Genere: Introspettivo, Erotico, Romantico.
Pairing: Davide/Mario, Mario/Sophie.
Rating: R/NC-17
AVVISI: Slash, Lemon, Het.
- "'Tu fai un sacco di domande.'"
Note: *piange sale* Dunque... Tutto ciò nasce fondamentalmente da un po' di sano gossip, come non mi capitava da tempo. Il che è strano, in realtà, perché scrivere su queste notiziacce in realtà è una delle cose che mi dà più soddisfazione al mondo, e infatti lo faccio spesso XD Comunque, tutta la faccenda della Reade con Mario pare sia stata smentita dalla Reade stessa, che dice di non conoscerlo nemmeno, ma tutto ciò non è servito a fermarmi, naturalmente.O ad impedirmi di visionare una serie di filmati e innamorarmi pesantemente di lei. Io ho dei problemi con la razza umana, palesemente, perché amare certi soggetti ha un che di patologico. Vabbè.
Scritta per il P0rn Fest @ fanfic_italia, su prompt RPF CALCIO Davide Santon/Mario Balotelli, "Ti amo." "Non basta."
Pairing: Davide/Mario, Mario/Sophie.
Rating: R/NC-17
AVVISI: Slash, Lemon, Het.
- "'Tu fai un sacco di domande.'"
Note: *piange sale* Dunque... Tutto ciò nasce fondamentalmente da un po' di sano gossip, come non mi capitava da tempo. Il che è strano, in realtà, perché scrivere su queste notiziacce in realtà è una delle cose che mi dà più soddisfazione al mondo, e infatti lo faccio spesso XD Comunque, tutta la faccenda della Reade con Mario pare sia stata smentita dalla Reade stessa, che dice di non conoscerlo nemmeno, ma tutto ciò non è servito a fermarmi, naturalmente.
Scritta per il P0rn Fest @ fanfic_italia, su prompt RPF CALCIO Davide Santon/Mario Balotelli, "Ti amo." "Non basta."
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L’AMORE VA VELOCE E TU STAI INDIETRO
RPF CALCIO Davide Santon/Mario Balotelli, "Ti amo." "Non basta."
La casa è enorme, sfarzosa, splendida, e con Mario non c’entra niente. È talmente tirata a lucido che Davide non ha alcun dubbio sul fatto che di tenerla così a posto si occupi un’impresa di pulizie pagata profumatamente a tale scopo. A Mario sono sempre piaciuti gli spazi grandi, ma a Milano il suo loft era sempre incasinato oltre ogni dire. Qui a Manchester invece ha un’enorme villa su due piani, col porticato, stanze gigantesche, un giardino che si estende tutto intorno a perdita d’occhio ed una splendida scalinata circolare che si arrotola verso l’alto dal piano terra fino al primo. Una scalinata di quelle principesche, con gradini bassi e larghi e un tappeto sottile che la ricopre tutta.
- Ti faccio vedere la tua stanza. – gli dice Mario, invitandolo a seguirlo di sopra. Davide gli va dietro, sfiorando appena il corrimano in legno laccato bianco, quasi impaurito dalla possibilità di sporcarlo o lasciargli addosso l’impronta delle mani.
- Ma com’è che sei finito in questo posto? – gli chiede, guardandosi intorno quando fanno il loro ingresso nel corridoio sul quale si affacciano almeno una decina di porte.
Mario scrolla le spalle.
- La zona non era male, - risponde, aprendo una porta a caso e richiudendola subito dopo con una smorfia infastidita, - e poi mister Mancini abita a due passi da qui. La casa non è granché, ci sono troppe stanze inutili e me ne ricordo meno della metà, ma visto che comunque non è che ci passo tutto questo tempo, va bene così.
Davide inarca un sopracciglio, continuando a seguirlo un paio di passi indietro ed osservandolo mentre spalanca una porta dietro l’altra alla ricerca di quella giusta, chiedendosi se faccia così ogni sera anche per ritrovare la propria camera da letto.
- Deve costarti una fortuna mantenerla. – commenta nell’osservare le pareti bianche che quasi risplendono, tanto sono linde, e i soprammobili sfaccettati di cristallo appoggiati su un mobiletto basso a metà corridoio che si riempiono di riflessi multicolori sotto la luce calda che inonda l’ambiente.
Mario scrolla le spalle un’altra volta.
- Non ci faccio caso. – dice sbuffando, - Quello che serve, spendo. Non ho problemi di questo tipo.
Davide non riesce a impedirsi un sorriso vagamente intenerito.
- Non ne dubito. – dice in un sospiro, - Sei sempre il solito, sai? Anche se sei cambiato.
