Genere: Introspettivo.
Pairing: John Kerr/Sinead Kerr (accennato).
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Het, Incest (accennato), (vago) Angst.
- "Quando era più piccolo, la mamma spesso gli raccontava delle fate irlandesi."
Note: Dunque, i fratelli Kerr sono una coppia di danzatori su ghiaccio che fondamentalmente piacciono solo a me nel mondo XDDD Cioè, no, non è vero, suvvia u.u Piacciono a un sacco di gente, solo che li shippo selvaggiamente solo io. Li shippo selvaggiamente perché sono fratelli e hanno programmi di una sensualità infinita, non per altro. Cioè, se lo chiamano addosso, proprio. Comunque! Li adoro perché son bravi, belli, sexy, irlandesi e amano i Muse e un sacco di altri musicisti che amo anch'io, e visto che per la terza settimana del F3UCKS @ fanfic_italia ci si chiedeva di seguire l'illuminato esempio dell'unknown_fandom e scrivere su soggetti noti soli a noi e a pochi altri eletti, ho colto la palla al balzo ed ho prodotto, affidandomi ciecamente alla colonna sonora della canzone omonima di Ruggeri che poi con la storia in sé c'entra cazzi ma chissenefrega. Oh.
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Quando era più piccolo, la mamma spesso gli raccontava delle fate irlandesi. “Non vorresti mai vederle,” gli diceva, “il loro aspetto è spaventoso. Ma brillano come stelle e vorticano nelle notti buie degli equinozi formando tornado di luce che ti trascinano via, in alto nel cielo, togliendoti il respiro. È questo il potere delle fate,” gli diceva ammonendolo severamente, “fanno paura, e sono meravigliose.”

La Notte Delle Fate

Forse perché lei era più grande – anche se di poco – John si era sempre sentito un passo indietro a Sinead. Quando erano piccolini e indossavano i pattini e i loro genitori li osservavano fare a gara correndo come matti da un lato all’altro della pista, Sinead era sempre più veloce. Perché era così magra e così leggera e così alta che quando abbassava la testa e si metteva a correre sembrava dovesse prendere il volo. John, il più delle volte, arrancava alle sue spalle, e gli unici momenti in cui gli riusciva di mantenere il suo stesso ritmo erano quelli in cui lei rallentava – e lo faceva apposta, sorridendogli perché lui lo capisse – per permettergli di raggiungerla.
Le cose non erano migliorate poi di molto, quando avevano cominciato a pattinare insieme. Lui era ancora più basso, seppur di pochi centimetri, e più o meno per forza di cose erano costretti a danzare tanto vicini da sfiorarsi ripetutamente, ma quanto alla possibilità di toccare sua sorella, di stendere un braccio non davanti, ma a fianco, e trovarla lì, be’, quella non si era mai verificata.
Non era una questione soltanto fisica, e John non avrebbe mai saputo spiegarla né in parole povere né in maniera più complessa. Tutto ciò che sapeva era che prima o poi sarebbe riuscito a toccarla nel giusto modo, e allora sarebbe stato tutto perfetto, liscio e semplice, come la danza delle fate nel cielo scozzese durante l’equinozio di primavera, come le carezze tenere di mamma sulla guancia segnata dal tempo di papà, come le risate in cui scoppiavano all’improvviso ballando il tango e guardandosi negli occhi, come la pioggia d’inverno, come il profumo dell’erba in campagna, come la notte stellata estiva, come la luna, come il sole, come pattinare sul ghiaccio.

*

- Sei agitato?
La voce di Sinead risuonò perfettamente calma, tiepida e avvolgente, fondendosi con l’aria del giardino. La casa era immersa nel silenzio, così come la strada, e John aveva l’impressione che tutta la Scozia – la Gran Bretagna, il mondo, l’universo – si fosse improvvisamente zittito per cogliere ogni sfumatura di lieve tenerezza e vago divertimento nella sua domanda.
- Non più del necessario. – scrollò le spalle, muovendo appena i piedi sott’acqua. Sinead, ridendo, si chinò a schizzargliene un po’ addosso.
- Lo sei. – disse, - Sei sempre nervoso, quando torniamo a casa.
John si morse un labbro. Avrebbe voluto poterle dire perché, ma prima avrebbe dovuto trovare il coraggio per dirlo a se stesso.
- È il Mondiale che mi agita. – buttò lì, l’acqua della piscina che si increspava sotto i loro movimenti sincronizzati perfino in quel momento.
Lei si chinò un po’, cercando i suoi occhi coi propri nonostante li tenesse fissi sulla superficie dell’acqua, immobili il più possibile.
- Bugiardo. – gli sussurrò, ridacchiando appena.
John avrebbe voluto potersi voltare e guardarla negli occhi, e dirle “è vero, sono un bugiardo”. E liberarsi almeno di quella menzogna, se non di tutte le altre.
Non ci riuscì.

