Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Roxy/Dirk.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Angst, Onesided, Spoiler per l'Act6.
- "E' solo un’illusione, quella in cui si permette di credere. Che lo schermo di un pc possa farle da scudo rispetto alle emozioni che prova. Non ci riesce mai davvero. Le emozioni sono dentro, e lì non c’è nessuno schermo."
Note: ç_ç Il mio dolore concentrato. Quando ho detto a Tab che volevo scrivere questa storia lei era tipo "ti vuoi male", perché in effetti bisogna essere masochisti per ribadire in una fic un concetto già espresso nell'opera originale, e che mi aveva già fatto stare spaventosamente male solo a leggerlo lì ç__ç Ma insomma, che vi devo dire. Vogliamoci male tutti insieme.
Scritta per sconfiggere il crudele falco Coz per il secondo round della Zodiaco!Challenge @ fiumidiparole. Ello pretendeva storie che finissero male, per essere abbattuto. Ebbene io ti abbatterò a colpi di angst, uccello maledetto.
Ps: Titolo rubato ad un verso della splendida Never Bloom Again dei The Perishers, versi citati all'inizio rubati a Niente Di Più dei Lunapop, che è LA canzone Dixy per eccellenza. *piange tutte le sue lacrime*
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PARTLY HERE, PARTLY GONE

Quello che volevo, come sempre non c’è
Solo un po’ d’amore che diventa polvere

- Eccoti, finalmente.
La voce di Dirk le rimbomba nelle orecchie con un’eco spaventosa, e Roxy la odia. Le capita sempre, quando è in queste condizioni. Finisce sempre per volere un sacco male a Dirk per un sacco di motivi diversi, ma alla fine è sempre tutto là, non lo odia mai tanto quanto lo odia in situazioni come questa. Quando lei non ha alcuna voglia di essere trovata, ma lui la trova lo stesso.
- Non dovresti neanche essere qui. – borbotta, sorseggiando il suo martini. È già così fottutamente ubriaca che finisce a infilare tutto il viso nel bicchiere, la punta del naso che sfiora i cubetti di ghiaccio già mezzi sciolti dal calore dell’alcool. Aveva detto liscio, bastardo di un barman. Non si è neanche accorta del ghiaccio finché non l’ha praticamente toccato. È davvero ubriaca.
- Non abito così lontano da te. – dice lui, avvicinandosi e poggiandole una mano sul braccio, - Andiamo, Rox. Ti riporto a casa.
- Non ci voglio andare a casa. – piagnucola Roxy, ritraendo il braccio e scivolando – quasi cadendo – giù dallo sgabello sul quale è seduta, - E comunque non intendevo quello… non… non dovresti essere qui a prescindere. Lo sai. Io non—
- Rox, cazzo, devo prenderti in braccio? È questo quello che devo fare? – il tono di Dirk è severo, stentoreo. La sua voce è dura e spigolosa e le ferisce le orecchie. Roxy se le copre con entrambe le mani, chiudendo forte gli occhi, tanto forte che le fanno quasi male, e le tremano le ciglia. Dirk deve rendersi conto del suo dolore, in qualche modo – strano, pensa Roxy con tristezza, visto che non lo fa mai – perché il suo tono cambia istantaneamente quando torna ad avvicinarsi e le appoggia entrambe le mani sulle spalle, massaggiando piano. – Roxy, scusa. Scusami, davvero. – si avvicina e le lascia un bacio lievissimo sulla fronte. Le sue labbra sono fresche, Roxy gli si appoggia contro con un sospiro, le braccia che le ricadono inerti lungo i fianchi. – Scotti. – le dice Dirk, le labbra le sfiorano la fronte con ogni lettera che pronuncia, - Posso riportarti a casa?
- Non ci voglio andare… - quasi singhiozza lei, sollevando le mani e chiudendole in uno spasmo nervoso attorno al tessuto della sua maglietta. Schiude gli occhi e, pur nella penombra del locale, può vedere lo stupido disegno a forma di cappello sulla sua maglietta deformarsi sotto la presa delle sue dita. Ha voglia di strapparlo in due. Non solo per togliergli la maglietta di dosso. Non sa neanche lei perché. Ha solo voglia di farlo, ma non ne ha la forza. – È vuota. Non ci voglio andare. Mi sento sola.
Dirk le sospira contro la pelle, Roxy sente una fitta alla bocca dello stomaco e stringe con più forza le mani attorno alla sua maglietta.
