Genere: Commedia.
Rating: PG-13.
AVVISI: Language, Crack.
- "Erano le ore undici e quattordici minuti di un’assolata mattina di giugno quando Gennaro, nel tentativo di riempire con qualcosa da fare il primo momento morto che gli capitava sottomano da quando era arrivato in ufficio quella mattina alle ore nove e zerozero minuti, provò ad aprire Facebook, e non ci riuscì."
Note: Le persone normali, quando muore l'internet, non pensano "devo scrivere una storia per celebrare questo momento", ed anche quando lo pensano poi non è che la storia la scrivono per davvero.
Io però non sono una persona normale.
Rating: PG-13.
AVVISI: Language, Crack.
- "Erano le ore undici e quattordici minuti di un’assolata mattina di giugno quando Gennaro, nel tentativo di riempire con qualcosa da fare il primo momento morto che gli capitava sottomano da quando era arrivato in ufficio quella mattina alle ore nove e zerozero minuti, provò ad aprire Facebook, e non ci riuscì."
Note: Le persone normali, quando muore l'internet, non pensano "devo scrivere una storia per celebrare questo momento", ed anche quando lo pensano poi non è che la storia la scrivono per davvero.
Io però non sono una persona normale.
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L’INTERNET È MORTO, LUNGA VITA ALL’INTERNET
Erano le ore undici e quattordici minuti di un’assolata mattina di giugno quando Gennaro, nel tentativo di riempire con qualcosa da fare il primo momento morto che gli capitava sottomano da quando era arrivato in ufficio quella mattina alle ore nove e zerozero minuti, provò ad aprire Facebook, e non ci riuscì.
Preoccupato ma ben intenzionato a non mostrarsi tale ai propri colleghi nei cubicoli adiacenti al suo – negli uffici della nota compagnia telefonica al cui call center era impiegato era risaputamente vietato accedere a siti che offrissero una qualsiasi forma di intrattenimento durante le ore non contrattualmente dedicate alla pausa – si limitò a sbirciare a sinistra e a destra per cercare di capire se il problema fosse solo il suo computer o se anche gli altri stessero cominciando a dare segni di cedimento.
Francesca, alla sua sinistra, twittava serena, ma sembrava turbata da una serie di foto su Instagram che, a quanto pareva, non riusciva ad aprire. Lupo Solitario (chiamato così perché preferiva restare solo nel suo cubicolo anche durante la pausa pranzo per scopi che sarebbero stati facilmente intuibili scorrendo la sua cronologia per meno di trenta secondi) stava cercando apparentemente da cinque minuti di visualizzare un sito porno che, nonostante la pioggia di F5 che il Lupo continuava a scaricargli addosso, non voleva saperne di fargli un favore.
Evidentemente, pensò Gennaro, il problema non era solo il suo computer.
Girando la vite della sedia per sollevare la seduta, sbirciò gli altri cubicoli dall’alto. Non riusciva a vedere niente, ma il rumore inconfondibile del tasto F5 premuto ripetutamente dai più di novanta impiegati alloggiati in quell’ufficio era talmente forte che, chiudendo gli occhi, si aveva l’impressione che stesse grandinando.
Turbato da quanto stava accadendo, Gennaro fece per alzarsi in piedi.
- Fermati. – disse qualcuno alle sue spalle. Gennaro si voltò lentamente per inquadrare la figura familiare di Rambo, Tech Manager di reparto, così chiamata per la tendenza ad indossare solo canottiere e pantaloni militari anche in pieno inverno. – C’è qualcosa che non va.
- Sì… - provò a dire Gennaro, - È l’internet che—
- L’internet?! – Rambo lo fissò malevola, gli occhi ridotti a due fessure, - L’internet, imbecille?! Guardati intorno. Cosa vedi?
Gennaro obbedì, vagamente contrariato dall’insulto ma più spaventato da quello che Rambo avrebbe potuto fargli se non avesse eseguito gli ordini.
- Non lo so… un centinaio di cubicoli?
- E dentro i cubicoli?
- …gente?
- Gente, palla di idiozia e rincoglionimento che non sei altro? – ringhiò Rambo, furiosa, - Gente! Gente che fa cosa?
- Che cerca di accedere ad internet e non ci riesce. – sbuffò Gennaro, infastidito dall’interrogatorio fuori programma.
- Esatto. – Rambo lo fissò con ancora più malignità nelle pupille strette come capocchie di spillo, - Gente che cerca di accedere ad internet perché non sta lavorando. In un call center. Di una nota compagnia telefonica. – si fermò per qualche secondo per concedere spazio ad una ben posizionata pausa ad effetto. – Cos’è che non funziona in questo quadro, genio?
