Genere: Introspettivo, Romantico
Pairing: John Terry/Frank Lampard
Rating: R/NC-17
AVVERTIMENTI: Angst, Lemon.
- "Voglio solo un posto per dormire stanotte."
Note: Perché a noi piace la scrittura-verità (?). Il fatto è, molto semplicemente, che io amo gli esseri umani che sbagliano. E amo gli esseri umani che sbagliano perché sono esseri umani, appunto. I santi non mi piacciono, mi fanno schifo, anzi, e sono spesso più sporchi degli altri, così come chi parla da grand'uomo e poi si pulisce il culo col rispetto e l'integrità di cui s'è riempito la bocca fino a pochi minuti prima. E questa situazione, intendo, quello che sta capitando a JT per ora, è lo specchio preciso di questo mio pensiero, perciò ho provato a scriverci su qualcosa. Che poi sia la prima JT/Lampsy che scrivo, è secondario (ma era inevitabile, visto che amo tutti gli amanti presenti, passati e potenzialmente futuri di José). E comunque è dedicata ad Ary perché l'ha voluta tanto e soffre con me di tutto ciò :*
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One Of A Kind


La prima cosa parzialmente lucida che Frank riesce a considerare mentre, ancora assonnato, porge a John una tazza di caffè lasciandola scivolare sul ripiano plastificato del tavolo in cucina, è che in genere, nei film, quando accadono cose simili – e cioè un uomo evidentemente disperato si presenta all’improvviso in casa del migliore amico disturbandolo mentre si sta godendo il sonno dei giusti – chi si presenta alla porta è sempre ubriaco. Un po’ perché la prima cosa che fai quando non stai bene – soprattutto se sei inglese – è spararti nello stomaco quanto più alcool possibile sperando che invada le vene, anestetizzi il cuore e, già che c’è, annacqui il cervello, ed un po’ perché si trova il coraggio per una piazzata simile solo quando, davvero, si sta più fuori che dentro con la testa, e questo succede solo quando ci si sballa in qualche modo. E, quando giochi a calcio e speri di poter continuare a farlo in futuro e per lungo tempo, l’alcool è l’unico sballo che puoi concederti, almeno di tanto in tanto.
John, però, non è ubriaco. Anzi, i suoi occhi sono lucidi e brillanti. I suoi gesti sono appena nervosi, ma nel complesso, sì, sembra solo stanco. Frank lo osserva sospirare pesantemente e trattenere la tazza fra le mani come nel tentativo di scaldarle, prima di portarla alle labbra e sorseggiare lentamente il caffè, socchiudendo le palpebre.
- Non sei per niente capace. – dice infine, tornando a poggiare la tazza sul tavolo, - È acqua sporca.
Frank scrolla le spalle, avvicinandosi una sedia avendo cura di non strisciarla sul pavimento – che di là c’è Christine che dorme e non è proprio il caso di disturbarla più di quanto non abbia già fatto il campanello venti minuti fa – e si accomoda di fronte a lui, piegandosi in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia per guardarlo dall’alto in basso, nel tentativo di cercare i suoi occhi anche ora che il suo capo è chino ed il suo sguardo è fisso sulle sue dita intrecciate sullo stomaco.
- Dico… - comincia, vagamente incerto, - Che cazzo hai combinato?
- Cazzate. – risponde immediatamente lui, stornando lo sguardo su un punto neutro e scuro della parete alla sua destra, - Che vuoi che ti dica? Cazzate ho combinato, altrimenti non sarei qui.
- Sì, ma come pensi che io possa aiutarti? – insiste lui, allargando le braccia in un gesto rassegnato, - Anche se potessi farti espatriare nella notte con un aereo diretto sola andata per il Messico, non credo che sarebbe la soluzione migliore.
John torna a guardarlo, inarcando un sopracciglio.
- Voglio solo un posto per dormire stanotte. – risponde quindi, - Domani mi darò da fare per cercare qualcos’altro, - aggiunge, sorridendo allusivo, - visto che non posso disturbare a lungo. Ma stasera non avevo dove andare, ci sono paparazzi ovunque ed immagino che gli alberghi di tutta la fottuta Londra siano presi d’assalto.
Frank sospira, passandosi una mano fra i capelli e poi sulla fronte.
- Toni ti ha-
- Buttato fuori di casa. – dice quasi con leggerezza, ma ritrovandosi ancora incapace di fronteggiare il suo sguardo, - Urlandomi addosso di tutto. – poi sospira, si piega nella sua stessa posizione al punto che i loro visi sono separati dallo spazio di un respiro e lo guarda a lungo in silenzio, intensamente. – I prossimi giorni saranno i peggiori della mia vita. – dice in un fiato.
- Avresti potuto pensarci prima. – gli fa notare Frank, senza muoversi di un centimetro.
- Ma non l’ho fatto. – ammette John, - E quindi ora ho bisogno d’aiuto. E non guardarmi così, Frankie, - sorride appena, - lo so che è un fottuto casino. Ma so anche che non vuoi davvero dirmi no.
Frank sospira, si gratta la nuca e si tira in piedi, rimettendo la sedia al proprio posto.
- Certo che ultimamente te ne capitano di tutti i colori. – commenta, facendogli cenno di seguirlo lungo il corridoio buio e pregandolo anche di non accendere la luce.
- Niente che non sia andato a cercarmi personalmente. O quasi. – scrolla le spalle John, - Ma ne sono uscito vivo fino ad ora, sopravvivrò anche a questo.
