Genere: Erotico, Introspettivo.
Pairing: Bill/Tom, Georg/Tom.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Incest, Language, Lemon, Slash.
- La favola personale di Bill. Bella principessa, lupo cattivo e terzo incomodo compresi.
Note: O_O Ho paura di questa storia. Volevo dedicarla alla mia neechan – che ne ha inconsapevolmente tirato fuori una twincest, visto che inizialmente doveva essere una Tom/Georg e basta – ma adesso mi sento quasi in colpa, perché è così… strana… o_ò… e non sono neanche sicura sia particolarmente piacevole da leggere. Voglio dire: scriverla è stato un sonoro spasso XD Perché è delirante e Bill e Tom sono incredibilmente divertenti, ma visto che è così strana e pazza e perversa non so se vi piacerà ç_ç Anche perché probabilmente difetta in approfondimento psicologico dei personaggi. Solo che mentre la scrivevo ho pensato “cavolo, è una situazione talmente assurda! Cosa diavolo vuoi approfondire?!”, e quindi mi sono un po’ lasciata trascinare dove mi portava l’ispirazione XD (ai piedi congelati di Bill, principalmente).
Per compensare tutte le mie incertezze qualitative, affettivamente sono molto sicura: la amo. Perciò sì: la dedico alla mia neechan, perché amo anche lei e… stavo per dire “se la merita”, ma forse è meglio evitare X’DDD E comunque è merito suo se ho visto il video live di Wo Sind Eure Hände che mi ha fatto sbottare “Però, Tom e Georg sono sexy *ç*” e che ha dato il via a tutto questo XD
Grazie mille come sempre a Nai per il betaggio <3 E per il commento migliore in assoluto: “Georg è disgustoso”. <3 Grazie anche a Misako93 per il suo aiuto <3
Questa storia partecipa al concorso twincest indetto da Suzako sul forum dell’EFP *_*; Secondo me andrà MALISSIMO è______é!!! Ma è bello fingersi fiduciose, una volta tanto, perciò speriamo bene *_*”””””
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LA FAVOLA STORTA

Non ricordo se a dirmi la verità sul parto fu un film o un documentario.
Se era un film, doveva essere uno di quei cosi terribili che mia madre si ostinava a guardare, nonostante ogni singola sfumatura del suo carattere stesse cercando di rivelarle la sua profonda essenza di donna da action-movie. Mia madre è sempre stata un tipo incredibilmente forte. Trovavo disgustoso che potessero piacerle film come Nine Months e simili.
Se era un documentario, invece, doveva essere una di quelle cose, anche loro terribili ma in un altro modo, che piacevano a Tom. Tom aveva un’insana passione per le narrazioni in tempo reale. Gli piacevano le storie vere. E quindi, anche tutti quei documentari che seguivano gli avvenimenti dall’inizio alla fine – gravidanze comprese – avevano su di lui effetti che, non fossimo stati entrambi ragazzini, non avrei esitato a definire afrodisiaci. Si accucciava sul divano, organizzando una tana fra i cuscini, e fissava ammaliato lo schermo, una strana luce negli occhi ed una mano – quella che non stringeva istericamente il telecomando, per evitare che qualcuno potesse portarglielo via – a compiere sempre lo stesso movimento lento e flemmatico dalla ciotola dei pop-corn o delle caramelle gommose alla sua bocca e viceversa. Uno spettacolo terrificante. Anche io divoravo pop-corn e caramelle gommose fissando la tv con aria ammaliata, ma avevo almeno la decenza di farlo solo quando Viva passava un video dei Placebo o qualcosa di simile.
Comunque, ricordo che, quando scoprii la verità, di sicuro non ero pronto a fronteggiarla. Perché, di fronte alla consapevolezza che veniamo al mondo immersi in tutti i fluidi corporei più disgustosi che l’organismo umano sia in grado di creare, invece di pensare come una persona matura e dirmi che era semplicemente una cosa fisiologica e non avrebbe dovuto disgustarmi, pensai “Dio-che-schifo!” e sentii il profondo bisogno di andare a vomitare.
