Genere: Erotico.
Pairing: Bushido/Bill.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Lemon, PWP, Slash.
- Per Bill non è un momento facile. La gola gratta e non riesce a cantare come vorrebbe, e per di più il tour americano si sta dimostrando molto più pesante del previsto. Ecco perché, dopo gli show canadesi, pretende una vacanza. E, quando la ottiene, torna a casa per passarla in santa pace. Ma accadrà qualcosa che sicuramente non poteva prevedere.
Note: E ce la fece XD Questa storia – scritta in quattro giorni nella maniera più scombinata possibile, ovvero partendo da tre quarti – è stato un gioioso parto, come sa chiunque abbia continuato a vedere fra i miei nick su MSN messaggi minatori che incitavano ad ignorarmi perché stavo producendo del porno. E giuro che all’inizio voleva essere solo questo, del giocoso porno, ma non so perché io ho questa mania delle strutture che… uff XD
Si ringraziano tantissimo Tab e Yul che hanno sofferto con Bill seguendo in diretta il copincolla della lemon XD Billi ve ne sarà per sempre grato. Un po’ meno alla Tab, che a un certo punto ha sbottato “Bushido, te prego, daglielo!”. Ma sono cose che nelle PWP succedono, e poi Bill lo voleva XD
Grazie anche a Misa, che l’ha betata <3
A parte questo, l’H1 esiste davvero ed è bello da far schifo. Quando io e Misa saremo ricche e fighe ci trasferiremo ad Amburgo e lo compreremo, e faremo un mucchio di soldi. *ama* Se volete guardarlo, sul sito ufficiale ci sono delle gioiose foto.
Quanto alla fantomatica pausa di cinque giorni tra il Canada ed Hollywood… true story. Il canon è canon u.u Niente da fare u.u
PS: Il titolo è stato gentilmente offerto da Tab <3 Il sottotitolo, invece, dall’omonima canzone di Bushido XD *una donna ossessionata* Significa “hai coraggio?”.
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LUSH
Hast Du Mut?

Ogni tanto, se ne rendeva conto da sé, si trasformava in un rompiballe di dimensioni cosmiche. Era grato a chiunque riuscisse a continuare a sopportarlo, in quelle occasioni, perché erano proprio i momenti in cui essere lasciato solo gli sarebbe dispiaciuto di più. Era una classica reazione allo stress. Quando cominciava a diventare una piaga, tutti sapevano che doveva essere successo qualcosa di spiacevole. O doveva sentirsi poco bene.
Tom l’aveva sempre capito – perché lo conosceva da una vita – e da qualche anno aveva cominciato a capirlo anche David. Bill supponeva che per entrambi si trattasse di un sacrificio dovuto. Che gli volessero bene e perciò sopportassero stoicamente senza lamentarsi troppo.
A Bill dispiaceva diventare insopportabile.
A volte, però, succedeva e basta.
- Sarai soddisfatto, adesso. – sospirò teatralmente suo fratello, affossandosi il più possibile al proprio posto vicino al finestrino, sull’aereo diretto a Berlino di quell’undici febbraio duemilaotto, - Una bella vacanza e pure un viaggio transatlantico. Dio, quanto ti odio.
Bill ridacchiò a bassa voce e gli regalò un biscotto di quelli che aveva ordinato alla hostess poco prima. Tom lo mandò giù direttamente dalle sue mani, come un cagnolino, e Bill rise ancora.
- Scusami. – biascicò il moro, - È che ho mal di gola. Sono un po’ stanco. Avevo bisogno di una pausa.
Suo fratello lo fissò con aria allucinata.
- Dopo due sole date, Bill?
- Erano due sold out! – protestò lui, ostinato.
- E allora? – sbottò Tom, scrollando le spalle, - Mica cantare per più persone è più faticoso. Non dovevi preparare da mangiare a tutte le millequattrocento ragazze che c’erano…
Bill sospirò e scosse il capo, mangiando un biscotto e buttandolo giù con un po’ di tè.
Non si aspettava certo che Tom lo approvasse. Suo fratello lo sentiva perfettamente, fin dentro, ma aveva pure tutti i diritti del mondo di avercela con lui.
In ogni caso, ormai era su quell’aereo. Non aveva alcuna intenzione di tornare indietro. Voleva soltanto prendersi qualche giorno di pausa. Fra il Canada ed Hollywood, in fondo, c’erano cinque giorni di stacco. Non aveva neanche costretto David a manovre particolarmente esasperanti – sebbene il sospiro che il manager aveva lanciato quando l’aveva informato dei propri progetti potesse essere interpretato come “esasperato” con una possibilità di errore dello zero virgola uno percento.
Aveva voglia di respirare un po’ l’aria di casa. Poco importava l’avesse lasciata non più di una settimana prima.
Forse, l’aria di casa gli avrebbe fatto passare quel fastidioso mal di gola che continuava a grattargli sulle corde vocali ogni volta che apriva bocca per cantare.
*
Non avrebbe resistito ad un’altra serata di fronte alla TV, in attesa del ritorno di Tom.
Due giorni dopo il suo arrivo ad Amburgo, assieme al mal di gola che si ostinava a restare dov’era, era questa l’unica altra certezza che Bill potesse vantare.
- Dovresti uscire di più. – gli disse suo fratello con aria distratta mentre, molto più attentamente rispetto a quanto si preoccupasse di lui, sistemava il berretto sulla testa, - In fondo, siamo tornati perché tu potessi rilassarti un po’. Ed invece stai tutto il tempo qui tappato in casa…
Bill, pigramente accucciato sul divano in perfetta tenuta da scazzo casalingo, scrollò le spalle senza rinunciare neanche per un secondo ad uno zapping tanto noioso quanto inutile.
- Avanti, fatti bello ed esci con me. Stasera andiamo al Funky Pussy!
- Ma quel locale è sempre pieno solo di ragazze! – borbottò Bill inorridito.
Tom spalancò gli occhi e ritenne opportuno perfino voltarsi a guardarlo con aria sconcertata.
- Bill, certe tue uscite mi turbano profondamente.
- …non in quel senso, cretino! – strillò, arrossendo d’impulso, - Intendo che è imbarazzante essere circondato solo da femmine…
Tom dischiuse le labbra come per dire qualcosa, poi sembrò ripensarci ed infine lasciò ricadere le braccia lungo il corpo in un plateale segno di resa.
- Bill, non aggiungere altro: peggiori solo la situazione.
Il moro aggrottò le sopracciglia e si raggomitolò con maggiore ostinazione sul divano, incrociando le braccia sul petto e mormorando un “fottiti” che suonò più come un lamento che come un’offesa.
- Billi, cucciolo, ti prego, non litighiamo. – mugolò pietosamente Tom, piegandosi a dargli un bacino sulla guancia, - Fai quello che vuoi, per me è ok. Non dovrei far tardi stanotte, - aggiunse poi, allontanandosi spedito verso la porta, - ci rivediamo appena torno. – e lo salutò lanciandogli un altro bacio, prima di uscire.
Rimasto solo, a Bill non rimase che sprofondare fra i cuscini e fissare con aria ebete la propria faccia perfettamente tirata a lucido che stava passando proprio in quel momento in TV sotto forma del video di 1000 Meere.
- Odio VIVA… - mugugnò dolorosamente, tirandosi in piedi e cominciando a zompettare a piedi nudi in giro per l’appartamento, con l’aria di un fallito che non avesse la minima idea della direzione da dare alla propria vita.
Cosa che, in effetti, poteva rappresentare abbastanza bene lo stato di cose di quel momento.
La gola proprio non funzionava come avrebbe dovuto.
E lui probabilmente stava un po’ perdendo la forza di combattere. O la voglia di provarci.
Entrò in bagno e si fermò di fronte al lavandino. Sciacquò velocemente il viso e ciò che vide quando tornò a guardarsi allo specchio non gli piacque affatto.
- Bill, sei un cesso. – si disse impietoso, toccando il proprio riflesso su una guancia. – Dovresti davvero seguire l’esempio di Tomi. Metterti in tiro ed uscire. Sia mai che ti venga un po’ di coraggio per fare della tua vita qualcosa di buono.
Sospirò e socchiuse gli occhi.
Be’, rimanere in casa a parlare da soli, da che mondo era mondo, non aveva mai aiutato nessuno.
*
Forse fu per questo che, seguendo la frenesia di dieci minuti assolutamente folli, si truccò, si vestì di tutto punto, indossò un paio di occhiali scuri e si fiondò fuori di casa, alla disperata ricerca di un taxi che lo portasse da qualche parte.
Qualsiasi parte andava bene, in effetti, purché fosse movimentata. E non fosse il dannato Funky Pussy, ovviamente.
Il tassista sembrava averlo riconosciuto. Da come continuava a guardare nello specchietto retrovisore, per cogliere uno spicchio del suo viso, Bill poteva dire con certezza quasi assoluta si stesse chiedendo se fosse il caso di domandargli un autografo per la figlia.
- Dove la porto…? – chiese timoroso.