- Ah, eccola! – esulta Mario, parlandogli addosso, illuminandosi in viso mentre si scosta dall’uscio che ha appena spalancato, mostrandogli la sua stanza, - Starai qui. – annuisce, e poi pare come accorgersi di un dettaglio che prima aveva trascurato. – Hai detto qualcosa, per caso? – chiede.
Davide sbircia l’interno della propria stanza, la moquette grigia che ricopre il pavimento e il letto alto e spesso, così grande da perdercisi. Si chiede cosa ci metterà dentro stanotte, oltre al proprio corpo magro, e per la prima volta da quando è cresciuto rimpiange la sua infanzia e tutti i peluche con cui riempiva il lettino fin quasi a non trovare più spazio nemmeno per se stesso. È un pensiero fugace, comunque, estremamente imbarazzante. Lo scaccia via in un secondo.
- No. – risponde quindi, entrando in camera ed appoggiando la propria valigia in un angolo. – La stanza è bellissima.
*
Non si aspetta di trovare il bagno occupato, quando apre la porta, e in realtà non si aspettava nemmeno di riuscire a trovarlo, il bagno, tanto per cominciare, per cui è molto felice quando posa il piede sul pavimento piastrellato bianco, e molto sconvolto quando, sollevando lo sguardo, incontra il corpo nudo e prosperoso di una bionda che non gli pare di aver mai visto in vita sua.
- Scusa! – strilla, voltandosi repentinamente. Lei non dà segno di volersi muovere. – Credevo che fosse libero.
- Ce n’è un altro al piano di sotto. – lo informa la ragazza, la voce serena ma non piatta. Ha un accento molto più forte di quelli a cui Davide è stato abituato a scuola, e fa fatica a starle dietro.
- Grazie. – annuisce sbrigativamente, prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.
*
Riescono a presentarsi solo un’ora dopo. Lui e Mario stanno mangiando un paio di panini in cucina, lei passa davanti alla porta vestita solo di una maglietta glitterata nera ed un paio di shorts dorati tanto corti da somigliare più a coulotte che a pantaloni, issata su tacchi vertiginosi. È truccata così pesantemente che a stento Davide la riconosce. Anche i suoi capelli sono diversi, mossi e selvaggi. Prima non ha avuto il tempo di osservarli a lungo, ma li ricordava lisci. E appuntati dietro la testa. Il suo viso, al naturale, era molto più carino, però. Questo lo ricorda.
- Oh. – dice la ragazza, fermandosi a metà di un passo e raggiungendoli. Mario si sporge a baciarla sulle labbra e lei si tira indietro, schifata. – Pulisciti la bocca. – ordina, porgendogli un fazzolettino che strappa con irritazione da un dispensatore metallico posto al centro dell’isola. Mario ride ed obbedisce, e solo allora lei si china, raggiungendolo alla sua altezza per lasciarsi baciare. – Lui è Davide? – chiede quindi, indicandolo con un cenno del capo. Ha tanto di quel profumo, addosso, che Davide sente i propri sensi confondersi.
- Sì. – risponde lui, tornando a mangiare, - Resterà qui per qualche giorno. Davide, lei e Sophie. – continua, rivolgendosi a lui ed indicando la ragazza con un pollice, - È la mia ragazza.
Davide arrossisce vistosamente, annuendo e porgendole una mano.
- Piacere di conoscerti. – biascica. Lei ricambia la stretta e gli sorride conciliante.
- Non devi vergognarti di avermi visto le tette. – dice, inclinando appena il capo. Un paio di ciocche di capelli le sfuggono da dietro l’orecchio, ricadendole lungo la guancia e il collo fino al seno prominente strizzato nella scollatura della canottiera. – Io non mi vergogno di mostrarle in giro. Sono le mie migliori amiche. – conclude ammiccando, prima di tornare a rivolgersi a Mario. – Io esco, - gli dice, lasciandogli un bacio appiccicoso di lucidalabbra su una tempia, - ho una serata al Sankey’s Soap. Tornerò tardi, accaldata… - aggiunge con un sorriso, sfiorandogli il petto con un dito da sopra la maglietta, - e bagnata. – sussurra, indugiando con lo sguardo sulla linea dei pettorali, - Fatti trovare sveglio, mh? – chiede, mordicchiandosi un labbro ed allontanandosi di un paio di passi prima di voltarsi ed uscire salutandoli con cenno della mano. Ancheggia, e Davide non riesce a scollarle gli occhi di dosso.
- È stupenda, vero? – gli chiede Mario, ridendo divertito, - Mi costa un patrimonio anche lei, se t’interessa. – butta lì ridendo ancora, compiaciuto dalla propria stessa battuta.
Davide si volta a guardarlo, aggrottando le sopracciglia.
- Sei un cretino. – sbotta, mandando giù un altro morso del proprio panino.
