Genere: Introspettivo, Romantico, Triste.
Pairing: Bill/Bushido.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Angst, Lime, Slash.
- Il dramma delle relazioni a distanza, di avere un fratello poco conciliante e di due esseri umani che sono probabilmente la peggiore accoppiata della storia delle relazioni sentimentali. O forse no.
Note: Questa storia nasce ormai… un paio di settimane fa, sì, dopo aver visto l’ormai celeberrimo episodio 51 della THTV. Tab mi ha accolta appena sveglia strillando che Bill era bellissimo, donnissima e lo voleva assolutamente subito con Bushido. Quando ho visto anche io l’episodio mi sono ritrovata d’accordo, perché, insomma, è così piccolo e carino *______* che viene proprio voglia di ficcarlo fra le braccia del signor Ferchichi e metterli lì a ferirsi a vicenda *-*
Sì, lo so, è un’altra Billshido semi-triste ._. Il punto è che, quando dico che il mio fandom ispira dolore, non è che lo dico così a cavolo, lo dico perché è vero -.- Io volevo che questa fosse una storia fluff, ed in effetti era cominciata bene in questo senso è_é però poi s’è diluita nel dramma ed in una certa riflessione sui rapporti di coppia a distanza che, insomma, non sono mai cose esattamente lol, perciò alla fine, per quanto la storia in sé si concluda bene, immagino possa essere un po’ pesante, da leggere. I tatini non fanno che ferirsi quasi per tutto il tempo ;_;” *abbraccia i tatini*
Il titolo gliel’ha dato Tab. Il Salutandotiaffogo, invece, io; ma era di Tiziano Ferro XD
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POOL SIDE MANNERS
salutandotiaffogo

Bill si rigirò fra le lenzuola e sorrise ad occhi chiusi nell’accorgersi che la pelle non sfregava contro la fresca morbidezza del cotone, ma contro un calore familiare e un po’ ruvido, avvolto attorno al suo corpo esattamente come una coperta, ma molto più dolce. Sollevò le mani, le palpebre sempre abbassate, e le portò a sfiorare il petto della persona distesa al suo fianco – e tutta attorno a lui. La resistenza ostinata dei muscoli sotto i polpastrelli lo fece mugolare di piacere, così come allo stesso modo lo fece mugolare l’abbandono arreso delle gambe dell’altro quando le sue cercarono spazio fra di loro per un intreccio scomodo ma di cui sentiva assolutamente il bisogno.
Bushido rise, e fu allora che il ragazzo si decise ad aprire gli occhi.
- Da quando sei sveglio? – chiese, strisciando fra le sue braccia per raggiungere le sue labbra.
- Non ne ho la più pallida idea. – rispose lui, ridendo ancora, - Un paio d’ore?
- E non mi hai svegliato? – insistette lui, gli occhi già brillanti nell’attesa di una di quelle frasi tremendamente sdolcinate delle quali in genere ridi, quando te ne parlano gli altri, ma che ti scaldano il cuore quando sono rivolte a te.
- Be’, veramente ci ho provato. – rispose invece Bushido. Bill rise di cuore e si ricordò perché stava con lui. Le frasi sdolcinate non erano proprio di suo gusto. – È che non sei veramente una persona svegliabile. Soprattutto quando ti tengono in piedi fino a tarda notte.
Bill si mosse contro di lui, facendo le fusa come un gatto.
- E chissà di chi è la colpa, mh?
Bushido sorrise e roteò gli occhi.
- Mia, vostro onore, ma ho avuto la complicità della vittima.
Bill rise ancora e gli si strinse contro, posando il capo sulla sua spalla.
- Spiegare la tua presenza sarà un disastro.
Bushido si irrigidì sotto di lui, e Bill aggrottò le sopracciglia.
- …non credo ce ne sarà bisogno, piccolo.
Il moro si ritrovò a stringere così forte i pugni da piantarsi le unghie nei palmi. Fino a farsi male.
- Sei arrivato ieri sera.
- E devo ripartire fra tre ore.
- Non è possibile! – si lamentò lui, rivoltandosi sul materasso e guardandolo negli occhi, - Sei arrivato… dieci ore fa! Ed abbiamo dormito per le ultime quattro! Non puoi andartene, Anis, ti prego…
Bushido gli sfiorò una guancia con due dita, sorridendo appena.
- Non sarei neanche dovuto venire, piccolo. Ho le riprese per il video del nuovo singolo.
Bill gli si abbatté addosso, sospirando pesantemente.
- Quella canzone fa schifo. E quell’uomo è viscido.
- Ma… - rise lui, - Ma se è uno zucchero! Ti ha anche regalato una caramella, quando-
- Appunto! – tornò a guardarlo Bill, mugolando scontento, - È tremendo! Che razza di uomo regala una caramella ad un ragazzo?!
- Un uomo che scambia il suddetto ragazzo per la nipotina della mia cugina bianca?
