Genere: Drammatico
Rating: R
- Tanto tempo passato nel silenzio delle reali emozioni, rende le persone pericolose... soprattutto per sé stessi.
AVVERTIMENTI: Blood, Angst, Death, Het.
Commento dell'autrice: Ed eccolo qui, il tanto atteso seguito di "Bolla di vetro"!!! Motivi che mi hanno spinta: sono innamorata di Monica e Daniele, volevo dar loro una seconda chance, volevo provare a scrivere qualcosa sull'autolesionismo. Boom. Bel motivo, eh? Era un po' che ci pensavo, ma la vera ispirazione mi è venuta solo pensando a loro due, che sono anime masochiste, si era capito... Per il resto, il solito: attrazione fatale, tanta tristezza, malinconia. Almeno un happy end ^_^
Nota: Questa storia è il seguito di Bolla di vetro, un altro racconto originale che ho scritto. E' dunque consigliabile leggere quello prima di procedere con la lettura di questo.
Rating: R
- Tanto tempo passato nel silenzio delle reali emozioni, rende le persone pericolose... soprattutto per sé stessi.
AVVERTIMENTI: Blood, Angst, Death, Het.
Commento dell'autrice: Ed eccolo qui, il tanto atteso seguito di "Bolla di vetro"!!! Motivi che mi hanno spinta: sono innamorata di Monica e Daniele, volevo dar loro una seconda chance, volevo provare a scrivere qualcosa sull'autolesionismo. Boom. Bel motivo, eh? Era un po' che ci pensavo, ma la vera ispirazione mi è venuta solo pensando a loro due, che sono anime masochiste, si era capito... Per il resto, il solito: attrazione fatale, tanta tristezza, malinconia. Almeno un happy end ^_^
Nota: Questa storia è il seguito di Bolla di vetro, un altro racconto originale che ho scritto. E' dunque consigliabile leggere quello prima di procedere con la lettura di questo.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
- Bè?
- …
- …
- Bè cosa?
- Bè, queste cosa sono?
- …
- Se non mi rispondi ti schiaffeggio.
- Ah, Daniele, adesso non rompere i coglioni, ok? Sei venuto qui per un motivo, no? Quindi spogliati anche tu e facciamolo.
La sensazione della guancia bollente la zittì in un colpo solo. Lo guardò dritto negli occhi, perdendosi nelle sue profondità.
- Questa non era una risposta.
Cosa era successo? Era successo che ci aveva provato, a stargli lontana… ma non ci era riuscita.
Quanto era durato? Due settimane, forse. E comunque, se aveva deciso di allontanarsi da lui, era stato solo perché costretta dalle circostanze, non certo perché le facesse piacere. Perché NON le faceva piacere stare così.
- Adesso puoi scegliere.
Le disse con uno sguardo talmente duro e serio da farle gelare il sangue nelle vene.
- O stai zitta e continui a comportarti da adolescente incazzata col mondo – e ti avverto che se scegli questa opportunità ti faccio diventare un occhio viola – o ti comporti da donna, ti fai mettere una dannata benda su quel cazzo di braccio e ne parliamo, ed allore potrei anche pensare a non infliggerti punizioni corporali.
Lei sorrise sarcastica.
- Da quando hai questa autorità su di me?
- Da sempre, lo sai.
Rispose lui serio. In quel momento sentì che avrebbe anche potuto odiarlo. Arrivò ad un passo così dall’odiarlo. Ma non superò il limite.
- Andiamo in bagno.
Lo seguì, docile come una agnellino, maledicendosi per quell’arrendevolezza rivoltante.
- Allora, le bende dove sono?
- Primo cassetto, lì.
Si sedette sullo sgabello automaticamente, aspettando il bruciore del disinfettante e la sensazione refrigerante delle bende fresche.
- Sei una testa di cazzo, Monica.
- Daniele, non sono in vena di paternali…
- Sei in vena di una lametta, allora?
- Stronzo.
- Posso esserlo anche di più.
Silenzio.
- Ahi! Brucia, cazzo!
- Così impari.
- Devi proprio essere così? Dobbiamo per forza litigare?
- Sai che ti dico? Sarebbe il caso che litigassimo, almeno.
- “Sarebbe il caso”? Ma ti rendi conto delle assurdità che dici?
- E tu, di quelle che fai? Guarda qua, è un massacro! Cos’è questo buco qua, ti sei divertita a scavare? Ho una voglia matta di picchiarti, cazzo…
- E forse sarebbe meglio.
