Genere: Malinconico/Triste
Rating: PG
- Io la amo, anche lui, ma lei ama un altro. Dio, com'è classico XD
Avvisi: Nessuno.
Commento dell'autrice: >/////////< Oddio >///< Rileggo questa storia e mi sento così in imbarazzo >.< Il fatto è che ho scritto esattamente come facevo, uhm, ai tempi di “Darling” ed affini, quasi dando per scontato la consistenza dei personaggi, che poi però non esiste neanche da lontano XD Ed infatti è una storia assolutamente imperfetta, poco solida, forse anche poco interessante. Però dovevo liberarmene, in qualche modo XD E’ un rimasuglio di un sogno, certi miei pensieri riguardo un mio certo parente, rimembranze di un libro che ho letto di recente e di una canzone che di recente ho ascoltato, e se non avessi scritto tutto questo credo che mi sarebbe rimasto in testa per sempre, confondendomi °_° Per chi fosse interessato (XD), il sogno ed il parente non ve li dico, ma il libro è “Homo Faber” di Max Frisch e la canzone è “Tre madri”, di De André, che c’entra una cippa con la storia in sé, ma è da lì che vengono “le braccia magre, la fronte, il volto” XD che trovate nel mezzo. E poi il titolo >O< E’ stata una dannazione trovarlo! Alla fine ho usato il titolo di una canzone di Andy Bell, “Love oneself”. Perché? Bè, ce l’avevo sotto gli occhi, e mi sembrava si adattasse XD Non ho mai ascoltato la canzone, dunque non mi pronuncio su di lei XD Che altro dire? Boh, spero che vi sia piaciuta XD
PS: Ascoltata la canzone del titolo, posso sinceramente sconsigliarvela è_é!
PPS: XD L’Arianna (:*) mi aveva fatto notare l’amusicalità totale dello stile del racconto. Sì, lo so, è rozzo, “sporco”, e non l’ho rivisto nemmeno una volta. L’ho definito perfino impubblicabile XD Ma sinceramente non me la sento di rimetterci mano ed affinarlo, d’altronde è il frutto di un parto brutale ed immediato XD Beccatevelo così com’è, confuso e grezzo, alla sua prima stesura è_é!
Rating: PG
- Io la amo, anche lui, ma lei ama un altro. Dio, com'è classico XD
Avvisi: Nessuno.
Commento dell'autrice: >/////////< Oddio >///< Rileggo questa storia e mi sento così in imbarazzo >.< Il fatto è che ho scritto esattamente come facevo, uhm, ai tempi di “Darling” ed affini, quasi dando per scontato la consistenza dei personaggi, che poi però non esiste neanche da lontano XD Ed infatti è una storia assolutamente imperfetta, poco solida, forse anche poco interessante. Però dovevo liberarmene, in qualche modo XD E’ un rimasuglio di un sogno, certi miei pensieri riguardo un mio certo parente, rimembranze di un libro che ho letto di recente e di una canzone che di recente ho ascoltato, e se non avessi scritto tutto questo credo che mi sarebbe rimasto in testa per sempre, confondendomi °_° Per chi fosse interessato (XD), il sogno ed il parente non ve li dico, ma il libro è “Homo Faber” di Max Frisch e la canzone è “Tre madri”, di De André, che c’entra una cippa con la storia in sé, ma è da lì che vengono “le braccia magre, la fronte, il volto” XD che trovate nel mezzo. E poi il titolo >O< E’ stata una dannazione trovarlo! Alla fine ho usato il titolo di una canzone di Andy Bell, “Love oneself”. Perché? Bè, ce l’avevo sotto gli occhi, e mi sembrava si adattasse XD Non ho mai ascoltato la canzone, dunque non mi pronuncio su di lei XD Che altro dire? Boh, spero che vi sia piaciuta XD
PS: Ascoltata la canzone del titolo, posso sinceramente sconsigliarvela è_é!
PPS: XD L’Arianna (:*) mi aveva fatto notare l’amusicalità totale dello stile del racconto. Sì, lo so, è rozzo, “sporco”, e non l’ho rivisto nemmeno una volta. L’ho definito perfino impubblicabile XD Ma sinceramente non me la sento di rimetterci mano ed affinarlo, d’altronde è il frutto di un parto brutale ed immediato XD Beccatevelo così com’è, confuso e grezzo, alla sua prima stesura è_é!
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Love Oneself
Io la amo.
Da tanto di quel tempo, ormai, che mi sembra perfino un po’ assurdo, soprattutto se penso che in questi quasi quattro anni d’amore non sono mai stato ricambiato, neanche per un minuto.