*
- Sono stanco. – gli dice quasi subito, dopo aver finito di mangiare, simulando uno sbadiglio. – Vado a dormire.
Mario sembra stranito, perfino deluso, ma non gli fa domande. Davide torna in camera propria, si spoglia e s’infila sotto le coperte con un gran sospiro sollevato, chiudendo gli occhi e provando a dormire.
Non ci riesce. Resta sveglio e con gli occhi chiusi tutta la notte. Quando Sophie torna a casa, la sente. Li sente. Lo sente. Combatte una lotta impari contro la voglia che gli brucia nel bassoventre, ma la vince, e riesce a non masturbarsi anche se lo vuole così tanto da sentirsi male, ed è un malessere che va ben oltre il semplice dolore fisico che gli causa la propria erezione insoddisfatta, costretta nei boxer e pulsante di desiderio.
I gemiti di Mario e Sophie sono così vicini che Davide non ha alcun dubbio su quanto vicina sia anche la loro stanza rispetto alla sua – appena oltre la parete, come dimostrano i colpi ritmati che sente dietro la testiera del proprio letto – e non ha alcun dubbio neanche sul fatto che Mario l’abbia scelta apposta. Altrimenti, perché avrebbe dovuto cercare così a lungo proprio quella? Mentre vagava alla ricerca del bagno, prima di incontrare Sophie, Davide ha visto altre cinque stanze da letto almeno, non dissimili da quella che sta occupando adesso, ma solo questa è adiacente alla loro.
Si ripromette di prendere Mario a cazzotti domattina come prima cosa, sempre che riesca a sopravvivere alla notte. Mentre ancora li sente abbattersi con forza l’uno contro l’altra, si alza, scuote il capo come a cercare di svuotare il cervello da quei fastidiosi rumori molesti e poi esce in corridoio, a piedi nudi. Scende al piano di sotto e si rifugia in cucina. Lì non si sente più niente. Lì sta bene.
Prende un bicchiere e lo riempie al lavandino, poi si siede su uno sgabello ma scopre di non avere alcuna voglia di bere, così resta semplicemente a contemplare l’acqua immobile e trasparente per così tanti minuti che perde il senso del tempo. È attraverso il vetro deformante del bicchiere che vede arrivare Sophie dopo un po’. Indossa solo un paio di mutandine nere sottilissime, e quando lo vede sembra stupita, sì, ma non a disagio. Davide non distoglie lo sguardo, non arrossisce più. Non ne vede il motivo, se lei per prima non si prende il disturbo di imbarazzarsi.
- Credevo dormissi. – dice lei, avvicinandosi ed appoggiandosi all’isola coi gomiti. – Quella la bevi? – chiede, indicando il bicchiere. Davide scuote il capo e lei glielo sottrae, mandando giù tutta l’acqua in un paio di sorsi e concedendosi un lungo sospiro soddisfatto quando ha finito.
- Non ti senti mai usata? – le chiede Davide a mezza voce. Il suo inglese suona così tremendamente inappropriato che gli viene voglia di mordersi la lingua subito dopo.
Lei posa il bicchiere e nei suoi occhi passa un lampo di consapevolezza, mentre lo osserva. Davide se ne accorge e lei sa che se n’è accorto, motivo per il quale si affretta a stemperarlo in un sorriso dolce e svampito, stringendosi nelle spalle.
- Non capisco, cosa vuol dire? – chiede in una risatina frivola. Davide sorride intenerito.
- Niente. – la rassicura, scuotendo il capo. – Sei molto bella, sai? – le chiede quindi.
- Grazie. – risponde Sophie, sorridendo più genuinamente.
- Sei felice? – insiste Davide, mordendosi il labbro inferiore. Lei inspira ed espira profondamente; il suo seno pieno, perfettamente rotondo, ondeggia sul ripiano bianchissimo al quale è appoggiata, ed è quasi ipnotico, in qualche modo perfino rassicurante. Davide si concede di guardarlo e ritrovarcisi addosso, senza la benché minima malizia.
- Tu fai un sacco di domande. – risponde finalmente lei, allungandosi a scompigliargli i capelli, - E sorridi troppo poco. Lasciati in pace.
Davide si inumidisce le labbra, annuendo lentamente.
- Torni a dormire? – le chiede, e lei ride.
- Basta domande. – dice, dandogli le spalle e salutandolo con un cenno della mano. Davide si concede un sorriso più sincero degli altri, e poco dopo torna a letto anche lui.