Il sole aranciato della consapevolezza cominciò ad albeggiare negli occhi bovini e privi di intelletto di Gennaro.
- I telefoni… - mormorò, - I telefoni non funzionano. Dovrebbero stare squillando all’impazzata come ogni giorno, ma…
- Ce l’abbiamo fatta. – sbottò Rambo, incrociando le braccia sotto il seno, - Qui c’è qualcosa che non fa. Qualcosa di grosso. Me lo sento qui! – sibilò, afferrandosi il cavallo del pantaloni con uno scatto isterico talmente imprevisto che costrinse Gennaro a indietreggiare di qualche centimetro.
- Lì? – biascicò con voce tremula.
- Proprio qui. – annuì Rambo, scuotendo i pantaloni con decisione.
Gennaro deglutì, cercando di mettere da parte la paura.
- Forse dovremmo… parlare con qualcuno dei colleghi. – propose incerto.
- Ma sei impazzito?! – lo riprese Rambo, schiaffeggiandogli una guancia con una certa veemenza, - Ragiona! Vuoi causare il panico? Vuoi dire a tutta questa gente “gente! L’internet è morto, e così anche la linea telefonica!”?! Vuoi vedere tutte queste persone alzarsi in piedi e cominciare a urlare, vuoi vederle strapparsi i capelli e i vestiti di dosso, vuoi vederle cavarsi gli occhi a mani nude e abbattersi contro le porte come criceti impazziti per cercare una via d’uscita che non troveranno perché tutti i loro corpi ammassati occluderanno qualsiasi orifizio costringendoli quindi a raggiungere le finestre e lanciarsi per strada dal trentaquattresimo piano, è questo che vuoi, eh, è questo che vuoi, inutile ammasso di ritardo mentale umano?!
- No! – strillò Gennaro, orripilato, - Dio, Rambo! No! Calmati! No che non lo voglio, ma dammi pace!
Per niente impressionata dal suo scatto isterico, Rambo continuò a guardarlo con la stessa cattiveria negli occhi.
- Dobbiamo parlare col Caporeparto. – disse quindi, - Vai tu.
- No. – Gennaro rabbrividì, - No, non ci vado io dal Caporeparto. Vacci tu.
- Cagasotto. – lo apostrofò Rambo.
- Non m’importa.
- Cazzo moscio.
- Meglio che licenziato.
- Piscialletto.
- Rambo, mi devi lasciare in pace! – urlò isterico Gennaro.
- Alza quello stupido culo da quella stupida sedia! – ribatté Rambo, afferrandolo per le spalle e mettendolo in piedi, - E vai dal Caporeparto. – concluse, spintonandolo verso l’ufficio del Caporeparto con un ben poco cerimonioso calcio in culo.
Tremando dentro le proprie mutande di Spider Man, a corto di altre opzioni che non coinvolgessero la propria testa rotolante per strada dopo essere stata tagliata via dal suo collo dal Caporeparto in un accesso d’ira, Gennaro approcciò l’ufficio dalla porta chiusa e bussò un paio di volte.
- … cosa. – grugnì una voce cupa e cavernosa dall’interno.
Al Caporeparto non piaceva essere disturbato. Uomini e donne ben più coraggiosi di Gennaro erano entrati in quell’ufficio durante le ore lavorative per non uscirne mai più. Battlestar Galactica, lo stagista incaricato di: portare il caffè, risolvere i problemi con la suite di Microsoft Office, pulire i cessi, pulire per terra, riempire il boccione dell’acqua quando si svuotava, rifornire i bagni di carta igienica e i dispenser di sapone liquido quando si esauriva e prendersi le telefonate dei clienti più stupidi e più incazzati che tutto l’intero reparto dirottava sulla sua linea telefonica quando uno degli impiegati capiva di trovarsi di fronte a un soggetto col quale sarebbe stato impossibile ragionare, il tutto per la modica cifra di euro trecento lordi al mese, un giovane uomo noto per essere perfettamente in grado di sopportare qualsiasi quantità di stress perché allenato in tal senso dalle centinaia di telefilm che guardava settimanalmente in lingua originale e in contemporanea con la messa in onda sui canali d’oltreoceano, era una volta stato costretto ad entrare nell’ufficio del Caporeparto per risolvere un problema con la sua fotocopiatrice inceppata e ne era uscito talmente stravolto da essere costretto a chiedere una settimana di malattia non retribuita pur di riuscire a riprendersi.
