Genere: Introspettivo.
Rating: R/NC-17.
AVVERTIMENTI: Shota, Lime, Creepiness generalizzata.
- "Io sono sempre stato accanto ad Ale, fin dal principio."
Note: Io non so neanche cosa ci sia, nella mia testa, ma so per certo che in questo periodo è un luogo meraviglioso dove bambini fanno cose tremende coi loro orsacchiotti preferiti. You either deal with it or GTFO. E comunque Pedobear/Bambino=OTP.
Scritta per la Missione 3 della quinta settimana del COW-T @ maridichallenge (prompt: orsacchiotto di peluche + rating NSFW).
Rating: R/NC-17.
AVVERTIMENTI: Shota, Lime, Creepiness generalizzata.
- "Io sono sempre stato accanto ad Ale, fin dal principio."
Note: Io non so neanche cosa ci sia, nella mia testa, ma so per certo che in questo periodo è un luogo meraviglioso dove bambini fanno cose tremende coi loro orsacchiotti preferiti. You either deal with it or GTFO. E comunque Pedobear/Bambino=OTP.
Scritta per la Missione 3 della quinta settimana del COW-T @ maridichallenge (prompt: orsacchiotto di peluche + rating NSFW).
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NOTHING I WOULDN’T DO
Ale spegne la luce e si volta dall’altra parte, e chiunque, a questo punto, perderebbe le speranze. Si rassegnerebbe ad essere stato lasciato lì da solo, sul ripiano della cassettiera, con i libri di scuola da un lato ed una pila di magliette pulite che andrebbero riposte in un cassetto o nell’armadio dall’altro, e semplicemente si metterebbe il cuore in pace. So che molti uguali a me hanno subito questa sorte, prima o dopo nel corso degli anni: dimenticati, o semplicemente non più utili, sono stati messi da parte, abbandonati, distrutti o dati via.
Non io, però. Io no. E lo so.
Ale si sta già dimenando, nel suo lettino, sotto la coltre di coperte che usa per nascondersi. Io lo conosco troppo bene per poter credere che riuscirà ad addormentarsi senza di me. È in un periodo particolare della sua vita, quello in cui sei troppo piccolo per essere chiamato ragazzo ma troppo grande per essere ancora considerato un bambino, quello in cui tutto il tuo corpo sembra tradirti, esistere soltanto per infastidirti, per pesarti addosso come uno stupido guscio pieno di pruriti e bisogni ai quali non sai dare un nome.
Io sono sempre stato accanto ad Ale, fin dal principio. Sono stato il suo primo regalo, sono stato io ad aiutarlo durante le notti in cui, dopo essere stato cullato a lungo dalla mamma, lui veniva messo a dormire nel suo lettino e le sue braccia allora corte e paffute si chiudevano attorno a me, alla ricerca di qualcosa da stringere per sentirsi meno solo. Sono stato sempre io ad aiutarlo a superare le lunghe notti di pianto solitario e silenzioso quando mamma e papà hanno divorziato, e lui si è sentito in colpa, e triste, e poi di nuovo in colpa, e l’idea di non avere più il papà in casa lo spaventava al punto da cercare rifugio in ogni ricordo infantile che riuscisse a recuperare, ed ancora le sue mani mi cercavano, le sue braccia mi stringevano, ed io aderivo al suo corpicino, passandogli un po’ del mio innaturale ma non per questo meno sentito calore, per farlo stare meglio, il mio naso a bottoncino premuto contro la curva del suo collo con tanta forza da lasciare un segno rossastro il mattino dopo.
Poi tutto si è fatto più complicato, come sempre d’altronde accade ai bimbi quando iniziano a crescere. Ale ha cominciato a sentirsi agitato e accaldato nei momenti più improbabili, si è ritrovato la testa piena di pensieri confusi senza odore né forma ma ricchi di colori violenti e ipnotici, e spesso, durante la notte, stretto al suo fianco potevo sentire la sua pelle farsi più calda, ed il suo respiro più affannoso.
Una sera, dopo avergli sentito esalare un lamento frustrato tanto intenso da risultare quasi doloroso perfino per me, che sono fatto di pezza, l’ho percepito rotolarsi fra le lenzuola e poi voltarsi a guardarmi. Per numerosi, lentissimi, infiniti secondi, i suoi occhi scuri si sono soffermati sul mio corpo, ad una sua mano mi ha accarezzato da un orecchio a una gamba. Poi, si è premuto contro di me, agitando i fianchi avanti e indietro, strusciando il bacino contro la curva tonda della mia pancia.
Non so cosa sia successo, precisamente. Ad un certo punto l’ho sentito tendersi e poi contrarsi violentemente, rilasciare un gemito affaticato e profondo e poi abbandonarsi con una certa soddisfazione fra le coperte, inspirando ed espirando piano.
Da quella notte, è capitato spesso che, dopo una mezz’ora da quando si era messo a letto, Ale si voltasse verso di me, mi stringesse fra le braccia e mi abbracciasse stretto come quando faceva da bambino, con la differenza che adesso non si limitava più a stringermi e basta, ma potevo sentire il suo piccolo corpo muoversi a lungo contro il mio, in un dondolio continuo del quale solo vagamente capivo le motivazioni, ma che ugualmente riconoscevo come utile al suo benessere dal momento che, dopo aver finito, i suoi lineamenti erano sempre rilassati, e l’ombra di un sorriso soddisfatto aleggiava sempre sulle sue labbra un po’ umide.