Bill apprezzò che lui non lo chiamasse “signor Kaulitz”. Odiava quando gli sconosciuti lo apostrofavano in quel modo. Era una delle poche cose che odiasse davvero della fama – l’impossibilità di godere del calmo e freddo anonimato del quale usufruiva chiunque, perfino il più immeritevole degli esseri umani. Tutti tranne lui sembravano aver diritto ad un po’ di pace.
Gli sarebbe bastato che almeno le persone che era costretto ad incontrare fossero abbastanza educate da risparmiargli la tortura, evitandosi l’uso del suo cognome. Lui non li conosceva, d’altronde. Non poteva rispondere con un “Sì, grazie mille, signor Vattelappesca”. Si sentiva incredibilmente in difetto rispetto a chi usava il suo cognome per rivolgersi a lui senza presentarsi prima.
- Non lo so… - rispose con un sorriso di circostanza, - Ho voglia di svagarmi un po’, ma non sono un gran frequentatore di discoteche…
- Be’… - rifletté il tassista, mettendo in moto, - l’H1 è un bel locale. Mia figlia mi raccontava di esserci stata qualche weekend fa…
- No, la prego, - ridacchiò Bill, - non mi dica che è un locale per ragazzine.
Il tassista rise a propria volta, per nulla offeso.
- Mia figlia ha venticinque anni. – precisò, - Comunque è un bel posto e non è frequentato da gente… fastidiosa. Se capisce cosa intendo.
Che meraviglia, educato e pure attento alle esigenze delle celebrità in fuga dalla fama.
- Sì. – annuì Bill compitamente, - Grazie mille, allora. L’H1 sarà perfetto.
*
L’H1, in effetti, era perfetto per un mucchio di motivi diversi. Bill cominciò a ringraziare l’anonimo tassista nel momento in cui mise piede nell’ampio, oscuro e sensuale ambiente del locale, ed in pratica non smise più.
Le luci – cupissime, viola ed azzurre, salvo quelle giallastre che illuminavano i gradini che portavano alle varie zone del bar – rendevano l’ambiente misterioso e riservato abbastanza da garantire a chi stesse abbastanza lontano dalla pista da ballo un meraviglioso paio d’ore di solitudine. Le zone, poi, erano tutte perfettamente ordinate e differenti le une dalle altre. Così che chi voleva sfondarsi d’alcool intrecciando conversazioni futili con i vicini si dirigeva al bar, chi voleva perdersi nel movimento ipnotico di un paio di dischi house andava in pista e chi preferiva stare semplicemente seduto a godersi il proprio essere lì per nessun motivo particolare aveva tutta una lunghissima serie di poltrone in pelle nera aderenti al muro dall’aspetto invitantissimo.
Oltretutto, il club sembrava frequentato solo da over-30. Non c’era la benché minima possibilità che lo riconoscessero.
Bill afferrò una birra al volo al bancone e poi si diresse speditamente verso la fila di poltrone, mirando ad una che sembrava particolarmente comoda e cercando di raggiungerla prima che gli venisse soffiata da sotto il naso.
Si accomodò, portò la bottiglia alle labbra, bevve un lungo sorso di birra ghiacciata, si guardò intorno e si sentì perfettamente soddisfatto di se stesso.
Dopodiché, una voce stranamente familiare lo costrinse a voltarsi e realizzare d’improvviso di essere un enorme improponibile cazzone.
- Bill Kaulitz…?
Bushido stava seduto sulla poltrona accanto alla sua. Doveva averlo osservato durante tutte le sue precedenti manovre, senza staccargli gli occhi di dosso, solo per ridere di lui.
Dio.
Perché doveva essere così drammaticamente stupido? E sfigato?
Come diavolo aveva fatto a non riconoscere Bushido proprio lì accanto, mentre sceglieva con cura la poltrona da occupare?!
- Ciao… - abbozzò incerto, perché in realtà, nonostante i numerosi quanto brevi incontri che avevano preceduto quel momento, non è che avesse ancora ben capito come fosse conveniente comportarsi con quell’uomo. A volte sembrava il ritratto della dolcezza e dell’educazione. L’attimo dopo lo sentivi che diceva all’amico di turno in quali e quanti modi sarebbe riuscito a farti urlare di piacere, se fossi stato una femmina.
Era disorientante.
- Credevo fossi in America… - commentò lui giusto per amor di conversazione, mentre rispondeva al saluto con un cenno del capo.
- Sì, be’… sono tornato per un po’. – rispose Bill, ancora un po’ impaurito, - Avevamo una pausa, sai…
- E tu, - rise Bushido, fissandolo con un sopracciglio inarcato, - quando hai qualche giorno di pausa, invece di restare a goderti la vita in America, torni in questa topaia?
Bill abbassò lo sguardo, a disagio, e si strinse nelle spalle.
- Be’, questo posto non è così male… - si giustificò blandamente, tornando a cercare rifugio nella birra.
- E come mai sei qui tutto solo? – continuò a prenderlo in giro Bushido.
Era odioso.
- Potrei chiederti la stessa cosa. – rispose acido, in un improvviso moto di spirito.
Bushido rise come avesse fatto una battuta, e la cosa non lo offese come avrebbe dovuto.
- Avevo voglia di festeggiare. – rispose.
- Di solito, non si festeggia in compagnia? – ritorse Bill, profondamente insoddisfatto dal tono e dall’andamento della conversazione.
Bushido scrollò le spalle.
- Suppongo che ci siano delle cose che valga la pena viversi in solitudine.
Bill deglutì, mordicchiandosi un labbro.
- Sì. Sono d’accordo. – annuì discretamente.
Bushido lo scrutò brevemente – un’occhiata calda ed intensa che Bill sentì addosso con una pesantezza quasi fisica.
- Te ne prendo un’altra?
- …cosa?
- La birra. L’hai già finita. Ne vuoi un’altra?
Bill rimase per qualche secondo immobile, un po’ interdetto. C’era decisamente qualcosa di diverso – un divario enorme – fra la discussione che stavano intrattenendo prima e quella che avevano appena intrapreso. Sì, si rendeva conto da sé di rasentare il ridicolo, nel notare differenze simili fra una presa in giro e l’offerta di una birra, ma…
…no, non c’era nessun ma.
Era solo la presenza di quell’uomo che lo inquietava e lo stordiva.
E l’ambiente, anche. Così… lo notava solo in quel momento, che strano, ma… le poltrone appartate, le luci basse, la musica a volume altissimo che ti confondeva anche se non volevi ascoltarla, per non parlare di tutti i profumi mischiati che riempivano l’aria rendendola greve e difficoltosa da mandar giù, davano al posto un tocco d’intimità che, pur non essendo completamente spiacevole, lo metteva a disagio.
Scrollò le spalle.
- Va bene. – concesse, - Ma sappi che non ti riuscirà di farmi ubriacare.
Bushido sogghignò, facendo un cenno al barman che, in pochi secondi, fece arrivare fra le loro mani due bottiglie piene e ghiacciate.
- Perché mai dovrei farti ubriacare, Kaulitz? – chiese insinuante.
Bill non sapeva se lo stesse ancora prendendo in giro o meno, ma quello suonava comunque come un flirt. Pure abbastanza spudorato.
Avrebbe dovuto esserci abituato – Bushido flirtava con lui praticamente ogni volta che gli capitava a tiro – ma la situazione in cui si trovavano in quel momento era così lontana dalla ribalta televisiva che Bill non poté fare a meno di dirsi che, se in altre occasioni aveva bollato quei flirt come pubblicità da dare in pasto ai media, in quel momento non c’era proprio niente da pubblicizzare, e nessun paparazzo da nutrire.
Probabilmente lo stronzo voleva solo giocare, pensò cupo, aggrottando le sopracciglia. Era molto da lui, in fondo: ghignare e mostrarsi figo e superiore e prenderlo per il culo a parole per evitare di doverlo fare davvero. Era un tratto che gli aveva sempre dato fastidio, della sua schizofrenica personalità: se lo voleva, perché non cercava di prenderselo e basta?
Mandò giù un sorso di birra.
Calmati, Bill. Calmati. Non vuoi davvero che Bushido ti prenda e ti porti a casa propria, per poi scoparti. Non lo vuoi.
No?

Disconnesse le sinapsi del proprio cervello quando si rese conto che pensare stava diventando a tutti gli effetti più pericoloso che agire senza farlo. Chi l’avrebbe mai detto.
In ogni caso, non era disposto a cedere neanche di un punto. Non di fronte ad uno che era palesemente un codardo, peraltro.
- Per portarmi a letto, è chiaro. – rispose quindi con un sorrisino spavaldo, - Tanto è ovvio che, se non fossi ubriaco perso, non ci starei mai.
Bushido rise, estremamente divertito, e fece tintinnare la propria bottiglia contro la sua.
- Un punto per te, Kaulitz. – si complimentò, - Ma ammetto che il mio obiettivo è costringerti ad un sì da sobrio. E senza giornalisti che possano far pensare ad un’accettazione di convenienza.
Spalancò gli occhi e quasi si soffocò con la propria stessa saliva.
Andava bene giocare, ma… quell’uomo stava giocando su un livello tutto diverso dal suo.
Forse.
- Be’, allora siamo a posto. – mugugnò imbarazzato, tornando a cercare conforto nell’alcool, - Tanto non accadrà mai.