- Tu non hai una-
- Ma cosa pensi che gli importi? – rise ancora Bushido, divertito oltre il legale, arricciandosi su se stesso, - Ha un milione di anni, perché deluderlo?
Bill mugolò e si ripiegò contro il suo collo, abbracciandolo stretto.
- Che razza di ore sono…?
- Molto molto tardi, piccolo. Siete abituati a svegliarvi sempre quando la gente normale va a fare il riposino pomeridiano?
Bill scrollò le spalle.
- Più o meno. – si allungò verso il comodino e recuperò il cellulare, scalciando un po’ le lenzuola per muoversi più liberamente e componendo a memoria il numero di Tom. – Tomi? – chiamò pigolando, - Sììì, lo so, avevo sonno da morire… c’è la TV, per caso? Mmmhn. Mandali via. Scendo fra una mezz’ora.
Chiuse la conversazione e si voltò a guardare l’altro uomo, che lo fissava di rimando con aria critica.
- Tu- - cominciò, ma Bushido non lo lasciò finire, poggiandogli un dito sulle labbra.
- No, Bill. – rifiutò nettamente.
Lui si divincolò dalla stretta e ricominciò a parlare.
- Hai detto tre ore, no? Ci muoviamo, facciamo colazione tutti insieme e poi ti accompagno in aeroporto!
Bushido scosse il capo.
- Hai dimenticato dei pezzi. Ci muoviamo, facciamo colazione tutti insieme, io tollero tuo fratello che, se va bene, mi fissa come fossi un assassino e, se va male, mi prende a insulti, e poi mi accompagni in aeroporto dove dovrò sopportare anche le tue lacrime. È così che andrà.
- Anis, ti prego
- No, Bill, sono io che ti prego!
Si fissarono per qualche istante, e Bill trovò surreale che stessero a tutti gli effetti litigando ma avvinghiati come non volessero lasciarsi andare mai più.
- …cosa ti costa?
Bushido fece una smorfia. Gli costava eccome, e Bill lo sapeva. Gli costava la fatica di non tirare qualcosa di molto doloroso in faccia ad un fratello scostante che non credeva fosse davvero compreso nel pacchetto Kaulitz e che invece lo era senza via di scampo. Gli costava starsene immerso in un mondo non suo, un mondo che gli era del tutto ostile e che continuava – giustamente – a vederlo come un intruso ogni volta che si mostrava in giro. Gli costava, soprattutto, resistere alla tentazione di mandare tutto a fanculo e restargli accanto quando lo vedeva piangere. Prendere tutto – il nuovo album, il video, il singolo e perfino Karel Gott – buttarlo nel cesso e tirare lo sciacquone. Solo per restargli accanto.
Ma costava altrettanto a Bill osservarlo rinunciare a dei momenti preziosi in cui avrebbero potuto semplicemente stare insieme, solo perché si sentiva a disagio in mezzo ai suoi amici. Solo perché suo fratello faceva lo stronzo. Solo perché ad Anis non piaceva vederlo piangere.
Alla fine, l’uomo cedette. Grugnì infastidito e si mise seduto. Bill commentò solo con un sorriso.
*
- Oh. Capisco. – furono le prime parole di Tom quando li vide avanzare lungo il bordo della piscina. Bill sorrideva lievemente stringendo la mano di Bushido, e fondamentalmente, in quel preciso istante, che suo fratello fosse un isterico geloso era una cosa che gli interessava solo in via marginale. Poteva tollerarlo.
Anis non sembrava dello stesso avviso, però, e si premurò di farglielo sapere cercando di divincolarsi dalla sua stretta. Bill gli lanciò un’occhiataccia.
- Anis, non siamo al liceo e quella non è la ragazza che ti veniva dietro e dalla quale non vuoi farti vedere mano nella mano con me. È mio fratello. Piantala.
Bushido sospirò e roteò gli occhi.
- È palesemente la ragazza che veniva dietro a te, ecco perché non voglio che ci veda mano nella mano. – lo prese in giro con un mezzo ghigno.
- Piantala col twincest, amore, posso uccidere per molto meno. – lo avvisò con un sorriso serafico. Bushido grugnì e lasciò perdere.
- Allora ho fatto bene a mandarla via davvero, la tv. – commentò il rasta addentando un sandwich dalla dubbia farcitura. – Come cazzo avresti fatto ad arrivare fino a qui tu, eh, tunisino?
Bushido strinse con forza le dita attorno a quelle sottilissime di Bill, facendogli quasi male.
- Pagando, naturalmente, Kaulitz. – rispose tagliente, - Di tasca mia. Non lasciando che a saldare il conto fosse la mia casa produttrice. Ma mi pare perfino superfluo specificarlo.
- E allora perché lo fai? – ritorse supponente il biondo, mandando giù un sorso di succo di frutta.
