Genere: Introspettivo.
Pairing: Lea/Jonathan (onesided), Jonathan/OCs (accennato).
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Angst.
- Sempre la stessa storia. Ogni volta da capo.
Note: Prima di ogni cosa, vorrei ringraziare la Tab che non mi ha mandata a quel paese, e Def e Meg che non mi hanno presa per pazza XD Ciò detto, il Grochele è recentemente diventato uno dei miei pairing het preferiti, e la cosa è assurda perché una donna non può oggettivamente passare la sua vita shippando uomini etero con altri uomini, per poi shipparne uno gay con una donna. C'è qualcosa di profondamente sbagliato in me.
Comunque.
Scritta per il 730!Fest, su prompt frutto proibito del Deffae!Set. La canzone che titola, apre e chiude la storia, invece, è Over And Over dei Three Days Grace.
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OVER AND OVER

I feel it everyday it's all the same
It brings me down but I'm the one to blame
I've tried everything to get away
So here I go again
Chasing you down again
Why do I do this?

Lea apre gli occhi prima di lui nel sole abbagliante della domenica mattina. Gli uccellini cinguettano fuori dalla finestra, nascosti fra i rami degli alberi altissimi che costeggiano il viale, ed i rumori del traffico, a qualche via di distanza, sono talmente ovattati da risultare irreali e quasi melodiosi, la colonna sonora perfetta per un pigro risveglio domenicale – uno degli ultimi, prima di dover riprendere col solito tran tran quotidiano di sveglia all’alba, danza, canto, riprese, apparizioni promozionali, cene e sonni comatosi fino all’alba dell’indomani mattina, prima di dover riprendere tutto da capo.
Jonathan dorme come un bambino, il che è anche normale, considerando che è riuscito ad assopirsi solo verso le quattro. Lea lo guarda, guarda i lineamenti del suo viso così distesi e sereni, la piega delle labbra, le ciglia che tremano lievissime, il naso che ogni tanto si arriccia infastidito dalla ciocca di capelli biondi che, a causa dei movimenti notturni, gli è spiovuta sulla fronte.
È così bello che si sente mancare il fiato.
- Ehi. – sussurra con un sorriso quando lo sente inspirare più profondamente prima di aprire gli occhi. Lui le lascia scivolare addosso un’occhiata ancora pesantemente velata di sonno, e piega le labbra in un sorriso appena accennato.
- Ehi. – le risponde in un mugugno appena comprensibile, rannicchiandosi tutto in una palla sotto le coperte per non lasciare volare via il calore accumulato durante la notte. – Sei sveglia da molto?
Lea scuote il capo, avvicinandoglisi di qualche centimetro.
- Mi sono svegliata adesso. – lo rassicura, - Come stai?
Jonathan sospira, girandosi sulla schiena e fissando il soffitto mentre incrocia le braccia dietro la nuca, pensieroso.
- Non lo so. – risponde, inumidendosi le labbra e schiarendosi la voce resa roca dal pianto a cui si è lasciato andare prima di addormentarsi. – Immagino che mi ci vorrà un po’ per riprendermi. E mai più, e dico mai più, mi farò irretire dal primo morettino dall’aspetto gradevole che mi viene incontro.
Lea solleva gli occhi al cielo in uno sguardo supplice, sospirando pesantemente.
- Non mi è nuova, questa frase… - butta lì, con aria divertita, e Jonathan ride, stringendosi nelle spalle.
- Stavolta dico sul serio. – borbotta.
- Sì, sì. – ridacchia Lea, - Colazione?
*
Sta piovendo così forte che ogni tuono le dà come l’impressione di voler frantumare i vetri delle finestre. Un po’ impaurita, Lea si stringe nella coperta e si rannicchia in un angolino del divano, accendendo la televisione per fare un po’ di zapping e rinunciando poco dopo per mancanza di programmi interessanti da guardare. Sta giusto ponderando la possibilità di alzarsi per raggiungere la libreria e scegliere qualcosa di nuovo da leggere, quando qualcuno suona al campanello.
È sabato sera. Lea sospira, e non si stupisce quando sulla soglia della porta trova Jonathan, bagnato come un pulcino e con gli occhi rossi e gonfi di pianto.
- Odio gli uomini. – le dice, la voce tremante, - Mi fai entrare?