*

- Proviamo?
John sollevò gli occhi dallo schermo del televisore per portarli su di lei. Sinead lo stava guardando con un misto di curiosità e preoccupazione, le mani appese ai fianchi magri e i capelli biondi sciolti sulle spalle.
- …e dove? – chiese lui, tornando a guardare la tv cercando di parlare con tutta l’indifferenza che gli riuscisse di racimolare. Poca, tutto sommato.
- Ovunque. – rispose lei, senza aspettare neanche un secondo. – Qui. Fuori. Sul tetto. Dove vuoi. Solo per ballare. Mi stai diventando apatico.
- Non lo sono. – protestò accigliato, cambiando canale.
- In meno di una settimana cominciano le gare. – gli ricordò Sinead, ora perfino infastidita. Come se lui avesse mai potuto scordarlo – questo, o il dover odiare ogni volta che tornavano a casa per un break di qualche giorno prima di qualche torneo importante. – John… - lo chiamò dopo un po’, sospirando pesantemente, - Perché non hai dormito in camera con me, stanotte? – gli chiese. Lui non la guardò, finse di non averla nemmeno sentita. – John. – lo chiamò ancora lei, - Johnny, ti prego.
- Balliamo. – buttò lì lui, scattando in piedi e spegnendo repentinamente la televisione. Le sorrise rassicurante, ma la verità era che avrebbe fatto di tutto per distrarla. Sperò che ballare servisse allo scopo, che servisse almeno a costringerla a dimenticare che era fuggito a dormire sul divano a mezzanotte e da quel divano non s’era più sollevato praticamente fino a quel momento, ma anche quando la strinse fra le braccia e cominciò a volteggiare nel mezzo del salotto, evitando il tavolino e le poltrone e sperando di non inciampare nei tappeti, il suo sguardo rimase lo stesso, colmo di preoccupazione e di una vaga ombra di risentimento.
- John. – insistette lei, senza opporre resistenza ai suoi movimenti, e anzi adattandosi perfettamente ad ogni suo gesto, seguendolo nei passi lungo il tracciato della coreografia di tango ormai penetrata tanto a fondo nelle loro ossa da poter essere replicata anche ad occhi chiusi, - C’è qualcosa che non va.
- Non è nemmeno una domanda. – quasi rise lui, stringendola con un braccio dietro la schiena e tirandosela vicina per una piroetta, - Sei così sicura che ci sia qualcosa che non vada, che non me lo chiedi neanche.
Lei sollevò una mano ad accarezzargli lentamente una guancia, e il movimento fu talmente inaspettato che John, preso alla sprovvista, si fermò come congelato nel mezzo del salotto.
- Questo non era nella coreografia. – le disse, senza fiato. Lei schiuse le labbra per rispondergli, ma lui non le lasciò il tempo di farsi ascoltare.

*

La festa per l’equinozio di Primavera che aveva organizzato mamma invitando tutti i vicini stava andando abbastanza bene. Gli invitati mangiavano, bevevano e li cospargevano di auguri di buona fortuna, sparsi in giardino come fiori e altrettanto colorati. La mamma li guardava tutti sorridendo apertamente, orgogliosa delle proprie qualità di ospite e anche delle proprie doti culinarie, esibendo papà al proprio fianco, elegante e bello come un trofeo. John li guardò entrambi a lungo, sorridendo in un misto di tenerezza e nostalgia, prima di accorgersi che nel giardino di Sinead non c’era traccia.
“Manca il fiore più bello,” pensò distrattamente, “il più colorato, il più profumato,” e avrebbe voluto prendersi a calci da solo. Entrò in casa non perché volesse cercarla, ma perché voleva starsene un po’ per i fatti propri, e si stupì sinceramente quando si rese conto che il suo “starsene per i fatti propri”, in qualche modo, prevedeva il girare per tutte le stanze lanciando un’occhiata qua ed una là alla ricerca della figura familiare di Sinead.
La trovò alla fine nel cortile dietro l’abitazione. Oltre il recinto si apriva la campagna verdissima irlandese, stesa fra colli e valli come addormentata, bagnata appena dalla luce della luna e delle sporadiche stelle che punteggiavano il cielo – un manto nero che si confondeva con i monti all’orizzonte, dando l’impressione a John di poter scorgere il punto in cui il mondo finiva e si apriva l’universo.
- Perché non sei con gli altri di là? – le chiese. Seduta sullo steccato, Sinead lasciò ondeggiare le gambe e si dondolò un po’ avanti e indietro, fissando il cielo. I suoi capelli brillavano dei riflessi della luna, così come il vestito bianco, corto e leggero che indossava, e tutto questo, assieme alla sua pelle chiarissima, la faceva somigliare ad una creatura fatata.
- E tu perché non sei con gli altri di là? – ritorse lei. La sua voce sorrideva debolmente, anche se lui non poteva scorgere il suo viso. Le si avvicinò, però, e quando furono tanto vicini da sfiorarsi lei si appoggiò indietro contro il suo petto. – Prima o poi me lo dirai, Johnny? – gli chiese in un sussurro appena udibile fra le risate degli ospiti, il frinire dei grilli e il sibilo basso ma insistente del vento fra le fronde degli alberi.
John sollevò le braccia e la strinse a sé, baciandola su una guancia e strizzando con forza le palpebre, fino a riuscire a distinguere, nel buio, le luci danzanti delle fate. Aprì gli occhi di scatto, si guardò intono e le luci erano ancora lì, tremende e spaventose e meravigliose come le fate di cui gli parlava mamma, come tutto ciò di cui hai una paura del diavolo e provi ad evitare giorno dopo giorno scappando da te stesso anche se sai perfettamente che non ci riuscirai e prima o poi ti toccherà arrenderti. Giravano velocemente su loro stesse, e John le seguì con lo sguardo perdersi e sfumarsi sulla pelle chiara del volto di sua sorella, sul suo sorriso dipinto di rosso, sulle sue ciglia scure e sottili, sui suoi lineamenti lisci e sereni. Seguì il ritmo del suo respiro adattandovi il proprio, e sfiorò il profilo del suo volto con le labbra, fino a raggiungere l’orecchio.
- Sì. – rispose a bassa voce, e Sinead sorrise ancora.
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