- Non credo. Almeno, *per me* sarebbe meglio, ma tu certo non ne trarresti alcun vantaggio.
- Stai parlando troppo, oggi.
Lo sentì fermarsi e sbuffare, senza guardarlo. Poi, passi lungo il corridoio, e la porta di casa che sbatte così forte da chiudersi e riaprirsi. Accanto a lei, il vuoto. La bendatura incompleta lasciava ancora scoperto l’avambraccio martoriato, ma almeno il buco sopra il gomito non si vedeva più-
Ed improvvisamente, come se fosse una cosa importante, come se le interessasse qualcosa, scoppiò a piangere a dirotto. Senza riuscire a fermarsi.
Si tappò la bocca con una mano, i singhiozzi la facevano sussultare troppo violentemente.
Una mano sulla spalla, si voltò di scatto. Era tornato. La circondò con le braccia, e lei pianse più forte, attaccandosi al suo maglione.
- Testa di cazzo che non sei altro… scema…
- Allora… è tutto qua?
- Daniele, non servirà a niente!
- Può darsi, ma in questa casa c’è troppa roba pericolosa.
- E come mangerò?
- Coltelli di plastica.
- Ah, sei incredibile! Assurdo!
- Guarda che sei tu quella che si taglia.
- Non dovresti tornare a casa? Stefania sarà preoccupata.
- Non serve usare quel tono geloso. Non è tardi.
Guardando fisso il mucchio di oggetti taglienti sul tavolo, tra i quali spiccavano, ovviamente, i bagliori grigiastri e crudeli delle lamette sue compagne di gioco, le venne di nuovo da piangere.
Il fatto è che era troppo depressa… davvero troppo… aveva… creduto di non farcela. Aveva pensato di tagliarsele, quelle maledette vene. Di farla finita, insomma. Ma… aveva fatto la prova più su, nel braccio, per capire quanto male realmente facesse… e si era accorta che magari poteva anche andar bene così, solo con i tagli… magari era anche meglio del suicidio…
Però quella scelta aveva comportato il non vedere più Daniele. Perché aveva immaginato esattamente quello che sarebbe successo se *lui* l’avesse scoperta. Esattamente quello che era successo adesso che l’aveva scoperta. E perché non voleva essere fermata, o almeno così pensava. Ed anche perché non voleva mostrarsi debole più del necessario, si. Ma ammetteva di aver avuto le idee parecchio confuse su cosa fosse necessario o meno.
- Comunque è inutile che tu faccia così il santo con me. Guarda che me le ricordo le tue braccia quando arrivasti a casa nostra per l’università…
Lui spostò lo sguardo.
- Ma io ho smesso, quando io e te abbiamo cominciato a stare insieme.
Lei sorrise, godendo un po’ di quello stare insieme che, lo sapeva, non era mai stato completamente reale.
- Si, è vero. Però mi ricordo una cosa che mi fece molta paura, a quel tempo. Una volta spiai dalla porta del bagno, e tu eri tutto intento a cercare di frenare il sangue di una ferita profondissima mormorando parolacce… anche adesso che ci penso mi vengono i brividi…
- Anche a me sono venuti i brividi quando ho visto il buco, poco fa. Ma quel cazzo di marito che hai non dice niente?
Un altro sorriso, stavolta più triste.
- Tommaso non mi vede nuda da un po’, devo dire…
- …
Lo guardò. Sembrava intento a cercare una soluzione, in quella testa. Aveva le braccia conserte e lo sguardo concentrato. Era una delizia per gli occhi; e questo lo pensò con un sorriso sincero nascente sulle labbra.
- Ehi, senti…
Si alzò in piedi, avvicinandosi a lui ed abbracciandolo da dietro.
- Visto che abbiamo esaurito l’argomento…
Bacini sul collo, mentre passava la mano sul suo maglione, sentendo il petto forte al di sotto del tessuto che si riscoprì ad odiare fortemente.
Lui mugugnò.
- Come fai ad averne voglia?
- Daaaai… che comunque guarda, sono solo dei momenti… poi torno a ragionare normalmente…
Bugia. In realtà l’unico momento della giornata in cui ritornava a ragionare normalmente era quando vedeva Daniele. Effettivamente non aveva ragionato molto, nelle ultime due settimane. Ecco il perché del buco sul braccio.
- Mh…
Lui non sembrava per niente convinto. Ma… Monica aveva imparato bene quale fosse l’effetto che aveva su di lui.
