Genere: Comico, Generale, Romantico (accennato).
Pairing: Bill/Bushido (accennato).
Rating: PG.
AVVERTIMENTI: Slash (accennato).
- Il regalo che Tom compra a suo fratello Bill per Natale si rivela il pretesto per concedere all'estro artistico di Bill di avere sfogo in modi poco convenzionali. E ci va di mezzo un povero modellino di Gundam.
Note: Questa storia nasce principalmente per rendere omaggio al Gundam più gaio della storia – un’invenzione splendida per la quale ringrazio che il mondo sia composto da persone del tutto folli – e per soddisfare le menti perverse di Tab e Meg, le quali in realtà hanno plottato questa storia ben prima che io mi decidessi a scriverla, roleplayandola su Twitter. Di fronte alle meraviglie da loro partorite (come l’idea dello sposalizio fra Gundam e Ken XD), io non ho proprio potuto evitare di piegarmi al volere del Dio del Fangirling, perciò l’ho scritta XD E questo è il mio regalo di Natale al fandom dei Criceti Crucchi più famosi della storia <3 (Bushido s’è insinuato senza che io potessi in alcun modo fermarlo. Cattivo Bu, cattivo.)
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REMEMBER
77. Remember

Quale fosse il motivo per cui Tom avesse insistito tanto per avere il salvadanaio di porcellana, Simone lo comprese nell’esatto momento in cui il bambino si presentò davanti a lei, avvolto in un giaccone grande il doppio della sua taglia. I capelli biondi e ingarbugliati stavano tutti raccolti sotto un cappellino gonfio e rovinato che, allungandosi dietro la sua nuca e terminando con un pon pon che forse un tempo era stato morbido e rotondo, gli dava quasi l’aspetto di una specie di Babbo Natale dei piccoli, minuscolo, mingherlino, affannato e scompigliato.
- Cos’hai fatto tutto il pomeriggio, Tomi? – chiese dolcemente, inginocchiandosi davanti a lui e sfilandogli il cappellino, per poi riordinargli i capelli sulla fronte e sulle tempie, - Dove sei stato?
Tom sorrise furbo, tirando fuori dalla giacca un pacco regalo di medie dimensioni ma che, in braccio a lui, sembrava grande almeno due volte tanto.
- L’ho trovato! – disse trionfante, agitando il pacco avvolto in una bella confezione blu scuro, lucida e cangiante sotto la luce della lampada, - Il regalo per Bill!
Simone spalancò gli occhi, parzialmente intenerita e parzialmente stupita. Fece per chiedergli dove avesse trovato i soldi per acquistarlo – qualsiasi cosa fosse – ma lì, appunto, ricordò del salvadanaio in ceramica e di come avesse inizialmente pensato che quel porcellino dall’aria beata e pasciuta non sarebbe sopravvissuto neanche una settimana, per poi osservarlo rimpinguarsi giorno dopo giorno con tutte le monetine con cui lei, Jörg e Gordon continuavano a riempirlo di tanto in tanto, sotto lo sguardo grato e speranzoso del Tom più carino che Simone riuscisse a ricordare in anni di soddisfatta maternità.
E dire che Tom, a tutti gli effetti, era quello carino, fra i gemelli; di Bill si sarebbero potute dire molte cose, a fronte dei suoi dieci anni scarsi di vita – che fosse talentuoso, anche se su come incanalare questo suo talento nessuno aveva ancora le idee granché chiare, Bill compreso, che fosse piacevolmente autoironico ma anche in grado di prendersi tragicamente e fastidiosamente sul serio anche troppo facilmente, che fosse trasgressivo, sempre per quanto possa essere trasgressivo un bambino di dieci anni, che fosse manesco e capriccioso e intelligente, ma che fosse carino, nel senso più ampio e dolce e tenero e morbido del termine, quello proprio no. Bill già parlava di lasciarsi crescere le unghie per ficcarle negli occhi di chi lo prendeva in giro, carino proprio no.
- Oh! – annuì la donna, scrutando il figlio con aria curiosa, - E cos’è?
