Genere: Introspettivo, Romantico, Erotico.
Pairing: Davide/Mario.
Rating: R/NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Lime.
- Durante Sampdoria-Inter, a seguito di un'azione un po' turbolenta, Mario va a sbattere contro un palo della porta. Non di testa, purtroppo per lui.
Note: Shottina idiota cominciata un secolo e mezzo fa, dopo essere venuta a conoscenza di uno dei momenti più drammatici dell’intera vita del povero Mario, che è uno che quanto a sfighe secondo me può giocarsela alla pari con Candy Candy, per dire, e durante un’infausta partita contro la Sampdoria, sul risultato di tre a zero per i blucerchiati, a un certo punto, all’improvviso, si accasciò a terra – piuttosto comicamente, c’è da dire – come svenuto. Panico ovunque, non si capiva cosa fosse successo, Mario sembrava caduto senza nessun motivo come se gli fosse piombato in testa un pianoforte invisibile o chissà che. La risposta giunse pochi secondi dopo: mentre lo staff medico dell’Inter si affaccendava per far rinvenire il giovanotto, la regia di Sky riportò alla luce un episodio accaduto un paio di minuti prima, che aveva visto Mario andarsi ad infrangere letteralmente con, uhm, la propria mascolinità contro il palo della porta sampdoriana. Inizialmente sottovalutata da tutti (Mario in testa, che rise e ricominciò a trottolare per il campo come sua abitudine), la cosa tornò a far sentire i propri effetti appunto qualche minuto dopo, lasciando il povero Mario semincosciente a centrocampo. Video del tutto, se volete lollare rendervi conto della tragicità dell’intera situazione. XD Poi mi si chiede perché amo questo benedetto ragazzo. Voglio dire, l’avete mai vista voi una roba del genere? X’DDD
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Ouch


Quando la porta della stanza si apre, Davide salta a sedere sul letto e la fissa dischiudersi, mordendosi con forza il labbro inferiore per cercare di distrarsi e trattenersi dal saltare in piedi per mettersi in moto e correre ad aiutare Mario. Fino a due minuti fa stava mordicchiandosi distrattamente le unghie, sfogliando con distrazione ancora maggiore una vecchia rivista di quelle promozionali dei supermercati, solo per darsi qualcosa da fare. La giornata di riposo causa Coppa Italia avrebbe potuto essere piacevolissima – giocare da titolare è fantastico, bellissimo, meraviglioso, un sogno che si avvera, ma Davide comincia a sentire la fatica nelle spalle e nelle gambe, e quando ci pensa un po’ gli manca il periodo in cui era solo un pischellino che nessuno cagava neanche di striscio – ma quando i ragazzi sono tornati in albergo Mario non c’era, e questo ha mandato tutto a puttane. A volte è assurdo come tutto possa essere perfetto e basti solo una cosa minuscola, un’insignificante incrinatura, a rendere il mondo intero un insopportabile schifo.
Mario, comunque, non c’era, e non c’era neanche il Mister, perciò che fare se non correre da Javi a chiedere informazioni? E tutto ciò solo per sentirsi rispondere con espressione contrita “Davide, Mario ha avuto un problema”. Con quel tono cupo lì e tutto, roba da dare di matto all’istante. Un problema? Un problema di che tipo?
Per fortuna Dio ha dato all’Inter Marco Materazzi. È questo tutto ciò che Davide riesce a pensare mentre getta le gambe giù dal letto e si mette finalmente dritto, osservando Mario entrare in camera con aria imbarazzata. Davide, davvero, non può che ringraziarlo, quel cretino impagabile di Marco, perché se non fosse arrivato lui a ridere dell’espressione cupa di Javi, raccomandandogli di non preoccuparsi “perché tanto non era successo niente di grave, il pirla aveva solo sbattuto i coglioni contro il cazzo di palo, lanciandosi come un fottuto kamikaze sulla porta”, Davide sarebbe sicuramente, tipo, svenuto per la tensione. E adesso non potrebbe essere vigile e attento e teso alla ricerca di ogni minimo segnale di sofferenza sul volto di Mario, che nel frattempo s’è richiuso la porta alle spalle ed ha preso a muoversi arrancando appena verso il letto.
Davide sa che dovrebbe tacere, se non altro per preservare l’aria di protettivo imbarazzo della quale Mario si sta avvolgendo per evitare qualsiasi tipo di discorso. Ma non ce la fa, ecco, non ce la fa proprio, deve chiederlo, basta.
- Come stai? – sputa fuori ansioso, stringendo i pugni attorno al lenzuolo e sporgendosi tutto verso di lui.
Mario lo sferza con un’occhiataccia agghiacciante, aggrottando infastidito le sopracciglia.