- Che bello, ogni tanto, sentirti parlare ancora come il ragazzino che sei! – commentò l’uomo, evidentemente divertito, - A sentirti in genere, con tutte quelle cazzate seriose sull’anima gemella e la castità forzata e tutto il resto, si fatica proprio a capire quanti anni hai.
Bill scrollò le spalle.
- Che non si capisca la mia età va bene. Non posso lamentarmi. Non posso lamentarmi neanche se la gente non capisce il mio sesso, figurati.
- Ah! Che tu sia maschio, è una certezza matematica.
Gli lanciò un’occhiataccia, infastidito.
- Intendi?
- Che sei uno stronzetto sfacciato. – mormorò Bushido appoggiando i gomiti sulle ginocchia e sporgendosi fin quasi a sfiorare il suo profilo con le labbra, - Quindi, forse sei un po’ zoccola, ma resti comunque maschio.
Saltare oltraggiato in piedi e poi schiaffeggiarlo sarebbero state le cose più giuste da fare. Avrebbero chiuso il conto – presumibilmente per sempre – gli avrebbero ridato un po’ di dignità ed un po’ d’autostima, e magari avrebbe avuto anche qualcosa di divertente da raccontare a Tomi quando fosse tornato dal suo consueto giro di scopate, quella notte.
In ogni caso, non aveva voglia di fare niente del genere.
Diede la colpa alla birra, alla musica ed all’aria pesante. Non si fermò a pensare neanche per un secondo che la cosa potesse essere imputabile alla vicinanza di Bushido, all’odore forte e deciso del suo dopobarba, al suono piacevole che producevano le sue parole a così pochi centimetri dalla sua pelle o al suo sguardo talmente intenso e scuro da pietrificarlo.
Era molto, molto più comodo e facile dare la colpa alla birra, alla musica ed all’aria pesante.
- Be’, insomma. – sorrise vittorioso Bushido, raddrizzando la schiena e poi mettendosi in piedi, - Buona fortuna per il resto dei concerti in America e buon divertimento per il resto della serata. Per oggi, io ho concluso.
Così dicendo, accennò un saluto con la mano e fece per abbandonare il privè ed uscire dal locale.
Bill saltò in piedi e lo richiamò con una velocità tale che ebbe quasi un capogiro.
- Aspetta! – disse, quando riuscì a recuperare abbastanza presenza di spirito.
- …cosa? – chiese un po’ incerto Bushido, voltandosi interdetto a guardarlo.
Bill si morse un labbro, piantò una mano sul fianco e cercò di darsi l’aria più navigata che poté.
- Non mi porti con te?
*
Non c’era proprio che dire: era andato alla ricerca di una serata diversa dalle altre, una serata che gli desse indietro tutta la propria forza ed il coraggio di combattere, ed aveva trovato Bushido. E non solo: si era fatto allegramente prelevare, infilare in una BMW che, non fosse stata sinonimo di uno dei momenti più confusi e tormentati della sua vita, avrebbe amato al punto da svendersi per salirci su – ed in effetti era un po’ ciò che stava facendo – ed infine aveva accettato di rimanere lì, accucciato sul sedile del passeggero a rimirarsi la french, nel più assoluto silenzio, mentre Bushido guidava verso casa propria.
- Non sapevo che abitassi ad Amburgo… - borbottò atono, giusto per spezzare quel silenzio insopportabile, - Credevo fossi di Berlino.
- Ed infatti lo sono. – annuì serenamente lui, concentrato sulla strada, - Ma sono diventato ricco molto prima di te, perciò ho già cominciato ad espandere i miei possedimenti in tutta la Germania. Un giorno, conquisterò il mondo.
Bill rise a bassa voce, coprendosi le labbra con una mano.
Bushido lo squadrò dall’alto in basso, un po’ risentito.
- Era una battuta, potevi anche fartela, una bella risata.
- Non parlarmi come se fossi uno che non ride mai. – si lamentò Bill, aggrottando le sopracciglia, - Non lo sono.
- Be’, abbiamo passato le ultime due ore insieme e ti ho visto fare solo sorrisini storti e qualche ghigno. Ho le prove che ho ragione.
- Non parlarmi nemmeno come se fossi un mio amico. – aggiunse il moro, piccato, - Non lo sei.
Bushido roteò gli occhi e lanciò un mugolio annoiato.
- Sei un ragazzino impossibile. Dovrei riportarti a casa tua e basta.
- …dopo essere arrivati fino a qui?
- Fino a qui è circa a tre isolati dal tuo appartamento, come mi hai fatto notare dieci minuti fa, quando ci siamo passati davanti, perciò non blaterare.
- …è passato davvero così poco tempo…? – chiese Bill, sinceramente stupito, - Cazzo, mi sembrava fossero passate ore
- Questo perché sei un bimbo noioso e provare ad intavolare una conversazione con te è assolutamente impossibile. – commentò Bushido, annuendo compitamente.
Bill gli tirò uno schiaffetto contro la coscia, lamentandosi di quanto trovasse assurdo che continuasse ad offenderlo e chiamarlo “bimbo”, ma se ne pentì subito dopo.
Dio, non dai uno schiaffo sulla coscia ad uno che ti sta portando a casa propria! Non se vi conoscete appena e vi siete incontrati due ore prima!
Bushido, comunque, non ne sembrò particolarmente turbato, e continuò a guidare tranquillamente, senza scollare gli occhi dalla strada nemmeno per un secondo.
Si fermarono di fronte ad un condominio che, più che richiamare alla mente i sobborghi di Tempelhof, sembrava un ordinato ospizio per vecchi ricconi. Palazzi bassi, bianchissimi, con i balconi pieni di fiorellini ed un ampio e pulito cortile interno, con un’enorme aiuola ed un’altrettanto enorme palma piantata proprio nel centro.
- Una palma…?
- Lasciamo perdere. – borbottò Bushido, mentre gli faceva strada verso la propria palazzina, - Ho dovuto affrontare l’ira funesta di un centinaio di casalinghe frustrate, solo per aver detto incautamente che tenere una pianta esotica in un cortile ad Amburgo avrebbe potuto non essere un’idea poi così geniale. – sospirò pesantemente, aprendo il portone e tenendolo fermo finché Bill non fu entrato all’interno dell’ingresso, - Dovresti vederla come si agita quando c’è vento. Una cosa tremenda.
Il moro annuì trasognato, un po’ confuso dal fiume di parole e, soprattutto, dall’immagine mentale di Bushido che litiga con le massaie durante una riunione di condominio particolarmente accesa.
- Ma che diavolo ci fai in un posto simile…? – biascicò divertito, mentre salivano le scale diretti al primo piano.
- Ci vivo. – rispose Bushido con una scrollatina di spalle, - Cinque o sei mesi all’anno. È qui che vengo a comporre.
- Tu componi?! – strillò, fermandosi in mezzo alle scale e voltandosi a guardarlo come fosse stato un alieno.
- Aha, molto divertente. – borbottò Bushido dandogli un buffetto sulla fronte ed oltrepassandolo fino a raggiungere il proprio pianerottolo.
- No, sul serio… - si affrettò a raggiungerlo Bill, facendo gli ultimi gradini quasi in un unico salto, - Credevo che quelli come voi si mettessero a cantare direttamente sulla base…
- Quelli come noi sono artisti normali che scrivono la musica sulla quale cantano ed anche i testi che ci mettono sopra. – precisò Bushido, armeggiando con le chiavi alla ricerca di quella giusta, - Il che è molto più rispetto a quanto si possa dire di quelli come voi. – buttò lì in un’offesa che, per quanto bruciasse, era pure abbastanza giustificata, visto che, in effetti, il tono con cui l’aveva rimbrottato fino a quel momento era abbastanza incredulo da motivare la sua rabbia.
- Scusami, non volevo insinuare tu fossi un incapace… - borbottò, in un blando tentativo di recuperare i punti persi, - È che un po’ l’ho sempre pensato, e… - sollevò lo sguardo. Bushido lo fissava a propria volta, estremamente critico. - …ok, la pianto qui.
- Molto, molto meglio. – concluse l’uomo aprendo la porta ed invitandolo ad entrare. – E questa è la mia modesta dimora. – commentò tronfio, mostrando l’interno dell’appartamento con un ampio cenno del braccio, mentre si richiudeva la porta alle spalle.
Bill si guardò intorno, stringendo con forza i pugni dentro alle tasche dei jeans.
La modesta dimora di Bushido constava di un ingresso fuso con un salotto di dimensioni stratosferiche, un soggiorno che si poteva intravedere da una porta aperta sulla sinistra con tanto di cucina incorporata, una porta chiusa che si apriva probabilmente su una camera da letto che non avrebbe avuto nulla da invidiare alle altre stanze e… be’, da qualche parte doveva pure esserci un bagno.
- Modesta, eh? – chiese divertito, avvicinandosi al divano ed accarezzandone la superficie scamosciata color panna.
- Dovresti vedere quella a Berlino. – ribatté lui con un ghigno furbo mentre si sfilava la giacca e gli porgeva una mano per prendere la sua.
Bill tolse il giubbotto di jeans e glielo consegnò, continuando a vagare per quell’enorme stanza, soffermandosi a scrutare con un misto di invidia ed ammirazione tutti i particolari dell’arredamento.