Ciononostante, la situazione era grave. Facebook non funzionava, Instagram dava problemi a Francesca e il povero Lupo Solitario sarebbe probabilmente esploso se non fosse riuscito ad accedere a YouPorn nel giro dei prossimi cinque minuti. Gennaro doveva farsi carico della responsabilità ed agire da uomo.
- Sono Gennaro. – disse, deglutendo a fatica.
- Non ti conosco. – ribatté il Caporeparto, - Vai via.
Gennaro sospirò profondamente.
- Signor Caporeparto, sono Gennaro. – riprovò, - Numero di riconoscimento 24032.
- Ah. – nella voce del Caporeparto sembrò vibrare una certa consapevolezza, - Numero 24032. Sono impegnato. Vai via.
- Signor Caporeparto, chiedo scusa. – deglutì ancora lui, - Ma c’è un problema della massima importanza di cui dovrei discutere con lei.
Da dietro la porta non giunse che un silenzio prolungato in risposta, e per molti minuti Gennaro rimase lì, immobile, chiedendosi se dovesse andare via ma non osando farlo per paura di cosa avrebbe potuto fargli Rambo se fosse tornato indietro senza una soluzione.
Stava comunque per decidere che affrontare Rambo fosse una prospettiva ben più allettante rispetto a restare lì tremando come una foglia e cagandosi in mano per tema che il Caporeparto potesse urlargli addosso che era licenziato in tronco e per quanto lo riguardava poteva pure dimenticarsi il TFR, quando finalmente qualcosa riprese a muoversi.
- Numero 24032, - disse il caporeparto, - Entra.
Deglutendo con tanta forza da darsi per un momento l’impressione di poter inghiottire perfino la propria stessa lingua, Gennaro entrò.
All’interno dell’ufficio, il Caporeparto sedeva alla propria scrivania, seminascosto dietro il computer. Da lì, Gennaro poteva vedere il suo dito indice muoversi nel familiare gesto di pressione del tasto F5.
- Signor Caporeparto… - disse timoroso, torturandosi l’orlo della maglietta brandizzata della compagnia telefonica, - L’internet non funziona.
Il Caporeparto gli sollevò addosso un paio d’occhi enormi.
- Non funziona? – disse.
- Sì. – rispose Gennaro.
- Tutto l’internet?
- Tutto l’internet, signore. E… - aggiunse incerto, perché il Caporeparto non sembrava interessato all’argomento ma Gennaro sentiva che avrebbe dovuto essere suo dovere informarlo a riguardo, - Neanche le linee telefoniche, a quanto pare. Immagino che abbia notato il silenzio surreale che…
- Non ho notato nessun silenzio, Numero 24032. – rispose il Caporeparto in un grugnito, - Solo che l’internet non funziona. Dunque è per questo motivo, - aggiunse sovrappensiero, - Che Maristella… - si interruppe all’improvviso, come ricordandosi solo in quel momento della presenza di Gennaro lì davanti a lui. – Che fai, numero 24032, origli?
- Cosa? – balbettò Gennaro in un tremito convulso, - No, signore!
- Mi spii, numero 24032? – insistette il Caporeparto, - Spii ogni mia mossa per poi scrivere una lettera anonima a qualche superiore sperando nel mio licenziamento? Vuoi prendere il mio posto, per caso, numero 24032? Quanti anni di anzianità di servizio hai, eh? Sei uno dei vecchi impiegati? Vuoi un colpo di stato, numero 24032?
- No! – singhiozzò Gennaro, a un passo dal tracollo emotivo, - No, signore, non mi sognerei mai! Io—vorrei solo sapere cosa dire ai colleghi e cosa fare, signore, tutto il reparto è bloccato dall’assenza di linea.
Il Caporeparto soppesò le sue parole con attenzione, e sembrò ritenerle valide solo dopo lunga riflessione, lunga riflessione durata all’incirca trenta secondi, ognuno dei quali assunse la durate di un intero anno solare all’interno della mente già duramente provata di Gennaro.
- Proviamo a chiamare la server room. – disse quindi, e se Gennaro sperava che una qualsiasi parola che fosse uscita dalla sua bocca sarebbe servita a rincuorarlo nel suo panico, aveva chiaramente torto.