- Resto con te. – le dice, - È troppo tardi per tornare a casa. E comunque non è che ci sia qualcuno che mi aspetta.
Roxy scuole il capo.
- Non ti ci voglio a casa mia. – piagnucola, ma lo spasmo con cui le sue dita si chiudono con forza perfino maggiore attorno al tessuto leggero della maglietta di Dirk mette in chiaro che si tratta solo di un’orgogliosa, ostinata bugia.
- Non m’importa. – risponde lui, abbracciandola stretta e nascondendo il viso contro la massa profumata dei suoi capelli biondi, - Non ti lascio da sola in queste condizioni.
- Sono sempre sola, quando sono in queste condizioni. – gli fa notare lei, tirando su col naso ed arrendendosi fra le sue braccia, lasciando in pace la sua maglietta per ricambiare la stretta.
- D’accordo, ma stavolta io sono qui. – insiste Dirk, muovendosi appena a sinistra e a destra, cullandola, - Quindi ora sta’ zitta e vieni via con me.
Roxy sa che non dovrebbe cascarci. Questo è troppo poco, non è neanche lontanamente abbastanza, non è neanche lontanamente ciò di cui avrebbe davvero bisogno, ma d’altronde Dirk non le darà mai quello di cui ha davvero bisogno, per cui Roxy si chiede se sia davvero così stupido, così infantile, così deprecabile aggrapparsi a quel poco che da lui può ottenere. Anche se sa già che l’idea di essersi accontentata la farà stare peggio dopo. In questo momento, “dopo” è un futuro lontano in cui Dirk sarà nuovamente lontano da lei, e finché lui è qui Roxy non riesce neanche a visualizzarlo.
Avrà tempo per sentirsi sola e stupida e ridicolmente innamorata. Avrà tempo per farsi del male fino a farsela passare anche controvoglia. Non ne avrà altro, però, per sentire Dirk così vicino, il suo respiro sulla pelle, il suo profumo addosso.
Chiude gli occhi ed annuisce, appoggiandosi a lui mentre lui se la stringe contro, conducendola fuori dal locale. Hanno addosso gli occhi di ogni singola persona presente, perché sono entrambi giovani – troppo per trovarsi in un posto come questo, troppo per essere nelle condizioni in cui sono, troppo anche per il dolore che le espressioni tese sui loro visi dimostrano – e perché sono rimasti immobili ad abbracciarsi e parlare a bassa voce per minuti interi, ma Dirk, nascosto dietro quei suoi assurdi occhiali da sole, sembra non curarsene, e Roxy è troppo confusa e ubriaca per pensarci, perciò a stento li nota, quegli sguardi curiosi e indagatori.
Le scivolano via di dosso, in ogni caso, appena lei e Dirk escono dal locale, e l’aria fredda della notte la colpisce come uno schiaffo in pieno viso, facendole lacrimare gli occhi.
- Sto congelando. – mugola. Dirk si toglie di dosso la giacca e gliela appoggia sulle spalle. Roxy scompare nel suo profumo e per un attimo si sente sottilmente soddisfatta al pensiero che a lui tocchi restare con addosso solo quella sua stupida maglietta a maniche corte, ma è un pensiero fugace, troppo fugace per dargli importanza quando, stringendosi in quella giacca, se chiude gli occhi riesce ancora a sentirsi come se fosse fra le sue braccia.
- Vieni, dai. – dice lui, passandole un braccio attorno alle spalle e conducendola lontano dal locale, lungo la strada. Casa sua non è così distante, ma la colpisce in questo momento per la prima volta il pensiero che Dirk non ha la macchina.
- Come sei arrivato fino a qui? – domanda. Lui scrolla le spalle.
- In treno. – risponde con naturalezza.
- La stazione è dall’altra parte della città. – gli fa notare lei, aggrottando appena le sopracciglia sottili.
- Poi mi sono mosso a piedi. – sospira Dirk, - Perché il terzo grado?
- Così. – risponde Roxy, abbassando lo sguardo e sentendosi irrazionalmente in colpa. Dirk ha fatto tutta quella strada solo per lei, e lei non riesce a fare altro che odiarlo, in questo momento. E volerlo lontano. E volerlo vicino. E volerlo e basta. Roxy sospira, e lui si ostina a guardare fisso davanti a sé, chissà se vede qualcosa oltre quelle lenti scure, ora che è così buio. – Stavo pensando… - comincia a bassa voce, - Gli occhiali potresti anche toglierli.