Quando era una ragazzina, pensava fosse lui a governarla interamente. Pensava di essere semplicemente succube dei suoi desideri e delle sue voglie. Aveva faticato un po’ a realizzare e capire di essere *lei* la provocatrice di quelle voglie. Ed in fondo, aveva un potere immenso.
- Ehi… è così tanto che non ci vediamo… io non ho fatto proprio niente in queste ultime due settimane…
A sorpresa, lui si alzò in piedi, cingendola alla vita e spingendola contro il muro con un bacio, le mani che correvano ovunque, poteva sentirlo eccitato attraverso i jeans attillati – odiò anche quelli.
- Nemmeno io…
Aggiunse lui.
- Non riesco più a stare, senza vederti…
Lo sapeva. Lo sapeva. Perché provava esattamente lo stesso sentimento.
Dipendiamo l’uno dall’altra? O forse ci fa solo comodo credere che sia così…?
In ogni modo, non le interessava saperlo, non il quel momento, non mentre era tra le sue braccia, per quello che le importava il mondo sarebbe anche potuto scomparire, ed anzi sarebbe stato stupendo se, dopo aver finito, il mondo avesse fatto scomparire anche loro…
Rincasò col batticuore, perché si, aveva paura di vederla.
Ogni santo giorno, cercava di stare al lavoro il più che fosse possibile, e quando qualcuno dei suoi colleghi gli chiedeva se per caso aveva voglia di uscire per una birra rispondeva sempre si. Sempre si. Malgrado poi si facesse schifo da solo e non riuscisse a godersi appieno la serata, rispondeva si. Ogni tanto qualcuno glielo chiedeva, “Ma tu non hai una moglie a casa?” cercando di evitare accuratamente l’argomento “figlio” da quando si era sparsa la voce della morte di Luca in un incidente stradale. Lui rispondeva sempre allo stesso modo. “Ah, Moni ha una vita molto attiva, sicuramente non è ancora tornata a casa”, con un falso sorriso dipinto su una maschera di ferro che nessuno notava.
E… sapeva esattamente come Monica passasse il suo tempo. Non era stupido né cieco, ed anche se da un po’ non aveva avuto l’occasione di vederla nuda certe cose si *capiscono* oltre che vedono. Quante lamette sporche incrostate di sangue aveva trovato… la prima volta gliel’aveva pure chiesto.
“Monica, cosa è successo con questa lametta?”
“Stavo staccando una cucitura e mi sono tagliata per sbaglio.”
Si era fermato là. Non le aveva chiesto *dove* si fosse tagliata, né *dove* fosse il cerotto a testimoniarlo. Aveva subito pensato alle braccia. Ed aveva avuto pura di chiederle di vederle.
Fece girare la chiave nella toppa ed entrò.
- Sono a casa…
La trovò seduta al tavolo, aveva appena finito di mangiare una cotoletta della quale rimaneva ancora qualche pezzo sul piatto. Anche il suo piatto era pronto, di fronte al suo posto, con carne ed insalata già serviti, il bicchiere pieno di vino, un’arancia su un piattino poco distante, posate di plastica.
- Ciao.
Rispose lei con un sorriso ma tono neutro di voce. Lui le si sedette di fronte, prendendo in mano il coltello.
- E questa?
- Ah, ho buttato i coltelli.
La guardò stranito, chiedendosi se fosse del tutto impazzita. Poi cominciò a mangiare. Ignorò, o almeno cercò di farlo, le sue braccia nascoste sotto il tavolo. Aveva una manica del maglione alzata. L’altro braccio si muoveva lentamente. Ogni tanto, una strana smorfia sul volto, mentre guardava il piatto con occhi vacui. Incredibile. Si stava tagliando perfino in quel momento.
Ringraziò il suo cervello di essere previdente, mentre faceva scivolare sul braccio il freddo metallo della lametta che aveva conservato nella tasca dei pantaloni nel momento in cui aveva sentito lo squillo della porta e si era presentato Daniele.
“Non servirà a niente!”. Gliel’aveva pur detto.
- Sei tornato… cominciavo ad avere dubbi!
Stefania gli si avvicinò sorridendo, e stampandogli un bacio morbido sulla guancia mentre gli sfilava dolcemente il giaccone.
Non gli chiese dove fosse stato. Immaginò lo sapesse già.
La sua compagna da tantissimi anni… era diventata una psicologa, alla fine.
