Fandom: Originali
Genere: Drammatico/Romantico/Malinconico/Triste
Rating: PG
AVVISI: Girl's love.
- Un amore contrastato, fra due ragazze che chiedono solo di amarsi...
Commento dell'autrice: A questa storia sono particolarmente affezionata. Ho scritto altre yuri, ma questa è la prima alla quale riesco a fare un'ambientazione ed un contesto reali. E poi adoro il modo in cui sono venute fuori le protagoniste *.* Significa molto, per me.
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Reminiscenze


Ricordo che quando guardavo fuori da uno dei grandissimi finestroni della villa, ed appoggiavo una mano sul vetro, riuscivo sempre a sentire il calore del sole. Non mi ricordo di un giorno in cui non ci fosse stato bel tempo. Il che, probabilmente, è imputabile alla mia voglia di ricordare come qualcosa di meraviglioso ogni singolo giorno passato laggiù, quindi non potrei certo giurare sulle condizioni del tempo in quel periodo. In ogni caso mi sento di dire che qualsiasi fosse stato il tempo all’esterno, dentro di me c’era comunque sole. E mi accorgo possa sembrare stupido. Lo penso.
Eravamo fuggite insieme dalla città, dai nostri rispettivi genitori, dalla scuola… da ogni cosa. In una maniera un po’ vigliacca, lo ammetto, ma ci sembrò l’unica cosa giusta da fare. Non la migliore, l’unica. Non era un bel pensiero, credevamo davvero di avere una sola scelta. E comunque era meglio quello che pensare di non poter scegliere per nulla, cosa che poi si dimostrò essere la realtà delle cose.
Non so neanche io perché adesso, pensando a lei, lo faccio con tanta freddezza e distacco. È una cosa che odio. Ma non posso farne a meno. Chissà, magari temo si riapra la ferita…
**

Lei era proprio stupenda. Stupenda in maniera assoluta. Tutto di lei sembrava fatto ad arte, proprio per suscitare negli altri esclamazioni di meraviglia e stupore. Dai lunghi capelli neri, ai grandi e freddi occhi verdi, alla pelle chiara, al fisico minuto. Certe volte la guardavo dormire e non mi sembrava neanche viva. Pensavo, fra me e me, “ecco, deve essere morta.”, e mi spaventavo da morire. Tanto da doverla svegliare. Lei non si arrabbiava spesso. Ma questo non c’entra nulla.
E non era bella e basta, eh! Se dico che era stupenda… era proprio perché… c’era qualcos’altro, oltre la bellezza smisurata… una strana maturità, fuori luogo in quel fisico adolescente, per nulla ostentata, ma talmente palese…
Era matura in tutto. Il suo pensiero maturo veniva proiettato agli altri dai suoi sguardi, dai suoi movimenti, dalla sua voce, dal modo in cui la usava…
Ed infatti era sempre stata lei quella che ragionava, fra noi. L’unica che si accorgesse veramente delle cose. Così, quando si era accorta di essersi innamorata di me, mi aveva subito dichiarato i suoi sentimenti, cercando di indorare la pillola, perché aveva esattamente capito quanto per me sarebbe stato uno shock sentirmi dire cose simili da una donna; così aveva capito prima ancora di me che l’avrei presto ricambiata con pari intensità di sentimento; così, quando ci eravamo messe insieme ed io ero talmente felice di averla trovata che avrei voluto urlarlo al mondo intero, magari stampare manifesti ed organizzare una bella festa, mi aveva detto che se volevamo tenerla in piedi almeno per un po’ il minimo che potevamo fare era starcene zitte e mantenere il segreto. Io non avevo capito, non avevo approvato. Me ne resi conto solo più tardi, di quanto avesse ragione.
E ricordo un solo momento in cui la vidi fragile, triste, abbandonata dalla speranza. Quel giorno mi sentii aprire una voragine sotto i piedi. Impressionante, l’effetto che la sua stabilità mentale aveva sulla mia.
Era una giornata di primavera, stavamo insieme già da un mese. Quel giorno lei mi raggiunse correndo in mezzo al corridoio davanti alla nostra classe, e mi abbracciò con una forza incredibile. La sentivo ansimare sulla mia spalla per la corsa, e volevo soltanto che smettesse. Avevo bisogno di vederla sorridere. Ed avevo capito che non sarebbe successo.
Lei mi guardò fissa negli occhi, non vedevo lacrime ma immaginavo che piangesse, quanto meno dentro di lei.
- E’ finita.
Mi disse con un filo di voce. Io finsi di non capire.
- L’ha capito. È finita.
Si riferiva a sua madre.
- Come?
Le chiesi io, ancora incredula.
- Credo abbia origliato dalla porta, ieri.
Ero andata a trovarla a casa.
Ricordo esattamente la successione di pensieri che ebbi in quell’occasione. Prima pensai ad uccidere sua madre. Non era la prima volta che volevo qualcuno morto, ma era la prima in cui mi rendevo conto che avrei anche potuto ucciderla con le mie mani. Dopodiché pensai immediatamente a baciarla. Inutile dire che non feci nessuna delle due cose.
Lei mi abbracciò di nuovo, e sfiorando il mio orecchio con le labbra mi sussurrò “Dai, scappiamo.”. Ed io annuii senza neanche pensare di poter rifiutare.
**

