Genere: Introspettivo.
Pairing: Davide/Mario.
Rating: PG13
AVVERTIMENTI: Angst, Fluff, Slash.
- Davide ha un problema. Solo che non è quello che tutti credono.
Note: Scritta per una concomitanza di fattori vari ed eventuali XD In realtà accarezzavo l’idea da tempo – più o meno da quando José ha ritenuto opportuno farci sapere che lui e Davide avevano “parlato di qualcosa” e che Davide era stato “molto sincero con lui” e robaccia varia – ma non avevo ancora trovato modo di buttarla giù come volevo XD Alla fine, mi ha aiutata la mancata convocazione di Davide per Livorno-Inter, e ovviamente la spinta insostituibile dell’iniziativa estemporanea di Criticoni dedicata alle sbornie.
Ps: Il titolo viene dall’omonima canzone dei Mumford & Sons.
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Little Lion Man
31. Slash/Yaoi


José si sporge ad annusarlo come fosse un cane antidroga o qualcosa di ancora più spaventoso, e Davide – perché si sente in colpa, perché sa di essere nel torto, perché ha paura di ciò che avverrà nei prossimi minuti – si fa minuscolo sulla seggiolina nell’ufficio del mister, stringendosi nelle spalle e cercando di trattenere il respiro quanto più possibile, di modo che lui non possa sentire l’odore del suo fiato.
- Hai bevuto. – sentenzia José, guardandolo inespressivo, - E credo che tu non abbia nemmeno dormito. Sei ancora sbronzo?
- No… - scuote il capo Davide, dapprima energicamente, poi sempre più debolmente, man mano che va rendendosi conto di quanto la testa faccia male ad ogni minimo movimento, - Ieri c’era il compleanno di mio zio, a casa, ho solo bevuto un po’ di vino… - biascica, recitando la bugia che ha preparato nelle ultime tre ore cercando di non mostrare alcuna incertezza.
José si allontana da lui senza guardarlo, e si appoggia alla propria scrivania, incrociando le braccia sul petto. Solo allora gli solleva gli occhi addosso, scrutandolo con un misto di severità ed apprensione.
- Quando sei arrivato tardi in allenamento e hai cercato di darmi a bere che fosse perché tuo nonno si era sentito male, - chiede pacato, - quanto ci ho messo a capire che mentivi?
Davide abbassa lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore e scacciando con quel dolore quello meno forte ma più persistente che gli pulsa nelle tempie.
- Non ho nemmeno avuto tempo di finire la frase. – ricorda mestamente, torcendosi le mani in grembo.
- E quando mi hai detto che non ti sentivi bene in squadra perché non ti facevo giocare, quanto ci ho messo a capire che era ben altro ciò che mi stavi nascondendo? – chiede ancora, il tono più mite e dolce di quanto non fosse prima.
- …le è bastato guardarmi negli occhi, mister. – deglutisce Davide, cercando di sopprimere il mezzo singhiozzo che, premendo con forza dal petto verso l’alto, minaccia di esplodergli in gola. – Mister, io-
- La verità, bambino. – si raccomanda José, chinandosi fino a guardarlo dritto negli occhi, - Non voglio sentire altro.
Davide socchiude gli occhi e poi torna a sollevare lo sguardo in quello di José, reggendolo solo con difficoltà.
- Non gli ho ancora detto niente. – confessa in un sussurro spezzato, gli occhi lucidi e arrossati, - Non ho il coraggio di dirgli niente e non voglio nemmeno dirgli niente. E io così non ci so più stare. Non… - tentenna, passandosi una mano sulla fronte e fra i capelli in disordine, - Non funziono più! Il mio corpo non reagisce più come dovrebbe e la mia mente non è salda. Sto facendo un casino dietro l’altro, non sto bene e non voglio risolvere la situazione perché non trovo il coraggio per farlo.
- E quindi vorresti cosa, esattamente? – indaga José, inarcando un sopracciglio, - Che ti rispedissi in Primavera con la scusa del tuo rendimento recente?