- Non mi danno fastidio. – risponde lui. Il suo tono è netto, quasi maleducato, ma non infastidito. C’è poca differenza fra le due cose, così poca. Roxy ne ha dovuta fare, di fatica, per imparare a distinguere le sfumature fra i caratteri sempre uguali sullo schermo di un pc. – A te?
Si stringe nelle spalle, abbassando lo sguardo. È ancora troppo ubriaca per riflettere, strascica i piedi contro l’asfalto e nella strada silenziosa è l’unico rumore che si sente assieme ai passi netti e decisi di Dirk.
- Ce la fai? – le domanda lui, fermandosi a guardarla. Lei si ferma di riflesso, ma non riesce a sollevare lo sguardo.
No che non ce la fa.
- Sì che ce la faccio.
Dirk sospira, si volta, cammina per qualche altro minuto, ma Roxy rimane indietro.
- No, non ce la fai. – sentenzia alla fine, avvicinandosi e dandole le spalle, - Salta su.
- È ridicolo. – si lamenta Roxy, - No.
- Salta su. – insiste lui, voltandosi a guardarla da sopra una spalla. Nonostante le lenti ridicolmente larghe che si allungano ai lati del viso di Dirk, Roxy riesce a scorgere un lampo dei suoi occhi scuri e delle sue sopracciglia corrugate. Si rassegna a poggiargli entrambe le mani sulle spalle, e poi le basta sollevare appena le ginocchia per appendersi ai suoi fianchi magri. Le mani forti di Dirk si chiudono con delicatezza sotto le sue cosce, sollevandole appena la gonna, sorreggendola mentre lei si aggrappa alla sua schiena e nasconde il viso nell’incavo del suo collo.
- È ridicolo. – ribadisce, strusciando il naso contro la linea così netta dei tendini tesi sotto la pelle, - Potevo camminare.
- Roxy, stai zitta. – intima lui con un sospiro spazientito, e lei si rassegna, perché d’altronde non è quello che fa continuamente, con lui?
Arrivano a casa in poco tempo. La strada è buia e silenziosa, così come il palazzo. Roxy guarda la finestra di camera sua, al terzo piano, e non vuole tornare a casa. Non ci vuole tornare per nessun motivo al mondo. Ma ci tornerà, perché è lì che Dirk la sta portando. E Roxy seguirebbe Dirk ovunque. Si farebbe ammazzare, cazzo. Forse alla fine ci riuscirà davvero. Sarà molto eroico e molto inutile, la fine perfetta per un’Eroina del Vuoto, sempre che le riesca di diventarlo. Un’Eroina del Vuoto. Non può che morire per niente.
- Se ti metto giù, poi ce la fai a salire le scale? – le domanda Dirk. Lei nasconde il viso contro il suo collo.
- Non voglio tornare a casa, Strider. – borbotta.
- Ma ci tornerai, perché io sono stanco, perché pesi e perché voglio dormire e non posso tornare a casa mia per farlo. – sbuffa lui. – Andiamo, tira fuori le chiavi.
Roxy abbozza una protesta, niente più che un paio di parole che si fondono e si confondono l’una con l’altra, facendole sentire la mancanza della tastiera, di uno schermo e della possibilità di riscrivere ciò che ha sbagliato, anche se spesso non ci riesce. Sembra tutto molto più facile, quando non sono vicini. Sembra anche meno doloroso, anche se è solo un’illusione, quella in cui si permette di credere. Che lo schermo di un pc possa farle da scudo rispetto alle emozioni che prova. Non ci riesce mai davvero. Le emozioni sono dentro, e lì non c’è nessuno schermo.
Si rassegna a recuperare le chiavi di casa, comunque. Apre il portone sbagliando ad inserire la chiave una quantità infinita di volte, ma Dirk non la rimprovera per questo. Aspetta che siano entrambi all’interno dell’ingresso del palazzo, e poi prende nuovamente Roxy in braccio.
Lei lancia un gridolino, aggrappandosi al suo collo, presa alla sprovvista, e lui se la stringe al petto, imboccando le scale.
- Potevo camminare da sola. – protesta. Dirk sbuffa, scrollando le spalle.
- Come ti ho detto, sono stanco. Ci avremmo messo le ore ad arrivare al terzo piano. Figurarsi. Preferisco portarti io. – poi sulle sue labbra si apre un sorriso gentile, quasi tenero. – È come quando fai la sonnambula su Derse. Se ti lasciassi andare, so che prima o poi torneresti da sola. Ma quanto ci metteresti? E io dovrei restare lì ad aspettare per ore i tuoi comodi? Preferisco recuperarti personalmente, perdo molto meno tempo.