La server room era un luogo di cui tutti parlavano, ma all’interno del quale nessuno era mai davvero stato. Trattavasi di un enorme magazzino interrato, costantemente buio e costantemente tenuto a una temperatura di dieci gradi centigradi, proprio sotto il palazzo all’interno del quale si trovavano gli uffici, contenente enormi quantità di server impilati l’uno sull’altro. Su essi gravava il peso dell’enorme quantità di informazioni che giornalmente transitavano da e per gli uffici ai piani superiori. Leggenda voleva che un tempo fosse stato abitato da un uomo, il Guardiano dei Server, che un giorno le macchine avevano attaccato, divorandone il cervello per renderlo un ibrido uomo-macchina che ancora si aggirava per i corridoi oscuri del magazzino recitando a memoria le pagine di Wikipedia come unica forma di comunicazione.
In preda al più assoluto stato di agitazione nel quale si fosse mai trovato da quando aveva chiesto ad Angelica della III C di uscire insieme e lei gli aveva riso in faccia senza nemmeno rispondere al liceo, Gennaro osservò il Caporeparto sollevare la cornetta del telefono e digitare il numero cancelletto-zero-trentacinque per raggiungere la server room, solo per ricevere in risposta il messaggio preregistrato della signora Vania, la zia di uno dei vecchi impiegati, che era stata pagata trentacinque euro tasse escluse quindici anni prima per registrare tutti i messaggi automatici della compagnia, che lo informava che, per problemi tecnici, non era stato possibile connettere la sua chiamata col destinatario, e lo invitava pertanto a riprovare più tardi.
- Qui c’è qualcosa che non va. – borbottò il Caporeparto, sospettoso, - La linea telefonica qui non cade mai. Dev’essere successo qualcosa.
- Senza dubbio, signore. – annuì Gennaro, torcendosi le mani.
Il Caporeparto tornò a guardarlo come se un’altra volta si fosse dimenticato di lui e fosse riuscito a ricordarsi della sua esistenza solo accorgendosi dell’ombra che proiettava sullo sfondo della parete.
- Ah, numero 24032, sei ancora qui. – disse bruscamente, - Bene. Prendi l’ascensore. Vai nella server room. Verifica che tutto sia al suo posto.
- Cosa?! – strillò istericamente Gennaro, premendosi entrambe le mani contro il petto in un estremo tentativo di impedire al proprio cuore di sfondargli la cassa toracica e lanciarsi giù dalla finestra aperta al grido di yoloooo, - No!
- No, numero 24032? – ribatté il Caporeparto, inarcando un sopracciglio, - Cos’è, hai paura?
- Signor Caporeparto, non mi costringa ad andare là sotto. – piagnucolò Gennaro, disperato, - Quel posto fa paura. È infestato.
- Non essere ridicolo, numero 24032.
- Ma è vero, signore! – si strusse e pianse Gennaro, - La prego!
- Sei un pusillanime, numero 24032! – lo rimproverò il Caporeparto, - E questo ufficio non ha bisogno di pusillanimi. Questo ufficio ha bisogno di eroi. Non hai la stoffa per fare il tuo lavoro, numero 24032?
- Ma il mio lavoro è rispondere al telefono, signore!
- Balle! – sbottò lui, battendo una mano contro la scrivania, - Il tuo lavoro è obbedire agli ordini dei tuoi superiori! Se non ne sei in grado, ho come l’impressione che l’ultimo contratto semestrale a tempo determinato che hai firmato sarà l’ultimo per davvero!
Se c’era una prospettiva, una sola che terrorizzasse Gennaro più dell’idea di scendere nella server room, era quella di perdere il lavoro. Sospirando pesantemente, annuì.
- Sei giunto a più miti consigli, numero 24032? – chiese il Caporeparto, beffardo.
- Sì, signore. – piagnucolò Gennaro.
- Bene. Allora vai. Porta con te Rambo.
- No! – guaì Gennaro, tornando a guardare il suo superiore, - La prego, signore, Rambo no!
- Numero 24032, il prossimo “no” che ti sento pronunciare sarà l’ultimo della tua vita! – berciò il Caporeparto, agitando un pugno a mezz’aria, - Sono stato chiaro?
- Sì, signore. – singhiozzò disperato Gennaro, prima di rassegnarsi a tornare al suo cubicolo.
Rambo lo aspettava lì. Sembrava non essersi mossa di un millimetro da quando lui era andato via.
- Allora? – sbottò nel vederlo avvicinarsi, - Che ti ha detto? La situazione è tragica, Pugnetta.
- Ti prego di non chiamarmi così. – esalò Gennaro in un gorgoglio sconsolato.