Dopodichè, schizzai da mia madre e cominciai a strillare come un idiota, affermando che era inumano che ad un bambino fosse consentito di venire al mondo in condizioni simili e non capivo come fosse possibile lei avesse permesso una cosa del genere. Ero impaurito, sgomento e semplicemente orripilato.
Avevo qualcosa come dieci o undici anni, e da quella esperienza imparai una cosa molto importante – oltre al fatto che dovevo ringraziare di non essere nato donna, così non avrei mai sottoposto in prima persona i miei futuri figli a quella pratica oscena – e cioè che la verità, il più delle volte, fa schifo. Ma non schifo e basta. Schifo. Immensamente. Schifo al livello più puro. E non solo perché ti obbliga a scomode prese di coscienza, ma proprio perché la verità descrive principalmente proprio le cose più disgustose, quelle che uno non vorrebbe mai dover guardare.
Un po’ come la situazione che sto vivendo adesso.
*
Mio fratello adora il sesso.
Io credo che sia malato, seriamente. Perché non è che il sesso gli piaccia e basta, lui non può sopravvivere senza la sua dose giornaliera, come ne fosse dipendente. Anzi, no: lo è proprio. È sesso-dipendente. È una cosa per la quale di solito si va in terapia, no? No. Non per lui, almeno. Per lui, non è altro che un ulteriore attestato di superiorità rispetto agli altri. La sesso-dipendenza lo rende più figo, non più vulnerabile.
Eppure non è che un punto debole, giusto? Lo rende sottomesso a un profumo, alle curve delle ragazze. Ed anche al potere del testosterone.
Già.
Perché a mio fratello piace il sesso.
Indipendentemente dalla persona con cui lo fa.
*
È successo così anche con me, suppongo.
Voglio dire, mi rifiuto di pensare che mio fratello sia innamorato di me. Non può amarmi, è da tutta la vita che faccio l’impossibile per farmi odiare! Lo coinvolgevo nelle risse, lo coinvolgevo nel giro di malelingue che mi circondava, lo coinvolgevo nelle mie beghe sentimentali – o mi coinvolgevo nelle sue – e lo coinvolgevo perfino nei miei pomeriggi dello shopping! No, no, che sia innamorato di me è del tutto impossibile. Il problema, semmai, è il contrario, ma questa è tutta un’altra storia.
Sto solo cercando di dire che, la notte in cui mio fratello s’è intrufolato nella mia stanza e mi ha detto “ti va di giocare un po’?”, firmando la mia condanna a morte, sicuramente non l’ha fatto mosso da sentimenti romantici nei miei confronti, ecco.
Avevamo tredici anni. Era un periodo un po’ confusionario della nostra vita, non riuscivamo a capire se avremmo sfondato nel mondo della musica come desideravamo da sempre, e nel frattempo la vita tra Loitsche e Magdeburg andava sempre peggio, ma mio fratello aveva già avuto numerosi assaggi della “vita sentimentale” degli adulti, se così si può dire. Non l’aveva ancora fatto, ma, come mi diceva spesso, “si stava lavorando una tipa” in quel senso.
La tipa era Greta Vogel, aveva sedici anni e gli moriva dietro da due – cosa che rendeva mio fratello parecchio orgoglioso. Non era bellissima, ma era decisamente disponibile ed entusiasta. Il fatto che Tom le concedesse il lusso di poter dire in giro che stava con lui non era cosa da poco. Ed anche il fatto che avesse continuato a graziarla delle proprie attenzioni per più della settimana di rito che solitamente si identificava con la sua prassi, era una conquista niente male.
Quella sera, Tom si infilò nel mio letto e la prima cosa che disse fu “Ah! I tuoi piedi sono due ghiaccioli!”, inorridendo e spingendosi fino al limite del materasso, rubandomi tutte le coperte.
