Genere: Introspettivo.
Pairing: Nessuno.
Rating: G
AVVERTIMENTI: Gen.
- "Zlatan picchia contro la porta con una forza tale che Mario ha seriamente paura che possa abbatterla."
Note: Dunque, parte di questa storia dovrebbe essersi verificata sul serio XD Nel senso che, in un'intervista alla Gazzetta, Matrix disse che dopo una partita (a Torino, ma non ci è dato sapere di più), Zlatan inseguì Mario per tutto lo stadio con la ferma intenzione di picchiarlo per motivi che non comprendiamo. Cioè, secondo la gran parte di noi Matrix s'è sbagliato a dire che tutto ciò si sarebbe svolto a Torino, crediamo invece che sia accaduto all'ultima di campionato dell'anno scorso che ora non mi sovviene con chi sia stata -- Parma? -- comunque il succo è quello. E tempo prima peraltro José aveva confermato di aver cazziato furiosamente Mario perché si rifiutava di giocare per far segnare Zlatan e anzi andava a segnare lui... XD Gioie dell'essere una squadra.
A parte questo, comunque, storia scritta la settimana corrente del Challenge Trimestrale #2 @ dietrolequinte, su prompt "Tu vuoi essere creativo, vuoi essere al centro dell'attenzione, ammettilo: vuoi essere come me". \o/
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MIRROR OF MYSELF
"Tu vuoi essere creativo, vuoi essere al centro dell'attenzione, ammettilo: vuoi essere come me"


Zlatan picchia contro la porta con una forza tale che Mario ha seriamente paura che possa abbatterla. Gira la chiave nella toppa, una volta non basta per rassicurarlo e la gira ancora, poi si volta e si appoggia di spalle alla porta stessa, fissando il proprio sguardo terrorizzato nello specchio che copre quasi per metà la strettissima parete di fronte a lui. Sta ansimando faticosamente per la corsa attraverso tutto lo stadio e il cuore gli martella in petto velocissimo, tanto che non sa se gli faccia più male lui o le costole contro cui finisce inesorabilmente per cozzare ogni volta che bum scatta in avanti per ogni bum per ogni colpo di Zlatan contro la bum contro la porta.
- Apri la cazzo di porta! – urla Zlatan, e Mario si allontana, andando ad accucciarsi sul water chiuso nell’angolo opposto del bagno. La porta trema ogni volta che Zlatan le scaraventa contro un cazzotto, e Mario vorrebbe tapparsi le orecchie con le mani per impedire sia ai botti che alla sua voce di raggiungerlo, ma sa che niente potrebbe impedirgli di ascoltare il battito furioso del proprio stesso cuore, e quello scandirebbe il tempo che passa con una precisione ancora maggiore del pugno di Zlatan. Mario non è pronto a restare solo con la sua paura, perciò resta immobile. – Cazzo! Mario! Apri la cazzo di porta! – continua Zlatan. Smettila, smettila, smettila, pensa silenziosamente Mario, tremando fin nelle ossa.
Da fuori sente provenire rumori concitati. Voci che si accavallano, un mezzo accenno di rissa, urla confuse. “Fai quel cazzo che vuoi, allora!” grida improvvisa la voce di Marco. Mario non l’ha sentito avvicinarsi, ma di certo sente i suoi passi pesanti mentre si allontana lungo il corridoio, e gli salta il cuore in gola. Realizza in un lampo che forse ha avuto una chance di uscire, ma non è andata per il verso giusto. A Zlatan sfugge qualche imprecazione fra i denti. La voce di Mario trema, quando prova a parlare due secondi dopo.
- Lasciami in pace! – lo implora, sull’orlo delle lacrime, - Non lo faccio più, lo giuro! – ma non sa nemmeno cosa diamine stia succedendo, perché dovrebbe avere paura, perché Zlatan dovrebbe volerlo prendere a pugni. Anche se forse non è del tutto vero, la voce di Mourinho gli risuona nelle orecchie inferocita ancora adesso. Devi far segnare lui, porca puttana, Mario.