- Sta’ zitto! – lo rimproverò Rambo, schiaffeggiandolo, - Ti sembra questo il momento di metterti a fare lo schizzinoso coi soprannomi? Lupo Solitario si è appena chiuso in bagno col tablet aziendale per guardare porno lesbo sul 3G! È questo il mondo che vuoi, Pugnetta? Un mondo in cui tutti i Lupi Solitari dell’umanità si chiudono in bagno a guardare porno lesbo sul 3G del tablet aziendale?
- No! – singhiozzò Gennaro, - Dio mio. Smettila di trattami così, avrò bisogno di dieci anni di terapia per uscire dalla depressione in cui mi stai piombando.
- Smettila di fare la femminuccia, la terapia è inutile, non saresti depresso se ti fossero mai scese le palle! – tagliò corto lei, schiaffeggiandolo un’altra volta, - Cosa ti ha detto il Caporeparto?
- Ha detto di chiederti di venire con me… - deglutì Gennaro, - E di andare insieme nella server room.
Nell’osservare perfino Rambo tremare al solo sentir nominare la server room, Gennaro seppe istintivamente che erano spacciati. Qualunque cosa stesse accadendo là sotto, non ne sarebbero usciti vivi.
- Ti ha detto chiaramente di andare nella server room? – domandò Rambo in un filo di voce.
- Sì. – annuì mestamente Gennaro, - Ha provato a chiamare, ma le linee sono interrotte. Dice che dobbiamo andare a controllare di persona. Rambo, io ho paura, non ci voglio andare! – mugolò quindi, sollevandole addosso uno sguardo pietoso da cucciolo abbandonato.
- Non… Non essere ridicolo. – ribatté Rambo, riprendendo il controllo su se stessa, - Andiamo. Pensa a Lupo Solitario!
- Ci penso… ci penso. – sospirò Gennaro, - Io volevo solo giocare a Candy Crush… volevo solo questo, nella vita… e l’internet invece doveva morire… costringendomi ad andare nella server room…
- Smettila di blaterare come un mentecatto, Pugnetta!
- Ti prego di non chiamarmi così.
Durante il lungo viaggio in ascensore che, dal trentaquattresimo piano del palazzo, doveva portarli al piano interrato, Gennaro non fece che riflettere sulla propria condizione. Forse l’idea di Lupo Solitario non era stata poi così malsana. Forse anche lui avrebbe dovuto chiudersi in bagno per giocare a Candy Crush sul 3G del tablet aziendale. D’altronde, era sicuro che si trattasse di un guasto tecnico temporaneo. Si sarebbe presto risolto. Non c’era nessun bisogno di andare nella server room per controllare che fosse tutto a posto, i server si stavano già probabilmente tutti riavviando per ripristinare la linea nel più breve tempo possibile.
Era però ormai troppo tardi per pentirsi delle proprie scelte, considerò quando le porte scorrevoli dell’ascensore si aprirono sull’anticamera di fronte alla quale troneggiava imperiosa l’enorme porta metallica che portava alla server room. Aveva ricevuto un ordine diretto dal Caporeparto, ed anche se avesse deciso di disobbedire e fuggire a rischio di perdere il lavoro, a quel punto Rambo gliel’avrebbe impedito spezzando ogni singolo osso del suo corpo uno scapaccione dopo l’altro. Dovevano entrare.
La server room era, come da leggenda, avvolta nella più assoluta oscurità.
- Qualcosa decisamente non va come dovrebbe andare. – borbottò Rambo, muovendosi a tentoni lungo gli stretti corridoi fra una parete di server e l’altra, - Ti aspetti che tutte queste macchine lampeggino o qualcosa del genere, no? È questo che fanno le macchine quando sono accese. Lampeggiano. Invece, guardati intorno, Pugnetta.
- Ti prego di non chiamarmi così. – sospirò Gennaro.
- Cosa vedi? – insistette Rambo, ignorandolo.
- Non vedo niente. – sospirò ancora lui.
- Esatto. – annuì lei, - Neanche una lucetta lampeggiante. E questo… questo rumore di sottofondo. Lo senti?
Per la verità, distratto dal battito terrificato dei suoi denti, Gennaro inizialmente non sentì niente. Dovette aguzzare l’udito per più di qualche secondo prima di accorgersi che effettivamente un suono lontano riecheggiava lungo gli stretti corridori vuoti, una specie di mormorio basso e costante che sembrava composto da parole che era però impossibile identificare da quella distanza, sul sottofondo ritmico di colpi regolari che sembravano lo scalpiccio di scarpe dalla suola in gomma contro il pavimento in cemento armato del magazzino.