- Nessuno ti ha invitato. – ringhiai io, cercando di riappropriarmi almeno delle lenzuola e utilizzando i miei cosiddetti “ghiaccioli” per torturarlo.
- Sei una rottura. – disse lui, sereno, lasciando la presa sulle lenzuola perché io potessi ricoprirmi. Poi sorrise malizioso, avvicinandosi con fare da gatto. – Oggi Greta mi ha fatto una cosa stu-pen-da! – annunciò entusiasta.
Io arrossii all’istante, perché non era mai capitato che mio fratello s’infilasse nel mio letto nel cuore della notte, se non per parlarmi di qualcosa che non era sicuro di poter affrontare con la luce del giorno. Nella fattispecie: i suoi progressi dal punto di vista sessuale.
Sapevo istintivamente che “la cosa stupenda” di Greta non poteva essere certo una sciarpa fatta a maglia, perciò sospirai ed evitai di guardarlo, sforzandomi di chiedergli che cosa e mostrarmi interessato.
- Una sega! – rispose lui, la voce quasi stridula per l’emozione, - Non puoi neanche immaginare quanto sia diverso fatto da un’altra persona!
Feci per battere silenziosamente le mani, sempre senza guardarlo.
- Congratulazioni. – scoccai laconico, - Spero solo che, quando salterai alla prossima categoria, non ti venga in mente di organizzare una parata per annunciarlo al mondo. Sai, credo che le ragazze non gradiscano cose di questo tipo.
- Perché fai lo scemo? – chiese lui con una repentina smorfia di delusione, - Sei geloso?
- Che cavolata.
- Sono solo scopate, Bill! Anzi, tecnicamente non lo sono ancora…
- Ah-ha. Sì, questo m’importerebbe se fossi il tuo ragazzo, ma sono tuo fratello e l’unica preoccupazione che ho al momento è che ho sonno e i tuoi piedi sono più freddi dei miei.
- …e la quantità di ormoni della stronzaggine presenti nel tuo cervello ha raggiunto picchi inauditi, vedo.
- Un ormone simile neanche esiste. – mi limitai a notificare, sbadigliando apertamente.
Tom non gradì.
- Sei una merda! – sbottò adirato, - Vengo qui a condividere con te quanto di più prezioso ho al mondo, e tu mi rispondi a pedate in faccia?
- Tecnicamente – gli feci il verso, - non ti ho ancora preso a pedate in faccia… ma se ci tieni tanto…
- Oh, ‘fanculo. – rispose, dandomi le spalle e riappropriandosi nuovamente di tutte le coperte, rimandandomi chiaro il segnale di un fratello furioso ben intenzionato a non tornarsene in camera propria fino a nuovo ordine.
Io roteai gli occhi, sbuffando sonoramente.
Ero geloso a morte.
Non di lui, cavolo!, del fatto che lui fosse così disperatamente avanti rispetto a me. Già solo il fatto fossi tanto imbarazzato da discorsi del genere, mentre lui poteva permettersi di parlarne così apertamente, era indice di quanto fosse precoce in quel senso – e di quanto io, invece, fossi lento. Mi sentivo in soggezione, mi sentivo abbandonato e mi sentivo anche molto stupido, ecco.
Sinceramente, avrei preferito che lui e tutto il suo carico di esperienza si tenessero a distanza di sicurezza da me, finché la rabbia non fosse sbollita. O rischiavo di cavare gli occhi al sangue del mio sangue. Non sarebbe stata una bella mossa.
Purtroppo, non c’era nessuna speranza Tom potesse andarsene a letto con un simile punto di sospensione a gravare fra noi. Lo sapevo, perché il più delle volte – quando non c’era il sesso di mezzo, intendo – anche per me era così: litigavamo, e il peso che mi si gettava sullo stomaco era tanto grande che non riuscivo nemmeno a respirare, figurarsi andare a nanna e fare sogni d’oro.
- Oh. – disse rudemente qualche secondo dopo, richiamando la mia attenzione prima di voltarsi a guardarmi, - Ma ce l’hai davvero con me?