- Non servirebbe. – scuote il capo Davide, tornando ad abbassare lo sguardo sulle proprie mani, ora inerti e intrecciate sul suo grembo, - Non ci impedirebbe di vederci, di parlare, e soprattutto non mi impedirebbe di vivere con lui.
José si lascia andare ad una mezza risata, annuendo.
- E quindi? – chiede, quasi sfidandolo, - Vuoi qualcosa di più netto? Qualcosa di definitivo, magari? Un prestito a qualche squadretta in qualche angolo d’Italia, o preferisci espatriare? – scuote il capo, tornando a ridere, stavolta più sarcastico che divertito, - Davide, questa squadra si è liberata di una primadonna perché cominciava a non poterne più dei capricci. Vuoi sostituire Zlatan? Non ne hai le capacità, lasciatelo dire.
Davide si copre il viso con entrambe le mani, massaggiando con forza guance e tempie nel tentativo di scacciare almeno un po’ quello strano torpore che sta cominciando a invadergli la testa.
- Io non lo so. – ammette quindi, sospirando così profondamente da dare a José l’impressione di stare per sgonfiarsi del tutto, - Non ne ho idea. Non chiedo niente perché non so cosa chiedere.
José sorride, condiscendente, e si china su di lui, costringendolo a sollevare il capo con un buffetto sotto al mento.
- Te lo dico io che cosa facciamo adesso. – propone incoraggiante, - Mario ha la febbre, ma sta meglio di ieri, per cui è tornato a casa. E visto che anche tu non è che sia proprio così esageratamente in forma, non posso certo portarti con me a Livorno. – scuote il capo, come a dare maggior forza alla propria idea. – Sarai sicuramente molto più utile qui. Peraltro… - riflette poi, - ho saputo che Mario e l’austriaco vanno in giro insieme spesso, ultimamente. È vero? – chiede con aria curiosa ma apparentemente innocente. Davide annuisce, senza capire dove stia andando a parare il discorso. – Perfetto. – annuisce a propria volta José, compiaciuto, - Avrò bisogno di rinforzi in attacco. Marko sarà felice della convocazione!
Davide lo fissa con aria incerta per molti secondi – l’alcool che ancora gli confonde i pensieri gli impedisce di comprendere appieno ciò che il mister sta suggerendogli – e José aspetta solo fino a quando non lo vede piegare il capo come un cagnolino curioso, prima di specificare meglio cosa intenda.
- Bambino… - sospira, passandosi una mano fra i capelli in un gesto perfettamente fluido e naturale, - Ci sono cose che io posso risolvere. – annuisce, - Ci sono molte cose che io posso risolvere. A conti fatti, sono praticamente onnipotente, ma ci sono ancora delle cose molto piccole e molto molto importanti con le quali non posso interferire se non indirettamente. Ora… - e sospira ancora, per nulla rassicurato dal suo sguardo ancora vacuo, - …se io ti metto nelle condizioni giuste, tu la risolvi questa situazione? Perché è una cosa che puoi fare solo tu, sai? Nessun altro.
Davide tira su col naso, incerto, stringendosi nelle spalle.
- Non lo so, mister. – ammette, non senza vergogna, - Io ci ho provato, davvero. Giuro che ci ho provato, ma ogni volta, quando me lo sono ritrovato di fronte… - si lascia sfuggire un mugolio sofferente, la testa che riprende a pulsare come stesse lì lì per esplodere, - Non ho speranze, capisce cosa intendo? E forse sentirmi dire no sarebbe ancora peggio che restare nell’incertezza, per cui-
- Parti dal presupposto sbagliato. – gli fa notare José, aiutandolo a tirarsi in piedi con risolutezza, - Tu credi di doverlo fare per Mario. Per ottenere qualcosa, per ottenere lui, forse. Non è così. Devi farlo per te stesso, sei tu che devi uscirne. A Mario non interessa adesso, e se non deve interessargli non gli interesserà neanche in futuro. Ma tu… - sorride ancora, risistemandogli la frangetta sulla fronte, - sei tu che devi trovare il coraggio di guardarti allo specchio e stare bene con te stesso. E questo non dipende dalla risposta di Mario, ma solo dalla forza che troverai per porre la domanda.
