Fandom: RP: Musica
Personaggi: ,
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico.
Pairing: Fler/Chakuza.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Slash, Fluff.
- "La convivenza, per me e Chakuza, è stata una conquista."
Note: Prima di tutto: questa fic, nata assolutamente dal nulla lasciando parlare a ruota libera Fler come non facevo da un po' (amoti, Bimbo mio bellissimo, l'affinità che ho con te come pg non l'ho più trovata con nessuno <333 *dichiarazioni randomiche e totalmente inutili*), è un regalino per Tab, che oggi compie gli anni <333 Ti vu bi, principessa <3 Secondariamente, sto scrivendo fluff all'impazzata a causa della Fluff!Week @ fiumidiparole, e questa è la seconda entry su prompt Domestic!Fluff, perché il Flerkuza domestico ci piace tantissimo <3 E poi, mmh, nient'altro da segnalare, mi pare. Buona lettura \o/
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Living With Your Boyfriend


La convivenza, per me e Chakuza, è stata una conquista. E questa è la prima cosa che bisogna sapere quando ci si impiccia delle nostre faccende, perché nulla di quello che facciamo o di ciò che ci concediamo può essere veramente compreso se prima non si capisce che la situazione attuale – una situazione in cui io e lui non è che ci si faccia i cazzi nostri per tutto il giorno, poi si torni a casa, si scopi e quindi si ricominci a fare ognuno i cazzi propri, no, una situazione in cui si esce insieme dopo aver fatto colazione ed essersi alternati al lavandino e al cesso in bagno, si trovano venti minuti per incontrarsi ad ora di pranzo e poi si torna a casa insieme così si può passare a far la spesa e cucinare e guardare la tv e poi sì, scopare, ma dormire insieme fino all’indomani mattina, anche – questa situazione, insomma, è il risultato di una serie di guerre che io e Peter abbiamo combattuto contro noi stessi prima, l’uno contro l’altro poi, e assieme contro il resto del mondo alla fine. Che se suona come una cosa complicata, è solo perché lo è.
Quando ho capito che mi piaceva il nano pelato amico di Bushido, prima di venire a patti col fatto che mi piaceva un uomo, sono dovuto venire a patti col fatto che mi piaceva un nano pelato. Un conto è scoprirsi gay, un altro scoprirsi privi di buongusto, se permettete. O, quantomeno, scoprire che, se pure un po’ di buongusto è rimasto dentro di te, non ti è minimamente utile nello scegliere la cosa più importante di tutte, ovvero con chi intendi passare il resto della tua vita. Perciò io, mentre mi angosciavo disperatamente sul fatto di essermi riscoperto gay, ero impegnato anche ad angosciarmi perché l’uomo di cui mi ero invaghito era un rospo dalla voce rauca, dei modi da buzzurro di montagna che la metà bastano e gli occhi più belli che avessi mai visto in vita mia. Che son cose che ti possono turbare nel profondo.
Chakuza, peraltro, non è che stesse poi tanto meglio di me, suppongo. Anche lui, oltre al fatto di dover venire a patti con il proprio orientamento sessuale nuovo di zecca, doveva pure ragionare sui pro e sui contro dell’essersi invaghito di un armadio a due ante largo quanto lui ma alto almeno il doppio. Pro: può recuperarti i barattoli sugli scaffali più alti della dispensa; contro: tutto il resto.
Insomma, quello che intendo dire è che sia per me che per Chakuza non è mica stato facile, né si è trattato di una passeggiata. I primi tempi, quando abbiamo cominciato a capire che qualche ingranaggio si stava invertendo avvicinando cose che avrebbero dovuto stare lontane e confondendo pensieri che avrebbero dovuto rimanere estremamente lucidi, ci siamo terrorizzati a morte. Del tipo che, non essendo per niente pronti ad affrontare ciò che ci attendeva sull’altra sponda, siamo spariti l’uno dall’orbita dell’altro e per circa tre mesi non ci siamo avvistati manco col cannocchiale.
Solo che poi, boh, queste cose succedono, alle volte, no? Tu puoi anche opporti a quella cosa che ti spinge inesorabilmente verso l’altra persona, però arriva un certo momento in cui ti stanchi, ti senti proprio spossato e non ce la fai più, e guardi quella persona dalla distanza che ti sei faticosamente conquistato e ti chiedi “ma perché lo sto facendo?”, e il secondo dopo sei già lì al suo fianco. Per dire, a me e a Chakuza è successo così. Ci siamo allontanati, ce l’abbiamo messa tutta, poi semplicemente ci siamo ritrovati l’uno di fronte all’altro ed abbiamo capito che tutta la forza d’animo che stavamo impiegando e tutta la soddisfazione che forse un giorno avremmo provato – quando, sposati e con figli, avremmo riguardato indietro e ci saremmo ricordati di quella stupida cotta per quel tipo che girava con Bushido vent’anni prima – non sarebbe riuscita a coprire neanche in parte l’emozione trascinante che provavamo quando ci avvicinavamo l’uno all’altro o riuscivamo fortunosamente a sfiorarci. Per cui niente, ci siamo sfiorati. E non fortunosamente, bensì perché lo volevamo. Più e più volte, finché non è diventata la norma.