- Male. – risponde freddo, abbassando la zip del giubbotto corto e nero che indossa e sfilandolo, per poi gettarlo con noncuranza ai piedi del letto. – La partita è andata di merda, non hai saputo?
Davide annuisce sbrigativamente, muovendosi a disagio sul materasso.
- Non mi riferivo a quello, però. – precisa inumidendosi le labbra, - Marco mi ha detto del… dell’incidente. – comincia, abbassando vergognoso lo sguardo. Non sa nemmeno perché adesso gli tocchi sentirsi così in imbarazzo. A rigor di logica, l’imbarazzo dovrebbe essere tutto di Mario. Perché boh, ha fatto una brutta figura di fronte a tutta l’Italia, s’è fatto male, è finito all’ospedale per un motivo stupido e chissà che cosa gli avranno fatto per farlo stare meglio, poi. Comunque no, non dovrebbe essere lui, quello imbarazzato. Soprattutto considerando cosa c’è fra lui e Mario, ormai da più di un mese, oltretutto. Considerando quanto forte sia nonostante tutto – perché, per come erano cominciate le cose fra loro, tutto un susseguirsi di “eh, ma Mario, guarda Davide, impara da lui”, nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla loro amicizia, figurarsi innamorarsi e tutto il resto – considerando ogni singola cosa, dannazione, no, non dovrebbe essere lui, quello imbarazzato.
Però sente addosso lo sguardo scurissimo di Mario, lo sente ovunque, lo sente dentro, e quindi si sente in imbarazzo lo stesso. Senza via d’uscita.
- Ma come girano in fretta, le notizie. – commenta acido, e Davide si mordicchia l’interno di una guancia, indispettito.
- Potresti… - comincia con fatica, cercando di trattenere la stizza, - non stare così sulla difensiva? Sono preoccupato per te.
Mario sogghigna, e quel sorriso Davide se lo sente scivolare sottopelle, in un brivido che percorre tutta la sua spina dorsale fino alla base della schiena e lo costringe ad un tremito sottilissimo che si augura Mario non noti.
- La immagino, tutta la tua preoccupazione. – lo prende in giro, - Soprattutto se a dirtelo è stato quel cretino di Marco. Quanto mi ha messo in ridicolo?
- Non è questa la cosa importante! – scatta Davide, sollevando gli occhi nei suoi. Mario gli risponde con un’occhiata indecifrabile, appoggiandosi con una mano al materasso e fissandolo di sbieco, per nulla divertito.
- Sì che è questa, la cosa importante. – spiega pratico, calciando lontano le scarpe, - Mi sono messo in ridicolo di fronte a tutti. E di fronte a te.
- Mario… - lo implora Davide, pinzandosi la radice del naso, - Puoi per favore non pensare a me, in questo momento?
- D’accordo. – scrolla le spalle lui, stendendosi a pancia in su sul letto, - Allora evito di pensare a quanto mi sono messo in ridicolo di fronte a te. Resta solo ogni singola fottuta persona che viva in questo paese ed anche una quantità spropositata di gente che non ci vive ma le nostre partite le guarda comunque. Come la mettiamo con loro?
- La mettiamo che te ne freghi, per esempio?! – sbotta Davide, quasi saltando istericamente sul materasso, - Dio, hai tutte le priorità sballate! Cosa ti importa di quello che pensa la gente?!
Mario scatta a sedere sul letto, guardandolo con rabbia.
- Sono un cazzo di italiano negro, Davide! – ruggisce, - Come faccio a fregarmene di quello che mi dice la gente?! Sono nato in mezzo a gente che parlava male di me, sono cresciuto circondato da gente che parlava male di me, l’ultima cosa di cui avevo bisogno era dare a quegli stronzi un altro motivo per farlo! Quindi, cazzo!, - conclude, battendo violentemente un pugno contro la parete, - non dirmi di fregarmene. Non posso farlo.
Davide deglutisce ed esita più di qualche secondo, prima di stringere i pugni attorno al lenzuolo e rispondere, senza però trovare il coraggio di guardare Mario negli occhi.
- Stai… dando la priorità alle cose sbagliate. – biascica a bassa voce, a metà fra tristezza e delusione, - Io ero solo preoccupato per te.
- Sì, - ringhia Mario, stendendosi scompostamente sul letto in un gesto forse troppo immediato che lo porta a soffiare di dolore come un gatto arrabbiato. – Sì, me ne sono accorto. – e le ultime parole vengono fuori in un mugolio vagamente dispiaciuto, mentre solleva un braccio a coprirsi gli occhi, stremato. – Mi dispiace. – sospira poi, affaticato, - È stata una pessima serata.