Il modo in cui sottolineò quel “davvero”, mi diede l’esatta misura di quanto trovasse stupida la mia irritazione.
Questo avrebbe dovuto irritarmi ancora di più, ma si limitò a farmi sentire tremendamente in imbarazzo, perciò lo guardai interdetto e boccheggiai alla ricerca di una smentita che non sentivo mia neanche in parte.
- No, non sono così scemo! – sputai tutto d’un fiato, fissandolo con falso disinteresse, - Ho solo sonno.
- …ce l’hai davvero con me!!! – confermò lui, sgomento, spalancando la bocca, - Non ci posso credere!
- Ti ho detto che non è così! – cercai di insistere, ma era come parlare con un muro. Tom aveva trovato il filo di pensieri che più gli piaceva, ed era bene intenzionato a seguirlo fino alla fine.
- Scommetto che è perché non l’hai ancora provato. – rifletté, infierendo inconsapevolmente nella mia già malconcia autostima, - Se lo provassi sarebbe tutto diverso.
- So perfettamente cos’è una sega, Tom. – mugugnai, furente.
Lui scosse il capo.
E poi mi infilò una mano nei boxer.
Ed io strillai. E strillai perché la sua mano era gelida, non perché si trovava nei miei boxer.
Sebbene una parte dell’urlo dovesse effettivamente essere motivata anche da quel particolare, credo.
Tom fece scattare la mano libera e la pressò con forza sulle mie labbra, soffocandomi.
- Sei impazzito?! – bisbigliò ad un centimetro dal mio orecchio, - Vuoi che ci sentano?!
Mi agitai come un’anguilla, cercando di liberarmi – da entrambe le sue mani – ma fu del tutto inutile. Era più forte di me già allora.
- Avanti, avanti… – disse poi, più dolcemente, nel tono basso e pacato che utilizzava sempre quando voleva cercare di convincermi con le buone a prendere parte a qualcosa di assurdo, - È solo per farti provare. Consideralo un gioco. Ti va di giocare un po’?
Mi piace pensare che avrei risposto di no, se avessi avuto la bocca libera. Però mi piace anche pensare che lui non me lo permise, e tenne la sua mano sulle mie labbra per tutto il tempo. Soprattutto, mi piace pensare che l’abbia fatto perché immaginava che, se fossi stato libero, avrei reagito in quel modo, e lui non voleva.
Purtroppo, temo l’abbia semplicemente dimenticato nel lasso di tempo che separò la sega che lui fece a me da quella che pretese gli facessi io subito dopo. Lo pretese perché era eccitato, e perché gli serviva sapere con certezza che io non avrei mai parlato con nessuno di quanto era successo. Se era lui a mettermi in mezzo, c’era ancora qualche possibilità – minima, ma c’era – che potessi essere preso da un momentaneo attacco di saggezza e vuotassi il sacco col primo adulto disponibile – come sarebbe stato giusto e come lui avrebbe meritato. Rendendomi complice di quel crimine assurdo, invece, mi tarpava le ali. Ero finito. Avevo fatto anche io la mia parte, perciò non avrei mai potuto dire niente senza sobbarcarmi anche la mia parte di colpa.
Ed una colpa del genere proprio non la vuoi. Né a tredici, né a sedici, né a diciott’anni.
*
Non successe più niente del genere fino a dopo Ann-Kathrin. Fino a quel momento, infatti, il mio depravatissimo fratello fu libero di praticare l’attività che preferiva – ovvero scopare con qualunque essere di sesso femminile capitasse a tiro e fosse disponibile in quel senso – senza che la cosa dovesse necessariamente turbare l’ordine pubblico tedesco.
Con Ann-Kathrin finì la pacchia. Perché le foto furono pubblicate ovunque. E a David la cosa decisamente non piacque.