Bushido ringhiò. Bill gli strinse un braccio attorno alla vita.
- Ci calmiamo tutti quanti? – chiese con un sorriso zuccheroso, - Tomi, Anis andrà via fra qualche ora, saresti molto gentile se potessi-
- Io non sono gentile. – lo interruppe suo fratello, accavallando pigramente le gambe.
Bill fece una smorfia.
- Potresti essere buono con me, allora? – insisté il moro, accomodandosi su una delle sedie e spingendo Bushido a fare lo stesso.
Tom concesse un gesto di vaga approvazione e tornò ad affondare il naso nell’enorme bicchiere di succo di frutta.
- Grazie mille, Tomi. – concluse Bill con lo stesso sorriso di prima. Bushido guardò altrove, aggrottando le sopracciglia. Quel sorriso lo irritava a morte. Era un sorriso condiscendente, tenero ed arreso, e Bill lo usava solo con Tom. Era come se, ogni volta che mostrava quel sorriso, Bill stesse ribadendo il concetto fondamentale che Tom si gloriava di rinfacciargli ogni volta che se lo trovava fra i piedi: lui è mio ed io sono suo, ci apparteniamo in un modo che tu non potrai mai neanche lontanamente arrivare a comprendere. E ci sono cose di lui che saranno sempre e solo mie. Non potrai mai nemmeno sfiorarle.
Quel sorriso era una di quelle cose.
Bushido lo odiava.
- Anis, ti vanno queste robe…? Non mi piacciono per niente… - mugolò Bill, facendogli scivolare sotto il naso un contenitore di plastica pieno di roba fritta vagamente somigliante a patatine, - Sono dolci. – specificò il moro, - Mangiano certe schifezze, da questa parte del mondo…
Bushido scrollò le spalle ed allungò una mano verso il cesto della frutta posato nel centro del tavolo, recuperando un’arancia ed andando alla ricerca di un coltello per sbucciarla.
- Quindi molli il lavoro per venire a scopare oltreoceano, tunisino? – ricominciò prevedibilmente Tom dopo qualche secondo, piluccando dal proprio contenitore ricolmo di frutta mista in pezzi.
- Il mio lavoro, se permetti, sono fatti miei. – replicò seccamente Bushido, senza degnarlo nemmeno di uno sguardo.
Tom scrollò le spalle.
- Be’, sai com’è, fino a ieri Bill si lamentava che eri così tremendamente impegnato da non poterlo nemmeno chiamare al cellulare… evidentemente invece non fai un cazzo tutto il giorno, tu.
- Tom, senti- - cominciò, già irritato, ma Bill lo fermò pressandogli quelle dita incredibilmente sottili tutte attorno al polso, e rivolgendogli un’occhiata da cucciolo ferito, scuotendo appena il capo.
Bushido sospirò e tornò a stendersi contro lo schienale della sedia, sbucciando l’arancia. Tom sorrise trionfante.
- Sei fortunato che non ci sia David da questa parti. – riprese il rasta, passando a divorare il secondo sandwich, - Altrimenti avrebbe chiamato la sicurezza per farti buttare fuori. Non lo sai che abbiamo riservato tutta l’area VIP? Non ci potresti nemmeno stare, qui.
- Sono con tuo fratello, nel caso ti fosse sfuggito. – specificò l’uomo, mandando giù uno spicchio del frutto.
Tom sogghignò.
- Uh, già, è vero. Sai, trovo ancora difficile abituarmi al pensiero che ormai non sei più solo tu che sbavi dietro al culo di mio fratello, e che ora la cosa è reciproca.
- Cristo santo! – strillò, battendo arancia e coltello sul tavolo, - Mi sono rotto i coglioni di-
- Anis, ti prego. – lo fermò ancora Bill, mordendosi un labbro con aria sofferente, prima di rivolgersi al fratello, - Tomi, te l’ho chiesto come favore personale. Ti scongiuro. Ti prometto che dopo faremo qualcosa di bello io e te da soli, appena Anis sarà andato via.
Tom si alzò in piedi, gettando sulla tovaglia quanto restava del suo sandwich mangiucchiato.
- Fate il cazzo che vi pare. – rispose con una scrollata di spalle, prima di sfilare la maglietta e dirigersi tranquillamente verso la piscina a qualche metro da loro.
Bill si voltò a guardare il proprio uomo e, riflessa nei suoi occhi, trovò tanta di quella disapprovazione che ci si perse dentro.
- Scu-
- Non ci provare nemmeno, a scusarti. – tagliò corto l’uomo, recuperando l’arancia e ricominciando a tagliarne via spicchi, - È una tua fottuta colpa, questa situazione. Continua a dargliele tutte vinte e vedrai dove andremo a finire.
Bill si morse l’interno di una guancia, forzando un sorriso mite.
- Lo so, Anis. È per questo che mi scuso. Cercherò di sistemare la situazione appena sarai andato via. Promesso.