Roxy nasconde il viso contro il suo petto, inspirando il suo profumo a pieni polmoni.
- Non ti ho mai ringraziato. – sussurra.
Dirk scrolla ancora le spalle.
- Io non te l’ho mai chiesto.
All’interno, l’appartamento è silenzioso come una tomba. Roxy si stringe a Dirk in un gesto quasi inconscio, come a chiedergli di non lasciarla andare, e lui obbedisce, sistemandosela fra le braccia.
- Mi porti in camera? – pigola lei, chiudendo una mano a pugno attorno al tessuto della sua maglietta.
Dirk annuisce, attraversando il corridoio senza una parola di più. Roxy lo guarda dal basso, cercando un frammento dei suoi occhi, uno spicchio della sua espressione, qualsiasi cosa oltre la piega severa delle sue labbra, e sorride fra sé, perché quello che succede su Derse deve essere molto simile a quello che sta succedendo qui adesso, e lei è contenta di poterlo vedere, almeno una volta.
- Eccoci qua. – dice Dirk. Roxy alza lo sguardo e vede il proprio letto, e la stretta delle sue dita attorno alla maglietta di Dirk si fa più ostinata. Lui se ne accorge, naturalmente, ma non si ferma. Muove un passo e poi un altro e in pochi secondi sono davanti al letto, ma lui la tiene ancora in braccio.
Lei sospira e chiude gli occhi.
- Mettimi giù, dai. – si arrende. Si arrende lei, ma il suo corpo no. Dirk la aiuta a stendersi sul letto, ma le sue dita restano saldamente aggrappate a lui, e lo trascinano giù. E Dirk non se lo aspetta, perché si lascia trascinare, o forse se lo aspetta e si lascia trascinare lo stesso. Roxy non è sicura di volerlo sapere. O che le interessi.
Sente tutto il peso del suo corpo sopra il proprio e si chiede “sarà così? È questo, quello che voglio?”, e lei sue mani scivolano in automatico a circondare le spalle di Dirk, stringendoselo contro il petto, e le sue labbra cercano le sue in gesti timidi e confusi, ma il corpo di Dirk resta immobile, le sue labbra sono fredde e secche, ed anche se, nel movimento, gli occhiali gli sono scivolati via dal naso, i suoi occhi sono inespressivi tanto quanto quelle stupide lenti.
- Rox. – dice a bassa voce, - Rox, lasciami andare, dai.
- No. – Roxy scoppia in un singhiozzo gonfio e stremato, aggrappandosi alle sue spalle, strattonando la sua maglietta, agitandosi sotto di lui, - No, voglio che resti con me. Dirk, ti prego.
- Rox. – ripete lui, la voce bassa, sollevando una mano ed accarezzandole il viso, - Ti prego.
Lei si volta, preme le proprie labbra contro le sue dita, lui ha un’esitazione, poi si stende contro di lei, quasi abbattendosi sul suo corpo, avvolgendole le braccia attorno alle spalle e stringendola forte.
- Perché non posso averti? – piange Roxy, guardando spicchi di soffitto fra i capelli di Dirk.
- Ma io sono tuo. – risponde Dirk, nascondendo il viso contro l’incavo del suo collo.
Roxy deglutisce, socchiude gli occhi e le lacrime cominciano a bruciarle addosso.
- Non abbastanza. – mormora, premendo entrambe le mani contro il suo petto.
Dirk si solleva, la guarda dall’altro. I suoi occhi sono lucidi.
- Mi dispiace. – le sussurra, strofinando la punta del proprio naso contro il suo.
Roxy si lascia sfuggire un sorriso amaro, perché non le importa.
- Ti conviene allontanarti. – lo avverte, - Mi sento male.
Lui sbuffa un mezza risata, e la sua voce rotta forse è abbastanza per consolare Roxy. Non può avere lui, ma può avere il suo dolore. Può condividerlo, perché è lo stesso.
- Cerca di riposare. – le sussurra Dirk, lasciandole un bacio fresco sulla fronte e poi alzandosi in piedi, - Io sarò di là sul divano.
Roxy annuisce, sgattaiola sotto le coperte, le usa per nascondersi, tirandosele su fin sopra la testa. Poi dorme, e su Derse comincia a fluttuare. E Dirk le corre dietro anche lì.
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