Davide cerca di tirare fuori un sorriso raccattato alla meno peggio dalle profondità della sua insicurezza, e José subito lo sprona a fare di meglio sorridendo più apertamente – un’espressione perfino stupida, ma così divertente che Davide non può fare a meno di imitarla, lasciandosi andare ad una risatina sollevata mentre José lo omaggia di qualche pacca d’incoraggiamento sulle spalle.
- Prima però, - consiglia saggiamente, - sarà meglio che tu ti faccia una doccia, ragazzo mio. O se Mario non è ancora stato sterminato dall’influenza, lo sterminerai tu appena farai tanto di provare a baciarlo.

*

Il mal di testa è tornato a farsi sentire – con una forza quasi devastante – nel momento in cui Davide oltrepassa la soglia di casa e si ritrova finalmente protetto all’interno dell’ambiente caldo e familiare dell’ingresso dell’appartamento che condivide con Mario. È tutto buio, e la cosa per qualche motivo lo convince a credere che Mario sia ancora fuori – forse un’ultima visita in infermeria, prima di tornare a casa? – motivo per cui si aggira pigramente per i corridoi, dirigendosi verso la cucina senza accendere le luci, indovinando a memoria il tragitto.
Lucky gli viene incontro non appena apre la porta, e subito lui si china ad accarezzarlo sulla testa, mentre il cucciolo si solleva sulle zampe posteriori e si allunga tutto nel tentativo di leccargli il viso.
- Sei qui da solo da un sacco di tempo. – considera, notando la ciotola vuota in un angolo, - Adesso provvediamo.
- Posso capire di essermi un po’ sciupato, - si lamenta la voce nasale e quasi irriconoscibile di Mario, persa da qualche parte oltre il tavolo che ingombra mezza stanza, - ma l’invisibilità ancora non l’ho raggiunta. A meno che tu non mi confonda nel buio, il che potrebbe anche avere un senso.
- Mario! – salta su Davide, cercandolo celermente con lo sguardo e trovandolo accucciato sul pavimento a pochi passi dal frigorifero, una ciotola di gelato fra le mani e il cucchiaino che ancora pende dalle labbra. – Ma che ci fai lì?! – chiede, raggiungendolo allarmato mentre Lucky si trascina dietro la propria ciotola vuota, implorando per un po’ di pappa.
- Non cascarci. – dice Mario, invece di rispondergli, indicando il cucciolo con un cenno del capo, - L’ha appena svuotata, non dargli altro. È un mangione incontentabile.
- Mà, dovresti essere a letto! – lo rimprovera, cercando di aiutarlo ad alzarsi senza però avvicinarsi troppo, visto che ha ancora troppa paura che Mario, in qualche modo, possa capire che è rimasto fuori tutta la notte a sbronzarsi con degli sconosciuti perché si sentiva tanto triste, solo e confuso da non avere idea di cos’altro fare. – Ma poi, cosa stai mangiando? Gelato? Ma ti fa male!
- Il dottor Combi mi ha detto di abbassare la temperatura! – ride Mario, lasciandosi tirare in piedi senza opporre resistenza, mentre Lucky comincia a saltare in mezzo a loro, reggendo la ciotola fra i denti e costringendosi a recuperarla ogni volta che cade in seguito a un saltello troppo turbolento, - Quale modo migliore? – conclude, mandando giù un’altra cucchiaiata di gelato. Poi si prende una pausa, inspirando ed espirando un po’ a fatica, dalla bocca, e guardando Davide con aria curiosa. – Quando sono tornato, c’era una pipì da pulire all’ingresso. – gli fa presente, prima di sorridere appena. – Dimmi la verità: non sei tornato a casa, stanotte.
Davide distoglie lo sguardo, recuperando da terra la coperta con cui Mario s’era protetto dalle fredde piastrelle del pavimento e gettandogliela sulle spalle, cercando di riscaldarlo.
- Non è il punto della questione! – borbotta, - E molla quel gelato, non ti fa bene davvero!