Ne seguì un periodo di segregazione che frustrò incredibilmente Tom. Anche perché, come premio per la nostra buona condotta, io, Gustav e Georg eravamo ancora liberi di fare tutto ciò che volevamo – il che risultava principalmente in Georg che, tornando al loft alla sera, si sedeva sul letto di Tom e cominciava a sciorinare sequele infinite di descrizioni di ragazze formidabili – che probabilmente inventava, o delle quali, quantomeno, accresceva le doti – con le quali s’era intrattenuto fino a quel momento. Lui lo faceva per pura e semplice crudeltà, ma Tom non capiva e finiva per cascarci costantemente, infuriandosi come un toro.
Chi ne faceva le spese, però, ero io. Che di cattivo, nella mia vita, non avevo fatto proprio nulla.
Tom si rinfilò nel mio letto, a sorpresa, al terzo giorno di arresti domiciliari.
- Non ce la faccio più! – annunciò, scaraventandomi fino alla punta più lontana del letto con la semplice furia con la quale piombò sul materasso, - Cazzo, Bill, hai i piedi congelati!
- Tom! – mi lamentai io, del tutto sconvolto dall’irruzione, - Che diavolo ci fai qui?!
- Non ce la faccio più! – ripeté lui, afferrandomi per le spalle e riportandomi vicino a sé, a dispetto del fatto che il ghiaccio che avvolgeva i miei piedi ai suoi occhi non fosse mai svanito, - Bill, devi fare qualcosa!
- Senti, ho già provato a parlare con David, ma-
- È del tutto inutile, lo so. – annuì, mordicchiandosi un labbro, - È incazzato a morte.
- Forse perché sei un idiota? Ci hai mai pensato?
- Senti, lo so di aver fatto una cazzata, ma ero ubriaco!
- Be’, ti servirà di lezione. – commentai io, scrollando le spalle disinteressato, - La prossima volta, ci penserai due volte prima di avvicinarti al bancone del bar.
Tom borbottò qualcosa sul fatto del non ricordare di aver mai concesso a David di diventare suo padre, ed io evitai di dirgli che in realtà l’aveva fatto nostra madre al suo posto, concedendogli per contratto la nostra tutela legale.
- Devi comunque fare qualcosa. – mi intimò lui, poco dopo, fissandomi angosciato, - Io non ce la faccio proprio più.
- Non posso portare qui una groupie di contrabbando, Tom! Non ci stanno nella borsa!
- Ma sei sicuro? – chiese lui, con sincero stupore, - La tua borsa è enorme…
- E tu sei un enorme cretino. Avanti, Tomi, tornatene a letto, è palese che sei sconvolto…
- Certo che sono sconvolto!!! – insistette lui, strattonandomi qua e là come un peluche, - Sono tre giorni, ormai! Diosanto!
- Ma fai come tutte le persone normali! – ribattei io, fissandolo sconvolto, - Fatti una sega e mettiti il cuore in pace!
Lui si lasciò andare ad una smorfia di disappunto, cui seguì un sorrisetto malizioso e pericolosissimo, di fronte al quale tremai.
- Sai perfettamente che non è la stessa cosa. – bisbigliò, lasciando scorrere una mano giù dalla mia spalla, lungo il braccio, fino a fermarsi insinuante sui fianchi, per poi scivolare lenta ma inesorabile sul mio inguine. – Solo per giocare. – aggiunse quindi, strofinando la fronte contro la mia, - Ti va ancora di giocare con me, vero cucciolo?
Quella notte non mi stava affatto tappando la bocca. Ma io non riuscii comunque a negarmi.
E successe l’irreparabile.
Il gioco andò un po’ troppo oltre l’ammissibile e sfociò presto nel proibito.
E purtroppo piacque ad entrambi.
*
Mio fratello smise istantaneamente di lamentarsi con David, il quale pensò che il periodo di clausura dovesse avergli fatto bene e decise saggiamente di prolungarlo all’infinito. Penso che si commosse sinceramente, nel momento in cui lo disse a Tom e lui rispose con una scrollatina di spalle ed un responsabile “D’altronde, il lavoro viene prima di tutto!”.