- Qualcuno sta correndo? – ipotizzò, cercando di distinguere una qualsiasi forma che si muovesse nel buio.
- Credo di sì. – rispose Rambo in un sussurro, - Qualcuno sta correndo… verso di noi.
- Rambo! – sibilò Gennaro, appendendosi alle sue spalle, - Ho paura!
- Scollati, Pugnetta! – cercò di divincolarsi lei, apostrofandolo malamente, - Mio Dio, che mezzasega!
- Ti prego di non chiamarmi così! – biascicò lui, cercando di nascondersi dietro di lei e sentendo il cuore sprofondare nello stomaco quando sia il rumore di passi che il mormorio distante cominciarono a farsi così vicini da dare l’impressione di poterne vedere apparire la fonte all’orizzonte in pochi secondi. – Rambo, sta per arrivare! – piagnucolò, sull’orlo della crisi isterica, - Chiunque sia sta per arrivare!
- E chiunque sia non potrò prenderlo a pizze in faccia finché mi stai attaccato addosso come una cozza! – ringhiò lei, spintonandolo lontano da sé, - Mollami!
Troppo terrorizzato per badare alla sua scortesia, Gennaro continuò a fissare l’imboccatura del lungo corridoio che si allungava oscuro di fronte a loro. Una luce giallastra e ballonzolante sembrava avvicinarsi ad una velocità che Gennaro non avrebbe esitato a definire pericolosa, ma quando fu vicina abbastanza da rischiarare l’ambiente, e dimostrarsi solo una torcia, alla paura fece posto lo stupore, e Gennaro esalò un respiro sconvolto.
- Ah! – disse, individuando la familiare figura smilza ed eternamente adolescente dello stagista, - Battlestar Galactica!
Troppo stupito per rispondere all’istante, in un primo momento lo stagista si limitò a guardarli con enormi occhi da triglia recentemente spirata sul banco del pescivendolo nonostante il letto di ghiaccio sul quale era stata adagiata; fu molto svelto a riprendere il controllo di se stesso, però, quando il mormorio incessante tornò ad aumentare di volume.
Schiuse dunque le labbra.
Prese fiato.
E poi urlò.
- ZOMBIE! – disse, prima di lanciarsi verso di loro, afferrare Rambo con una mano e Gennaro con l’altra e poi riprendere a correre per i corridoi come se li conoscesse a memoria, trascinandoseli dietro svolazzanti come bandierine attaccate sul faretto posteriore di una bicicletta.
- Cosa?! – urlò Rambo, sconvolta, - Di cosa stai parlando?!
- Zombie! – strillò Battlestar Galactica, diretto verso l’uscita, - Il sotterraneo ne è pieno! Venticinque piani su trentasei sono già perduti! I pochi sopravvissuti al virus cadono come mosche! Dobbiamo uscire di qui, e in fretta anche!
- Non è possibile! – singhiozzò ad alta voce Gennaro, cercando di mantenere il passo nonostante anni di metropolitana e vita sedentaria avessero spedito la sua forma fisica in pensione anticipata già parecchio tempo addietro, - Gli zombie non esistono!
- Be’, dillo a quelli che ci stanno inseguendo adesso. – rispose semplicemente Battlestar Galactica.
Attratto dalla curiosità che impedisce alla povera gente di staccare gli occhi da un incidente stradale quando per sfiga si trovano imbottigliati nel traffico da esso derivato, Gennaro si voltò per lanciare un’occhiata alle proprie spalle, e non poté trattenere un urlo quando intravide l’enorme massa di persone pallide, violacee, verdognole e in putrefazione che avanzava compatta come un esercito al soldi di una qualsiasi dittatura a caso verso di loro.
- Ommioddio! – uggiolò disperato, - Sono veri!
- Dobbiamo scappare! – concordò a quel punto Rambo, - L’uscita dovrebbe essere da quella parte! – e, così dicendo, li guidò attraverso un altro corridoio oscuro, mentre la massa di zombie si faceva vicina abbastanza da permettere finalmente a Gennaro di comprendere le parole che stavano pronunciando.
Parole che parlavano alle profondità stesse della sua anima.
- Candy… - dicevano gli zombie, - Crush.