- Guarda che non è mica un problema! – ridacchia Mario, mentre si lascia trascinare svelto in camera propria, - Almeno dimmi che ti sei divertito, compenserà la nottataccia del cazzo che ho passato io. Oh, non puoi immaginare che dramma sia dormire mentre Combi veglia sul tuo sonno come un angelo custode, almeno fino a quando non ti svegli alle tre del mattino in preda a un conato di vomito e lo trovi  che ti fissa con aria stravolta come se stessi per morirgli fra le braccia da un momento all’altro!
Davide ride, incapace di trattenere il moto di ilarità che le parole di Mario gli provocano, nonostante il mal di testa e la confusione e il bisogno di una doccia che – ora che sa che anche Mario è in casa, e il momento della verità si sta avvicinando più veloce di un treno in corsa – si fa ancora più impellente.
- Sei stato molto male? – chiede, mentre lo aiuta a stendersi sul letto e rintanarsi sotto le coperte, sottraendogli la ciotola ancora piena per metà di gelato ormai sciolto e poggiandola sul comodino.
- Credo di essere entrato in apnea, durante il sonno. – scrolla le spalle Mario, facendogli segno di sedersi accanto a lui, - Combi mi ha svegliato e mi ha detto qualcosa. Non che l’abbia seguito davvero, ero finalmente riuscito ad addormentarmi dopo un paio d’ore di dolori che non ti dico. – sospira, facendo segno anche a Lucky di saltare sul materasso ed accoccolarsi fra di loro. – Però a parte questo non è stata questa grande tragedia, intendo, sono ancora vivo, no? Sei tu qui che devi raccontarmi qualcosa, mi pare. – aggiunge poi, con un sorrisetto furbo.
Davide si mordicchia nervosamente l’interno di una guancia, spostando imbarazzato lo sguardo perché gli occhi scuri di Mario non sanno cosa gli stanno chiedendo di confessare.
- Non è successo niente di che. – borbotta, incapace di sollevare lo sguardo, - Sono solo uscito a bere un po’.
- Un po’? – ride Mario, chinandosi a sfiorargli il collo con la punta del naso, ricoprendolo di brividi bollenti su tutta la superficie del corpo, - Io ho il naso quasi del tutto fuori uso, ma posso dire con certezza che qui è passato ben più di “un po’” d’alcool. Cos’è, avevi bisogno di coraggio per fare la prima mossa con qualche pischella? Era carina, almeno?
- No, non--… - si affretta a negare lui, scuotendo il capo, - Non ci ho provato con nessuno, giuro, era solo-
- Ma non giurare! – ride ancora Mario, tirandogli qualche robusta pacca sulla schiena e concedendo poi qualche carezza distratta a Lucky che borbotta fra di loro, infastidito da tutto quel movimento. – Dai, dai. Dio, dico, sono settimane che non scopo, almeno se scopi tu posso sentirmi empaticamente felice o che so io. Racconta! – insiste con entusiasmo, spintonandolo spalla contro spalla.
- Mario, davvero… - biascica Davide, passandosi una mano sugli occhi, - Non sono stato con nessuna, quindi non ti esaltare, okay? Ero solo. Cioè, c’era qualche amico, ma nessuna amica. Chiaro? – conclude, fin troppo bruscamente, osservando Mario allontanarsi e guardarlo un po’ incerto.
È solo quando si è allontanato abbastanza da non sfiorarlo più con tanta insistenza, che Davide sente scemare il senso di confusione e lo stomaco pare tornare al suo posto, lasciandolo libero di respirare senza sentire in compenso l’immediato bisogno di vomitare.
- Ma che c’è? – chiede Mario, vagamente preoccupato, - C’è qualcosa che non va? – e poi pare sospettare qualcosa, perché i suoi occhi si fanno sottili come fessure e il suo sguardo si fa indagatore, improvvisamente serio. – A che ora partite, domani? – chiede, apparentemente saltando di palo in frasca, ma Davide sa bene a cosa porterà la sua risposta a quella domanda.
- …partono dopo pranzo. – sospira, seguendo con gli occhi i ghirigori che decorano l’orlo della coperta, - Io non vado, però. Il mister non mi ha convocato.
La reazione di Mario non tarda ad arrivare, intensa e infastidita esattamente come Davide l’aveva immaginata.