Bushido scosse il capo e sospirò, esausto.
- Prometti a me e lui due cose diverse, piccolo. – commentò con un mezzo sorriso, - Così è perfino peggio.
Bill si ripiegò contro la sua spalla, socchiudendo gli occhi.
- Non voglio litigare, Anis… è bello averti qui, non ci vedevamo da… tipo un mese.
Lui sospirò ancora, passandogli un braccio attorno alle spalle.
- Sì, all’incirca. – concesse con un cenno d’assenso. – Ti mancavo?
Bill sorrise contro la sua pelle, inspirando il suo profumo.
- Come l’aria.
- Ma sei ancora vivo.
- …non fare lo stronzo, adesso.
Bushido rise, lasciandogli un bacio sulla testa.
- Mi mancavi anche tu. – ammise a bassa voce.
- Sì, in effetti ti vedo sciupato… - commentò Bill con una risatina, - Si vede che la mia assenza ti devasta.
Per qualche secondo, Anis non disse niente. Poi strinse la presa della mano sulla sua spalla e lo guardò.
- È vero. – rispose, - Mi devasta.
Bill arrossì, perché c’erano volte in cui i filtri di Anis non si limitavano ad essere sottili come sempre, ma andavano oltre, sparivano e basta. Erano quei momenti in cui aveva l’impressione di potergli leggere nel cuore. Ed era spaventosa la quantità di affetto che riusciva a vederci dentro.
Distolse lo sguardo, perché era sempre difficile reggere gli occhi di Anis quando lo guardavano con quella purezza. Paradossalmente, era molto più facile gestirlo quando era affamato ed eccitato, che non quando era così tranquillo. Era troppo sincero. Era un sincerità che non poteva che farti piacere, d’accordo, ma feriva anche, perché era assoluta. Era unica. Era tagliente.
Era come se cercasse di entrargli dentro al corpo, ogni volta che lo guardava così. Come se stesse cercando di procurargli una ferita per intrufolarsi dentro di lui.
- Mangi regolarmente? – chiese per deviare il discorso, chiedendosi se fosse normale per un diciannovenne chiedere una cosa simile al proprio fidanzato trentenne.
Bushido rise.
- Le pizze a casa di Chaky contano come pasti regolari?
- …vecchie di quanti giorni? – chiese con una punta di disgusto, abbattendosi contro la sua spalla. Spalla che Bushido scrollò, facendolo saltellare tutto fino a confondergli le idee.
- A saperlo, piccolo. – ammise, inclinando un po’ il capo.
Bill sorrise lievemente e si accoccolò contro di lui. Tom riemerse dalla piscina proprio in quel momento, ed avanzò a bordo vasca fradicio e luminoso del riflesso del sole che batteva attraverso le gocce d’acqua sulla sua pelle liscia e ambrata.
- Prendetevi una stanza. – commentò acido, afferrando un accappatoio ed usandolo come un asciugamani prima di gettarlo a casaccio sulla sedia e tornare verso la piscina, per appropriarsi di una sdraio.
Bushido non avrebbe commentato l’uscita, se non avesse sentito chiaramente Bill ridacchiare contro di lui.
- ‘Cazzo ridi, Bill? – borbottò deluso, - Tuo fratello è uno stronzo.
Il ragazzo scrollo le spalle, spalmandoglisi addosso.
- Era una battuta carina.
- Solo nelle vostre teste contorte.
- Ma dai… - cercò di rabbonirlo con un sorriso sereno, - Era come dire che siamo molto appassionati.
- No, piccolo, era come dire “mi fate schifo, toglietevi dai piedi”.
- Vuoi insegnarmi a capire il mio gemello, Anis?
Bushido sospirò.
- Vorrei insegnarti a non farti prendere per il culo, testone che non sei altro. Ma è una battaglia persa in partenza. Almeno con lui.
Bill scrollò le spalle. Non aveva ancora toccato cibo.
Bushido si ritrovò per la prima volta a chiedersi se fosse troppo teso perfino per mangiare.
- Che ore sono? – si sentì chiedere da quella vocina estenuata e debole che anticipava sempre i loro addii.
- Molto tardi. – biascicò senza nemmeno guardare l’orologio. Lo fece Bill per lui.
- È vero… - confermò tristemente, - Andiamo a prepararci?
Anis scosse il capo.
- Io vado a prepararmi, cucciolo. Tu resti qui.
- Io ti accompagno.
- No.
- Io. Ti. Accompagno.
- No-oh.
Bill mise su un broncio delizioso, incrociando le braccia sul petto.
- La pianti di fare il bambino? – lo rimproverò a mezza voce, inarcando un sopracciglio con aria inquisitoria.
Bushido sospirò.
- Promettimi che non piangerai.
Bill sorrise.
- Promesso.