- Candy Crush? – balbettò Gennaro, fermandosi in mezzo al corridoio, - Candy Crush? Perché dicono Candy Crush? Ommioddio! Sono stati loro, dunque! – sbottò, portando le mani alle guance in una perfetta quanto ridicola imitazione dell’Urlo di Munch, - Odiano Candy Crush e vogliono impedirmi di giocarci! E per questo motivo hanno fatto saltare la linea telefonica e ucciso l’internet!
- Ma non capisci niente! – sbottò Battlestar Galactica, correndogli incontro, - È stata la linea telefonica che, saltando, ha trasformato tutti in zombie affamati di Candy Crush! Sono convinti che ci siano caramelle dentro i nostri cervelli, se ci fermiamo adesso ci scoperchieranno la scatola cranica come una scatoletta di tonno e moriremo tutti!
- Muoviti! – strillò Rambo, afferrandolo per un braccio e cercando di trascinarlo verso l’uscita, ma proprio in quel momento uno zombie palesemente più veloce o più affamato degli altri spuntò da dietro un angolo e, al grido di “CARAMELLA ARCOBALENO!” si lanciò nella direzione di Gennaro. – No! – urlò Rambo, frapponendosi fra loro, - Non lo toccherai neanche con un dito!
Lo zombie, evidentemente meno interessato a Gennaro e più genericamente interessato a qualsiasi cosa fosse abbastanza tenera da metterla sotto i denti, non esitò ad azzannare Rambo, trascinandola sul pavimento sotto il peso del proprio corpo.
- No! – gridò Battlestar Galactica, rovesciando la propria torcia ed affondandone il manico direttamente nel cervello dello zombie, che esplose in un tripudio di caramelle colorate di ogni tipo.
- Rambo! – gridò anche Gennaro, inginocchiandosi accanto al corpo dell’amica e stringendola fra le braccia, - Rambo… come stai?
- Secondo te come sto, sacco di merda? – rispose lei, sollevando un braccio in un ultimo spasmo per schiaffeggiarlo fortissimo su una guancia, - Ah… Pugnetta… sto morendo. – disse poi con voce flebile, mostrando l’enorme morso su una spalla, - Presto, finiscimi. Non voglio diventare un mostro.
- Che?! – strillò Gennaro, terrorizzato, - No! Fallo tu, Battlestar Galactica.
- No! – lo fermò Rambo, sull’orlo delle lacrime, - No, Gennaro, voglio che sia tu a farlo. Forse non te ne sei mai accorto, ma io… io ti ho sempre amato.
- In effetti non me ne sono mai accorto. – rispose Gennaro, inclinando appena il capo con aria incuriosita.
- Perché sei un mentecatto. – rispose lei in un grugnito.
- Be’, non è che fosse proprio chiarissimo, - borbottò lui, - Voglio dire, mi hai sempre trattato abbastanza di merda, e—
- Pugnetta, stai zitto.
- Ti prego di non chiamarmi così. – sospirò lui, abbattuto.
- Sto morendo, ti chiamo come mi pare e piace. – tagliò corto lei. – Pugnetta… - disse quindi, sollevando l’orlo della canottiera, - Prendi il mio Galaxy Tab.
- Perché?
- Prendilo e basta, rincoglionito.
Temendo la sua furia nonostante stesse per spirare, Gennaro obbedì, recuperando il tablet dalla cintura da carpentiere in una tasca della quale Rambo l’aveva infilato.
- Cosa devo farci, Rambo?
- Usalo… - disse lei in un rantolo mortifero, - Per finirmi.
- D’accordo. – annuì Gennaro, sull’orlo delle lacrime, prima di cominciare a picchiarla in testa con l’aggeggio.
- Non col lato lungo, deficiente! – lo rimproverò lei, - Così mi fai solo male, pezzo di cretino che non sei altro! Usa lo spigolo, Pugnetta! Lo spigolo!
Furono le ultime parole che pronunciò.
- Avrei preferito che non mi chiamasse in quel modo. – sospirò Gennaro, alzandosi in piedi.
- Basta stronzate! – lo strattonò Battlestar Galactica, - Dobbiamo uscire di qui, presto! Gli altri stanno arrivando!
Lasciandosi alle spalle il cadavere di Rambo, Gennaro seguì lo stagista all’esterno del magazzino e, da lì, all’esterno dell’edificio. Lo spettacolo, per le strade, era agghiacciante: molti degli edifici avevano già preso fuoco e si ergevano come cadaveri svuotati da tutti gli organi interni che non si fossero ancora accorti di essere già morti. Le vie della città erano un tappeto di macchine in fiamme, alcune rovesciate sui tettucci, altre rovesciate sui fianchi, non una parcheggiata a modo, mentre gli zombie della polizia municipale passavano tra una fila di carcasse metalliche e l’altra facendo piovere verbali appuntati su foglietti gialli a destra e a manca senza soluzione di continuità. E ovunque, dappertutto, zombie in tutto e per tutto uguali a quelli che li avevano inseguiti nel sotterraneo si spostavano in mucchietti disordinati e compatti da un marciapiede all’altro, urlando tutti la stessa cosa.