- Dico, ma è andato completamente fuori di testa?! – sbotta, agitandosi sul materasso, - La vecchiaia l’ha rincitrullito del tutto?! Perché ti lascia qua?! Chi ci mette sulla fascia sinistra, ora?! Si infila in un paio di calzoncini e si mette a trottare lui per il campo?! Dio, quanto ce la vuole far perdere questa partita?!
- Mario, calmati. – cerca di placarlo lui, poggiandogli una mano su un braccio e provando a trattenerlo.
- Ma non mi calmo manco per un cazzo! – continua lui, imperterrito, trattenendosi a stento dall’agitare un pugno a mezz’aria, - Ma poi che cosa pensa di fare, lasciandoti qui?! Non si rende conto che non ti è d’aiuto e dovrebbe darti un po’ di fiducia?! Io veramente alle volte quell’uomo non lo capisco, pensa e fa delle cazzate così enormi che-
- Voleva che io e te parlassimo. – sputa d’un fiato Davide, stringendo i pugni attorno al copriletto ed abbassando repentinamente lo sguardo.
- …uh? – chiede Mario, cadendo letteralmente dalle nuvole, - Dade, non so se te ne sei accorto, ma noi non facciamo che parlare continuamente. – gli fa notare, picchiettando con un indice nel centro esatto della sua fronte.
- Non delle cose importanti. – risponde Davide, cercando come può di sottrarsi a quel tocco senza che il suo spostamento appaia come un rifiuto.
- Adesso mi offendo. – borbotta Mario, aggrottando le sopracciglia, - Io ti dico tutto, sia le stronzate che le cose importanti. Se per te non è lo stesso, allora c’è qualcosa che non va, in questo rapporto.
Lo dice con tutta l’innocenza del mondo, Davide lo sa, ed infatti è solo per forza di volontà che riesce ad impedirsi di sorridere teneramente – conserverà quel sorriso per dopo, se mai dovesse arrivare l’occasione giusta per tirarlo fuori – e a cogliere l’attimo, sporgendosi in avanti per sfiorare le labbra di Mario con le proprie, sperando che l’influenza non sia contagiosa, ma anche se dovesse esserlo non gli importa poi davvero.
Mario resta immobile. Lo fissa inebetito così a lungo che Davide ha l’impressione di essersi trasformato in una roccia – calcificato dallo scorrere del tempo – e questo da una parte lo rassicura, perché nel caso in cui Mario si decidesse a tirargli un pugno in pieno naso, per fargli capire esattamente come la pensa di questa cazzata, lui almeno non sentirebbe dolore.
- Però. – risponde Mario, un po’ in affanno, - Voglio dire, di certo quando dici “cose importanti” intendi proprio cose importanti, mh? – ironizza con un mezzo sorriso, nel tentativo di spezzare almeno in parte la tensione nervosa che si è creata fra loro e che perfino Lucky ha percepito, preferendo alzarsi e scendere giù dal letto per trotterellare fuori dalla stanza e cavarsi d’impaccio come solo lui poteva fare.
Davide distoglie lo sguardo, sente le guance così bollenti che per un attimo ha l’impressione che il breve contatto che le sue labbra e quelle di Mario hanno condiviso sia stato sufficiente per travasare tutta la sua temperatura corporea dentro di sé. Questo, almeno, spiegherebbe il fuoco che gli brucia la pelle.
- Mi dispiace. – abbozza confuso, pur senza dispiacersi affatto, - Immaginavo che una cosa del genere non potesse andare che male, ma il mister mi ha convinto che-
- Il mister? – lo interrompe Mario, guardandolo con stupore, - Il mister sa di questa… cosa? Da quanto tempo? E chi altri lo sa?
- Nessuno! – si affretta a rassicurarlo Davide, agitando convulsamente le braccia, - Nessuno, davvero, non l’ho detto a nessuno! Non devi preoccuparti di questo!
- E da quant’è che va avanti? – insiste Mario, lo sguardo indecifrabile, così come il tono della voce.