*
Bill era talmente teso che, Bushido ne era sicuro, se solo avesse provato a sfiorarlo sarebbe andato in mille pezzi. Infilò lo spazzolino da denti nel beauty case e poi infilò quest’ultimo nello zaino, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa che potesse avere scordato.
Bill stava seduto sul letto e Bushido si chiese se esistesse un modo per piegarlo in quattro ed infilare nello zaino pure lui, visto che aveva l’impressione che l’unica cosa che avrebbe rimpianto, una volta rimesso piede in Germania, sarebbe stato il suo corpo.
Bushido non era mai stato tipo da grandi riflessioni, eppure con Bill si ritrovava a volte a provare sentimenti che non avevano il minimo senso. Ad esempio, in quel momento: Bill era lì, a due metri da lui. Gli sarebbe bastato allungare un braccio e l’avrebbe toccato.
Eppure gli mancava. Non si sentiva abbastanza vicino. Era come trovarsi già dall’altro lato dell’oceano e invece, a voler esagerare, stava appena dall’altro lato del tappeto. E non era nemmeno vero, perché in realtà sul tappeto ci teneva i piedi quasi per intero.
- Bill? – lo chiamò a mezza voce, e lui tirò su il capo come si fosse svegliato in quel momento.
- Preso tutto? – chiese con un sorriso appena accennato, stringendo i pugni attorno alle ginocchia rigidamente piegate. Sembrava una bambola di plastica.
Gli si avvicinò, lasciando cadere lo zaino per terra e sedendosi sul letto accanto a lui.
- Lo sai che mi mancherai? – chiese, poggiando una mano sulla sua e percependola fredda e tesa sotto i polpastrelli, - Sul serio.
Bill si morse un labbro.
- Devi per forza-
- Devo per forza. – lo interruppe, annuendo brevemente. Con Bill era sempre tutto molto difficile. Concedergli qualcosa poteva essere davvero incredibilmente pericoloso, se poi ci si lasciava sfuggire il controllo.
Si piegò su di lui, baciandolo lentamente, come a voler stiracchiare il tempo. Magari, se si muovevano a rallentatore loro, anche le lancette non avrebbero avuto tanta fretta di fare il giro del quadrante.
Bill sollevò le braccia a cingergli il collo, e Bushido mugolò di disappunto perché, anche a non volergli concedere le cose, Bill sapeva bene come prendersele. Quando Bill sollevava le braccia in quel modo, quando lo stringeva al collo, quando si alzava sulle ginocchia e poi lo scavalcava con una gamba, sedendoglisi in grembo, non era mai per un paio di coccole e non era mai per un blando saluto.
- Bill, è-
- Arriverai in tempo. – lo rassicurò lui, prendendogli entrambe le braccia e conducendolo finché non gli concesse un abbraccio, - Promesso.
Bushido scansò il pensiero pericoloso – no, piccolo, non ci arriverò perché non ci voglio nemmeno arrivare – e chiuse gli occhi, stringendosi contro il suo corpo magrissimo, premendoselo addosso come a volerselo marchiare sulla pelle, solo per sentirsi ripetere dai propri sensi, per l’ennesima volta, che in realtà non ne aveva bisogno, perché Bill era sempre lì: le ossa appuntite del suo bacino, la curva incredibilmente flessibile della sua schiena, le spalle piccole e strette, il collo sinuoso ed elegante, la linea dura della mascella, la morbidezza surreale delle sue labbra.
Non ho nessun motivo di sentire la tua mancanza, amore, perché ti ho addosso sempre.
Ed invece no, ho tutti i motivi del mondo di sentire la tua mancanza, amore, perché non ci sei mai.

Lo aiutò a venir fuori dai jeans e da quell’assurda maglia da donna che s’era messo addosso prima di scendere di sotto, e poi si stese sul letto, e lasciò che fosse Bill a fare il resto. Gli piaceva quando Bill lo spogliava, perché lo faceva sempre con timore. E con una certa concentrazione. Era buffo, si metteva addosso un’espressione infantile veramente carinissima. Bushido lo osservava ed a volte non poteva fare a meno di afferrarlo per la nuca e tirarlo verso di sé per baciarlo ed avere una scusa sensata per chiudere gli occhi, così da non dover ridere.
Quella volta non lo fece perché in realtà di voglia di ridere ce n’era davvero poca. Lo tenne stretto per i fianchi mentre Bill gli sfilava i pantaloni e poi si spingeva contro la sua erezione, lasciandola scivolare contro la propria, pressandogli entrambe le mani sugli addominali, per reggersi dritto. Bushido ringhiò, lo prese per un polso e portò la mano alle labbra, lasciando un bacio su ogni polpastrello. Bill lo guardò e sorrise, e poi premette le punte delle dita contro le stesse labbra che lui dischiuse, accogliendole dentro la propria bocca, accarezzandole con la lingua e perdendosi nei mugolii di risposta di Bill.