Lea si scosta dall’uscio, lasciandogli spazio, e dopo aver chiuso la porta lo trova già accucciato sul divano, nello stesso punto in cui poco fa era accucciata lei. Ha sfilato gli stivaletti, abbandonandoli sul pavimento, uno in piedi e l’altro piegato a rovesciare acqua sulla moquette. I vestiti fradici stanno infradicendo anche la fodera del divano, ma Lea non ha nessuna intenzione di chiedergli di alzarsi.
Si rannicchia al suo fianco, avvolgendolo con la stessa coperta che avvolge lei e stringendoglisi addosso. Non importa se si bagna anche lei, oltre al divano, al pavimento, al letto e a qualunque altra cosa Jonathan vorrà toccare questa sera. Non importa.
- Cos’è successo? – domanda a bassa voce. Jonathan si ripiega su se stesso come se lei avesse provato a colpirlo con qualcosa di appuntito.
- Sembrava sincero, questa volta. – piagnucola, nascondendo il viso dietro le ginocchia strette al petto, - Sembrava quello giusto.
Lea sospira. Passa il resto della nottata ad accarezzargli i capelli, ascoltandolo piangere.
*
- Oddio, e quella da dove arriva? Da un angolo di strada proveniente direttamente dagli anni Novanta? – Lea scoppia a ridere, cercando di trattenersi senza riuscirci se non in parte, e Jonathan, soddisfatto dell’effetto delle sue parole sull’amica, continua il proprio monologo. – Seriamente. Tubino aderente rosso e giacchetta corta in pelle nera corredata da stivaloni a mezza coscia lucidi e col tacco a spillo? No, ma se vuoi dare segnali al tuo accompagnatore fai prima ad accoglierlo in guêpière sulla soglia della porta quando passa a prenderti, che è anche più di classe.
- Jon, smettila! – lo rimprovera Lea, nascondendo l’enorme sorriso che le illumina il viso dietro la coppa di champagne che stringe delicatamente fra le dita, - Sei estremamente scortese.
- Io sarei estremamente scortese? – ribatte lui, spalancando gli occhi e voltandosi a guardarla con sincero sconcerto, - Mi sto annoiando da morire e intorno a me, a parte te che sei deliziosa, tesoro, vedo solo donne vestite tanto male da insultarmi quasi a livello personale, e io sarei scortese? – sbotta, soffiandosi via una ciocca di capelli biondi dalla fronte. – Oddio, guarda quell’altra! – riprende subito dopo, gli occhi calamitati da qualche altra a suo parere insopportabile bruttura stilistica, - Ma che zeppe sono, ma perché sono ricoperte di strass e soprattutto perché sono in una tonalità di viola che metterebbe in imbarazzo il viola stesso?! Oh, cielo. – sospira affranto, e Lea ricomincia a ridere perché non ce la fa più a trattenersi, si appoggia a lui e lo sente scuotersi a sua volta in una risata cristallina, e in quell’attimo così minuscolo e così prezioso si concede il lusso di essere completamente felice e appagata. Finge che non le manchi niente, finge di non desiderare che quelle labbra piegate in quel sorriso delizioso coprano le sue con calore e abbandono, finge di non volere quelle mani che ora stringono tanto dolcemente le sue strette attorno ai seni, finge di non voler sentire i suoi fianchi collidere contro i suoi nel buio umido e ruvido di una notte di sesso, finge di non volersi sentire piena di lui ovunque e finge che tutto questo non le faccia tanto male da impedirle di respirare ogni volta che ci pensa.
Finge di non essere innamorata del suo migliore amico gay da ormai quasi cinque anni, e finge che le vada bene così. Fa male per la quasi totalità del tempo, ma in momenti come questi Lea lo dimentica del tutto. Per momenti come questi, vale la pena continuare a crederci, anche se sa che è impossibile.
Continuano a ridere per qualche minuto, e poi Jonathan si interrompe all’improvviso. Lea apre gli occhi, segue il suo sguardo, lo osserva posarsi sulla figura slanciata di un ragazzo carino impegnato a conversare amabilmente con un gruppo di persone in fondo alla stanza, e sospira.
Si ricomincia.

Over and over, over and over I fall for you
Over and over, over and over I try not to
Over and over, over and over you make me fall for you
Over and over, over and over you don't even try
back to poly

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