- …non lo so. – sospira Davide, del tutto incapace di mentire. – Qualche mese, forse. – gli solleva gli occhi addosso. – Un annetto. – si morde un labbro, inarcando le sopracciglia. - …da sempre. A volte mi sembra così tanto che penso di provarlo da sempre.
- E non me l’hai mai detto. – commenta Mario, guardandolo quasi offeso. – Stai così da-… da quant’è che stai così?, non sai dirlo nemmeno tu!, e non mi hai detto niente.
- Ora… - biascica Davide, abbassando colpevole lo sguardo, - non mi sembra il caso di arrabbiarsi così con me. Voglio dire, non ci sono stato bene.
- Ma appunto! – si agita improvvisamente Mario, afferrandolo per il mento e costringendolo a guardarlo, - Dio, io ho un mucchio di difetti, Dade, una quantità spaventosa, davvero, e nessuno li conosce meglio di te, ma di sicuro non si può dire né che io sia uno che scappa, né che io sia uno che ti abbandona nel momento del bisogno! – sospira, accarezzandogli lievemente una guancia prima di parlare ancora. – Come potevi pensare di risolvere tutto questo senza parlarne con me?
Il contatto delle sue dita contro la sua pelle è già abbastanza per spedire Davide in un universo parallelo in cui non esista niente oltre loro due e quel letto. Perfino i guaiti scontenti di Lucky, dalla cucina, si perdono nel battito del suo cuore, tanto forte da risuonare ovunque all’interno del suo corpo, al punto che Davide ha paura che Mario possa riuscire a sentirne l’eco.
- Questo… - azzarda, un po’ incerto, - vuol dire che…
- …piede sul freno. – si affretta a fermarlo Mario, esattamente come faceva mentre gli insegnava a guidare, e sembra mille anni prima. – Io non è che abbia problemi in quel senso. – spiega imbarazzato, - Solo che, voglio dire, non ti ho mai visto in quell’ottica lì. Nel senso, tu sei Dade, quello che si sveglia la mattina e va in giro con gli occhi ancora chiusi camminando a piedi nudi e sbattendo puntualmente contro tutti gli angoli del corridoio. – ridacchia un po’, e perfino Davide, nonostante sia tanto nervoso da avere voglia di piangere, non può risparmiarsi una risatina divertita. – Non lo so se… intendo… è tutta un’altra cosa, completamente diversa.
Davide annuisce precipitosamente, la testa che continua a pulsare e lo costringe, dopo poco, a rallentare il ritmo.
- Non sentirti obbligato a fare niente. – precisa, ignorando le sopracciglia inarcate di Mario, - Non voglio che tu ti senta in colpa o mi dica determinate cose solo perché pensi che dopo starò male, sono forte, posso farcela, non devi essere per forza delicato, con me. – getta lì alla rinfusa, e Mario solleva una mano e gliela appoggia sulle labbra, pressa forte e bisbiglia “zitto”, e l’attimo dopo lo sta baciando in modo completamente diverso rispetto a quello in cui l’ha baciato lui prima, perché è un bacio aperto e bagnato e vorace, e Davide mugola fra le sue labbra, e Mario lo stringe tanto forte da mozzargli il respiro.
- Qualcuno dovrà insegnarti quando parlare e quando tacere. – dice, separandosi da lui e cercando a tentoni sul comodino il telecomando del piccolo televisore che tengono in camera, - E comunque ora per prima cosa vai a lavarti i denti. – ordina, annuendo compostamente, - Poi torni qui e ti ficchi sotto le coperte. Minimo, con la fortuna che hai, ti sarai beccato qualche virus.
Davide distoglie lo sguardo, arrossendo fino alle orecchie.
- Sei stato tu a baciarmi. – mugugna offeso, incrociando le braccia sul petto.
- Già. – sorride Mario, - Dovevo pur provare, no? E comunque, - aggiunge, sistemandosi meglio sotto le coperte mentre ferma lo zapping su una commedia vecchia di una decina d’anni, - se vuoi che provi ancora, ti conviene andare a lavarti i denti sul serio.
Davide è in bagno il secondo dopo, e può ancora sentire Mario ridere di cuore, dall’altra stanza.
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