Lo lascò andare con un sorriso furbo, baciando un’ultima volta le punte delle dita prima di seguirne il cammino lungo il proprio petto e il proprio ventre. Poi le osservò scomparire sotto il corpo di Bill e, quando lo vide chiudere gli occhi e schiudere le labbra, perdendosi in un’estasi solitaria del tutto priva di suono, seppe che si stava preparando per lui.
Lo sollevò per i fianchi perché voleva vederlo. Voleva osservare quelle dita affusolate entrare ed uscire del suo corpo, prepararlo alla sua presenza. Non che bastassero, in genere – Bill aveva ancora un mucchio di difficoltà a tenerlo dentro senza dover buttare fuori tutta l’aria che aveva in corpo, per fargli spazio – ma cazzo se erano belle.
Quando Bill sfilò le dita, Bushido non aspettò neanche un attimo per prendere il loro posto. Se lo lasciò scivolare addosso godendo della resistenza del suo corpo, mentre Bill stringeva i denti e tornava a premere le mani contro il suo ventre, cercando di imporgli un ritmo meno frenetico, paralizzando il tempo quando si tirava su, arrivando fino al limite, prima di aiutarlo a riprendere il suo corso lasciandosi ricadere verso il basso, prendendolo dentro fino all’ultimo centimetro.
Bushido lo strinse forte alla vita, si augurò di lasciargli dei segni evidenti, segni tali che non avrebbe più potuto alzare le braccia in concerto, perché con quelle micro magliette che metteva ogni volta si sarebbe ritrovato seminudo e tutti avrebbero visto. Segni viola talmente prepotenti, contro quella pelle bianchissima, che nessuno avrebbe potuto equivocare.
Sei mio. Quando non ci sei. Quando non ci sono. Lo sei sempre.
Bill si spinse contro di lui, una volta, due volte, più forte e più veloce, accarezzandosi distrattamente fra le cosce, come non ne avesse davvero bisogno perché la cosa che lo faceva godere non erano le mani, non erano le carezze, non era neanche la sua stretta, la cosa che lo faceva godere era il suo cazzo, piantato dentro di lui così in profondità da sconvolgergli il corpo e la testa, tanto in profondità da togliergli il fiato, la capacità di pensare, di far battere il cuore, di provare dolore, perfino di esistere. Restava solo il suo corpo a muoversi. Avanti. E indietro. Avanti. E indietro.
Bushido venne con un gemito soffocato, mordendosi un labbro e scattando in avanti, per un secondo completamente impossibilitato a controllare le proprie funzioni motorie, proprio mentre Bill stringeva con più decisione la mano attorno alla propria erezione pulsante e pompava un paio di volte, aiutandosi a raggiungere l’orgasmo e venendogli addosso, gettando indietro il capo.
Se ne accorse in quel momento, Bushido. Se ne accorse quando Bill tirò indietro la testa, perché vide una lacrima cadergli lungo la guancia. E si chiese per quale dolore stesse piangendo il suo ragazzo. Però a lui non disse niente.
*
Bill non gli si era ancora arricciato addosso. Erano seduti di fronte al gate già da una ventina di minuti e dovevano aver scambiato in tutto tre o quattro parole – qualcosa tipo “quanto manca?”, “un po’” – dopodiché erano rimasti immobili, ognuno sul proprio scomodo seggiolino, a fissare il tabellone luminoso delle partenze sulla parete di fronte a loro.
Che Bill non gli si arricciasse addosso ad una mezz’ora scarsa dalla propria partenza era disturbante, strano e triste. A Bushido non piaceva.
- Potresti almeno salutarmi. O intendi tenermi il muso finché non sarò salito sull’aereo, solo perché mi sto rifiutando di restare?
Bill gli lanciò un’occhiata infastidita. Una delle numerose cose che avevano in comune – uno dei numerosi motivi per cui non avrebbero mai dovuto stare insieme, ed anche uno dei numerosi motivi per i quali invece non riuscivano a stare l’uno lontano dall’altro – era l’incredibile fragilità dei loro momenti di calma. C’erano, sì, c’erano momenti in cui riuscivano a stare tranquilli. Ma duravano generalmente poco ed erano seguiti da interi giorni di agitazione tali da portarli a litigare per un niente. Senza un perché. Per il gusto di farlo. O forse neanche per quello.
- Non ho il diritto di essere triste? – chiese il ragazzo, stringendo le mani sulle ginocchia.
- Sì che ce l’hai. – ritorse lui, serissimo, - Ma non è un tuo diritto esclusivo, Bill. Se credi che a me faccia piacere-
- Io non credo che a te faccia piacere! – disse Bill, voltandosi di scatto a guardarlo. Poi si fermò, sembrò riflettere sulla possibilità di restare in silenzio o continuare a parlare, e Bushido vide i suoi occhi colorarsi dei toni opachi dell’incertezza e poi diventare liquidi e brillare per un secondo, prima di spegnersi, scendendo a fissare le punte delle anonime scarpe da tennis che indossava. S’era arreso. Arreso al litigio. – Credo non te ne freghi un bel niente. – disse infatti.