Candy Crush.
Candy Crush.
Candy Crush.
- Mio Dio. – mugolò Gennaro, stringendosi al fianco di Battlestar Galactica e cercando di nascondersi dietro di lui nonostante lo stagista fosse più basso di almeno una ventina di centimetri e largo più o meno la metà di lui. – È orribile. Spaventoso.
- È morto l’internet, - considerò lo stagista con aria grave, - E l’umanità si è disintegrata. È l’apocalisse del nuovo millennio.
- Non ho idea di cosa tu stia parlando ma ho una paura boia. – piagnucolò Gennaro. E poi un trillo inaspettato e improvviso proveniente dal fondo della tasca posteriore dei suoi pantaloni attirò la sua attenzione.
- Cos’era quello? – chiese Battlestar Galactica, incuriosito.
- Quella… - rispose Gennaro, estraendo il cellulare ed osservandone lo schermo con aria nient’affatto intelligente, - Era la suoneria che fa il mio cellulare quando trova una rete wi-fi.
- Ma sei serio? – chiese lo stagista, inarcando entrambe le sopracciglia, - Chi è che non disattiva una notifica così inutile, nel duemilaquattordici? Ma sei uno sfigatissimo.
- Non stai trascurando un dettaglio importante? – chiese Gennaro.
- Quale dettaglio sarebbe? – rispose Battlestar Galactica in uno sbuffo annoiato.
- …il wi-fi. – rispose Gennaro, - Prende.
La consapevolezza iniziò finalmente a farsi strada negli occhi seminascosti dietro agli occhiali dalla montatura hipster dello stagista, che subito prese Gennaro per mano, trascinandolo in fondo a una strada e dentro un piccolo edificio in apparenza disabitato, dove sarebbero stati al sicuro.
- Che intendi dire che il wi-fi prende? – chiese mentre barricava la porta, - L’internet è morto. Non può prendere.
- Ma prende. – insistette Gennaro, mostrandogli lo schermo del cellulare, sul quale campeggiava inequivocabile la notifica sbrilluccicante del wi-fi, - Guarda.
Battlestar Galactica gli si avvicinò, strappandogli il cellulare dalle mani ed aprendo il browser per provare a navigare.
- Mh. – sbuffò deluso, - Forse l’internet è risorto, ma non funziona ancora. Chrome continua a dirmi “impossibile visualizzare la pagina”, dovunque io provi ad andare.
- Fa’ vedere. – rispose Gennaro, recuperando il cellulare e provando ad aprire l’applicazione di Candy Crush.
La luce della gioia si diffuse immediatamente sul suo viso.
- Questo si connette. – disse con le lacrime agli occhi.
- Davvero? – chiese lo stagista, avvicinandosi per sbirciare lo schermo.
- “I tuoi progressi sono ora sincronizzati con Facebook”, dice. – esalò Gennaro, piangendo copiosamente, - È un buon segno, no?
- Mh. – sospirò Battlestar Galactica, sedendosi sul pavimento accanto a lui, - Sì, credo di sì. Ma conoscendo le tempistiche delle riparazioni sulle linee telefoniche, potrebbero volerci settimane perché tutto torni a funzionare come si deve. Chissà, forse perfino mesi o anni.
- Sai quanti livelli ha adesso Candy Crush? – disse Gennaro, appoggiandogli una mano sulla spalla per fargli coraggio, - Cinquecentonovanta. Più altri duecentonovanta in Sognolandia. – sorrise, - Ce n’è abbastanza per resistere almeno qualche anno.
- Mamma mia. – rispose lo stagista, scuotendo lentamente il capo, - Aveva ragione quella povera sfigata che è morta nel sotterraneo, sei un deficiente.
Ma Gennaro già non lo ascoltava più. Il nuovo livello di Candy Crush lo attendeva vergine e intonso, e adesso che l’internet non era più morto Gennaro poteva essere sicuro che, una volta che tutto questo fosse finito, tutti i suoi progressi sarebbero stati ricordati su Facebook. Che giornate magnifiche!