Si morde un labbro, con forza. Non vuole sentirsi in colpa per una cosa simile. Forse è solo un ragazzino, forse non ha segnato tanto quanto ha segnato Zlatan, quest’anno, e forse non è nemmeno stato altrettanto importante per la squadra, ma erano lui, la palla e la porta, e Mario non è mai stato capace di dire no né all’una, né all’altra. Non è un calciatore egoista, sa quando è meglio darla via. Ma non quando sono soli. Non quando sa di potersele prendere.
Zlatan, di fuori, sembra essersi calmato. Non picchia più contro la porta, almeno, ed il suo respiro s’è fatto quieto, tanto che Mario non riesce più a sentirlo. Ma sa che è ancora lì, può percepire la sua presenza, e gli dà i brividi.
- Mario. – dice piano. La sua voce non è mai stata soffice, e non lo è neanche adesso, anche se lui sta cercando di fare di tutto per addolcirla, smussarne gli angoli perché non gli perfori le orecchie, aumentando di nuovo il ritmo con cui il sangue gli corre nelle vene. È dura ignorare la voglia che gli scuote lo stomaco e che vorrebbe indurlo a sprofondare di nuovo nel panico. Mario cerca di respirare con calma. – Apri la porta, dai. Voglio solo parlare. E non puoi certo rimanere chiuso lì dentro per sempre.
- Posso eccome. – si sforza di rispondere, annuendo a se stesso, come a volersi dare coraggio. Zlatan, da fuori, ride piano.
- Mario, andiamo. Mi sono calmato, lo senti, no? – insiste, - Prometto che non ti picchierò.
Già il fatto che debba prometterglielo, si dice Mario, grattandosi nervosamente una tempia, è terrificante. Zlatan non è mai stato davvero manesco, con lui. Rude, quello sì, duro, molto spesso, ma non gli ha mai sollevato addosso un dito, niente più di una semplice minaccia fisica dovuta più alla sua stazza ed al suo atteggiamento che ad un vero e proprio tentativo di spaventarlo volutamente, eppure questo è sempre bastato per ghiacciargli il sangue nelle vene quelle volte – non poche, ma neanche tantissime – in cui l’ha visto infuriarsi con lui. Un suo sguardo il più delle volte è già stato sufficiente a riempirlo di brividi, le sue parole severe in più occasioni l’hanno ridotto in lacrime, ma non era pronto a quel terrore sordo e cieco e muto che l’ha preso quando Zlatan ha mostrato seriamente, per la prima volta, l’intenzione di fargli del male fisico.
- Chiamo il mister, se… - accenna intimidito, alzandosi ed allungando un braccio verso la chiave, - se mi fai male. Lo giuro.
Zlatan ride ancora e non risponde. Mario gira la chiave nella toppa una volta, fa per tornare a sedersi e poi ricorda di doverla girare ancora. Lo fa e poi si schiaccia indietro contro la parete come avesse paura di vedersi spalancare la porta in faccia, e quando questo non avviene non sa se sentirsi rassicurato o ancora più spaventato. Si lascia scivolare contro le piastrelle ghiacciate, ricadendo seduto sul water, le mani ancorate con forza ai bordi nell’insana paura di poter essere travolto da un uragano da un momento all’altro.
La porta, invece, si apre con calma. L’espressione di Zlatan è fredda, nervosa, ma non congestionata. Sembra davvero più tranquillo – niente di neanche lontanamente rassomigliante al mostro in cui si era trasfigurato prima, rincorrendolo per tutti i corridoi dello stadio – e Mario non può fare a meno di guardarlo con una certa curiosità quando, dopo essere entrato, gli dà le spalle, per tornare a chiudere la porta a chiave.
Deglutisce a fatica quando Zlatan torna ad osservarlo dall’alto, gelido e distante, le braccia incrociate sul petto e l’espressione più offesa che realmente severa. Ha quasi voglia di sorridere – sembra che Zlatan l’abbia presa sul personale, ma d’altronde lo fa sempre, come fosse convinto che al mondo non possa proprio esistere altro in grado di competere con la sua importanza.