Lo ammetto, la avvicinai con intenzioni poco ortodosse, in quel locale di cui non mi ricordo nemmeno il nome. Uscivo da una storia brutta e lunga, e non pensavo minimamente di imbarcarmi in un’altra storia di grossa portata. Volevo svagarmi. Lei era seduta su un divano. Nelle vicinanze c’era molta gente, ma lei era assolutamente sola. Mi ero seduto lì accanto ed avevo fatto una battuta sulle ragazze sole vestite in maniera provocante – lei lo era, entrambe le cose – e s’era subito offesa. Era un po’ permalosa. Anche un po’ brilla.
Davvero, non pensavo potesse durare tanto. Sì, ok, pensavo di volerci uscire, per un po’. Era carina, e giovane. Ma uscirci solo per qualche scopata. Così.
Solo una volta, l’ho avuta. Solo quella sera del locale. Poi mai più. Avrei potuto staccarmene in qualsiasi momento, penso, almeno nel primo anno. Sarebbe bastato accorgersi del pericolo, e poi volerla lasciare. Non mi sono accorto di niente, ho comprato il biglietto e mi sono imbarcato, per quattro anni. Ora la riva è troppo lontana, a nuoto non potrei raggiungerla mai, e qua non ci sono scialuppe di salvataggio.
Affonderò.
Anche lui la ama.
Moltissimo, credo. Inizialmente, la sua presenza mi terrorizzava, letteralmente. Era giovane e carino, anche lui, e biondo, e poi si vestiva bene, ed era spigliato. Era una persona interessante. Anzi, vederli assieme era interessante. Forse perché lei era una persona estremamente negativa e depressa, e lui invece era sempre così ottimista. Ed espansivo, anche. La abbracciava spesso, bè, lo fa ancora. A lei però non piace essere abbracciata. Lo odia, dice, si sente soffocata. Però si lascia abbracciare da tutti, protesta solo verbalmente, non si discosta mai. Questo io lo trovo carino.
È molto giovane, sul serio. Lo sono entrambi. Io ed i miei quarant’anni, Dio…
Però lei mi lascia fare. Mi lascia restare. Va bene.
Usciamo tutti e tre insieme, ogni tanto. Però solo ultimamente. Prima, l’ho già detto?, di lui avevo paura, non volevo vederlo neanche da lontano. Ero sicuro che lei se ne sarebbe innamorata, prima o poi, e non volevo essere presente nel momento in cui l’avrebbe capito o dimostrato.
Mi ero tranquillizzato, poi, quando avevo capito che non c’era pericolo che fuggisse via da me, perché era già lontana abbastanza. Il suo cuore, sperduto in una Milano di cui non sapevo – e non so – niente, apparteneva a quell’altro ragazzo.
Quello, io l’ho visto una volta sola. Deludente, devo dire. Non attraente, né interessante. Timido. Anche io lo sono, ma la sua era una timidezza da sociofobia, quasi. Stava tutto raggomitolato lì, a stringersi nelle spalle distribuendo in giro sorrisi imbarazzati. Venuto per le vacanze, diceva. Quale genitore permette al figlio di passare il Natale lontano da casa? Non sarebbe mai dovuto arrivare qui – ma questa è tutta invidia, tutta gelosia.
E lei? Lei riluceva, guardandolo. Quella misera figura, quell’aria svampita. E lei brillava. Le braccia magre, la fronte ampia, il volto scavato. E lei era tutta un bagliore.
Poi quello era andato via, e lei era tornata quella di sempre. L’altro ragazzo, intendo, l’ottimista biondo, aveva pianto fiumi di lacrime. Io no, ma stavo male lo stesso. Lei era cordiale e gentile, e fredda come il ghiaccio, come al solito.
Me ne sarei dovuto andare allora, avrei potuto. Invece no.
Lei è tranquilla, come sempre. Esce con noi, come sempre.
Io lo so, se qualcuno le comprasse il biglietto, lei partirebbe. È troppo negativa per prendere l’iniziativa, ha bisogno di qualcuno che la getti su Milano così, senza preavviso. Ogni tanto ci penso. Potrei portarla lì con me, e poi picchiare quell’altro, ed una volta tornati qui potrei picchiare il ragazzo biondo e dimostrare al mondo che lei mi appartiene. Non vorrebbe più vedermi, ma io la terrei stretta, in qualche modo. Qualunque modo.
Poi lo capisco, che sono ragionamenti assurdi. Soffrirebbe immensamente, ed io semplicemente non saprei sopportarlo, ed alla prima lacrima la lascerei libera di andare dove vuole, con chi le pare. Sarei più solo di prima.
Vorrei almeno che potesse essere soddisfatta. Che potesse guardare la sua vita e dirsi “sì, così la volevo ed eccola qua”. Però lo so, dovrei sacrificarmi io. La felicità di uno a discapito di quella di un altro, è così che funziona. Andiamo, sono abbastanza adulto da saperlo.
Ho comprato il biglietto. Sì, uno solo.