Bushido digrignò i denti.
- Sono venuto fino a qui dalla fottuta Germania, Bill! – gli rinfacciò Bushido, tirando distrattamente un calcio allo zaino posato sul pavimento fra le sue gambe. Era assurdo trovarsi in quel momento a ripetere quelle cose. Era il tipo di litigio più rodato che possedessero. “A te non frega niente di me – e per dimostrare che ho torto ti faccio arrabbiare”. “Non è vero, m’importa – e per dimostrartelo ti faccio del male”. Era una cosa talmente automatica che a volte Bill non aveva più nemmeno bisogno di dargli la frase di partenza, per cominciare ad urlare. Si ritrovavano a litigare furiosamente l’uno da una parte del divano e l’altro all’angolo opposto senza neanche aver bisogno di un motivo per farlo.
- Potresti rimandare le riprese del video e restare un po’… - disse Bill, ma il tono della sua voce non era speranzoso. Quella non suonava nemmeno come una richiesta. Era solo il ripetersi di un copione già scritto.
- Resterei, lo sai, ma non posso. – c’era da annoiarsi.
- Non vuoi. – c’era da smetterla, da smetterla davvero di continuare a prendersi in giro così.
- Bill, piantala di dire cazzate. – c’era da smetterla davvero.
Se io ti amo e tu mi ami, qual è il senso di questi discorsi? A cosa serve farsi del male in questa maniera del cazzo? A cosa serve inciderti addosso una ferita ogni volta che ci vediamo, solo per vedere che sono ancora in grado di farti male? Solo perché se ti faccio male vuol dire che ti importa ancora? Perché dovrei farlo, se già lo so che t’importa? Perché devo farti del male se tutto quello che voglio è un bacio e sentirmi ripetere che ami me solo me fino a quando non dovrò salire su quel fottuto aereo e sarò costretto a dimenticarmelo?
- Lasciamoci, Anis.
Bushido sollevò gli occhi. Prima sulle poltroncine di fronte alla sua. Non guardava nessuna delle persone lì sedute, ma almeno un paio di viaggiatori in attesa si sentirono molto disturbati da quello sguardo, e cominciarono ad agitarsi sul posto. Così Bushido guardò un po’ più in alto, sul tabellone delle partenze. Mancava un quarto d’ora all’inizio delle operazioni d’imbarco, più o meno.
Mentre Bill rimaneva zitto e immobile al suo fianco, Anis riavvolse il nastro della memoria a partire da due giorni prima. Da un colpo di testa e da un volo transoceanico. Dall’arrivo in un aeroporto sconosciuto e dal viaggio in taxi fino all’albergo. Dal sorriso sconvolto e felice di Bill e dalle sue braccia strette attorno alle spalle. Dal calore della sua pelle e dalla morbidezza incredibile del suo corpo. Da quanto gli fosse mancato stare dentro di lui. Dai suoi occhi brillanti mentre veniva sotto le sue spinte. Dalle sue mani serrate attorno alla sua stessa eccitazione.
Lasciarsi.
Perché?
A parte il dolore degli addii, a parte le incomprensioni di fondo, a parte il suo fottuto fratello impossibile, a parte la sua arrendevolezza, a parte gli impegni, a parte la nostalgia, a parte i litigi, a parte le ferite, a parte le difficoltà oggettive di portare avanti quella relazione assurda…
…ce l’avevano, loro, un motivo per lasciarsi?
- È a te che non frega un cazzo di questa relazione, Bill. – scoccò velenoso, senza preoccuparsi di tenere bassa la voce, - È a te che non frega un cazzo dei sacrifici che faccio. Se prendo un dannato aereo e rinuncio a due notti di sonno per raggiungerti, tu non puoi limitarti ad essere felice, no! – ghignò cattivo, recuperando lo zaino da terra e tirandoselo in spalla, mentre si alzava in piedi, - Tu, cazzo, tu devi cominciare a pretendere l’assurdo! Devi pretendere che io resti, anche se fino a un’ora fa stavi dicendo a quello stronzo di Tom che appena me ne fossi andato saresti stato tutto a sua disposizione!
Bill abbassò lo sguardo e rimase seduto, come pietrificato. Nemmeno respirava.
- Vuoi lasciarmi, Bill? – lo rimproverò alla fine, cupo, - Per me va bene. Ma non dire “lasciamoci” e soprattutto non dare a me la colpa. Prenditi le tue responsabilità e dimmi che vuoi lasciarmi, vaffanculo.
Bill strinse le mani in grembo e Bushido capì che piangeva solo dal tono di voce, quando parlò.