E non è stato facile neanche che diventasse la norma, beninteso. Io ero di quelli che credevano che, al di là dell’attrazione fisica che, volendo, ci può pure stare, per due uomini non fosse veramente possibile stare insieme. Per tutta una serie di motivi per lo più caratteriali, ma anche di semplice incastro fisionomico  o chimica emotiva. “Ci sono cose che semplicemente non potrebbero funzionare mai”, mi dicevo, e ci credevo. Tipo i weekend di campionato, no? Quando stai con una donna, sai già che in quei giorni là lei s’imbroncerà perché tu non le starai abbastanza dietro, e poi nella peggiore delle ipotesi uscirà con le proprie amiche lasciandoti lì a morire di fame in attesa del suo ritorno, mentre tu del fatto che stai morendo di fame nemmeno te ne accorgi perché sei troppo impegnato a seguire le partite.
Con un maschio, specie se tifa per una squadra diversa dalla tua, sai già che sarà guerra. Lo sarà già in caso di partite normali, per questioni di classifica, qualificazioni e tutto, ma sarà anche peggio in occasione degli scontri diretti – e lì, apriti cielo, spalancati terra, rovesciati mare e tutto il resto.
Ma mica solo quello, poi. Per dire, se la casa è un bordello, piovono calzini e cibi avariati già da mesi camminano liberi sulla moquette del salotto salutandoti mentre si spostano gioviali da una stanza all’altra, puoi stare sicuro che l’altro non alzerà un dito per rassettare così come non l’hai sollevato tu. È matematico. E se c’è qualche riparazione da fare in casa, sai già che sarai disposto perfino a stordirlo con un colpo di chiave inglese in testa pur di zittirlo mentre tu cerchi di far funzionare tutto e lui continua a blaterare che “dovresti proprio lasciar fare a lui, che sa dove mettere le mani e il problema lo risolverebbe in dieci secondi netti”.
Queste cose, tu le sai perché conosci te stesso e sai che è così che ti comporteresti anche tu. Le donne esistono perché, non conoscendole, tu possa cadere nella trappola del “forse siamo diversi, forse magari funziona!”, e poi ti convinci che abbia funzionato proprio per quello, ma la verità è che hai solo imparato a contenerle, come le frane. Mettersi con un uomo è da masochisti, perché già sai a cosa vai incontro, e per di più non puoi contenere il tuo compagno perché sarebbe da ipocrita. In pratica ti autocondanni a una vita di tortura. Deve essere una qualche disagio psicologico medicalmente riconosciuto – ripeto, non volere andare a letto con un maschio, per carità, mavolerci vivere assieme, Diosanto.
Questo per dire che, se fra me e il Chaku ha funzionato, alla fine di tutto, è stato perché noi ci siamo ostinati. Perché abbiamo discusso della faccenda – no, seriamente! – e ci siamo detti vicendevolmente che poteva valere la pena di provarci, anche se i primi tempi sarebbe stato uno schifo, perché oh, quando ti innamori puoi anche star lì per dei secoli a ripeterti che ma va’, non è mica amore, è solo che ci stai bene con quella persona, tutto qui, però poi alla fine succede che tu magari stai cristonando in tre lingue diverse perché hai sbattuto il ginocchio contro uno spigolo e la persona con cui stai ti sorride e ti dice “dai, ci penso io”, e a te nasce spontaneo un sorriso idiota e totalmente ebete sulle labbra e allora lo capisci che non ci stai solo bene e basta, c’è qualcosa di molto diverso e più profondo, in ballo. Poi magari non lo dici ad alta voce, però lo capisci.