L’abitudine ha portato l’intimità, e per un lungo, lunghissimo periodo Ale non si è più addormentato senza avermi al proprio fianco. Poi lui ha continuato a crescere, sono arrivati i primi amichetti invitati a casa per fingere di studiare insieme mentre invece si passavano ore seduti sul pavimento, davanti al televisore, a giocare ai videogiochi.
Non potrò mai dimenticare la faccia di quel bambino, un bambino di cui non conosco nemmeno il nome. Uno dei compagnetti di classe di Ale, comunque. Un bambino dai capelli rossicci e crespi, con grandi, inquietanti occhi verdi e una miriade di lentiggini distribuite confusamente fra il naso e le guance. Un bambino che, la prima volta che è entrato in camera di Ale, si è guardato intorno, mi ha notato – appoggiato sul cuscino in quello che era sempre stato il mio posto d’onore – e ha detto “e quell’orso? Non sei un po’ troppo grande per dormire con l’orsetto?”
Mentre lo diceva, ghignava divertito, e puntava un dito quasi accusatorio contro di me. Ale mi ha guardato, e ciò che ho visto nei suoi occhi non mi è piaciuto. “Non ci dormo mica insieme!” si è giustificato, e qualcosa, dentro il mio corpo riempito di lanugine, si è spezzato, “Mia madre lo mette lì ogni volta che rifà il letto… Cavolo, le avrò detto mille volte di toglierlo di mezzo.”
Dopodiché, senza la minima pietà, mi ha afferrato per la testa e mi ha lanciato sul cassettone, lasciandomi lì riverso e triste mentre prendeva a giocare coi suoi amichetti.
Non c’era speranza, in me, quella sera. Ho davvero temuto che quel fatidico momento fosse arrivato anche per me, com’era arrivato in tempi più remoti per il triciclo, per la pista delle automobiline, per le marionette e per tutti gli altri giochi che, nel tempo, avevano tenuto compagnia ad Ale, e che non erano mai stati in grado di resistere quanto me.
Una volta rientrato in camera dopo cena, Ale mi ha a stento rivolto uno sguardo. Si è cambiato, scivolando disinvoltamente all’interno del proprio pigiama, e poi s’è rannicchiato sotto le coperte, senza neanche rimettermi dritto.
Ma proprio mentre io stavo per rassegnarmi a passare in quella disgraziata posizione tutto il resto della mia vita finché non fosse arrivato anche per me il momento di finire nella scatola dei vecchi giochi in soffitta, o peggio nel sacchetto della spazzatura, Ale si è alzato dal letto e mi si è avvicinato, stringendo nervosamente i pugni lungo i fianchi. Mi ha rimesso dritto, mi ha accarezzato la testa, si è soffermato a stringere una delle mie orecchie fra le dita e poi, con una smorfia frustrata, mi ha riportato a letto con sé, mi ha sistemato contro il proprio fianco e, pochi secondi dopo, stava già muovendosi svelto contro il mio stomaco, soffocando i gemiti contro il cuscino.
E tutto è tornato ad essere esattamente come prima.
Naturalmente, ci sono dei piccoli compromessi ai quali ho dovuto cedere. Dormo con lui, è vero, ma non ho più un posto d’onore sul suo letto anche per tutto il resto del giorno. Ogni mattina, specie da quando non è più sua madre a rifargli il retto, Ale mi afferra per la testa e mi rimette a posto sul cassettone, ed ogni sera sono costretto a subire lunghi istanti di attesa mentre lui ostinatamente cerca di convincersi che può addormentarsi anche senza di me, anche se alla fine cede sempre. Inoltre, per qualche motivo, specie da quando Ale ha cominciato a spogliarsi prima di cominciare a strusciarsi contro di me, ultimamente finisco sempre più spesso in lavatrice, all’interno della quale subisco le torture più svariate. La centrifuga sta lentamente ma inesorabilmente corrodendo le mie cuciture, ed una delle mie orecchie sta cominciando a disfarsi, mentre ho già perso tempo addietro un occhio, il quale peraltro è finito ad intasare il filtro della lavatrice, generando un caos tale da farmi temere per la mia vita, soprattutto quando la mamma di Ale mi ha stretto per un braccio e, scuotendomi violentemente a mezz’aria, ha cominciato a strillare “ma smettila di lavare così spesso questo vecchio coso, buttalo via, una buona volta!”
Fortunatamente, Ale è riuscito a salvarmi, e quella sera, dopo aver terminato di asciugarmi col getto d’aria calda del fon, mi ha guardato con una specie di dolce, nostalgica compassione, sorridendo appena e sussurrandomi “ti sto proprio rovinando tutto”. In quel momento, avrei voluto possedere la facoltà di parlare, solo per potergli dire che, finché mi avesse tenuto con sé, avrebbe potuto continuare a rovinarmi come preferiva, perché non c’era niente che io non volessi fare per lui, niente di me che non volessi donargli.
Anche stasera, come tutte le altre volte, non può essere differente. Ed infatti, verso l’una, dopo un paio d’ore di sofferenza e gemiti insoddisfatti, Ale si alza, mi raggiunge, mi stringe fra le braccia e, sospirando, mi porta a letto con sé. Ed io, felice, lo lascio fare.