- Un giocattolo. – rispose Tom con una scrollatina di spalle, come fosse del tutto ovvio. In effetti lo era, ma Simone non poteva fare a meno di sentirsi profondamente inquieta sul punto. Bill poteva essere così incredibilmente facile all’offesa, quando si trattava di ciò che gli altri facevano per compiacerlo – il suo ragionamento di base, peraltro non del tutto assurdo, era qualcosa di molto simile a un secco “a me non interessa se fai qualcosa per rendermi felice, se poi non riesci a rendermi effettivamente felice, non meriti la mia gratitudine, ma al limite una lunga e penosa occhiata prima di un tragico e teatrale sospiro e della mia fuga in camera”.
- E che giocattolo è? – chiese quindi, timorosa, stringendosi un po’ nelle spalle.
Tom arricciò il naso, indispettito.
- È una sorpresa, è solo per lui. – sbottò, prima di liberarsi della sua stretta, posare il pacco sotto l’albero e salire in camera propria, chiamando Bill a gran voce.
Simone sospirò, risollevandosi in piedi. Ripensò alla Barbie Sirena che Bill custodiva geloso come un cane da guardia, impedendo a chiunque – lei compresa – di avvicinarsi, e sperò che Tom fosse già abbastanza furbo da riuscire a fare i propri conti e capire.
*
Dieci anni, a Tom, non erano decisamente bastati. Lui e Bill avevano trascorso insieme la totalità di quel tempo, più i nove mesi addizionali all’interno dell’utero materno, che però probabilmente non andavano calcolati nell’atto della computa finale, semplicemente perché erano stati mesi di convivenza inconscia – e, se c’era stata della coscienza, Tom l’aveva dimenticato. Fosse perché quando sei nella pancia di tua madre non sei ancora in grado di ricordare, o fosse perché Bill l’aveva traumatizzato già allora così tanto da costringerlo a rimuovere ogni ricordo, non gli interessava scoprirlo.
Comunque fossero andate le cose, Tom aveva sempre trovato suo fratello un oggetto strano e misterioso da maneggiare con cura, al pari dei coltelli, delle pistole giocattolo – che non andavano mai mai mai puntate contro Gordon, perché i pallini finivano sempre in qualche modo per conficcarglisi negli stinchi – e delle creme cosmetiche di sua madre. Doveva d’altronde esserci un motivo per cui invece tutte quelle cose Bill le maneggiava con la leggerezza di una pallina di gomma, come fossero state del tutto innocue – e sì che Tom aveva problemi anche a maneggiare le palline di gomma, che in mano a lui sembravano improvvisamente diventare armi mortali atte a sventrare vasi, infrangere vetri e sbudellare infelici e sfortunate bocce di pesci rossi.
Insomma, doveva esserci un’affinità fra Bill, i coltelli, le pistole giocattolo e le creme cosmetiche di Simone, e al di là di quella lampante che legava suo fratello alle ultime, la più grande somiglianza che lo legava agli altri due tipi di oggetto era sicuramente la sua capacità di diventare qualcosa di incredibilmente pericoloso in un lasso di tempo talmente breve da non permetterti in alcun modo di prendere delle contromisure adeguate ad arginarlo.
Suo fratello, seduto sul tappeto di fronte a lui ed illuminato a tratti dalle luci a intermittenza che adornavano l’albero, si rigirava fra le mani il modellino del Gundam che, risparmiando per mesi, era riuscito a comprargli per Natale, guardandolo da ogni lato come non riuscisse a trovargli un senso neanche sforzandosi. Alle sue spalle, Tom poté sentire Gordon schiacciarsi una sonora pacca esasperata sulla fronte, mentre Simone sospirava profondamente.
- Uhm, ti piace? – chiese timoroso, guardando il fratello dal basso verso l’alto dopo avere inclinato lievemente il capo. Bill soppesò il modellino come volesse provare a rilevarne la densità e poi sospirò profondamente, alzandosi in piedi.
- Suppongo di sì. – rispose quindi, allontanandosi verso le scale con aria meditativa.
- …suppone? – chiese Tom, quando suo fratello fu sparito al piano di sopra, voltandosi a guardare sua madre e Gordon in cerca di una spiegazione. L’uomo scrollò le spalle e scosse il capo, preferendo rintanarsi in cucina finché la nuvola di delusione di Bill non si fosse dissipata, e Simone si accucciò sul tappeto accanto al figlio, accarezzandogli dolcemente la testolina bionda.
- Tuo fratello… - cercò di spiegargli, - è un ragazzino difficile.