- Mi sento improvvisamente molto povero. – commentò con un mezzo sorriso, fermandosi innamorato di fronte ad un gigantesco tavolo rotondo in marmo nero striato bianco.
- Lo prenderò come un complimento. – rise Bushido, poggiando le due giacche sopra una poltrona ed avvicinandosi a lui, - E, quando verrò a trovarti a casa tua, ricambierò.
Bill si voltò a guardarlo, inarcando supponente un sopracciglio.
- Chi diavolo ti fa pensare che ti inviterò mai a casa mia?
Bushido ridacchiò.
- Il fatto che mi ti sei praticamente offerto su un piatto d’argento meno di un’ora fa…? – suppose, reggendogli il gioco.
Bill rise e si sporse verso di lui, ammiccando divertito.
- Ma questo non significa che debba considerarti tanto importante da portarti a casa… - gli sussurrò addosso, senza smettere di guardarlo negli occhi, - Forse la zoccola non sono io, no…?
Bushido indietreggiò ed il suo sguardo cambio colore e consistenza.
Se le atmosfere avessero potuto fare rumore, spezzandosi, in quel caso sarebbe stato come sentire venir giù una casa. Tutto un palazzo.
Quel crollo, Bill quasi se lo sentì sulla testa.
- Ragazzino, cerca di non esagerare. – disse duramente l’uomo, sporgendosi a guardarlo con rabbia. Bill si strinse nelle spalle, sulla difensiva. – Va bene anche giocare pesante, ma quando si comincia a fare sul serio stai attento. Pensavo di portarti qui, darti da bere qualcosa, fare ancora un po’ il simpatico e poi riportarti a casa. Non costringermi a saltare la parte della simpatia. So essere davvero poco piacevole, quando voglio.
Sarebbe stato facilissimo, a quel punto, chinare il capo e scusarsi. Sarebbe stato facilissimo e probabilmente sarebbe stata anche la mossa giusta. Bastava fare qualche piccola rinuncia qua e là. Bastava rinunciare ad occupare la serata in attesa del ritorno di Tom. Bastava rinunciare a prendersi la ragione con la forza. Bastava rinunciare al ricordo della sensazione che aveva provato all’H1 quando Bushido l’aveva guardato a lungo e intensamente, prima di offrirgli un’altra birra.
Bastava rinunciare a quel po’ d’orgoglio che era riuscito a raccogliere a fatica durante tutta quella sfiancante serata.
Bastava rinunciare alla vittoria, in fondo.
Sarebbe bastato rinunciare a tutto questo, obbedire da bravo bambino e fare come al solito: sottomettersi. Accettare. Annuire. Sì, sì, sì.
Ma dannazione.
Non era andato in giro da solo per Amburgo mettendo a rischio la propria stessa incolumità, e non era arrivato all’H1, e soprattutto non aveva passato le ultime due ore a flirtare con Bushido per ritrovarsi poi fra le mani il solito noioso ed insopportabile niente.
Si appoggiò morbidamente al tavolo, puntando le mani sul tavolo ed accavallando sensualmente le gambe, e poi si concesse un mezzo sorriso storto e intrigante.
- Che delusione… - sussurrò carezzevole, inclinando lievemente il capo, - Mi porti qui, mi dai ad intendere che riusciremo a cavarne qualcosa di più di qualche blanda promessa televisiva… e poi ti ritiri con un nulla di fatto? – ridacchiò brevemente, sbattendo le ciglia, - Ti ho proprio sopravvalutato, Bushido.
Lui gli fu addosso in meno di un secondo. Non lo sfiorava neanche, ma la sua sola presenza era talmente ingombrante che per poco Bill non si sentì mancare il fiato.
Bushido lo fissava, qualche centimetro più in alto di lui, e gli respirava addosso.
Era furioso. Glielo si leggeva negli occhi.
- Kaulitz, che cazzo vuoi?
Soddisfatto, Bill lo fissò di rimando ed allargò il sorriso.
- Speravo potessi dirmelo tu.
Gli occhi dell’uomo si fecero sottili e brucianti come tizzoni ardenti, tanto che Bill dovette farsi violenza per non distogliere lo sguardo.
Si stava mettendo nei guai. Si stava mettendo nei guai e la cosa non riusciva a dispiacergli completamente. E non era neppure tanto ubriaco.
Però almeno il mal di gola sembrava sparito.
Forse perché non aveva ancora avuto modo di pensarci.
- Non mi provocare, Kaulitz… - sussurrò rocamente Bushido, sollevando una mano e lasciandogliela scorrere sul ventre fino al petto, da sopra la maglietta.
La sua pelle era talmente calda che Bill ne percepì perfettamente addosso la temperatura, nonostante il cotone. Gli diede i brividi.
- Magari è esattamente questo, quello che voglio. – rispose in un ansito scomposto, sporgendosi ancora verso di lui fino ad insinuare una gamba fra le sue, stuzzicandolo in uno strofinio discreto ma continuo e, soprattutto, terribilmente ben mirato.
Bushido si inumidì le labbra ed afferrò con malagrazia un lembo della sua maglietta, tirandola su tanto in fretta da rischiare di strappargli via anche le braccia, assieme all’indumento.
Avrebbe dovuto sentirsi offeso e maltrattato.
Appena l’ingombro della maglia si ritrovò dimenticato sul pavimento a qualche metro da loro, tornò semplicemente a guardare Bushido negli occhi a distanza così ravvicinata da poter sentire i loro stessi respiri incontrarsi a metà fra le loro bocche ed attorcigliarsi l’uno con l’altro.
Sollevò le braccia e cominciò a sbottonare la camicia dell’uomo. Così lentamente che si infastidì da solo.
Bushido, però, non si lamentò. Lo lasciò fare e procedette per proprio conto all’esplorazione della sua pelle – la morbidezza della pancia, la consistenza un po’ più ruvida dei pettorali e l’attrito evidente dei suoi capezzoli induriti sotto i polpastrelli – mentre Bill continuava a guardarlo negli occhi – oh, non avrebbe rinunciato neanche per un minuto a quello sguardo di fuoco – e a respirargli sul viso.
In quel momento, si sentiva perfetto.
Si sentiva sexy.
Il mal di gola non contava.
Lo sbattimento del viaggio e l’ansia da prestazione prima dei concerti erano nulla.
Il senso di frustrazione, piccolezza e disagio che aveva provato mettendo piede in America, scomparsi.
Era tutto perfetto, tutto meraviglioso. Tutti gli ingranaggi giravano per il verso giusto.
- Meglio chiuderla qua. – disse Bushido, cercando di allontanarsi, ma Bill lo trattenne vicino, stringendo con forza il colletto della sua camicia.
- Non voglio chiuderla qua. – ansimò, allentando la presa e lasciando scivolare lentamente l’indumento lungo le spalle e la schiena dell’uomo, per poi scendere a sbottonare anche i jeans, scoprendo quei pochi ma preziosi centimetri di pelle del ventre non nascosti dai boxer.
Non avrebbe mai detto di potersi sentire tanto attratto da un corpo maschile. Forse dipendeva dal senso di potenza che si sprigionava inarrestabile dalle spalle larghe e dalle braccia possenti di Bushido. Forse, semplicemente, le proporzioni e la consistenza e la sensazione al tatto dei suoi muscoli tesi e nervosi erano tanto piacevoli da non lasciare più spazio per pensare razionalmente al fatto lui fosse un uomo e non fosse perciò normale essere attratto da una cosa simile.
D’altronde, s’era sempre ritenuto un esteta.
Ed il corpo di Bushido era bellissimo.
Irresistibilmente attratto dalla sua pelle scura – e da quel profumo ossessivo che sembrava avere effetti magnetici su di lui – si chinò sul suo petto. Nessuna idea in mente, nessun piano su cosa fare una volta che fosse arrivato a sfiorarlo con le labbra, ma il punto era proprio quello: sfiorarlo; cogliere il suo sapore, anche solo per un attimo. Il resto l’avrebbe deciso poi.
Bushido, però, lo trattenne per le spalle e si allontanò di qualche centimetro, impedendogli di raggiungere il suo scopo.
- Lo ripeto, è meglio chiuderla qua. – disse cupamente, - Il giochino sta andando troppo oltre. Basta, d’accordo?
- Ma cazzo… - si lamentò lui, cercando di forzare la sua presa, - Io lo voglio! Ed a quanto mi sembra di capire… - aggiunse con un ghigno, strofinando ancora una volta il ginocchio contro il suo inguine, - anche a te l’idea piace…
- Fammi il piacere. – sbottò Bushido, lasciandolo andare ed allontanandosi nervosamente di qualche passo, - Tirerebbe a chiunque, in una situazione simile. Non prendiamoci per il culo.
- Peccato. – continuò a stuzzicarlo lui, ansioso di non perdere l’occasione, - Mi sembrava un ottimo programma per la serata. Come ti ho già detto, io lo volevo.
- Ma per favore! – ringhiò Bushido, incredulo, - Vuoi per favore piantarla con questa commedia del ragazzino infoiato?