- Sei un cretino infantile ed egocentrico. – dice Zlatan, e Mario scoppia come un bambino che si sente accusato di qualcosa che non ha commesso.
- Ma perché?! – strilla, le dita che si chiudono con forza perfino maggiore attorno al coperchio del water, - Cosa cazzo ho fatto di male?! Non è che tutto il mondo deve girare attorno a te, cazzo, non è giusto! Io ero lì, potevo fare gol, perché avrei dovuto— perché?!
- Perché sei un ragazzino! – tuona Zlatan, battendo il pugno con violenza contro la porta, - Perché sei un ragazzino e il tuo allenatore ti ha dato un ordine preciso! Perché tu non sei niente e nessuno, Mario, ed a volte, anche quando una cosa può sembrarti la migliore in assoluto, non lo è! Ti era stato detto di agire in un determinato modo e questo perché evidentemente non era importante segnare e basta, era importante che segnassi io!
Mario si morde l’interno della guancia, aggrottando le sopracciglia, nervoso.
- Be’, ma allora questo discorso vale anche per te, no? Anche tu devi obbedire agli ordini. Io e tu— non siamo diversi. Tu devi obbedire esattamente come me.
Sul viso di Zlatan si disegna un’espressione dapprima semplicemente un po’ stupita, che poi si apre in un sorriso quasi incredulo ed infine scoppia in una risata tonante, colma di derisione.
- Non ci posso credere. – borbotta scuotendo il capo come un fratello maggiore davanti al fratellino quasi impossibilmente stupido, - Mario, no. – dice quindi, senza riuscire a trattenersi dal ridere ancora.
- Ma no cosa?! – sbotta Mario, mollando finalmente il coperchio del water e quasi digrignando i denti per la rabbia.
- No, noi non siamo uguali. – risponde subito Zlatan, con un sorriso adesso perfino sereno. – Tu vuoi essere creativo, vuoi essere al centro dell’attenzione, vuoi essere come me. Ma non lo sei, Mario, e non solo perché sei un ragazzino, non hai esperienza e sei troppo piccolo per arrivare al mio livello.
Mario abbassa lo sguardo, sentendo gli occhi pungere fastidiosamente. Non piangerà, non piangerà, non piangerà.
- E per che altro motivo? – chiede alla fine fra i denti, mordendosi il labbro inferiore con tanta forza da potersi illudere di voler piangere per il dolore che sente e non, ancora una volta, per le parole di Zlatan.
Zlatan, prima di rispondere, si prende tutto il tempo che gli serve per sorridergli e tirargli un mezzo cazzotto contro una spalla. Poi si abbassa fino a poterlo guardare direttamente negli occhi, e poggia la propria fronte contro la sua, scrutandolo da una distanza così infinitesimale e per tanto a lungo che Mario ha tutto il tempo di sentire il suo respiro caldo infrangersi contro le proprie stesse labbra, e rabbrividire senza un perché.
- Perché tu non sei me, Mario. – dice Zlatan, e gli angoli della sua bocca si piegano in un sorriso divertito e solo in parte macchiato d’ironia, - E non potrai mai esserlo.
*

È per questo che, un anno dopo, quando Mario e Zlatan s’incontrano – Mario è arrivato a Miami solo ieri, Zlatan c’è già da almeno una settimana e probabilmente continuerà a rimanerci anche una volta che Mario sarà andato via – e Zlatan chiede a Mario se siano vere le voci che circolano, se davvero andrà via dall’Inter durante l’estate, Mario ridacchia fra sé, e poi scuote il capo.
- Non è vero. – risponde serenamente, - Non m’interessa andarmene.
Zlatan sorride appena, quasi nervosamente, e si gratta una spalla in un gesto quasi infastidito.
- Come mai? – chiede, - Potrebbe essere un’esperienza interessante.
Mario ride ancora, si stende sulla propria sdraio, aspira una boccata dalla sigaretta che tiene mollemente fra le dita.
- Sì, ma io non sono te, Zlatan. – risponde con un sorriso furbo, guardando altrove, - E non lo sarò mai.
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