Tom sospirò, abbandonandosi di schiena contro il divano e fissando i ghirigori senza senso che decoravano il tappeto.
- Lo so. – rispose affranto, - A volte mi piacerebbe che ci assomigliassimo di più.
- Tu sei convinto di essere un ragazzino facile? – rise Simone, coccolandolo un po’.
- Be’, non lo so se sono facile o difficile, ma sicuramente non sono difficile quanto lui! – sbottò Tom, allargando le braccia ai lati del corpo. Simone rise ancora, traendolo contro di sé e ravviandogli i capelli dietro le orecchie, stringendoli poi in una coda appena accennata che lasciò immediatamente libera di ricadergli lateralmente lungo una spalla.
- Coraggio. – lo esortò quindi, sollevandosi in piedi e trainandolo con sé verso la cucina, - Vieni a prendere un po’ di dolce, e poi portane una fetta anche a tuo fratello.
*
Tom bussò discretamente alla porta ed attese che suo fratello gli desse il via libera, prima di entrare, ponendo naturalmente davanti a sé – e cioè fra se stesso e qualsiasi tipo di pericolo rappresentato principalmente da Bill con gli artigli sfoderati e le zanne a fare capolino fra le labbra, pronto a colpire alla giugulare – il piatto col dolce che sua madre aveva preparato nel pomeriggio, riflettendo sulla possibilità di usarlo come distrazione estemporanea se si fosse presentata la necessità di fuggire per salvarsi la vita o, almeno, provare a vender cara la pelle.
Suo fratello, comunque, non sembrava intenzionato a farlo a pezzi. Entrando in camera, Tom lo vide chino sulla propria scrivania, circondato da tutta una serie di oggetti che in genere utilizzava per distruggere e ridecorare da capo le magliette che Simone gli comprava. Immaginando che dovesse essersi messo a fare l’imitazione della bella sarta di paese come sempre quando sentiva il bisogno di dimostrare al mondo quali meraviglie le sue mani erano in grado di produrre, Tom si avvicinò con un sorriso, posando il piatto sul tavolo accanto a lui.
Inorridì – per usare il termine più adatto a descrivere il suo sconcerto – non appena posò gli occhi sul Gundam, o meglio: su ciò che il Gundam era diventato dopo essere passato per le abili quanto psicotiche mani di suo fratello.
Dove prima c’era stato del sobrio nero semilucido, ora si susseguivano infinite distese di smalto rosa confetto ancora fresco, interrotto a sprazzi da composizioni di strass e perline che, quando avevano una forma, ricordavano quella dei fiori, ed in qualche punto specifico perfino dei cuori.
- Bill…? – lo chiamò, visibilmente scosso, - Cosa…? – provò a chiedere, ma la domanda tutto sommato garbata rimase imprigionata nella sua gola, schiacciata dal più sincero ma allo stesso modo meno educato “cosa cazzo stai facendo al regalo che ti ho comprato spendendo in un colpo tutti i miei risparmi degli ultimi mesi?!”. Tom lottò con se stesso, e fu una battaglia lunga e difficile, ma alla fine riuscì a trattenere nelle profondità della gola lo strillo aquilino che avrebbe voluto lasciare andare. Trattenne però in quel modo pure tutto il resto della domanda, motivo per cui Bill poté permettersi di ignorarla felicemente e sollevare il Gundam, reggendolo accuratamente dalle parti non coperte di smalto rosa, per mostrarglielo in tutto il proprio cosiddetto e supposto splendore.
- Adesso sì che è bellissimo! – disse con entusiasmo, guardando il modellino con occhi traboccanti d’amore, - Grazie mille per il regalo, Tomi!
Grazie per il regalo – le parole rimbalzarono all’interno della sua testa, battendo contro le pareti del cranio e capitombolando in giro, inciampando fra un neurone e l’altro, per una serie di istanti che parve infinita.
- Bill… - cercò di recuperare l’uso della parola, inumidendosi le labbra secche, - cosa hai fatto a Gundam?
- Be’, ma l’ho preparato, ovviamente. – rispose Bill, con tutta la naturalezza del mondo.
- Preparato a cosa? – insistette Tom, sempre più spaventato.
Bill sorrise come gli aveva visto fare solo nelle occasioni di maggiore felicità della sua intera esistenza.