Davide si alza finalmente in piedi, raggiungendolo ed inginocchiandosi accanto al letto, al suo fianco. Poggia i gomiti sul materasso e picchietta un po’ con le dita contro il copriletto morbido. Non fa rumore e non dice una parola, aspetta che Mario si senta pronto a privarsi della protezione di quel braccio e tornare a guardarlo. E succede non prima di parecchi minuti dopo, minuti che Davide conta attimo dopo attimo, scandendoli grazie ai respiri di Mario che si fanno sempre più tranquilli e regolari.
Poi i loro occhi si incontrano, e Davide sorride, stringendosi un po’ nelle spalle.
- …vieni qui. – sussurra Mario in un fiato, mordendosi il labbro inferiore ed allungando un braccio nella sua direzione, come volesse agevolarlo mentre, svelto, si tira in piedi e gattona silenziosamente sul letto, fino ad accucciarsi contro il suo fianco, stringendo le braccia attorno alla sua vita sottile. – Più vicino.
Davide solleva il viso e lo guarda con una certa curiosità, inarcando un sopracciglio.
- Più vicino di così dovrei-
Davide. – lo esorta Mario, nella voce un’ombra di frustrazione, - Andiamo, non farti sempre dire tutto.
- …oh. – realizza improvvisamente lui, arrossendo controvoglia e ringraziando ogni dio che conosce per la penombra della stanza che impedirà a Mario di rendersi conto dell’esatta tonalità di rosso delle sue guance, - Oh, sì, scu-… intendo dire… cioè, te la senti?
Mario lo guarda con aria allucinata, schiudendo le labbra come volesse dirgli “non posso credere che tu me l’abbia chiesto davvero”. Davide, sempre più imbarazzato, abbassa il viso e lotta contro se stesso per non coprirsi gli occhi con entrambe le mani.
Ti prego… - implora ancora Mario, e si volta su un fianco, stringendogli dolcemente il mento fra due dita ed obbligandolo con la più soffice delle strette a risollevare gli occhi, per perderli nei suoi. Quando si china su di lui, un secondo dopo, catturando le sue labbra fra le proprie ed accarezzandolo sensuale con la lingua, Davide lo lascia fare perché in realtà quello che vuole più di ogni altra cosa al mondo, in questo momento, è sapere che Mario sta bene, è ancora lui, è intatto. A volte ha come questa assurda paura di poter perdere dei pezzi di Mario lungo la strada, perché lui è così, a volte sembra un dissennato, fa cose senza avere un motivo per farle, anzi, per il puro gusto di farle anche se non hanno un perché, e sono tutti comportamenti che in qualche modo finiscono per danneggiarlo, in un modo o nell’altro. Quindi, sì, la sua più grande paura è che Mario possa svegliarsi, un giorno – che lui possa svegliarsi, un giorno – ed essersi perso del tutto, senza lasciare più niente dello scriteriato indubbiamente preoccupante ma furbo e brillante che lo accompagnava ovunque quando erano entrambi in Primavera e la prima squadra sembrava un sogno irraggiungibile e bellissimo, e niente di più.
E in realtà può anche immaginare che ciò che spinge le mani di Mario a farsi strada sotto la sua maglietta, ciò che spinge la sua lingua a giocare con la propria, ciò che spinge le sue labbra a chiudersi così avidamente su ogni centimetro di pelle che riescono a incontrare mentre gli accarezzano il collo e gli zigomi, e ciò che spinge le sue gambe a farsi avanti per cercare spazio fra le sue, sia esattamente la stessa ricerca di rassicurazioni che agita lui. Anche Mario ha paura di sentirsi mancare dei pezzi, anche Mario vuole vedere se funziona ancora tutto come prima.
- Faccio piano. – gli sussurra appena sotto l’orecchio, e Davide si lascia andare ad una risatina vagamente divertita.
- Dovresti dirlo per te, non per me. – gli fa notare, e Mario sorride a propria volta, lasciandogli un bacio umido sulla punta del naso.
- Infatti lo dicevo per me. So che sei abituato a ben altro e-
- E ora stai cominciando a parlare troppo. – protesta in un mugolio contrariato. Mario ride un po’ più forte, tornando ad affondare il viso nell’incavo del suo collo e succhiando possessivo la pelle sensibile della gola.
- Toccami. – dice piano contro la sua pelle, e Davide inspira ed espira e poi gli lascia scivolare una mano lungo il petto, da sopra la maglietta, stupendosi di quanto forti possano essere i suoi muscoli sotto i polpastrelli anche con il cotone di mezzo. Slaccia i jeans svelto, senza incontrare la minima difficoltà, anche perché Mario solleva il bacino, scostandosi appena da lui, apposta per non intralciargli i movimenti, e quando insinua le dita oltre il bordo dei suoi slip alla ricerca di un’erezione che trova, anche se molto meno imponente di come la ricordasse, cerca di ignorare la tensione nuova e improvvisa che investe le spalle e le braccia di Mario, costringendo i suoi muscoli a contrarsi sotto le sue dita.