- Non so se si è capito, ma sono veramente eccitato, stronzo che non sei altro! – strillò lui a propria volta, piantando con più forza le mani sul tavolo, - Se ti dico che lo voglio è perché lo voglio e basta, Cristo!
- Cortesemente! – continuò a rimproverarlo Bushido, tornandogli vicino ed afferrandolo per una spalla, per poi sbatterlo disteso sulla superficie ghiacciata di marmo, - Cosa cazzo vorresti, tu?
In un impeto di coraggio del quale non avrebbe saputo neanche spiegare l’origine, Bill spalancò le gambe e si strusciò contro di lui.
E quello, Dio, gli fece perdere la testa.
Bushido grugnì un lamento frustrato e gli si piegò addosso, mordendogli il collo come una bestia affamata e spingendosi così profondamente contro di lui che Bill non riuscì a trattenere un gemito di puro piacere, e piegò il capo per offrirsi più apertamente.
- Voglio te. – sussurrò eccitato, afferrando una mano dell’uomo e portandola alla propria eccitazione, ancora fastidiosamente prigioniera dei jeans.
Bushido rilasciò un sospiro esasperato e si rimise dritto, scuotendo il capo come a volersi liberare dai cattivi pensieri. Poi gli sbottonò i jeans e li tirò giù assieme ai boxer in un movimento fulmineo e quasi doloroso.
Bill lo guardò inarcando le sopracciglia, incerto sulle sue intenzioni.
Lui rimase qualche secondo interdetto a fissare la sua erezione. Era evidente non sapesse che farsene – ed era anche giusto.
E poi fece esattamente l’ultima cosa che Bill si sarebbe mai aspettato, come a voler dimostrare che se è vero che certi stereotipi sulla cultura rap sono smaccatamente veri, ce ne sono altri che sono invece, be’, più flessibili.
Si chinò, serrò gli occhi e lo prese in bocca.
Tutto.
Bill si sentì mancare il fiato. Ansimò alla ricerca d’aria, non ne trovò e si aggrappò con forza alle spalle dell’uomo – ancora chino su di lui – come se potesse aiutarlo a riprendere a respirare. Bushido, però, non fece niente del genere: cominciò a muoversi avanti e indietro lentamente ma inesorabilmente, senza interrompersi neanche per un secondo. Per lui sembrava normale stare lì e non prendersi neanche un attimo per respirare. Bill non stava succhiando un cazzo, ma non riusciva a farlo lo stesso.
Dio. Ecco a cosa serve cantare ininterrottamente per quaranta o cinquanta secondi.
Stravolto, rovesciò il capo all’indietro e prese ad ansimare furiosamente, mentre Bushido lo stringeva con sicurezza per i fianchi e gli impediva di muoversi, dettando il ritmo e la potenza delle spinte, ora più lentamente, ora più velocemente, finché Bill non si sentì praticamente esplodere, cercò di trattenersi, peggiorò solo le cose ed, infine, venne.
Bushido si scostò subito, infastidito, e sputò per terra i residui del suo orgasmo.
Bill si coprì il volto e rimase steso sul tavolo, incapace perfino di pensare, figurarsi di muoversi.
- Cazzo… - mormorò l’uomo, passandosi una mano sulle labbra.
Il ragazzo lo sentì distrattamente allontanarsi spedito da lui, verso qualcosa che riconobbe essere la stanza da letto solo quando sollevò lo sguardo e vide che, in effetti, la porta precedentemente chiusa non lo era più, e dall’interno della stanza proveniva una luce.
Con estrema fatica, raccolse i pochi brandelli di lucidità sopravvissuti ai dieci minuti precedenti, e si rimise in piedi.
*
In camera da letto, la luce bassa e giallastra dell’abat-jour si rifletteva sulla pelle scura dell’uomo, dandole un colore sensuale ed illuminandola un po’ come il sole del tramonto. Era una visione talmente sexy che, per un secondo, Bill non si sentì in grado di attraversare la soglia e dovette fermarsi a riprendere fiato.
Bushido stava pigramente disteso sul proprio letto, i jeans ancora sbottonati ed una mano sulla fronte. Il petto si sollevava e si riabbassava al ritmo del suo respiro, in un movimento ipnotico dal quale Bill aveva difficoltà a separarsi. Era rassicurante, a proprio modo. Pensare che fino a qualche secondo prima quel petto si alzava e si abbassava a diretto contatto con la sua pelle era…
…no, era ancora troppo. Scosse il capo e si costrinse a superare quel momento di stallo, dirigendosi a passo incerto verso il letto e sedendosi su una sponda, sfiorando appena le gambe dell’uomo coi fianchi.
Bushido sollevò lievemente il braccio e lo investì con un’occhiata infastidita e pungente, senza però commentare in alcun modo la sua presenza.
Bill deglutì e si strinse nelle spalle.
- Mi hai-
- Ti ho succhiato il cazzo.
Cristo.
- Perché l’hai-
- Perché ti tirava, ed è stato a causa mia. Non potevo lasciarti in quel modo.
- Avresti potuto-
- No, non avrei potuto.
Arricciò le labbra, offeso.
- Potresti farmi finire, una volta o l’altra?
Bushido scrollò le spalle.
- Perché mai? Tanto sono sempre gli stessi discorsi, volta dopo volta.
- …non credevo avessi esperienza con gli uomini.
Bushido lo guardò ancora, inarcando le sopracciglia e sollevandosi sul materasso, puntando i gomiti nella gommapiuma. I suoi addominali si contrassero brevemente e poi tornarono a rilassarsi, e la differenza fu minima al punto che Bill temette di averla sognata.
- Maschi, femmine… - disse l’uomo a bassa voce, - Non c’è veramente differenza. È superficiale pensare possano essercene.
- Secondo me è superficiale il contrario. – protestò Bill, aggrottando le sopracciglia, - Maschi e femmine sono differenti. Non puoi equipararli in nome di un’uguaglianza ipocrita.
Bushido ghignò, vagamente divertito.
- E la differenza che vuoi sottolineare, nello specifico, quale sarebbe?
Bill trovò il coraggio di sporgersi in avanti. In qualche modo.
Il cuore gli batteva nel petto con tanta forza che probabilmente era stato proprio lui a trascinarlo.
- I maschi… - ansimò faticosamente, - sono più orgogliosi delle donne. Non accettano regali, se ricevono un favore lo ricambiano.
Bushido rise di gusto. La sua gola vibrò ed il suo petto si scosse e Bill si sentì di nuovo come stesse per soffocare.
- E questo sarebbe un ragionamento da maschio? Cioè secondo te ogni uomo ricambia il favore ad ogni donna dalla quale si fa fare un pompino? Cielo, sei veramente molto più piccolo di quanto pensassi!
Bill abbassò lo sguardo, arrossendo come una liceale. Non avrebbe neanche saputo quantificare quanto si sentisse inetto e imbarazzato e fuori luogo, in quel momento. Nonostante ciò che aveva appena fatto, Bushido sembrava così a proprio agio, disteso per metà sul materasso, la pelle lucida sotto la luce artificiale e quel ghigno stronzo sulle labbra, oh, così dannatamente sexy, che per un secondo si chiese lui cosa diamine ci stesse a fare in quel posto.
Strinse brevemente le dita attorno al lenzuolo arricciato ai piedi del letto, e poi spostò la mano in avanti, lungo la gamba dell’uomo. La sua carezza, lentissima, strisciò contro il tessuto ruvido dei jeans, riscaldandogli il palmo in maniera quasi dolorosa.
Bushido lo guardò e non mosse un muscolo. Di questo, Bill gli fu immensamente grato.
- Cosa stai facendo con quella mano? – chiese incolore.
Bill non rispose. Si morse un labbro e si congelò sul posto, interrompendo anche la carezza – senza però scostarsi di un centimetro da lui.
- Ragazzino, mi era sembrato di essere stato chiaro, prima. – aggiunse l’uomo, ancora immobile.
- Be’, non lo sei stato. – borbottò Bill incerto, - Cazzo, se è no è no, ma almeno dillo chiaro. Se mi fai un pompino e poi te ne vai in camera da letto, per me non è no.
Bushido sospirò e si scrollò la sua mano di dosso, piegando mollemente una gamba.
- Se dico questo benedetto no, te ne vai? – chiese, inclinando lievemente il capo con aria strafottente.
- …io voglio… - cominciò Bill, ma si rese conto di non riuscire a continuare quando sollevò gli occhi su di lui. Non riusciva a capire la sua espressione. Non riusciva a capire il suo modo di ragionare. Non riusciva a capire cosa stesse sentendo. Non riusciva a capirne nulla, i suoi occhi erano specchi torbidi e non riflettevano proprio un bel niente. – Voglio-
- Non ho ancora capito se t’interessa una scopata random o una scopata con me, davvero. Sei un ragazzino misterioso.
- Non sono un ragazzino.
- Lo sei. Sei piccolo, stupido e infoiato. Come tutti i ragazzini. – sospirò ancora, regalandogli un mezzo sorriso superiore. – Avvicinati.
L’invito arrivò così improvviso che Bill non lo capì. O meglio: percepì la successione delle lettere, quel komm hier che aveva ormai indissolubilmente legato all’erotismo – dannata canzone sessualmente esplicita – ma non riuscì a rendersi conto delle conseguenze di quella richiesta.