- Per il matrimonio! – rispose candido, avviandosi verso la cesta dei giocattoli – quasi sempre vuota, visto che i giocattoli preferivano stare sparsi sul pavimento, dove avevano molto più spazio per, uhm, stare immobili in attesa che qualcuno li recuperasse per usarli o metterli a posto – e tirandone fuori il Ken Tritone che alla sua Barbie Sirena favorita si accompagnava da sempre, ma che Bill non aveva mai tenuto granché in considerazione.
- Il matrimonio. – balbettò Tom, incerto. – Bill, quello è il fidanzato di Barbie. – protestò, in un disperato tentativo di evitare l’inevitabile.
- Be’, Barbie voleva la sua indipendenza. – motivò Bill con una scrollatina di spalle, affiancando Gundam a Ken e rimirandoli l’uno accanto all’altro come per verificarne la giustezza a livello di amalgama sentimentale, - È una donna emancipata, sai?
- Emanciche? – chiese Tom, - No, guarda, non lo voglio sapere, sembra una cosa orribile.
Bill sospirò, roteando gli occhi.
- Vuol dire che-
- Ho detto che non lo voglio sapere, scusa! – lo fermò Tom, piantandogli una mano sulla faccia per impedirgli fisicamente di parlare ancora, - E comunque non puoi far mettere insieme Ken e Gundam, sono due maschi! Che schifo!
- Tomi, - rispose Bill, laconico, - Gundam è un robot, non ha un sesso.
- Peggio ancora! – continuò Tom, annuendo decisamente, - Se non ha sesso, non dovresti costringerlo ad accoppiarsi con un Ken che invece un sesso ce l’ha eccome!
- Ma non ha sesso nemmeno Ken! – gli fece notare Bill, - È un tritone!
- La coda è finta! – disse Tom, puntando il dito contro il suddetto addobbo pseudo ittico.
- Sì, e sotto non ha niente. – illustrò Bill, denudando il povero pupazzo dell’unico indumento che ne coprisse le pudenda. – Vedi? Al più un calzino sotto la plastica.
- Eh, e allora perché due esseri asessuati dovrebbero sposarsi, scusa? – cercò di inquisire Tom, indicando a propria volta le mutande di ferro – ormai rosa confetto – del Gundam. – Non ne hanno alcun bisogno!
- Ma è una questione di amore, Tomi! – piagnucolò Bill, rattristato dalla mancanza di comprensione che suo fratello mostrava nei confronti di quella romantica storia.
- Ma come hanno fatto ad innamorarsi, se uno stava nel baule e l’altro l’hai torturato ricoprendolo di paillettes fino ad ora?!
Bill aggrottò le sopracciglia, incrociando le braccia sul petto e guardando suo fratello con tutta la disapprovazione di cui era capace.
- Tu non hai nessun rispetto del vero amore. – dichiarò stizzito, - Cosa importa – aggiunse poi, più dolcemente, - di quale sia il tuo sesso o delle condizioni in cui ti sei innamorato? Alla fine, - concluse con un sorriso, - non è l’amore stesso che conta, più di tutto il resto?
Tom lo osservò per qualche minuto, e la convinzione di Bill non vacillò di un punto, mentre finalmente disponeva ordinatamente tutti i suoi pupazzi sulla scrivania in due gruppi ben distinti che Tom immaginò essere quello dei parenti della sposa – se una sposa c’era – a sinistra, e quello dei parenti dello sposo a destra, mentre Gundam e Ken attraversavano orgogliosamente la navata centrale, orgogliosi nel luccicare delle loro paillettes e delle scaglie delle loro code. O quel che erano.

Molti, molti anni più tardi, quando Bill avrebbe preso a vedersi sempre più spesso con un certo rapper pseudotunisino che nulla aveva a che fare con la sua persona, nell’osservare i due avvicinarsi, diventare sempre più intimi e poi, finalmente, innamorarsi, Tom avrebbe per un istante ripensato al Gundam ed a Ken che si univano in matrimonio in quella notte di Natale di tanti anni fa, ed avrebbe zittito definitivamente qualsiasi protesta potesse immaginare riguardo quella relazione.
Alla fine, probabilmente, aveva davvero ragione Bill. Non è l’amore che conta, più di tutto il resto?
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