- È tutto-
- Continua. – ringhia deciso, senza lasciargli nemmeno il tempo di finire, e come a dare maggior peso alla sua richiesta si spinge con forza contro la sua mano, tanto violentemente che Davide vorrebbe tirarsi indietro per evitare di fargli male. Ma non ne ha lo spazio, perciò cerca di ammortizzare l’impatto come può e lo accarezza lentamente, massaggiando piano per tutta la lunghezza mentre Mario ansima faticosamente, steso quasi completamente su di lui, il viso nascosto contro il suo collo ed una mano che gli stringe il fianco, il pollice ad accarezzare la pelle morbida ed esposta in piccoli cerchi irregolari che gli danno i brividi.
Il bacino di Mario prende a muoversi senza preavviso, ma così gradualmente che Davide non riesce a stupirsene: le spinte, inizialmente, sono lunghe e lente, come Mario stesse prendendo le misure del suo corpo per capire quanto avanti possa andare senza farsi inutilmente del male e quanto indietro possa muoversi senza allontanarsi troppo. Ma non passa molto tempo prima che quelle stesse spinte comincino a farsi più ansiose e concitate, assieme ai respiri di Mario, sempre più brevi ed eccitati, e Davide vorrebbe avere abbastanza forza da ricordarsi di porre un freno a tutto quello strusciarsi continuo, ma Mario è caldissimo e un po’ umido sotto il palmo della sua mano e le sue labbra hanno ricominciato a chiudersi con forza attorno alla sua pelle in piccoli morsi che non fanno nemmeno un po’ di male, perciò quelle stesse spinte che dovrebbe frenare le asseconda, muovendosi in sincrono col suo corpo, avanzando quando avanza lui per permettere ai loro bacini di incontrarsi a metà strada ed allontanandosi il minimo indispensabile per permettergli di rifiatare prima di un nuovo assalto, e quando tutto quel movimento comincia a farsi troppo anche per lui, quando ne perde il controllo, è allora che prende ad ansimare il suo nome e Mario gli sussurra “cazzo, sì”, e Davide gli fa eco con un sì carico dello stesso bisogno, anche se non si capisce bene che tipo di assenso sia, è un sì e tanto basta, è un sì e vale per la sua bocca, per le sue mani, per il suo collo e per il suo cazzo, è un sì e Mario sta bene, è un sì e non è successo nulla di grave, è un sì e può perfino permettersi di stringere un po’ la presa – o almeno così crede, un sì, forse, dopotutto, non è abbastanza per permettere anche questo.
- …ouch. – dice Mario, e lo dice proprio all’inglese, come un fumetto, come non volesse neanche dare troppo peso o importanza alla cosa. Ed in effetti non è il lamento in sé, a turbare Davide, quanto più l’improvviso smorzarsi della tensione sessuale che li teneva legati in quel dondolio simmetrico sul letto ormai sfatto. È che Mario si ferma, e se Mario si ferma lui di certo non può continuare a muoversi.
Schiude gli occhi annebbiati di voglia e Mario è ancora nascosto contro di lui. Lo stringe con forza e non sembra intenzionato a lasciarlo andare. Davide vorrebbe capire se sia perché vuole stringerlo e basta o perché si vergogna a sollevare lo sguardo, ma quando lo sente respirare serenamente sulla sua pelle realizza che in realtà non gli importa.
- Cilecca. – borbotta Mario, - Ci mancava giusto questo per coronare la serata di merda.
Davide ride appena, sa che non dovrebbe ma non riesce a impedirselo, e per tutta risposta Mario gli molla uno schiaffetto risentito contro il fianco.
- Non hai fatto cilecca, su. – cerca di rassicurarlo stringendolo forte sopra le spalle e strusciando il naso contro la sua guancia. – Ti fa male?
- Mh. – annuisce appena Mario, - Altrimenti non mi fermavo mica. – aggiunge in una nota ovvia che costringe Davide ad un altro sorriso.
- È tutto ok. – gli sussurra comprensivo, - Solo- appena ti senti meglio, intendo-
- Per dritto e per rovescio su ogni superficie disponibile, piccolo, giuro su quant’è vero che sono vivo adesso. – promette, lasciandogli un altro bacio sul collo. Davide annuisce – Mario è ancora intero, è ancora lui, è abbastanza, per stasera.
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