Fu solo più tardi che mi parlò della villa. Questa villa immensa che apparteneva alla sua famiglia da generazioni, e che nessuno usava più perché troppo lontana da ogni centro abitato. Subito mi chiese di andare lì. Ed io, contagiata dalla sua mancanza di raziocinio, entrai nel panico perché credevo avrebbero capito subito che eravamo lì. Lei mi disse che era improbabile, perché il posto era davvero lontano, e non avrebbero mai creduto possibile un viaggio del genere per due ragazzine. Io ignorai l’innocenza bambinesca di quel pensiero, era proprio ovvio che ci avrebbero cercato lì. Ma lei credeva fortemente non sarebbe successo, ed io seguii i suoi pensieri, nella mia massima voglia di vederla solo sorridente.
Io ero senza soldi. Lei, invece, ne aveva un po’. Mi disse che non importava, avrebbe pagato tutto lei, voleva soltanto andarsi a chiudere in quella villa. Ed io la seguii.
Lì ci sentivamo come Oscar Wilde ed il suo amante, con la differenza che noi eravamo entrambe donne. Passavamo intere giornate a passeggiare per la foresta tutto intorno, fermandoci a mangiare sulla riva di un lago o su una collinetta soleggiata, consce di essere ormai parte di quell’ambiente da fiaba, che rendeva personaggi da fiaba anche noi stesse; le ribelli che fuggono dalla città per difendere il loro amore dalla cattiveria degli uomini, ipocriti e meschini. Ci crogiolavamo in quell’atmosfera incantata. Un’atmosfera incantata che ricordava un po’ le poesie di Petrarca, si. Ed io ero un poeta, e lei la mia Laura che faceva il bagno immersa in chiare, fresche e dolci acque, circondata da capelli scuri e petali di rose. Reminiscenze di un cielo azzurro che non rivedo più con la stessa intensità di colori.
Interi giorni senza far nulla, semplicemente abbandonandoci ad un bacio se ne avevamo voglia, dormendo insieme, anche se come semplici sorelle, in quanto più del bacio non avevamo ancora sperimentato nulla, in fondo avevamo solo sedici anni e ci stava bene in quel modo.
Molte volte mi ero ritrovata a pensare che, forse, ciò che ci legava non era vero amore. Così come nulla in più dei baci, pensavo non ci fosse nulla in più di un particolare affetto che passava oltre l’amicizia fermandosi prima della sua stazione naturale. In realtà non era così. Mi faceva comodo pensarci perché potevo rassicurarmi del fatto che, quando ci fossimo separate, avremmo sofferto di meno. Ma l’amavo troppo. Troppo per accorgermene. Lo seppi solo quando ci fu costretta la reciproca mancanza.
**

Avvenne addirittura un mese dopo. Nessuna delle due aveva mai sperato che potesse durare così tanto. Avevamo vissuto la prima settimana agitandoci e stazionando ore davanti alle finestre, con le mani intrecciate. La seconda settimana passeggiavamo già fuori dalla villa, guardandoci però intorno con aria circospetta. La terza settimana era passata con un misto di gioia ed incredulità nei nostri cuori, stupite che ancora nessuno ci avesse trovate. A metà della quarta settimana cominciavamo già a sorridere pensando non ci avrebbero mai scoperte. Il pensiero di passare l’eternità con lei in quel posto mi dava brividi di piacere puro. Non vedevo l’ora.
Ma alla fine della quarta settimana i nostri sogni vennero infranti e calpestati. Vedemmo una macchina in lontananza, e me ne accorsi solo per caso rientrando dopo una corsetta nei prati. Lei mi aspettava in casa, distesa sul divano leggendo un libro. Io le avevo chiesto se aspettassimo qualcuno. Ero già agitata. E non dimenticherò mai il suo sguardo dopo la mia domanda, perché vi potei leggere chiaramente lo smarrimento e la paura più profonda, senza alcuna soluzione. Sguardo che riflessi nei miei occhi e proiettai in quelli della donna che, girando la chiave nella toppa, entrò dalla porta guardandoci come una furia.
**

Io non l’ho più vista.
Dopo essere state separate, lei partì per un collegio femminile in una regione lontana, nella quale i miei genitori mi proibirono per sempre di andare.
Adesso sono passati vent’anni, e non so per quale motivo ho voglia di ripensare a lei. Ho sposato un uomo, ho divorziato dopo due anni, dopo aver capito di non amarlo per nulla.
Ma… la cosa che mi uccide… il senso di colpa che mi rode… io non l’ho più cercata, quasi avessi abbandonato la speranza di poterla rivedere, come fosse morta. E questo perché, ogni volta che ripenso a lei, non ricordo i suoi sorrisi, la sua gioia, le sue risate. Ricordo solo il suo sguardo impaurito, simbolo della furia del mondo che si accanisce con cattiveria su coloro che non se la meritano.
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