Bushido voleva si avvicinasse.
Bushido stava sorridendo come volesse prenderlo in giro.
E lui l’avrebbe lasciato fare, oh, sì, prendimi pure in giro purché tu mi prenda in qualche modo.
Strisciò sulle lenzuola tiepide, avvicinandosi impaurito. Non aveva neanche problemi ad ammetterlo con se stesso: si sentiva azzerato. Nella possibilità di pensare, di agire autonomamente, di realizzare qualsiasi cosa, di rifiutare qualsiasi cosa.
In balia del respiro che gonfiava il petto di Bushido.
- È divertente vederti così incerto proprio al dunque. – commentò divertito lui, - Non sembri più neanche lo stesso ragazzino coraggioso di qualche minuto fa.
- Non sono incerto.
Non sono neanche mai stato un ragazzino coraggioso, però.
Accorciò le distanze fino a lasciare solo un centimetro di spazio fra le loro bocche. Sperò che quel centimetro bastasse al proprio respiro per continuare ad uscire naturalmente, ma non successe. Il problema sembrava alla base – nei polmoni. Immobili. Congelati. Come lui.
Bushido sorrise, sollevando una mano e prendendogli il mento fra le dita. Lo girò da un lato e dall’altro, lentamente, di pochi centimetri, come volesse controllare la qualità della sua pelle o della linea della sua mascella. Come stesse per comprarlo.
Dio. Si sentiva così umiliato. Dannazione.
Socchiuse gli occhi. Bushido rise a pochi millimetri dalle sue labbra. E poi i millimetri sparirono tutti.
Baciarlo era stranissimo. Aveva le labbra morbide.
Non l’aveva ancora baciato, da quando s’erano incontrati. Era un po’ assurdo, soprattutto a pensare che le sue labbra avevano già- Dio, perché penso una cosa del genere proprio in questo momento, Cristo santo, cosa c’è che non va in me?!
Cercò di ritrarsi – per un motivo che non gli era veramente chiaro – ma Bushido rise ancora e lo trattenne vicino. Gli lasciò scivolare la mano lungo il collo – il palmo bene aperto perfettamente aderente alla sua pelle accaldata – e lungo la spalla, e poi giù fino a cingerlo saldamente per i fianchi.
- Aspetta… - mormorò Bill, ma Bushido scosse il capo e lo strattonò senza particolari riguardi sul materasso, rovesciando le loro posizioni fino a sovrastarlo.
Il viso affondato nel cuscino, Bill sbottò uno sbuffo di fiato un po’ impaurito, un po’ sorpreso ed un po’ qualcos’altro che non si sentiva tanto pronto ad ammettere.
Dietro di lui – riuscì a coglierlo solo con la coda dell’occhio – Bushido lo guardava dall’alto, incomprensibilmente serio. Sentì le sue mani liberargli i fianchi, e poi una di esse posarsi sulla nuca e scendere lentamente lungo il disegno della sua spina dorsale, fino alla base.
Avrebbe dovuto rimettere la maglietta, prima di entrare in camera.
Eppure, in qualche modo, era piacevole. Quella carezza era perfino… rilassante. Stringendo le dita attorno al lenzuolo, sentendolo arricciarsi e staccarsi dagli angoli con uno scatto secco, Bill cercò di immaginare una realtà perfetta in cui esisteva solo quella carezza.
Bushido scivolò con le mani sotto il suo inguine, lo afferrò saldamente alla vita e lo costrinse a piegarsi.
- Oddio! – si ritrovò a strillare sorpreso, aggrappandosi al cuscino come stesse cercando di salvarsi da un uragano.
Bushido rise di gusto, piegandosi su di lui e sfiorandogli il collo con la lingua.
- Non ti spaventare. È che se non sporgi un po’ il sedere sarà difficile andare da qualche parte, stasera.
Bill arrossì come un deficiente e si nascose ancor più in profondità nella piuma d’oca. Alla fine di quella serata, probabilmente, sarebbe stata la cosa che avrebbe ricordato meglio.
Quella, e la pressione dell’erezione di Bushido ancora serrata dentro i pantaloni, proprio contro alle sue natiche.
- E questo come lo sai? – chiese, mimando un ghigno superiore e rendendosi conto già da sé di quanto apparisse ridicolo, nella situazione contingente.
Bushido, infatti, per l’ennesima volta, rise di lui.
- Se t’interessa tanto, sono stato in prigione.
Diosanto. Ed io sono qui nel tuo letto.
- Paura?
- No. – si affrettò a rispondere, - Figurati.
Bushido rise ancora, mordendogli un lobo e tirandolo lievemente verso di sé.
- È stato solo per poco, comunque. Ma si imparano tante cose.
- Non sono sicuro di volere sapere quali…
- Be’, sono quelle che mi permetteranno di farti meno male possibile, stanotte. – sibilò lui, improvvisamente incattivito, - Perciò zitto e mosca. E mostra un po’ di gratitudine.
Bill deglutì e si morse un labbro, nascondendo il viso fra le mani.
- Hai imparato ad essere gentile…? – chiese quasi implorante, in un mezzo singhiozzo stremato.
- E da chi avrei dovuto imparare? – rise Bushido, slacciandogli lentamente i pantaloni, - Lì nessuno lo è mai. Allarga le gambe. – Bill ubbidì. – Ecco, bravissimo. – commentò l’uomo, regalandogli una carezza in premio sul fianco mentre gli lasciava scivolare i jeans lungo le cosce.
Bushido si separò da lui per un solo secondo, liberandolo dall’ingombro dei pantaloni, e poi tornò a schiacciarglisi addosso, piegandosi sulla curva della sua schiena fino a sfiorargli un orecchio con le labbra.
- Farai tutto ciò che ti dirò…? – bisbigliò, la voce roca e carezzevole.
Avrebbe dovuto scappare il più lontano possibile senza nemmeno guardarsi indietro. E chiamare la polizia!
Annuì.
Bushido sorrise.
- Bravo. – si complimentò, slacciandosi la cintura. Bill la sentì tintinnare per qualche secondo, e la rivide dopo poco sul pavimento.
La cosa successiva che sentì, fu l’erezione bollente di Bushido contro una natica. Il calore. La durezza. Si sentì soffocare e gli venne da piangere nel realizzare quanto fosse a propria volta eccitato.
Doveva decisamente esserci qualcosa di sbagliato in lui.
Bushido sospirò, prendendosi un attimo per riflettere, come non sapesse cosa farsene del suo corpo tremante fra le braccia.
Oh, Bill avrebbe saputo cosa suggerirgli.
Aveva solo bisogno di essere toccato.
- Bushi-
- Shush. – lo zittì lui, rude, - Fammi pensare.
- Ma Cristo. – singhiozzò Bill, al limite della sopportazione, cominciando ad agitarsi, - A cosa cazzo devi pensare?!
- Ad un modo per non spaccarti in due, deficiente che non sei altro. – lo rimproverò Bushido con uno schiaffo neanche troppo discreto sul sedere, - Cazzo. Ecco perché non vado mai con gli uomini. Senti come sei asciutto! – si lamentò, facendogli passare due dita fra le natiche, stuzzicando rudemente la sua apertura e costringendolo a mordersi una guancia per non lanciare un urletto facilmente equivocabile, - Come faccio a farlo passare qua dentro?
- A-Adesso… - ansimò sconvolto, cercando di riacquistare la funzionalità delle gambe per impedir loro di tremare, - cerca di non vantarti troppo. Cosa sarà mai? – sbottò con presunzione, cercando curiosamente di coglierne almeno un’occhiata.
Bushido rise di un divertimento talmente sfacciato che Bill non poté fare a meno di arrossire ancora.
- Se vuoi, voltati e guarda. – lo invitò con disinvoltura, - Ma poi non dire che non ti avevo avvertito.
Bill aggrottò le sopracciglia e raddrizzò la schiena per potersi voltare più facilmente.
- …Dio. – mormorò alla fine, incapace di staccargli gli occhi di dosso, - Lasciamo perdere? Non sono convinto che possa-
- Entrerà, cretino. – rise ancora Bushido, afferrandolo per il collo senza fargli male e riportandolo a piegarsi sul cuscino, - Non è così grosso. Basta che non cominci a spaventarti.
- Oddio, non posso credere di-
- Piantala di fare il moccioso. – lo rimproverò ancora lui, più duramente, - Se sono sopravvissuto io, sopravvivrai anche tu. E non farmi dire una parola di più sull’argomento.
Bill socchiuse gli occhi e trattenne il fiato. Lo rilasciò solo quando fu certo di poter riprendere a respirare senza tossire.
- Okay… - sussurrò dispiaciuto, - Scusa, non volevo.
Bushido sorrise e lo strinse dolcemente alla vita, accarezzandogli la pancia e scendendo giù a stuzzicare distrattamente la sua erezione.
- Lo so. – lo rassicurò, - Cerca solo di rilassarti. Andrà tutto bene. Proverò a fare in modo che ti piaccia. – disse, afferrando il suo pene alla base e cominciando ad accarezzarlo lentamente.
Bill mugugnò qualcosa e si spinse contro di lui, sistemandosi proprio contro la sua eccitazione più per fortuna che per reale intuito.