Io e il Chaku, fortunatamente, siamo anche due senza peli sulla lingua, in generale, quindi non l’abbiamo solo capito o pensato, no, ce lo siamo pure detto. Un sacco di volte. Il che è stato pure un bene, perché ci sono stati dei momenti in cui niente funzionava, non riuscivamo a vederci, il mondo era in delirio e noi non riuscivamo ad affrontarlo nel modo migliore perché lui magari era a Berlino e io perso in giro per la Germania in tour con Bushido, e in quei momenti, al di là dell’imbarazzo, sentirsi dire “ti amo” al telefono, o svegliarmi dopo una nottata di merda a trovarlo scritto in un sms, mi ha aiutato a ricordarmi per cos’è che stavo combattendo. Questo per dire che la maggior parte delle volte una persona che ti ama non ti serve per sopravvivere, ma di sicuro ti rende la vita più semplice. E poi è bello.
In generale, far funzionare tutto non è stato facile anche perché il resto dell’universo ci ha reso le cose complicate. Non è che possono essere tutti come Bushido, d’altronde, che quando sono andato a dirgli “sono gay” e subito dopo “sto con Chakuza” prima è scoppiato a ridere e poi, tornando serio, ha risposto “e dove sarebbe la novità?”. Purtroppo— cioè, non purtroppo, è così e basta: il mondo dei rapper è un mondo in cui l’unico modo di farti capire dagli altri è insultarli. Ciò implica che se io voglio dire di Tizio che non mi piace il suo modo di intendere il rap, per dire, se io voglio far sapere alla gente che non condivido certi suoi ideali, anche di una certa serietà o importanza, prima di tutto devo dargli del frocio. Così mi assicuro l’attenzione di tutte le orecchie disponibili, e solo dopo posso partire a ruota libera ad esporre le mie idee. Per farla breve, è un po’ la replica ripulita del ghetto, dove per far capire alla gente che anche tu hai diritto di parola tendenzialmente devi tirare fuori il serramanico. Quando cominci ad andare in televisione anche in fascia protetta, naturalmente, il serramanico devi buttarlo nel primo sacchetto dell’immondizia e sperare che nessuno lo trovi mai o possa ricondurlo a te, ma puoi usare le offese e le parolacce, e quindi è così che si fa.
Quello che intendo dire è che, in un mondo in cui “frocio” è l’insulto per eccellenza, esserlo davvero è un po’ come essere quell’insulto stesso. I mesi che hanno seguito il nostro coming out – non che abbiamo organizzato una conferenza stampa o che, naturalmente, che diamine, ma è venuto fuori, dopo un po’, che lo volessimo o meno, prima come sospetto e poi come qualcosa di molto più concreto, foto, articoli e via così – insomma, quel periodo lì è stato tremendo. Non solo siamo stati ricoperti di diss, ma ci siamo ritrovati per caso pure in diss rivolti ad altri in cui rapper che prima di quel momento non contavano un cazzo non vedevano l’ora di poter mettere i nostri nomi in una canzone random per avere più visibilità. Ed abbiamo dovuto ingoiare tanta di quella merda che mi meraviglio di come sia stato possibile non morirci sepolti sotto, o venirne fuori insieme nonostante tutto. Specialmente quando l’aiuto più concreto che avevamo era quello di Bushido che, più che dirci “eh, ma dico io, cosa vi aspettavate?” e farci circondare per ventiquattro ore al giorno dalle sue guardie del corpo, oggettivamente, non è che potesse fare.
Quello che voglio dire, con tutto questo, è che io sono molto grato. Intendo, di avere Chakuza. Di potermi svegliare ogni giorno e trovarlo al mio fianco, di avere la certezza che sarà lì anche alla sera, di sapere al di là di ogni ragionevole dubbio che starà lì sia che io abbia bisogno di lui sia che invece non mi serva, solo perché è  che vuole stare. È una fortuna che molti hanno e di cui non si rendono conto perché il più delle volte non hanno davvero dovuto combattere per conquistarsela. Io sì, però, quindi so cosa significa. So quanto abbiamo dovuto sacrificare per ottenere i pranzi domenicali insieme, per guardare la Formula 1 in tv senza sentire il bisogno fisico di ammazzarci a vicenda coi coltelli per la carne. So cosa vuol dire per noi avere entrambi le chiavi di casa, so cosa vuol dire considerare quest’appartamento nostro, so cosa significa rifiutare gli inviti ad uscire il sabato sera perché vogliamo stare soli. So cosa vuol dire litigare per una cosa che non va e so quant’è bello trovare l’accordo per riuscire a farla andare di nuovo. So come e perché adesso abbiamo tutto questo, e so che non potrei rinunciare ad averlo per niente al mondo.
Ogni tanto, Chakuza non lo capisce per quale motivo, tornando a casa dopo una lunga giornata di lavoro, lo bacio e lo ringrazio. Io, però, lo so. E sono certo che, anche se magari sul momento non lo afferra, in realtà lo sa anche lui. E per dire la verità sono molto grato anche di questo.
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