- È il ragionamento dell’idiota che esce e si sfonda di droga notte dopo notte. – lo rimprovera Frank, aprendo una porta ed invitandolo ad entrare, - Ogni volta una dose maggiore dicendosi “se non mi ha ucciso ieri, perché dovrebbe oggi?”, e poi l’overdose.
- Allora – commenta John con un sorriso sghembo, - è una fortuna che non stia maneggiando niente di così pericoloso.
Frank sbuffa, sistemando sommariamente le lenzuola sul letto già pronto, muovendole un po’ giusto perché possano prendere aria ed ammorbidirsi.
- Ma può essere altrettanto doloroso. – lo avverte con una punta di preoccupazione, - John. – prova a chiamarlo, ma qualsiasi sia il concetto che stava cercando di esprimere resta incollato alla punta della lingua, almeno fino a quando, pressandosi contro di lui, John non lo tira via con la punta della propria. – John, no.
- Ti ho già detto prima che so che non vuoi davvero dirmi no. – dice John con un sorriso stanco, ridisegnando la linea dei suoi fianchi coi polpastrelli sotto la maglia.
- Era una cosa diversa. – cerca di opporsi Frank, piantandogli le mani sul petto, - Falla finita, cazzo. Ti rendi conto che ora sei in questa situazione di merda proprio per una cosa come questa?
John lo sferza con un’occhiataccia delusa, offesa, persino ferita.
- Non è così. – risponde duramente, avvicinandosi ancora un po’, fino a schiacciarlo con forza fra la parete e il proprio corpo, - Non paragonarti a Vanessa. Non paragonarti a nessuno.
Frank distoglie lo sguardo, aggrottando le sopracciglia.
- Io non sono diverso. – sospira sconfitto.
- Tu sei diverso. – insiste John, costringendolo a guardarlo di nuovo, - Tu non sei-
- Io non sono diverso da te. – precisa Frank, reggendo il suo sguardo. – C’è la mia ragazza, di là. Eppure, guardami. – si schernisce.
John si inumidisce e morde le labbra, prima di poggiarle ancora sulle sue, lasciandogli scivolare le mani lungo i fianchi fino a stringerlo alla vita.
- Non pensarci, adesso. – lo rassicura, sospingendolo verso il letto, - Non pensarci mai. Noi due non siamo una cosa su cui devi riflettere.
Frank rabbrividisce al contatto delle lenzuola ghiacciate contro la pelle accaldata, la maglia persa chissà dove e le labbra di John che gli accarezzano il collo in una serie di baci umidi che gli fanno il solletico e lo riempiono di brividi lungo la spina dorsale.
- È per non pensare che si finisce nei guai. – soffia senza fiato, tirando indietro il capo per lasciare spazio alla sua bocca che si chiude famelica sulla pelle tenera sotto l’orecchio, mentre si sistema fra le sue gambe. John non risponde, un po’ perché sa che Frank ha ragione e un po’ perché, proprio per questo motivo, non ha niente da dire né da aggiungere. Lo bacia piano, però, chiedendosi solo per una frazione di secondo se la porta sia chiusa o almeno accostata, e senza lasciare neanche per un secondo ai propri pensieri la libertà di allontanarsi dall’idea del corpo nudo di Frank sotto le proprie mani. Che ci sia o meno una terza persona in quella casa, che quella persona sia sveglia o stia dormendo, che quella persona sia innamorata, abbia dei sentimenti e possa soffrire come conseguenza delle loro azioni nel caso venissero scoperte, è un pensiero del tutto passeggero, sottile, inconsistente come una nuvola – che se la guardi sembra un’enormità, così vasta, fa quasi paura, ma a poterci passare in mezzo quasi nemmeno la senti sulla pelle, perché fatta di nulla.
John non pensa a Christine – come non ha mai pensato ad Elen, in passato – ma Frank sì. E per quanto trovi impossibile resistere a quelle mani e quelle labbra, si sforza comunque di trattenere almeno i gemiti e i sospiri, e si rifiuta categoricamente di chiamarlo per nome – anche se vorrebbe come vorrebbe dirgli che lo ama da impazzire e che è questo il motivo per cui non riesce non vuole dirgli no – quando viene fra le sue dita in un mugolio spezzato, accogliendo il suo orgasmo dietro di sé e stringendolo forte in un abbraccio all’interno del quale John si concede un mezzo singhiozzo, oltre il quale non va, perché di piangere non ha nessun diritto, e questo lo sa.
Resta un po’ ad accarezzargli i capelli cortissimi sulla nuca, mentre il respiro di John torna regolare e resta caldissimo ad inumidire appena la sua clavicola, e poi si scosta da lui, rassettandosi come può e rimettendosi in piedi, lanciandogli un’ultima occhiata prima di augurargli la buona notte e tornarsene in camera propria.
Christine lo sente tornare a letto e si rigira sul materasso, arricciandosi contro il suo corpo ed inspirando profondamente mentre si sistema comodamente sul suo petto.
- Non hai più il tuo odore addosso… - nota nel dormiveglia, gli occhi chiusi e il respiro tranquillo, - È il suo?
Frank sorride tristemente, ravviandole i capelli sulla fronte e sulle tempie.
- Aveva bisogno di un po’ di conforto. – si giustifica, con lei e con se stesso. E, per l’ennesima volta, si fa bastare una scusa.
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