Certo che il lavoro veniva prima di tutto.
Di tutto, ma non delle nottate interminabili che passava nel mio letto.
Mi vergogno molto di quello che successe in quei mesi. Giocavo sporco, io. Mi facevo desiderare. Facevo il prezioso, e Tom mi moriva dietro. Seriamente, non credo di aver mai sentito parlare di un rapporto più storto di quello che si sviluppò fra noi in quel periodo. Neanche nelle soap-opera. Io non facevo che fingere di negarmi e concedermi come una puttanella ben addestrata, e Tom era talmente preso dal suo ruolo di amante fisso appassionato che quasi ci perdemmo davvero, in quella sceneggiata.
Quasi ci credemmo davvero.
Io, soprattutto.
Ma poi successe qualcos’altro. Successe che, in uno dei millemila backstage di Viva Live che condividemmo con Bushido, lui ghignò, guardò Tom e disse “Allora, rubacuori, so che sei segregato in casa da un bel po’! Dì, com’è la vita senza figa?”. Al che David, per evitare un omicidio in diretta e salvare la reputazione del Kaulitz figo, dovette frapporsi fra i due litiganti ed affermare risolutamente che Tom non era affatto segregato e vedeva più figa in quel periodo di quanta non ne avesse mai vista in tutta la sua vita.
Io mi limitai a guardare il tutto da lontano, con aria piuttosto schifata, ed a prendere laconicamente nota del sorriso vittorioso col quale Tom accompagnò le parole di David, che prima di pronunciarle non aveva probabilmente messo in conto il fatto che poi avrebbe dovuto anche renderle una realtà effettiva.
Già da quella sera – dal momento esatto in cui David gli riconsegnò le chiavi di casa – Tom smise di venire in camera mia, e del gioco non restò più nulla.
*
Il che ci riporta a stasera. Alla verità che fa schifo, alla potenza del testosterone ed alla sessuomania imperante di mio fratello. Ed a Georg.
Se avete difficoltà a seguire il processo mentale, non è un problema.
Siamo nel bel mezzo del 1000 Hotels Tour. La nostra tappa bolognese si è appena chiusa e siamo imprigionati in un hotel di periferia, alloggiati tutti in stanze minuscole talmente vicine le une alle altre che, stando in silenzio, ci si sente respirare, e tagliati fuori dal mondo da una pioggia talmente torrenziale che ci fa sentire ospiti della foresta Amazzonica, più che della terra del sole.
Gli alberghi ci mettono tutti di malumore. Non conosciamo quasi mai le zone in cui sono situati ed eludere gli appostamenti di paparazzi appena fuori la porta, in condizioni simili, è praticamente impossibile. Ciò significa che tentare la fuga equivale a tentare il suicidio, per mano loro o per mano di David, se per caso riusciamo a sopravvivere al primo assalto.
Tom, privo di una sana scopata da ben trentadue ore, è effettivamente venuto da me, una o due orette fa. Ha cominciato a saltellarmi intorno come un cucciolo affamato, mugolando in preda agli spasmi del desiderio, ma io ho deciso di concedermi un sano episodio di affermazione personale e l’ho mandato in bianco. Non esiste che io diventi la sua scopata fissa di riserva, e che diamine, sono il suo cavolo di fratello gemello io, mica una groupie!
È andato via mogio mogio, le spalle ricurve ed il passo lento e strascicato di chi spera sempre in un richiamo dell’ultimo momento, ma non gli è arrivato niente.
Dopodichè, ne ho perso le tracce, fino a questo momento.
E “questo momento”, per la precisione, coincide con mio fratello che si scopa impunemente il mio bassista.
E quindi, vedete? Ho bisogno di un sacco di motivi per giustificare una cosa simile. Perciò, la verità fa schifo, il richiamo del testosterone è infallibile e mio fratello è sesso-dipendente.
Oppure io sono del tutto pazzo, e quelle che sto vedendo sono solo folli visioni. Dio, ti prego, fa’ che sia così.