*
Di fuori piove così tanto che i tuoni fanno vibrare le finestre. Annodati sul divano, di fronte alla televisione col volume al minimo, Davide e Mario tengono gli occhi chiusi e si strusciano lentamente l’uno contro l’altro. I loro gesti quasi non hanno nulla di sessuale, sono più che altro carezze rassicuranti. I loro corpi sentono la mancanza l’uno dell’altro, hanno bisogno di ritrovarsi. Il buio e il silenzio li aiutano a farlo.
- Si chiama Sophie. – ansima Davide, chiudendo le gambe attorno alla vita di Mario, - L’hai fatto apposta?
- No. – risponde Mario in una risata senza fiato, accarezzandogli un fianco con la mano bene aperta, - Forse. – ammette poi, mugolando appena. – Che t’importa?
- Lei non potrai passarmela come Sofia. – dice lui, gettando indietro il capo ed esponendo il collo alle labbra piene di Mario, bollenti e umide e incredibilmente affamate.
- No, siamo troppo lontani. – ammette Mario, e quando una mano di Davide scende ad accarezzarlo fra le cosce si concede un gemito quasi addolorato. – Sarebbe stato meglio se non ci fossimo visti. – borbotta, nascondendo il viso contro la sua spalla e scavando col naso all’interno della scollatura del maglione che indossa.
- Avevamo deciso di non farlo più, infatti. – annuisce Davide, liberando la sua erezione dalla prigione di vestiti in cui è costretta, per stringerla più agevolmente fra le dita.
- Però mi mancavi. – geme ancora Mario, gli occhi chiusi, le sopracciglia aggrottate, le ciglia che tremano, solleticandolo sul collo, lievissime, come il bacio di una farfalla.
- Hai una ragazza. – dice Davide, allontanandosi appena per lasciarlo muoversi, - E anch’io.
- Ti amo. – dice Mario, mordendosi un labbro e spogliandolo velocemente.
- Non basta. – sorride Davide, accarezzandogli una guancia e schiudendo nuovamente le gambe per lui, mentre Mario gli si sistema addosso e si preme quasi all’istante contro la sua apertura, fermandosi appena per baciarlo piano. – Ti amo anch’io, - continua Davide, andandogli incontro ed accogliendolo dentro di sé con un mugolio deliziato, - ma non basta. È troppo difficile. È troppo strano non vedersi e poi stare insieme un paio di giorni e fingere di vivere in un’altra epoca, in cui ancora non sia cambiato niente. Non è così… - trattiene il fiato, mentre Mario comincia a muoversi con maggiore foga dentro di lui, - …non è così che voglio amarti, preferisco— ah, preferisco amarti per i fatti miei. Senza di te.
- Stai dicendo una stronzata dietro l’altra… - ansima Mario, appoggiando la fronte contro la sua e perdendosi nel calore del suo corpo e nella stretta all’interno della quale si spinge e che si serra con più forza ad ogni spasmo di piacere che si libera nel bassoventre di Davide.
- E poi… - continua lui, accarezzandogli i capelli cortissimi sulla nuca mentre sente le sue dita chiudersi attorno alla propria erezione, ed inarca la schiena, muovendo il bacino per adattarsi alle sue spinte sempre più svelte, - Io faccio troppe domande. – conclude con un sorriso, sussurrando appena, stringendosi con forza un’ultima volta attorno a lui mentre lo sente venire dentro di sé, e lasciandosi accarezzare abbandonato fra le sue braccia senza rimpianti, gli occhi serrati, i lineamenti distesi, le labbra dischiuse in un gemito gravido di piacere mentre viene fra le dita scure che lo stringono e lo accarezzano velocemente dalla base alla punta.
- Ma mi dici cosa c’entrano le domande? – chiede Mario, e quando Davide scuote il capo e sorride ancora si rassegna, e sa che non riceverà mai una risposta. – Non posso credere che mi stai lasciando. – dice quindi a bassa voce, il respiro pesante, sistemandosi su di lui. – Di nuovo.
Davide chiude gli occhi e se lo stringe contro, ripensando all’estate, al caldo afoso e soffocante di Milano, al momento che ricorda perfettamente, la prima volta in cui gli ha detto che non avrebbe mai potuto funzionare, perché si conosceva, lo conosceva, c’erano troppi chilometri in mezzo ed avrebbero dovuto chiuderla subito, senza trascinarla stancamente fino a che non avrebbe fatto troppo male per poter essere trattenuta senza reciderla violentemente. Avrebbe preferito che fosse successo allora, piuttosto che adesso. Ma anche in questo momento, inspiegabilmente, come allora, è sereno. Anche se sente il cuore stretto in una morsa, lo stomaco schiacciato da un peso duro e doloroso, i polmoni compressi fino a potere espandersi il minimo indispensabile da mantenerlo (a malapena) in vita, è sereno.
- Riparto domani mattina, Mario. – gli sussurra all’orecchio, e lui annuisce. – Salutami Sophie.