Questo lo spaventava, di lei. Aveva sempre la maledetta sensazione che lei riuscisse a leggergli l’animo guardando solo gli occhi o un gesto, o ascoltando una parola. E la paura era aumentata dal fatto che era convinto la sensazione fosse reale. Ci credeva davvero. Era una brava psicologa.
- Come stai?
Le chiese. Non la vedeva dalla mattina.
- Bene, direi. Un po’ stanca, oggi è venuto in studio un ragazzino problematico…
- Problematico in che senso?
- Bah… conflitto col padre. Era violento su lui e la sorellina, che ora è morta. Mi ha fatto una pena immensa, è orribile che possano esistere genitori del genere…
- Uhm… capisco… il tuo animo si infiamma facilmente con queste cose.
Le disse con un sorriso.
- Si, lo so che dovrei rimanere impassibile e distaccata…
Disse lei rassegnata.
- Ma non mi riesce. Forse non sono portata per questo mestiere…
- Secondo me sei una psicologa bravissima.
Si sedettero sul divano, accendendo la televisione a volume bassissimo.
Daniele ci stava riflettendo da quando era uscito da casa di Monica. Alla fine, prese il coraggio a quattro mani. Si voltò, simulando un sorriso ironico.
- Posso chiederti un consulto psichiatrico?
Lei scoppiò in una risata divertita.
- Credi di esserti ammattito? Ti avverto che un po’ pazzo lo sei sempre stato.
- No, non per me… mi serve per un’amica, una collega. Tu sai perché la gente si taglia?
- Mh? Intendi autolesionismo? Tipo lamette e robe varie?
- Ah-ha.
Annuì.
- Allora… fammi aprire lo scompartimento “studi universitari enciclopedici”… Autolesionismo: attività diretta a produrre sul proprio corpo delle lesioni. Poiché si tratta di un atto condotto contro l’integrità personale, si ritiene che l’autolesionismo rappresenti la manifestazione di un grave turbamento psichico. I motivi che spingono gli autolesionisti sono molteplici, ma i più frequenti sono indubbiamente il desiderio di denaro… tipo assicurazioni sulla vita o robe simili…potrebbe essere il caso?
- No, non credo.
- Mh… Oppure la paura di perdere la vita. In certi malati gravi, depressi, ansiosi o schizofrenici, l’automutilazione assume spesso il significato di un’autopunizione correlata a idee deliranti di colpa. Bè?
- Mh… perché non mi convince?
- Perché c’è un’altra spiegazione. Ovviamente la medicina si rifiuta di accettarla… ma tant’è, ci sono tantissime persone che lo fanno. Piuttosto che desiderio di denaro o autopunizione… procurarsi del male volontario aiuta a sentirsi vivi. Certe persone trascorrono la loro vita ignorate dagli altri o caricate di eccessive ambizioni, magari da parte dei genitori. O semplicemente sono insoddisfatte della propria vita. Il desiderio di sangue, di dolore… è una cosa insita nell’uomo, credo. Farsi del male certe volte può far sentire bene. È come una droga. E sai cosa? Il più delle volte chi si taglia per questo motivo non è neanche un caso psichiatrico, ma una persona normalissima. La cui unica stranezza è quella, proprio come può esserlo il sadismo, ad esempio. È tutta questione di come vivi la tua vita e di come volevi viverla.
Lui era rimasto immobile ad osservare quella donna dallo sguardo triste parlare di cose così deprimenti. Guardò la cascata di capelli castani sulle spalle, i verdi occhi annebbiati, il viso leggermente inclinato.
Desiderò abbracciarla con calore. Desiderò baciarla con trasporto e portarla a letto accanto a sé con amore. Ma non ci riuscì. E si odiò per questo.
- Capisco. Potrebbe davvero essere questo.
Disse infine.
- Grazie.
- Ma di cosa? Ehi, fammi vedere le braccia!
- Ah, no, è tutto a posto, ti dico che non sono io!
Alzò una manica del maglione, sorridendo per rassicurarla. La riabbassò solo quando vide il suo sguardo finalmente disteso.
Maledetto cattivo presentimento che non lo lasciava in pace dalla sera prima…
Cosa doveva fare per poter vivere la sua dannatissima vita in pace? Quelli erano i momenti in cui avrebbe preferito non essere così pazzo di Monica, amare Stefania e vivere con lei la migliore delle esistenze, magari sposarla, anche.