- Dove stai mettendo le mani…? – ansima Georg con una risata volgare, inarcandosi all’indietro e strofinando la schiena contro il petto di Tom, mentre lui fa scorrere un palmo lungo il suo petto, il ventre e giù fino all’inguine.
Mi viene da vomitare.
Non è un sogno e non è una visione. Dio-mio. Cos’ho fatto di male?
Tom ride al suo seguito, e il suono della sua risata è del tutto identico a quello di Georg. Ruvido. Eccitato. Sudato. Osceno. E volgarissimo.
Lo accarezza sapientemente, sembra avere esperienza. Cazzo, sì. L’ha fatta con me, l’esperienza. Avessi saputo che quello che facevamo in camera avrebbe portato alla deflorazione del mio povero, innocente bassista, altro che “no” avrei risposto a quel depravato di mio fratello: un bel calcio nelle palle e risolvevamo il problema alla radice.
Comunque c’è da dire che Georg, dal modo in cui si muove incontro a mio fratello, quasi accogliendolo entusiasticamente dentro di sé, non sembra particolarmente turbato dal fatto di avere un cazzo su per il culo. Il che mi porta a chiedermi per prima cosa in che diavolo di universo parallelo io sia finito, e per seconda cosa – se questo non è un universo parallelo – quanto devo essere stato distratto, negli ultimi mesi, per non accorgermi di niente?
Poi, però, mi fermo un attimo. Cerco di estraniarmi dal momento e chiudo un po’ la porta, quel tanto che basta per distogliere lo sguardo dalla scena senza però farla sbattere contro lo stipite.
E realizzo.
Non avrei comunque potuto rendermi conto di niente. Per lo stesso motivo per il quale nessuno s’è mai reso conto di quello che succedeva veramente fra me e Tom, di notte.
Tom ha l’aria di uno che potrebbe scoparsi chiunque. Ha l’aria di uno che, prima di accettare un no in risposta, insisterà al punto da averla comunque vinta, alla fine. Soprattutto, ha l’aria di uno che, in caso di resa, sarà capace di farti pentire di non aver accettato prima.
La faccia di Georg sta dicendo esattamente questo. Mentre si lecca le labbra e affonda il viso nel cuscino, dimenando il bacino al ritmo delle spinte di Tom, sta dicendo esattamente “Dio mio, per quale accidenti di motivo ci ho riflettuto tanto, prima di dire sì?”.
Sono terrorizzato. So che avevo la stessa faccia, quando al suo posto c’ero io. Lo so per certo. I lineamenti di Georg li sento adattarsi sulla pelle del mio viso. Il suo sorriso me lo sento tirare addosso. La sua lingua sta inumidendo anche le mie labbra.
Siamo uguali. Ma non perché effettivamente ci somigliamo. Solo perché Tom non fa alcuna differenza fra noi due. O chiunque altro.
*
Non dovrei essere così furiosamente incazzato, adesso. Che la verità faceva schifo, lo sapevo già. Che l’immagine di mio fratello che scopava con Georg fosse altrettanto disgustosa non lo sapevo, ma lo immaginavo di certo. Anche che mio fratello non fosse in grado di amare nessuno oltre al proprio uccello, ecco, sapevo anche questo. Non c’è proprio niente di nuovo rispetto a qualche mese fa, o all’anno scorso, o a quando avevo tredici anni.
Il fatto sia così arrabbiato e disgustato dimostra che non sono affatto cresciuto, con gli anni. Sono lo stesso bambino che, di fronte alla verità sul parto, invece di dirsi “è fisiologico” si dice “che schifo, ho voglia di vomitare”. Di fronte alla verità di mio fratello dovrei pensare esattamente la stessa cosa. È fisiologico. È vero, che è fisiologico. Ma ho comunque voglia di vomitare.