- Non capisci un cazzo. – lo sentì rantolare esausto, - Non capisci un cazzo di niente. Dovrei lasciarti anche solo per questo, stronzo supponente che sei. – sollevò lo sguardo, fissandolo finalmente negli occhi, lunghe strisce di kajal a rigargli le guance, - Ti senti tanto adulto, eh? A dirmi “prenditi le tue responsabilità”… ma cazzo, la responsabilità di questa storia è tua, stronzo! Sei tu che mi hai fatto innamorare, sei tu che hai insistito, sei tu che sei così come sei, ed io non posso smettere di provare queste cose, e non posso lasciarti, stronzo, perché ti amo!, ma mi fai male, Cristo, come faccio ad evitare di fartelo pesare, me lo spieghi?!
Tornò ad abbassare lo sguardo, ficcando entrambe le mani nell’enorme borsa che si trascinava dietro, alla ricerca di un qualche fazzolettino col quale ripulirsi il viso. Bushido si passò una mano sugli occhi. Si sentiva esausto. La sua non era una stanchezza da insonnia. Non era il jet lag e non erano neanche i litigi, a sfiancarlo così. Era, probabilmente, l’impossibilità fisiologica di rendere felice Bill. Renderlo felice sempre.
Sei mio quando ci sono e quando non ci sono. Ma non sei mai felice. Perciò, che tu sia mio comunque non è abbastanza.
Gli si inginocchiò di fronte, cercando i suoi occhi. Non li trovò perché erano ancora persi dentro il borsone, alle ricerca del famoso fazzolettino che, fra le lacrime che gli offuscavano la vista, sembrava completamente introvabile. Gli passo un pollice su una guancia, imbrattandosi tutto, e non gli importò. Così come non gli importò di non riuscire a fare nient’altro che allargare la macchia di trucco contro la sua pelle arrossata.
- Avevo ragione, non saresti dovuto venire… - disse in un soffio, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso, - Hai visto che hai pianto?
Bill rilasciò un singhiozzo stremato, stringendosi nelle spalle.
- Giuro che non volevo piangere. – si lagnò, distogliendo lo sguardo, - Avevo promesso, non volevo piangere. Ma tu volevi litigare, accidenti a te. Perché vuoi sempre litigare?
Bushido scosse il capo. Non aveva una risposta.
- Non lo so. – confessò a bassa voce, - Ogni tanto è solo… succede. Forse preferivo che piangessi per un litigio che non perché stavo andando via. Piangi sempre, quando vado via…
- Perché vai via! – motivò Bill, stringendo i pugni attorno alla borsa. – Mi sembra un motivo più che valido!
Bushido inarcò le sopracciglia, sollevandosi un po’ per riuscire ad abbracciarlo. Erano in una posizione ridicola. Bill seduto sul seggiolino e lui piegato in quella maniera assurda. Però il corpo di Bill era caldo e tremava ancora un po’. I suoi respiri spezzati s’infrangevano contro la pelle del suo collo dandogli i brividi.
Cinque minuti all’imbarco. Queste cose succedevano sempre a cinque minuti dall’imbarco.
- Scusami. – concesse in un sospiro, stringendoselo contro, - Anche se non posso dirti che smetteremo di litigare. O che sarà più facile. Non posso neanche dirti che ci proverò, perché non so se voglio provarci, a rendere le cose più semplici.
Bill scosse il capo, serrando le dita attorno alla sua maglietta.
- Ma io non voglio che cambi. – mugolò fra i singhiozzi, - A me piace così, Anis. A me piaci così. È così che ti ho scelto, è così che ti voglio. Tu… - gli lasciò un bacio distratto sulla guancia, - tu non devi cambiare. Però non puoi neanche pretendere che lo faccia io.
“Il volo LH7833 per Berlino, Germania, è in partenza dal gate numero 8. I passeggeri sono pregati di avvicinarsi per facilitare le operazioni d’imbarco.”
Bill strinse la presa attorno alla sua maglietta. Lo rilasciò subito dopo.
- Lo so che devi andare… - disse in un sospiro, - …e so anche che vorresti restare. Davvero.
Bushido sorrise contro la sua tempia, accarezzandogli gentilmente la nuca.
- Non sai quanto. – rispose con un ghigno.
Bill rise – una risata estenuata, ma almeno sinceramente divertita.
- No, so anche quanto. – lo corresse, strusciandoglisi casualmente addosso.
Rise anche Bushido.
- Sei tremendo. – commentò con finto disappunto, separandosi da lui.
Bill non piangeva più.
- Vedi? – disse il ragazzo, indicandosi gli occhi, - Ti sto salutando e non sto piangendo! Sono adulto.
Bushido annuì.
- Sono orgoglioso di te. – concesse, scompigliandogli i capelli.
Le sue lamentele – “non riuscirò mai a rimetterli a posto senza lacca, Anis!” – lo accompagnarono fino al gate. Ed anche un po’ dopo.
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