Ed invece no, non gli era concesso. Bussò forte alla porta, erano le undici di mattina ed aveva la terribile sensazioni di *essere in ritardo*. Oltre che al lavoro, ovviamente.
Rispondi, rispondi, rispondi…
Nulla. La porta non si apriva. Nessun passo o rumore all’interno. Sudò freddo. Tremò tutto. Ma non aveva il tempo di agitarsi sul serio. Insomma, sfondò la porta con una spallata allucinante, credette sul serio di essersela rotta, ed entrò nell’appartamento massaggiando il punto dolente e lanciando imprecazioni ad un Dio che, anche esistendo, non l’avrebbe sentito, o l’avrebbe ignorato.
- Monica! Monica! Dove cazzo sei? Esci fuori.
Nulla, niente. Il silenzio ed il vuoto. Mentre vagava per le stanze guardando scrupolosamente in ogni angolo, cominciò a farsi strada nel suo cervello il rassicurante pensiero che magari fosse uscita. Ci credette veramente, un secondo prima di entrare in cucina. E si sentì morire.
Proprio cedere. Le gambe non lo tennero più e scivolò a terra, spalancando gli occhi. Rimase per qualche secondo ipnotizzato dalla pozzanghera di sangue per terra. Poi fece risalire lo sguardo. Lei, arrampicata sullo sgabello, si reggeva ancora seduta senza cadere, chissà come, la testa elegantemente posata su una spalla. Sembrava dormire. Il suo viso. Di un pallore cadaverico.
Oddio, è morta. È morta sul serio. È morta.
Le si avvicinò camminando sulle ginocchia, imbrattandosi tutto del rosso del sangue. Non gli importò. Anzi, avrebbe voluto a disposizione un’intera piscina di sangue, per affogarci dentro. Appena la sfiorò lei cadde fra le sue braccia. E lui pianse. Pianse e singhiozzò, così forte che gli fece male il petto. Dovevano essergli scoppiati i polmoni, sicuramente. Grida esasperate, chissà, magari qualcuno chiamò la polizia. E la stringeva forte, fortissimo, tanto che male poteva farle, era morta…
E poi un tremito. Non un sospiro o un verso, soltanto un tremito del suo corpo. Non era poi così fredda, adesso che sentiva meglio la sua pelle.
- Moni…
La chiamò. Lei non rispose. Ma il petto si muoveva dolcemente, su e giù. Un respiro. Un alito di paradiso. Pianse ancora.
- In ospedale. In ospedale.
Ripeté avvolgendola in una coperta e caricandola in macchina.
- Probabilmente se non ci fosse stato lei sarebbe morta. Non avevamo A positivo a disposizione… per fortuna lei è un parente…
Daniele sorrise pallidamente.
- Come sta?
- Ah, è completamente sveglia e lucida. Ha ripreso un po’ di colore, fra poco le daremo da mangiare. Farebbe bene a mangiare anche lei, una trasfusione di quella portata non può averla lasciata indifferente. Se preferisce le faccio portare un po’ di gelatina…
- No grazie, prenderò una di quelle merendine delle macchinette all’ingresso. Grazie mille per tutto. Posso vederla, vero?
La dottoressa bionda pensò un po’.
- Bè… io… non credo sia il caso, sinceramente.
- Oddio, la prego.
- Ok, ok. Entri pure. Non si trattenga molto e non le faccia rivelazioni sconvolgenti.
- Non si preoccupi. Grazie ancora.
Si strinse nel giubbotto ed entrò nella fredda stanza bianca. Lei, più bianca di tutto ai suoi occhi, giaceva tra le coperte del letto ordinato.
- Ehi…
Le disse.
Lei aprì gli occhi.
- Ti ho svegliata? Scusa.
- No, non mi hai svegliata. Tenevo solo gli occhi chiusi, mi bruciano un po’…
- Capisco.
Si sedette proprio là accanto, osservandola come rapito. Un paio di lacrime.
- Che fai, piangi?
- Scema. Certo che piango.
Monica sorrise.
- Sono ancora viva, in fondo…
Ebbe voglia di baciarla e schiaffeggiarla nello stesso momento e con la stessa intensità. Si sentiva come tirato da due funi.
- E’ vero, lo sei ancora, per fortuna…
Decise infine per nessuno slancio particolare.
- Senti… mi dispiace di essermi fatta trovare in quelle condizioni. Non avrei mai voluto.
- Tu adesso devi dirmi perché l’hai fatto.
