungo i fianchi e premendosi immediatamente contro la sua apertura, gemendo ad alta voce nel momento esatto in cui la punta del suo sesso penetrò appena dentro di lei, così bagnata e calda da dargli il capogiro.
- Sì. – ansimò Delphine, posando entrambe le mani sui suoi fianchi ed invitandolo ad avanzare dentro il suo corpo. Demetrios non la obbligò a ripetere la propria domanda muta neanche una volta, ed affondò dentro di lei in un colpo solo, nascondendo il viso contro il suo collo mentre lei inarcava la schiena ed urlava, cingendogli i fianchi con le gambe ed andando incontro alle sue spinte in gesti veloci, brevi e confusi, quasi dolorosi tanto era forte il desiderio che esprimevano, e tanto bruciava impazzito questo desiderio sulle loro pelli ogni volta che si sfioravano.
Fu lui il primo a venire, cercando invano di trattenersi oltre il limite. Non riuscì, e quando si rese conto di quello che stava per accadere provò a tirarsi indietro, ma Delphine fu più veloce di lui e, piantandogli le unghie nella schiena, lo implorò di aspettare, di non uscire, non ancora, non ancora, ti prego, e Demetrios chiuse gli occhi, affondò i denti nella pelle tenera del suo collo e continuò a spingersi con forza dentro di lei, trascinandola verso l’orgasmo spinta dopo spinta anche dopo che fu venuto. Quando la sentì inarcarsi ed irrigidirsi e poi sciogliersi come un fiocco di neve su una mano, sotto di lui, solo allora si permise di fermarsi, abbandonandosi ansante sopra di lei, cercando di non pesarle troppo addosso ma allo stesso tempo totalmente incapace di allontanarsi dal suo corpo. Le ricoprì il volto e le mani di baci, stringendola a sé e cullandola dolcemente, mentre il mare prendeva a rombare dietro di loro, come fosse geloso. Sorridendo, stanco ma felice, Demetrios si augurò che potesse restarlo a lungo.
*
Salparono il giorno dopo, lasciandosi tutto alle spalle, compreso il vero nome di Delphine.
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