*
Mentre Georg si rivestiva e sfotteva Tom per i rumori strani che aveva fatto mentre scopavano, io mi sono nascosto dietro un angolo. Ho sentito Tom scoppiare a ridere, ho sentito Georg scoppiare a ridere, poi li ho sentiti ridere entrambi insieme ed ho trattenuto il respiro mentre il mio bassista usciva dalla camera di mio fratello e si recava fischiettando a bussare insistentemente alla porta di Gustav, al grido di “tira fuori la PSP, voglio spaccare un po’ di auto!”.
Quando è sparito alla mia vista, sono uscito dal mio nascondiglio e sono entrato in camera di Tom. Lui era ancora nudo come un verme, occupava l’intera superficie del letto e non sembrava affatto sorpreso di vedermi.
- Guardone. – mi ha detto, senza nemmeno degnarmi di un’occhiata. Io penso di essere arrossito fino alla punta dei capelli.
- Mi hai visto! – ho strepitato, come se questo potesse suonare come un’accusa nei suoi confronti.
- Non mi è dispiaciuto. – ha risposto lui, scrollando le spalle, - Era eccitante.
Mi sono lasciato andare seduto al suo fianco, afferrando esasperato un lenzuolo per coprirlo almeno dove era più difficile guardarlo.
- Non hai vergogna. – l’ho rimproverato, - Sei malato, pure con Georg…!
- Senti, avevamo entrambi voglia, e comunque non sono cazzi tuoi. Mi ha beccato che mi facevo una sega di fronte alla televisione, e che cazzo, chiunque avrebbe avuto abbastanza pietà di me da concedermi una scopata. – mi ha lanciato uno sguardo accusatore, stringendo le palpebre ed aggrottando le sopracciglia, - O meglio, chiunque tranne te.
Ho sospirato, scuotendo il capo.
- Non so se considerarmi fortunato per essere scampato alla tua furia, o sfortunato per lo spettacolo che sono stato costretto ad osservare.
- Non ti costringeva nessuno. – ha ribattuto lui, issandosi sulle mani per sedersi al mio fianco, - Secondo me ti è piaciuto.
- No. Mi ha dato la nausea.
Lui ha ghignato, con quel sorriso a metà che fa impazzire le teenager e mi manda in bestia ogni santa volta.
- A me no, guarda un po’. Anche se devo ammettere che lui non è bravo quanto te.
Mi si è chinato addosso, sfiorandomi una guancia con le labbra.
- Tipo, baciarlo mi fa un senso assurdo, infatti non lo faccio… - ha continuato inesorabile, riflettendo con serietà perfino eccessiva.
- Per carità. – ho esalato io, pressandogli un dito sulle labbra, - Niente cronache o vomito qui.
Lui ha fatto una smorfia, tirandosi un po’ indietro.
- Non potremmo occupare il tempo in modo meno inutile? – ha chiesto poi, facendomi passare una mano fra i capelli.
- Tipo? – ho chiesto io, sospettoso, allontanandomi di qualche centimetro.
Lui ha sorriso ed ha giocato un po’ col piercing, leccandolo lentamente.
- Mio Dio, Tom, ma sei insaziabile…!
Ha riso e mi ha afferrato saldamente per i fianchi, attirandomi contro di sé.
Il gioco è ricominciato, tranquillo e perfetto come prima che si esaurisse, con la stessa aggraziata semplicità. Almeno, adesso, so perfettamente perché. Non ho più nessun bisogno di sentirmi in colpa.
- Bill, cazzo, fai qualcosa per questi piedi congelati!
…più o meno.
*
Sì, direi che, riassumendo, è di questo che parla la mia favola.
Una favola un po’ anticonvenzionale, c’è da ammetterlo, ma una favola comunque, perché c’è tutto: la bella principessa sfortunata – che sarei io, con tutte le licenze del caso – il terzo incomodo – il mio povero bassista – e il lupo cattivo – mio fratello.
Come tutte le favole, inoltre, anche la mia ha una morale. Molto semplice ed intuitiva, peraltro.
Ed è la stessa con la quale sono partito.
“La verità fa schifo”.
Con una breve aggiunta: ed anche mio fratello.
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