Fu un’ottima mossa.
Quel calore e quella consistenza stuzzicavano i suoi sensi fino a confonderlo. Si sentiva immensamente stupido, immensamente spaventato e, ciò che contava di più, immensamente libero.
Si sentiva bene.
Bushido si piegò su di lui ed aderì perfettamente contro la sua schiena. La sua pelle, liscia ed asciutta, provocò un attrito piacevolissimo contro quella già lievemente imperlata di sudore di Bill, che rabbrividì e si morse un labbro e, nello stesso momento, realizzò che probabilmente era arrivato il momento. Che quell’inaspettata – e mai tanto desiderata – vicinanza forse voleva dire proprio quello. Che c’erano.
Serrò le palpebre spingendosi contro il cuscino con un’ansia quasi dolorosa, ma Bushido non fece niente per molto tempo. Bill sentì il rumore di un cassetto che si apriva, di una mano che rovistava all’interno e poi vari suoni di pacchetti di carta e plastica che venivano scostati prelevati aperti e nel mentre le dannate dita di quell’uomo stavano strette attorno al suo cazzo e non si fermavano neanche per sbaglio.
- Okay, piccolo, ci siamo. – annunciò alla fine Bushido, fermando la mano per indossare il preservativo. – Mi dispiace di non avere niente con cui aiutare, ma di solito con le donne non mi serve.
Bill ansimò una risatina divertita.
- Si bagnano tutte appena ti vedono…?
Bushido rise con lui, dandogli un buffetto su una guancia.
- Ovvio. Ma in genere sono semplicemente delle troie.
- Un punto anche a te per l’onestà! – rise ancora Bill, scuotendo il capo, - Adesso siamo pari.
Bushido sbuffò e gli baciò la nuca, scostando lateralmente i lunghi capelli umidi di sudore e soffermandosi divertito a giocare con la lingua sul suo tatuaggio.
- Senti, farà male. – lo avvertì, vagamente apprensivo, - Non c’è proprio niente che ti obblighi a farlo, perciò se vuoi-
- Cristo! – ringhiò Bill, spingendosi contro di lui, - Non ti sembra un po’ tardi per discorsi simili? Piantala con le cazzate ed usa un po’ di saliva! Lo insegnano tutti i porno!
Bushido rise sonoramente, premiandolo con qualche carezza extra fra le cosce.
- Ma guardati. Che peccato che queste ammissioni tu le faccia solo in privato!
- Potresti evitare di prendermi per il culo? Mi ammazzi la voglia. – protestò lui, offeso.
Bushido rise ancora e Bill pensò che non capiva più se quell’uomo continuava a tenerlo lì – il culo per aria e completamente nudo – per scoparselo o per ridere di lui. In ogni caso, la cosa cominciava a farsi frustrante.
- Infelice scelta di parole, Bill. – disse l’uomo, premendosi contro di lui e stuzzicando la sua apertura con la propria erezione. Bill mugugnò, combattuto fra il desiderio di ritrarsi e quello di avvicinarsi ancora. Alla fine mandò a quel paese il buonsenso e si spinse verso il suo corpo. Bushido indietreggiò subito, - Ehi, ehi, aspetta! – ridacchiò, - Capisco l’impazienza, ma non vuoi veramente farlo in questo modo. Fidati.
- Sai che c’è?! – strillò Bill, a un passo dal dare fuori di matto, - C’è che mi sto rompendo i coglioni! – si lamentò, mentre Bushido mugugnava un “mh-hm” e si leccava una mano, - Non ne posso più di tutte queste prese in giro! Non sono un ragazzino e non sono un deficiente, quindi se hai intenzione di scoparmi scopami, altrimenti vai a fanculo e- ah! – le parole gli morirono in gola, strozzate dalla pressione umida del pene dell’uomo che, lentamente, forzava la sua apertura, costringendola ad aprirsi al proprio passaggio.
Annaspando alla ricerca d’aria, scosso dall’interno da un dolore che non ricordava di aver mai provato tanto intensamente, allungò una mano e strinse con forza la testiera del letto, afferrando con la mano libera il cuscino e cercando di sottrarsi ad una spinta che improvvisamente sembrava molto meno desiderabile rispetto a qualche secondo prima.
- Aspetta, aspetta, Bill… - mormorò Bushido, chinandosi su di lui ed accarezzandogli il collo con le labbra ed i capelli con una mano, mentre con l’altra lo teneva fermo per i fianchi, - Se adesso cominci a fare così, è la fine…
- Non- - ansimò sconnessamente, - Non ti muovere… - lo implorò, strizzando gli occhi, - Aspetta un attimo…
- Sì, sto fermo. – annuì Bushido, strofinando teneramente una guancia contro la sua e pungendolo con la barba in un movimento che, stranamente, non risultò affatto fastidioso. – Vai piano. Rilassati.
Bill rilasciò un singhiozzo strozzato e piegò il capo lungo la spalla, cercando di riprendere a respirare normalmente. Rilassarsi, diceva lui. Come fosse possibile, con un affare di quelle dimensioni piantato su per il culo! Avrebbe tanto voluto dirglielo, dirgli di stare zitto e sparare meno cazzate, ma faceva ancora troppo male, era ancora troppo strano e, soprattutto, la sensazione della sua voce carezzevole contro la pelle era ancora troppo consolatoria, e lui ne aveva ancora troppo bisogno per privarsene.
- Che devo fare, Bushido…? – piagnucolò indecentemente, passandosi una mano sugli occhi.
- Prima di tutto, non chiamarmi per nome e non parlare con quel tono, altrimenti impazzisco. – sussurrò lui contro il suo collo, - Già non è facile mantenere il controllo, non mettermi ulteriormente alla prova.
Bill ridacchiò – e come riuscì a trovare abbastanza fiato per farlo fu effettivamente un mistero.
- Penso di poterlo prendere come un complimento.
- Be’, lo era. – annuì Bushido, - Ora… - sospirò, - Fosse per me ti direi di rimanere così teso, cazzo, sei così stretto che… - si interruppe e scosse il capo. – Siccome però sono un uomo buono, ti consiglio di cercare di rilassare i muscoli.
- Senti, non è veramente possibile!
- Sì che lo è. – sorrise l’uomo, tornando ad accarezzarlo lentamente fra le gambe, - Cerca di seguire la sensazione più piacevole, non quella più dolorosa. Chiudi gli occhi, se vuoi. Tanto, l’importante è che lo spettacolo più bello me lo goda io.
- …piantala… - ansimò Bill, arrossendo furiosamente, - Stai diventando melenso…
- Sto cercando di metterti a tuo agio! – rise ancora Bushido, - E poi sto aspettando che tu mi dica che posso ricominciare a muovermi. Tra l’altro: fallo presto.
Bill biascicò una protesta imbarazzata e tornò a nascondersi contro il cuscino.
- Basta che continui con quella mano… - sospirò deliziato, mentre Bushido continuava a masturbarlo, - Muoviti… - concluse con un mugolio d’approvazione, abbracciando il cucino per accomodarsi meglio.
Bushido deglutì – la sua gola era talmente vicina alla sua schiena che poté sentire il pomo d’Adamo scivolare contro una vertebra, prima verso il basso, poi verso l’alto – e si spinse lievemente contro di lui, rilasciando un sospiro di piacere a diretto contatto contro la sua pelle. Il suo fiato era caldissimo ed umido. Bill si sentì rabbrividire fin dentro al petto, e strinse con maggior forza il cuscino, mordendosi le labbra.
Bushido riprese a muoversi con meno delicatezza, rispetto a prima, e Bill dovette rivedere in toto tutto ciò che pensava di aver acquisito come esperienza con i film porno. Non era vero, non diventava piacevole dopo un po’, non smetteva di fare male e se la mano di Bushido si fosse fermata lui non avrebbe avuto più nemmeno un motivo valido per restare lì a sottomettersi a quella tortura.
Ma la mano c’era.
E non si fermava.
Non si fermò durante le spinte, non si fermò mentre aumentavano d’intensità e velocità, non si fermò mentre Bushido si abbatteva contro di lui e gli stuzzicava un lobo coi denti, non si fermò nemmeno quando Bill sentì l’erezione dell’uomo contrarsi e poi rilassarsi in un’unica volta, rilasciando un orgasmo che si infranse come un’onda anche dentro di lui, e che poi provò in prima persona quando la mano si strinse e lo accarezzò più velocemente, dalla base alla punta, una, due, tre spinte secche, fino a che non venne.
Si lasciò andare contro il materasso con un verso gutturale al quale Bushido rispose con una mezza risata interrotta ogni tanto da ansiti sconnessi e pure palesemente soddisfatti. Rimase nascosto contro il cuscino – preda di un imbarazzo che giudicò piuttosto normale, vista la situazione – finché Bushido, dopo essersi lasciato ricadere al suo fianco, non allungò una mano a scostargli i capelli dal viso.
- Allora? – chiese l’uomo, anche lui vagamente imbarazzato, - Com’è stata, come prima volta?
- …che razza di domanda!!! – strillò Bill, afferrando il cuscino e schiacciandoselo contro il viso, - Sei un porco! Vuoi sentirti dire “oh, Bushido, sei stato uno stallone!” o che?!