Lo guardò negli occhi, lui ancora piangeva, ma di quelle lacrime non c’era traccia, nella voce.
- Devi dirmelo, perché altrimenti io non so come tirartene fuori.
Ancora lei sorrise.
Guardò il soffitto.
- L’ho fatto probabilmente perché sono una stupida incapace di controllare le proprie emozioni. Mi sentivo depressa, la prima volta che l’ho fatto. Credimi, non doveva essere un semplice taglio, quella volta. Però poi è diventato decine di tagli, tante volte al giorno, ed io non riuscivo neanche a controllarmi, e sai? Ne avevo bisogno. L’ultima volta, quando ho rischiato di morire, né è un esempio… non pensavo seriamente di dissanguarmi. È… venuto così. Quando ho sentito che stavo per svenire, però, non mi importava poi tanto. Ho deciso che poteva andare bene, morire, alla fine…
- Adesso smettila, capito! Io so che tu hai bisogno di riposo e tutto, ma tu DEVI dirmi perché hai bisogno di tagliarti, ed essere depressi per un motivo qualsiasi *non* è abbastanza, chiaro?
- Si, lo so. Daniele…
Lo guardò.
- Mio figlio mi è morto tra le braccia mentre attraversavamo la strada. Avrebbe debuttato nella squadra dei titolari della sua scuola una settimana dopo. È morto piangendo e mormorando che non voleva. Ed io ero lì e non ci ho potuto fare assolutamente nulla. La mia vita è un fallimento. Non amo mio marito, non l’ho mai amato, e lui non ama più me anche se un tempo mi amava. Devo dividerti con Stefania perché tu, nonostante tutto, non riesci a staccarti da lei. Non ho un lavoro. Passo le mie giornate in solitudine. Odio la mia vita. Ecco perché mi taglio.
Lui deglutì forte. E la fissò a lungo.
- Tu avresti dovuto dirmi prima queste cose.
- Forse è vero. Ma chi dice che sarebbe servito?
- Perché invece tu hai proposto una brillante soluzione alternativa…!
Lei ridacchiò.
- L’ho detto, sono una stupida.
Ancora silenzio, sospiri sollevati.
- Ascolta, Monica… stasera uscirai da questo posto. E noi ce ne andremo insieme. Dovunque. Non mi interessa. Possiamo anche accamparci in riva al mare, ho una tenda abbastanza grande e tutto il necessario. Saremo solo io e tu.
Lei lo guardò, sfiduciata.
- Non dici sul serio…
- Oh, si, invece.
Ancora si guardarono.
- Voglio crederti.
L’alba nasceva dal mare, regalando al cielo tonalità meravigliose nelle quali le loro anime si smarrirono per qualche ora, finalmente quiete.
Abbracciati sulla riva, guardavano l’astro sorgente.
- Dani… devo dirti una cosa. Una cosa su Luca.
- …
- Ecco…
- Sai perché quando è morto Luca non ci siamo visti per così tanto tempo? Quelle due settimane in cui tu hai cominciato a tagliarti? Io non sono uscito nemmeno di casa. Passavo le giornate chiuso nella camera da letto, con Stefania che mi guardava sconsolata e non osava dire o fare niente. Lo sapevo, che fosse mio figlio.
Lei sorrise, senza guardarlo.
- Come, lo sapevi?
- Ah-ha. Avrei perfino voluto dirglielo, una volta. Era piccolo, quattro anni, mi pare, l’avevo portato al parco giochi, tu avevi la febbre, ti ricordi? Ti portai a casa sulle spalle…
- Si… lo sapevi già allora…? Tutto questo tempo… che strano uomo sei…
- Non puoi spuntare e stravolgere la vita di un bambino… ma non era solo questo a frenarmi… per un verso avevi ragione a dire che non riuscivo a staccarmi da Stefania.
- Mh… sarai stato malissimo, quanto me… quando è morto… mi dispiace.
- Ah, non è più tempo di dire queste cose.
Si strinsero la mano.
- Ehi…
Disse lui.
- Ora ti bacio, ma prima devo dirti che ti amo.
- Anche io, ma te lo dirò dopo che mi avrai baciata…
- Sei capricciosa, sai?
- Moltissimo.
Si baciarono, intrecciando le dita.
- Ti amo.
Disse finalmente anche lei.
Guardarono il sole, a metà cielo. Cominciava a distribuirsi un po’ d’azzurro.
Gli occhi bruciavano. È sempre così quando fissi una stella.
FINE
**