- Ma lo dicevo per te! – rise Bushido, così divertito che fu costretto a piegarsi su se stesso e stringersi la pancia fra le braccia.
Bill borbottò qualcosa di incomprensibile e tirò giù solo un angolo del cuscino, spiando Bushido – ormai di nuovo placidamente disteso sul materasso – oltre il muro di piume e cotone.
Dannazione. Avrebbe dovuto smetterla di trovarlo così attraente.
- È stato traumatico… - rispose alla fine, strascicando penosamente le parole, - Però non lo dimenticherò mai, ecco…
- Oddio. – sospirò Bushido, roteando gli occhi, - Doloroso fino a questo punto?
Bill scosse debolmente il capo.
- Mi è piaciuto… - corresse, abbassando lo sguardo.
Bushido gli lanciò un’occhiata sorpresa.
- Non ti conviene ripeterlo. – lo avvertì alla fine, con un sorriso malizioso.
Bill arrossì ancora e se ne vergognò profondamente. Poi provò a muoversi e realizzò con una chiarezza piuttosto urtante che non ci sarebbe riuscito per un lungo periodo di tempo.
Sollevò nuovamente lo sguardo su Bushido.
- Senti…
- Sì. – rispose lui, senza lasciarlo terminare.
- …non sai neanche cosa volevo chiederti…
Bushido rise, afferrando il lenzuolo ai piedi del letto e portandolo a coprirli entrambi.
- Sì, puoi restare a dormire qui. – precisò, scrollando le spalle.
Bill aggrottò le sopracciglia.
- Anche questa parte del discorso è sempre uguale?
Bushido lo fissò con manifesto divertimento, pizzicandogli una guancia.
- No. – rispose, - Ma a questo punto mi sembra stupido negarlo: mi farebbe piacere se restassi.
Bill si morse un labbro e risistemò il cuscino sotto la testa.
*
Lo risvegliò uno scheiße che avrebbe potuto tranquillamente ricondurre a David quei giorni in cui restava mezz’ore intere a battere contro la porta nel tentativo di svegliarlo, non fosse stato che, purtroppo per lui, l’amnesia del giorno dopo aiutava solo gli ubriachi – e neanche sempre – e quindi lui ricordava piuttosto bene tutto ciò che era successo la sera e la notte precedente.
Bushido compreso.
Aprì gli occhi e l’uomo era lì, impegnato a rovistare in un armadio che sembrava un ritratto dell’Apocalisse per quanto era incasinato, e che gli fece correre brividi di pura paura lungo tutto il corpo.
- Buongiorno… - accennò timidamente, provando a sollevarsi sui gomiti e realizzando con un certo orgoglio di non soffrire di particolari dolori addominali, contrariamente alle proprie aspettative.
Bushido lo guardò per un attimo come fosse stato un incubo diventato realtà. Poi sorrise lievemente e tornò a rovistare sul fondo dell’armadio.
- Stavo per lasciarti le chiavi di casa. – commentò, esaminando da vicino una camicia rossa inaspettatamente normale, - Non ti risvegliavi più.
- Ho sempre un po’ di difficoltà, al mattino… - biascicò imbarazzato, guardando le lenzuola. – A proposito, che ore sono…?
Bushido scrollò le spalle.
- Non ne ho la più pallida idea. – rispose sinceramente, gettando via la camicia rossa e recuperandone una se possibile ancora più normale, grigia.
Proprio in quel momento, come avesse sentito proprio il bisogno di informarlo dell’orario, il suo cellulare prese a squillare insistentemente dal fondo della tasca dei suoi jeans.
I suoi jeans.
Rotolò fuori dal letto e li cercò ovunque, per ritrovarli sotto una poltroncina di cui aveva ignorato l’esistenza per tutta la sera precedente. Rovistò nelle tasche e tirò fuori il cellulare. Ed improvvisamente capì perché il telefono avesse tanta voglia di ricordargli che ore fossero: lo stava chiamando suo fratello.
- Tomi, scusa! – piagnucolò rispondendo, prima ancora di lasciare all’altro il tempo di rimbrottarlo come avrebbe meritato, - Avrei dovuto avvertire!
- Avresti dovuto sì, testa di cazzo patentata che non sei altro! – lo rimproverò lui, bene intenzionato a non fermarsi di fronte alle sue scuse, - Non che io sia contrario a sapere che anche tu sei in grado di goderti la tua cazzo di vita, ma si può sapere dove cazzo sei?! Cazzo!
Troppi cazzi in una sola frase.
Ne aveva già avuto abbastanza per la notte!
- Scusami, mi sono fermato a dormire fuori…
- Questo lo vedo da me, grazie al cazzo! Non ci sei!
- Tomi, ti dispiacerebbe per favore essere meno volgare…?
- Fottiti tu e pure la volgarità! Muovi il culo e torna a casa, abbiamo un aereo fra tre ore e non intendo cercarti per tutta Amburgo, ma se dovrò lo farò, ed in aeroporto ti ci trascinerò per i capelli! – strepitò Tom, furioso, - E questa è una minaccia! – concluse, sbattendogli il telefono in faccia.
Bill sospirò e ripose il cellulare nella tasca dei pantaloni, accucciandosi sulla moquette accanto al letto e massaggiandosi le tempie.
Bushido lasciò finalmente andare la risata che aveva trattenuto per tutta la durata della conversazione e si avvicinò a lui, accucciandosi al suo fianco – in una posizione piuttosto comica, c’era da ammetterlo – e scompigliandogli teneramente i capelli.
- Drammi in vista?
Bill scrollò le spalle.
- Credo fosse solo un po’ preoccupato. E probabilmente ha dormito sul divano per aspettarmi. Dormire sul divano lo indispone. – sospirò, - Anche aspettarmi. – concluse, alzando gli occhi al cielo.
Bushido rise ancora.
- Poteva pure chiamare.
- Nah. Da me pretende che non lo faccia, quando sta via. – ammise con un sorriso.
- Be’, allora vestiti, dai. – sospirò l’uomo, rimettendosi in piedi, - Ti accompagno a casa. E poi devo scappare.
- Usato e gettato via! Mi spezzi il cuore!
Bushido rise e lo tirò su per un braccio.
- Adesso non fare la liceale tradita. – spiegò compitamente, - Ho da fare, stasera ci sono gli Echo e devo andare a riscuotere del favore pubblico.
- Questo spiega perché sei così in tiro… - commentò Bill, adocchiando gli ordinatissimi pantaloni e l’ordinatissima camicia che indossava, - Ti andrebbe di spiegare a mio fratello che si può fare rap ed anche vestire come persone normali, di tanto in tanto?
- E non fare nemmeno il furbo. – borbottò Bushido, tirandogli il mento in un modo che illuse Bill del fatto lui volesse baciarlo, e che per contro lo portò a ritrovarsi deluso e vagamente offeso quando si accorse che niente del genere sarebbe accaduto.
- Be’. – mugugnò cupamente, - Io stasera ho un concerto dall’altro lato dell’Oceano eppure sono qui a perdere tempo. Potresti pure essere gentile.
Bushido rise e recuperò dall’armadio una cravatta che girò attorno al collo e cominciò a maneggiare con poca abilità.
- Sono stato gentilissimo. – gli fece notare, - Ma ora ho altro da fare. Per esempio capire come diavolo si annoda questo cappio.
- Ci sono un sacco di cose che non so di te… per esempio, non sapevo che indossassi cravatte… - disse Bill, recuperando i boxer ed infilandoli saltellando sui piedi per avvicinarsi a lui.
- Infatti non lo faccio! Ed ho perfettamente ragione a non farlo! Ma stasera è importante ed il mio manager mi blatera nelle orecchie da giorni su… - sospirò, - Lasciamo perdere. Mi strozzerò e basta.
- Aspetta… - biascicò Bill, infilandosi fra Bushido e lo specchio, - Faccio io…
- Sai come fare? – chiese lui, spalancando gli occhi.
- Certo che sì! – mentì. In realtà aveva solo voglia di sentire il suo calore addosso, ancora per un po’. Ma insomma, era una persona intelligente, sarebbe pure riuscito a fare un dannato nodo ad una dannata cravatta.
Abbozzò un nodo e rimirò il proprio lavoro.
Be’, la cravatta era un disastro.
Bushido, comunque, stava bene.
Arrossì.
- Non mi pare sia proprio perfetta… - ci tenne a precisare l’uomo, ammazzando quella flebile atmosfera vagamente romantica che era riuscito a fatica a ricreare. – Ma… - continuò sorridendo, stringendolo alla vita e portandoselo vicino per baciarlo e ricostruire con quel bacio qualcosa di ancora migliore, - …va bene così. Al limite, me la faccio aggiustare da qualcuno una volta lì.
Lo lasciò andare ed andò alla ricerca delle scarpe, come nulla fosse stato, uscendo dalla stanza e lasciandolo solo davanti allo specchio, senza forza nelle gambe e con le guance bollenti come brace.
Bill trattenne a stento un grido deficiente.
Poi scosse il capo, si guardò intorno, recuperò i vestiti e chiese gentilmente dove fosse il bagno.
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